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È un altro anime robotico con principe adolescente alieno in esilio sulla Terra, spacciato per orfano, come protagonista, appassionato anche di football americano, affidato alla cooperativa di doppiaggio di Tony Fusaro (voce italiana di Ken Hayabusa in "Falco il superbolide" e di Makoto in "Blue Noah - Mare spaziale", ma anche speaker dei programmi sul wrestling, quando ancora, in TV, veniva chiamato catch), che però esagera quando il "suo" Takeshi si fonde con i tre robot Edda, Trungu e Legga, che formano il gigantesco Diapolon (capisco che il ragazzo stia soffrendo quando si trasforma, ma Tony Fusaro sembra che stia facendo l'imitazione brutta dell'incredibile Hulk, e poi, quando esclama "Eccomi, arrivo!", mentre chiama la sua astronave Space Clear, mi ricorda Jerry Calà).
Se gli amici/alleati di Takeshi mi ricordavano quelli di Actarus della seconda parte dell'anime di "Goldrake", mi colpivano i look dei cattivi alieni Dazaan (il mio preferito era il gigante Ido, che parlava con le ganasce aperte - peccato che chiamassero mister Dazaan, e non maestà, il loro capo, manco si parlasse di un allenatore di calcio). Senza dimenticarsi di Labi, il santone del pianeta Apolon che rivela a Takeshi le sue vere origini aliene, un vero e proprio Mago Merlino cosmico, in salsa hippie.

A dirla tutta, "Diapolon" non mi ha mai convinto del tutto. Sì, era composto da tre robot più piccoli, ma ce ne fosse uno che mi piacesse graficamente. Le battaglie fra Diapolon e i robot dei Dazaan (con i piccoli ufo pilotati dagli amici/orfani di Takeshi che gli coprivano le spalle), poi, per quanto emozionanti, non raggiungevano mai l'apice di quelli di altri eroi di metallo.
La sigla italiana dei "Superobots" era comunque meravigliosa, e la presenza di voci note come quelle di Mauro Bosco, Cristina Grado (la direttrice dell'orfanotrofio dove vivono Takeshi e i suoi amici) e dell'allora giovane Massimo Dapporto aiutava ad alzare l'asticella della qualità.