Recensione
Capitan Harlock
8.0/10
Recensione di DarkSoulRead
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Ogni epoca ha i suoi eroi.
L’immaginario manga vanta un’ampia gamma di personaggi incredibilmente carismatici, personalità che riescono a fungere da veri e propri modelli di riferimento, vuoi perché talvolta ci si rispecchia negli ideali dei suddetti, vuoi (cosa che nel panorama fumettistico è ancora più frequente) perché questi personaggi generano in noi un sentimento di adulazione così profondo da ergersi a veri e propri eroi. Figure come Goku, Rufy, Naruto, Lupin, Ken, Ryo Saeba, Hanamichi, Onizuka, L’Uomo Tigre, Joe Yabuki, Tsubasa, Sailor Moon e moltissime altre sono diventate delle icone a tutti gli effetti e non solo del folklore giapponese, incarnando i sogni di generazioni e generazioni di ragazzi; Capitan Harlock figura indubbiamente tra queste.
In un’epoca in cui i mecha vivevano la loro golden age, e Jeeg Robot, Ufo Robot e Mazinga Z, impazzavano espandendo a macchia d’olio la loro fama internazionale anche e sopratutto grazie ai celebri adattamenti animati facendo le fortune di Go Nagai, il maestro Leiji Matsumoto inizialmente con “La corazzata Yamato” e, successivamente, con la sua opera più importante “Capitan Harlock”, precisamente nel 1977, dava vita a quello che sarebbe stato conosciuto anni dopo come il “Leijiverse”: un universo narrativo comprendente più opere interconnesse tra loro, senza una logica consecutio, ma con diversi elementi in comune a raggrupparle in un unico macrocosmo (stile di cui poi le CLAMP saranno divulgatrici).
Anno 2977.
La razza umana è prossima all’estinzione a causa dello sfruttamento intensivo delle risorse terrestri, la classe dirigente è più interessata a giocare a golf che a salvaguardare il benessere del pianeta e gli uomini più coraggiosi si avventurano per lo spazio in cerca di luoghi migliori.
Daiba è il figlio di un importante scienziato, a seguito dell’assassinio di suo padre da parte di un’avanguardia mazionana (recluta facente parte di una popolazione aliena che ha inviato una gigantesca sfera nera sulla terra con l’intento di conquistarla) s’imbarca con l’obiettivo di vendicarlo sull’Arcadia, la leggendaria nave spaziale del capitano Harlock, considerato dalle autorità un fuorilegge.
Matsumoto, pur rimanendo nello spazio, seppe distinguersi dal filone super-robot con una trama strutturalmente semplice ma permeata da una vena malinconica e nostalgica in grado di offrire diversi spunti di riflessione. Costante la denuncia sociale, l’autore senza troppi fronzoli definisce più volte la classe dirigente come “maiali senza spina dorsale”, attribuendo la rovina del pianeta alla pessima capacità gestionale di un sistema politico corrotto.
Harlock è l’emblema della libertà e della ribellione: un pirata spaziale che viaggia per l’universo issando bandiere con un teschio, proprio ciò che il trasgressivo fermento degli anni settanta richiedeva. Una figura cupa, misteriosa, archetipo di coraggio e giustizia, Leiji Matsumoto inscenò l’eroe perfetto per quei tempi, a partire dal character design; il capitano presenta una benda su un occhio ed una cicatrice sul viso come effigi delle mille battaglie affrontate, tuttavia la cicatrice più profonda è nel cuore: la perdita del suo migliore amico è una ferita che stenta a rimarginarsi, come un solco insanabile nell’anima, e lo tormenta incessantemente.
Se il successo di “Uchū kaizoku kyaputen Hārokku” si cela indubbiamente dietro il fascino ipnotico del suo protagonista (potremmo infatti definire il manga Harlock-centrico) l’autore ha fatto un buon lavoro anche nella caratterizzazione dei comprimari, che, nonostante appaiano stereotipati, risultano tutti funzionalmente contestualizzati alla causa.
L’Arcadia è molto più di un mero mezzo di trasporto, in lei è infatti incanalato lo spirito del defunto compagno di Harlock, il costruttore dell’astronave, la quale sarà definita più volte “viva” dagli stessi protagonisti. I membri dell’equipaggio, apparentemente perlopiù scapestrati e dediti al cazzeggio, tanto da far titubare il nuovo arrivato Daiba sulla bontà della sua scelta di abbandonare la terra per mettersi in viaggio nello spazio, dimostreranno invece una grande operosità in battaglia, ricoprendo ognuno uno specifico ruolo e rivelandosi indispensabili nel momento del bisogno.
Esemplificativo in tal senso il vicecomandante Yattaran, che impegna tutto il suo tempo nella costruzione di modellini navali, trasformandosi, non appena sente odore di combattimento, nel più grande stratega dello spazio.
Le mazoniane “donne che bruciano come carta”, sono villain in grado di empatizzare con il lettore, Matsumoto nella loro caratterizzazione percorre la strada degli antagonisti atipici, già battuta da Go Nagai, di cui “Devilman” è capostipite. Memorabile l’episodio delle due avanguardie mazoniane sull’isola di Death Shadow, tra le sequenze narrative più toccanti di tutto il Leijiverse.
L’opera, pur brillando di luce propria è un omaggio a “Ventimila leghe sotto i mari” del genio visionario Jules Werne: l’Arcadia è ispirata al “Nautilus” ed Harlock si rifà palesemente al capitano Nemo.
Nonostante le contaminazioni, il mangaka confezionò un prodotto rivoluzionario, in grado di influenzare a sua volta diversi autori di successo, facendo da apripista ad opere del calibro di “Cowboy Bepop”.
Harlock, grazie anche alla memorabile serie animata diretta da Rintaro, entrò prepotentemente nell’immaginario collettivo comune, settando nuovi parametri e stereotipi nella caratterizzazione psicologica dei protagonisti (Spike Siegel, protagonista della serie cult “Cowboy Bepop”, con il suo doloroso e tormentato passato richiama evidentemente il capitano di Matsumoto).
Purtroppo non viene sviscerato il passato di Harlock, e alcuni personaggi nominati più volte come Emeraldas o Tochiro (il vecchio amico del capitano), non saranno mai approfonditi come era lecito aspettarsi. Se questa scelta può essere comprensibile una volta consci dei meccanismi del Leijiverse, (Matsumoto infatti ha successivamente dedicato serie apposite ad alcuni dei personaggi in quest’opera soltanto menzionati) il fatto di non poter leggere l’epilogo dello scontro tra il capitano Harlock e Raflesia, la regina di Mazone, è un qualcosa che irrimediabilmente pesa sul giudizio finale. L’opera purtroppo si chiude senza concludersi, risultando incompleta.
Il tratto di Matsumoto ricorda quello di Tezuka, e i novizi potrebbero trovarlo attempato. I personaggi secondari, per la maggior parte stilizzati e caricaturali, presentano tratti appena accennati.
Le donne invece (e qui si vede il passato dell’autore da disegnatore di Shojo) raffigurate eteree ed angeliche, sono bellissime, peccato si somiglino un po’ tutte.
Stupende tavole mute, raffiguranti l’Arcadia abbracciata dallo spazio nero infinito, accompagnano sporadicamente il lettore tra un capito e l’altro, immergendolo in un silenzio universale; pagine silenti tra le quali sembra quasi di udire il dolce e malinconico canto dell’aliena Meeme, la più stretta confidente di Harlock, unica sopravvissuta della sua specie.
"Vago per le galassie, la gente mi chiama Capitan Harlock... Vivo in libertà, in questo oceano oscuro chiamato spazio, senza un domani, issando bandiera con un teschio... finché avrò vita... finché il sole non smetterà di bruciare... E sotto la mia bandiera, sotto il mio vessillo, io sarò libero".
L’immaginario manga vanta un’ampia gamma di personaggi incredibilmente carismatici, personalità che riescono a fungere da veri e propri modelli di riferimento, vuoi perché talvolta ci si rispecchia negli ideali dei suddetti, vuoi (cosa che nel panorama fumettistico è ancora più frequente) perché questi personaggi generano in noi un sentimento di adulazione così profondo da ergersi a veri e propri eroi. Figure come Goku, Rufy, Naruto, Lupin, Ken, Ryo Saeba, Hanamichi, Onizuka, L’Uomo Tigre, Joe Yabuki, Tsubasa, Sailor Moon e moltissime altre sono diventate delle icone a tutti gli effetti e non solo del folklore giapponese, incarnando i sogni di generazioni e generazioni di ragazzi; Capitan Harlock figura indubbiamente tra queste.
In un’epoca in cui i mecha vivevano la loro golden age, e Jeeg Robot, Ufo Robot e Mazinga Z, impazzavano espandendo a macchia d’olio la loro fama internazionale anche e sopratutto grazie ai celebri adattamenti animati facendo le fortune di Go Nagai, il maestro Leiji Matsumoto inizialmente con “La corazzata Yamato” e, successivamente, con la sua opera più importante “Capitan Harlock”, precisamente nel 1977, dava vita a quello che sarebbe stato conosciuto anni dopo come il “Leijiverse”: un universo narrativo comprendente più opere interconnesse tra loro, senza una logica consecutio, ma con diversi elementi in comune a raggrupparle in un unico macrocosmo (stile di cui poi le CLAMP saranno divulgatrici).
Anno 2977.
La razza umana è prossima all’estinzione a causa dello sfruttamento intensivo delle risorse terrestri, la classe dirigente è più interessata a giocare a golf che a salvaguardare il benessere del pianeta e gli uomini più coraggiosi si avventurano per lo spazio in cerca di luoghi migliori.
Daiba è il figlio di un importante scienziato, a seguito dell’assassinio di suo padre da parte di un’avanguardia mazionana (recluta facente parte di una popolazione aliena che ha inviato una gigantesca sfera nera sulla terra con l’intento di conquistarla) s’imbarca con l’obiettivo di vendicarlo sull’Arcadia, la leggendaria nave spaziale del capitano Harlock, considerato dalle autorità un fuorilegge.
Matsumoto, pur rimanendo nello spazio, seppe distinguersi dal filone super-robot con una trama strutturalmente semplice ma permeata da una vena malinconica e nostalgica in grado di offrire diversi spunti di riflessione. Costante la denuncia sociale, l’autore senza troppi fronzoli definisce più volte la classe dirigente come “maiali senza spina dorsale”, attribuendo la rovina del pianeta alla pessima capacità gestionale di un sistema politico corrotto.
Harlock è l’emblema della libertà e della ribellione: un pirata spaziale che viaggia per l’universo issando bandiere con un teschio, proprio ciò che il trasgressivo fermento degli anni settanta richiedeva. Una figura cupa, misteriosa, archetipo di coraggio e giustizia, Leiji Matsumoto inscenò l’eroe perfetto per quei tempi, a partire dal character design; il capitano presenta una benda su un occhio ed una cicatrice sul viso come effigi delle mille battaglie affrontate, tuttavia la cicatrice più profonda è nel cuore: la perdita del suo migliore amico è una ferita che stenta a rimarginarsi, come un solco insanabile nell’anima, e lo tormenta incessantemente.
Se il successo di “Uchū kaizoku kyaputen Hārokku” si cela indubbiamente dietro il fascino ipnotico del suo protagonista (potremmo infatti definire il manga Harlock-centrico) l’autore ha fatto un buon lavoro anche nella caratterizzazione dei comprimari, che, nonostante appaiano stereotipati, risultano tutti funzionalmente contestualizzati alla causa.
L’Arcadia è molto più di un mero mezzo di trasporto, in lei è infatti incanalato lo spirito del defunto compagno di Harlock, il costruttore dell’astronave, la quale sarà definita più volte “viva” dagli stessi protagonisti. I membri dell’equipaggio, apparentemente perlopiù scapestrati e dediti al cazzeggio, tanto da far titubare il nuovo arrivato Daiba sulla bontà della sua scelta di abbandonare la terra per mettersi in viaggio nello spazio, dimostreranno invece una grande operosità in battaglia, ricoprendo ognuno uno specifico ruolo e rivelandosi indispensabili nel momento del bisogno.
Esemplificativo in tal senso il vicecomandante Yattaran, che impegna tutto il suo tempo nella costruzione di modellini navali, trasformandosi, non appena sente odore di combattimento, nel più grande stratega dello spazio.
Le mazoniane “donne che bruciano come carta”, sono villain in grado di empatizzare con il lettore, Matsumoto nella loro caratterizzazione percorre la strada degli antagonisti atipici, già battuta da Go Nagai, di cui “Devilman” è capostipite. Memorabile l’episodio delle due avanguardie mazoniane sull’isola di Death Shadow, tra le sequenze narrative più toccanti di tutto il Leijiverse.
L’opera, pur brillando di luce propria è un omaggio a “Ventimila leghe sotto i mari” del genio visionario Jules Werne: l’Arcadia è ispirata al “Nautilus” ed Harlock si rifà palesemente al capitano Nemo.
Nonostante le contaminazioni, il mangaka confezionò un prodotto rivoluzionario, in grado di influenzare a sua volta diversi autori di successo, facendo da apripista ad opere del calibro di “Cowboy Bepop”.
Harlock, grazie anche alla memorabile serie animata diretta da Rintaro, entrò prepotentemente nell’immaginario collettivo comune, settando nuovi parametri e stereotipi nella caratterizzazione psicologica dei protagonisti (Spike Siegel, protagonista della serie cult “Cowboy Bepop”, con il suo doloroso e tormentato passato richiama evidentemente il capitano di Matsumoto).
Purtroppo non viene sviscerato il passato di Harlock, e alcuni personaggi nominati più volte come Emeraldas o Tochiro (il vecchio amico del capitano), non saranno mai approfonditi come era lecito aspettarsi. Se questa scelta può essere comprensibile una volta consci dei meccanismi del Leijiverse, (Matsumoto infatti ha successivamente dedicato serie apposite ad alcuni dei personaggi in quest’opera soltanto menzionati) il fatto di non poter leggere l’epilogo dello scontro tra il capitano Harlock e Raflesia, la regina di Mazone, è un qualcosa che irrimediabilmente pesa sul giudizio finale. L’opera purtroppo si chiude senza concludersi, risultando incompleta.
Il tratto di Matsumoto ricorda quello di Tezuka, e i novizi potrebbero trovarlo attempato. I personaggi secondari, per la maggior parte stilizzati e caricaturali, presentano tratti appena accennati.
Le donne invece (e qui si vede il passato dell’autore da disegnatore di Shojo) raffigurate eteree ed angeliche, sono bellissime, peccato si somiglino un po’ tutte.
Stupende tavole mute, raffiguranti l’Arcadia abbracciata dallo spazio nero infinito, accompagnano sporadicamente il lettore tra un capito e l’altro, immergendolo in un silenzio universale; pagine silenti tra le quali sembra quasi di udire il dolce e malinconico canto dell’aliena Meeme, la più stretta confidente di Harlock, unica sopravvissuta della sua specie.
"Vago per le galassie, la gente mi chiama Capitan Harlock... Vivo in libertà, in questo oceano oscuro chiamato spazio, senza un domani, issando bandiera con un teschio... finché avrò vita... finché il sole non smetterà di bruciare... E sotto la mia bandiera, sotto il mio vessillo, io sarò libero".