Recensione
Your Name.
7.0/10
Recensione di Kabutomaru
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Makoto Shinkai è sempre stato un regista sopravvaluto; salito all'onore delle cronache grazie a un corto di poco più di venticinque minuti, "La voce delle stelle" (2002), realizzato praticamente grazie all'ausilio del solo suo PC, ottenne ottime critiche e vendite nel mercato Home Video, da lì in poi venne salutato come il volto nuovo dell'animazione nipponica, ottenendo nuova fama e gloria con l'iper-osannato "5 cm al secondo" (2007). Sono sempre stato fieramente tra i detrattori di questo regista, per via del suo stile visivo eccessivamente pompato quanto fine a sé stesso e portatore di una poetica, seppur interessante, totalmente incapace di esprimerla attraverso le sue opere tramite la narrazione. Con "Your Name." (2016), Shinkai realizza il lavoro che gli darà probabilmente eterna fama, vista l'isteria generale nel proclamarlo capolavoro e gli enormi incassi, che ne hanno fatto il film d'animazione giapponese (ma film in generale) di maggior incasso di sempre, superando anche "La città incantata" di Hayao Miyazaki (2001).
Il film è stato portato in Italia da Dynit e trasmesso al cinema per tre giorni, però purtroppo non riuscii a vederlo. Grazie all'accordo tra tale casa con la piattaforma Netflix, finalmente ho potuto vedere l'ultimo "capolavoro" di Shinkai, e devo dire che, seppur volessi demolirlo, sono costretto a dire che non solo è la sua cosa migliore di tutta la carriera, ma alla fine, anche se lontano dalle lodi isteriche di certa critica e spettatori ignoranti, alla fine è anche una pellicola buona.
Il regista prosegue la sua poetica della solitudine dell'essere umano e del legame che trascende il tempo e lo spazio. Shinkai, nella sua ultima fatica, usa il linguaggio da commedia romantica con inserti drammatici, per narrare una storia d'impianto tradizionale, di un sottile filo rosso del destino che unisce i due protagonisti adolescenti: Mitsuha è una giovane adolescente di un piccolo paese di campagna insoddisfatta del posto, la quale sogna di andare a Tokyo un giorno, mentre Taki frequenta anche egli un liceo a Tokyo (la città è resa molto più vivibile di quel che in realtà è, lo dico perché l'ho trovata caotica, quando la visitai), svolge un lavoro part-time come cameriere, sognando un giorno di diventare un architetto. Cosa hanno in comune i due? Da qualche tempo, per un fenomeno inspiegabile, si ritrovano per due-tre volte a settimana l'uno nel corpo dell'altro; questa cosa ha a che fare per caso con la cometa che si sta avvicinando al pianeta Terra?
Diciamo che questa volta la volontà del regista nel voler essere maggiormente commerciale ha per assurdo giovato a Shinkai, visto che riesce a superare in parte i suoi difetti precedenti, come l'esibizione marcata di un apparato visivo fine a sé stesso, la fotografia troppo filtrata e stracolma di lens flare insopportabili (anche se qui non mancano), la vacuità delle sceneggiature e il fastidioso quanto imperante didascalismo. Shinkai finalmente capisce che, se dedica tre-quattro righe nel tratteggiare i suoi personaggi (alla fine solo i due protagonisti sono un po' più analizzati rispetto agli altri, che sono un mero contorno, ma vi assicuro che è un enorme miglioramento rispetto ai "manichini" animati dei suoi precedenti lavori), forse qualcosa di interessante lo riesce a trasmettere, e il pubblico è accorso in sala questa volta.
Mitsuha e Taki vivono in uno stato di perenne insoddisfazione, desiderando essere altrove, anche se incerti sul da farsi. Shinkai, ispirandosi alla tradizione giapponese e in parte alla sua poetica, crea un legame tra i due: un sottile filo rosso (il destino), che unisce delicatamente, ma in modo inscindibile, questi due adolescenti, rendendoli protagonisti di una sorta di commedia romantica molto atipica, con venature drammatico-soprannaturali (specie nella seconda parte), arrivando a un finale interessante che si ricollega al titolo, il bisogno da parte dell'essere umano di conoscere il nome altrui (i due protagonisti si pongono continuamente domande in forma dubitativa sulla questione), poiché catalizzatore delle azioni di Mitsuha e Taki, i quali vogliono imprimerselo nella loro memoria a fondo, prima che lo scorrere del tempo cancelli totalmente ogni ricordo.
In effetti, grazie a una traccia e al mero barlume di un ricordo di un legame passato, nella sequenza in cui Taki beve il sakè consegnato agli Dei, Shinkai tira fuori la sequenza registica più bella di tutto il suo cinema, dove fonde la grafica computerizzata con disegni a mano tradizionali e un apparato visionario impressionante, dove lo spazio-tempo si riavvolge, per farsi storia del passato di Mitsuha, lasciando strabiliato lo spettatore.
Specie nella prima parte, "Your Name." ha un chiaro tono umoristico, cosa che Shinkai non aveva mai adoperato nei suoi precedenti lavori, generando un discreto divertimento nello spettatore, scaturito dalle buffe vicende dei due protagonisti che si ritrovano improvvisamente a vivere l'uno nel corpo dell'altro, con i dovuti disagi, essendo Taki e Mitsuha di sesso opposto. L'umorismo di Shinkai (anche se dopo un po' questa insistenza delle tette stufa e fa troppo da pervertito - va bene le prime volte, poi basta; a che pro poi l'inquadratura sulle tette di Mitsuha mentre gioca a basket?) questa volta aiuta lo spettatore ad affezionarsi ai due protagonisti, visto anche il character design anonimo e della non molta abilità nel saper tratteggiare delle psicologie credibili da parte del regista (che qui è sceneggiatore come anche nei suoi precedenti film). Se la regia risulta più trattenuta nelle sue 'sboronate' visive, che questa volta sono davvero d'impatto, per la capacità di Shinkai nel saper dosare le inquadrature tramite delle splendide panoramiche sul lago e il cielo, due entità che sembrano custodire la "memoria", è meno iper-realista rispetto ai suoi precedenti lavori, ma questo è dovuto anche al fatto che questo sia un film e non un mediometraggio, anche se c'è da dire che tutto quel realismo eccessivo asfissiava inutilmente l'inquadratura, e la fotografia qui risulta meno uccisa dai "lens flare" (ma ugualmente un po' troppo patinata, dando la sensazione certe volte di "plasticità" all'insieme). Non sempre la narrazione è gestita con eguale perizia, specie nell'utilizzo di flashback e flashforward, dove, specie nel terzo atto, Shinkai finisce non poche volte per incartarsi di brutto con delle soluzioni narrative alquanto deficitarie (non sta in piedi che gli amici di Mitsuha credano a quello che dice né regge il confronto con suo padre, che paga la quasi totale assenza dal film, per poi essere tirato fuori come deus ex machina per sbrogliare tutto il casino, senza un retroterra adeguato). Il montaggio musicale, cifra stilistica del regista, si può dire, è adoperato meglio, legandosi maggiormente alla narrazione e molto utile per mostrare in poco tempo una grande quantità di avvenimenti, coinvolgendo lo spettatore al contempo nella velocità del tutto, grazie anche al buon uso degli split screen come una volta faceva il buon Stanley Donen nei suoi numeri musicali. La musica della rock band giapponese è un contrappunto fondamentale alle immagini (seppur troppo pop e modaiola), esplicando in quel momento i sentimenti dei protagonisti, come se fossero autori di un proprio monologo.
Come ho già detto, con questo film Makoto Shinkai è diventato il regista giapponese più di successo nel mondo di tutta la storia; per me non lo merita per niente, poiché la buon'anima di Satoshi Kon o quel genio di Mamoru Oshii con tale storia vi avrebbero tirato fuori quantomeno un ottimo film, mentre qui, anche per colpa di una narrazione troppo tarata sull'adolescenziale e colma di stilemi studenteschi, oltre il buon film non si va.
Eccessive le lodi della critica quindi verso tale regista e questo lavoro; forse ciò è dovuto al fatto che oramai ogni cosa "orientale" deve essere automaticamente bella qua in Occidente, e i Giapponesi ci marciano sopra, tanto che eventuali difetti vengono sempre scusati con la solita affermazione: "È la loro cultura, non possiamo capire tutto di un Paese così misterioso"; sarà, ma questo discorso allora dovrebbe valere per ogni Paese, e non solo per Cina, Corea, Taiwan o Giappone. Certo, per una critica ignorante che pensa che lo Studio Ghibli sforni sempre capolavori, che Miyazaki sia il miglior regista d'animazione di sempre e che la Pixar sia il massimo nel settore, allora "Your Name." può legittimamente essere considerato un capolavoro; chi invece è più colto come il sottoscritto e non si lascia abbindolare facilmente sarà in grado di dare la giusta collocazione a questo film sì interessante, ma ancora incerto e claudicante in vari punti; però comunque va detto come, rispetto alle sue precedenti opere, Shinkai abbia abbandonato finalmente la sua fastidiosa pretenziosità che non sapeva gestire, per concentrarsi maggiormente verso l'animo umano. Si spera quindi che "Your Name." per Makoto Shinkai possa essere il suo punto di partenza, per una buona carriera.
Il film è stato portato in Italia da Dynit e trasmesso al cinema per tre giorni, però purtroppo non riuscii a vederlo. Grazie all'accordo tra tale casa con la piattaforma Netflix, finalmente ho potuto vedere l'ultimo "capolavoro" di Shinkai, e devo dire che, seppur volessi demolirlo, sono costretto a dire che non solo è la sua cosa migliore di tutta la carriera, ma alla fine, anche se lontano dalle lodi isteriche di certa critica e spettatori ignoranti, alla fine è anche una pellicola buona.
Il regista prosegue la sua poetica della solitudine dell'essere umano e del legame che trascende il tempo e lo spazio. Shinkai, nella sua ultima fatica, usa il linguaggio da commedia romantica con inserti drammatici, per narrare una storia d'impianto tradizionale, di un sottile filo rosso del destino che unisce i due protagonisti adolescenti: Mitsuha è una giovane adolescente di un piccolo paese di campagna insoddisfatta del posto, la quale sogna di andare a Tokyo un giorno, mentre Taki frequenta anche egli un liceo a Tokyo (la città è resa molto più vivibile di quel che in realtà è, lo dico perché l'ho trovata caotica, quando la visitai), svolge un lavoro part-time come cameriere, sognando un giorno di diventare un architetto. Cosa hanno in comune i due? Da qualche tempo, per un fenomeno inspiegabile, si ritrovano per due-tre volte a settimana l'uno nel corpo dell'altro; questa cosa ha a che fare per caso con la cometa che si sta avvicinando al pianeta Terra?
Diciamo che questa volta la volontà del regista nel voler essere maggiormente commerciale ha per assurdo giovato a Shinkai, visto che riesce a superare in parte i suoi difetti precedenti, come l'esibizione marcata di un apparato visivo fine a sé stesso, la fotografia troppo filtrata e stracolma di lens flare insopportabili (anche se qui non mancano), la vacuità delle sceneggiature e il fastidioso quanto imperante didascalismo. Shinkai finalmente capisce che, se dedica tre-quattro righe nel tratteggiare i suoi personaggi (alla fine solo i due protagonisti sono un po' più analizzati rispetto agli altri, che sono un mero contorno, ma vi assicuro che è un enorme miglioramento rispetto ai "manichini" animati dei suoi precedenti lavori), forse qualcosa di interessante lo riesce a trasmettere, e il pubblico è accorso in sala questa volta.
Mitsuha e Taki vivono in uno stato di perenne insoddisfazione, desiderando essere altrove, anche se incerti sul da farsi. Shinkai, ispirandosi alla tradizione giapponese e in parte alla sua poetica, crea un legame tra i due: un sottile filo rosso (il destino), che unisce delicatamente, ma in modo inscindibile, questi due adolescenti, rendendoli protagonisti di una sorta di commedia romantica molto atipica, con venature drammatico-soprannaturali (specie nella seconda parte), arrivando a un finale interessante che si ricollega al titolo, il bisogno da parte dell'essere umano di conoscere il nome altrui (i due protagonisti si pongono continuamente domande in forma dubitativa sulla questione), poiché catalizzatore delle azioni di Mitsuha e Taki, i quali vogliono imprimerselo nella loro memoria a fondo, prima che lo scorrere del tempo cancelli totalmente ogni ricordo.
In effetti, grazie a una traccia e al mero barlume di un ricordo di un legame passato, nella sequenza in cui Taki beve il sakè consegnato agli Dei, Shinkai tira fuori la sequenza registica più bella di tutto il suo cinema, dove fonde la grafica computerizzata con disegni a mano tradizionali e un apparato visionario impressionante, dove lo spazio-tempo si riavvolge, per farsi storia del passato di Mitsuha, lasciando strabiliato lo spettatore.
Specie nella prima parte, "Your Name." ha un chiaro tono umoristico, cosa che Shinkai non aveva mai adoperato nei suoi precedenti lavori, generando un discreto divertimento nello spettatore, scaturito dalle buffe vicende dei due protagonisti che si ritrovano improvvisamente a vivere l'uno nel corpo dell'altro, con i dovuti disagi, essendo Taki e Mitsuha di sesso opposto. L'umorismo di Shinkai (anche se dopo un po' questa insistenza delle tette stufa e fa troppo da pervertito - va bene le prime volte, poi basta; a che pro poi l'inquadratura sulle tette di Mitsuha mentre gioca a basket?) questa volta aiuta lo spettatore ad affezionarsi ai due protagonisti, visto anche il character design anonimo e della non molta abilità nel saper tratteggiare delle psicologie credibili da parte del regista (che qui è sceneggiatore come anche nei suoi precedenti film). Se la regia risulta più trattenuta nelle sue 'sboronate' visive, che questa volta sono davvero d'impatto, per la capacità di Shinkai nel saper dosare le inquadrature tramite delle splendide panoramiche sul lago e il cielo, due entità che sembrano custodire la "memoria", è meno iper-realista rispetto ai suoi precedenti lavori, ma questo è dovuto anche al fatto che questo sia un film e non un mediometraggio, anche se c'è da dire che tutto quel realismo eccessivo asfissiava inutilmente l'inquadratura, e la fotografia qui risulta meno uccisa dai "lens flare" (ma ugualmente un po' troppo patinata, dando la sensazione certe volte di "plasticità" all'insieme). Non sempre la narrazione è gestita con eguale perizia, specie nell'utilizzo di flashback e flashforward, dove, specie nel terzo atto, Shinkai finisce non poche volte per incartarsi di brutto con delle soluzioni narrative alquanto deficitarie (non sta in piedi che gli amici di Mitsuha credano a quello che dice né regge il confronto con suo padre, che paga la quasi totale assenza dal film, per poi essere tirato fuori come deus ex machina per sbrogliare tutto il casino, senza un retroterra adeguato). Il montaggio musicale, cifra stilistica del regista, si può dire, è adoperato meglio, legandosi maggiormente alla narrazione e molto utile per mostrare in poco tempo una grande quantità di avvenimenti, coinvolgendo lo spettatore al contempo nella velocità del tutto, grazie anche al buon uso degli split screen come una volta faceva il buon Stanley Donen nei suoi numeri musicali. La musica della rock band giapponese è un contrappunto fondamentale alle immagini (seppur troppo pop e modaiola), esplicando in quel momento i sentimenti dei protagonisti, come se fossero autori di un proprio monologo.
Come ho già detto, con questo film Makoto Shinkai è diventato il regista giapponese più di successo nel mondo di tutta la storia; per me non lo merita per niente, poiché la buon'anima di Satoshi Kon o quel genio di Mamoru Oshii con tale storia vi avrebbero tirato fuori quantomeno un ottimo film, mentre qui, anche per colpa di una narrazione troppo tarata sull'adolescenziale e colma di stilemi studenteschi, oltre il buon film non si va.
Eccessive le lodi della critica quindi verso tale regista e questo lavoro; forse ciò è dovuto al fatto che oramai ogni cosa "orientale" deve essere automaticamente bella qua in Occidente, e i Giapponesi ci marciano sopra, tanto che eventuali difetti vengono sempre scusati con la solita affermazione: "È la loro cultura, non possiamo capire tutto di un Paese così misterioso"; sarà, ma questo discorso allora dovrebbe valere per ogni Paese, e non solo per Cina, Corea, Taiwan o Giappone. Certo, per una critica ignorante che pensa che lo Studio Ghibli sforni sempre capolavori, che Miyazaki sia il miglior regista d'animazione di sempre e che la Pixar sia il massimo nel settore, allora "Your Name." può legittimamente essere considerato un capolavoro; chi invece è più colto come il sottoscritto e non si lascia abbindolare facilmente sarà in grado di dare la giusta collocazione a questo film sì interessante, ma ancora incerto e claudicante in vari punti; però comunque va detto come, rispetto alle sue precedenti opere, Shinkai abbia abbandonato finalmente la sua fastidiosa pretenziosità che non sapeva gestire, per concentrarsi maggiormente verso l'animo umano. Si spera quindi che "Your Name." per Makoto Shinkai possa essere il suo punto di partenza, per una buona carriera.