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Un filone cinematografico particolarmente di successo, negli Stati Uniti degli anni ’80, è sicuramente quello delle “avventure giovanili come metafora della crescita”: 'E.T. l’Extraterrestre', 'I Goonies', 'Stand By Me-Ricordo di un’Estate' hanno segnato l’immaginario collettivo di tutta la decade, dando ai bambini, al filtro con cui vedono il mondo e al loro unico “sense of wonder” il centro della scena, cercando d’insegnare agli adulti che, fin troppo spesso, quello che dovrebbe essere il modo di pensare e d’agire di una persona matura finisce, in realtà, per complicare inutilmente o danneggiare le cose.

Altro decennio, altro continente: negli anni ’90 nipponici hanno visto la luce diverse opere i cui autori hanno assimilato come spugne i concetti di cui sopra, per poi riadattarli alla società giapponese (o forse dovrei dire “contro” la società giapponese) in titoli di varia natura e genere: il videogioco 'Earthbound', conosciuto in patria come 'Mother 2'; i suoi autentici figliocci 'Pokémon' Versione Rossa e Verde (Blu da noi); e per finire proprio questo 'Digimon Adventure', punto di arrivo di due decenni di avventure giovanili. Nati come dei Tamagotchi combattenti, i Digimon hanno subìto un’impennata di popolarità sin dal loro debutto all’interno di giocattoli chiamati Digivice, non più grandi di un orologio: da lì sono nati poi i primi videogiochi e questo primo (di tanti) adattamento animato.

A quanti è capitata una “estate che cambia la vita”?
Soprattutto durante l’infanzia o l’adolescenza, capitano delle vacanze estive “più magiche del solito”, portanti dei ricordi e delle esperienze impossibili da dimenticare.
Per otto ragazzi giapponesi, ritrovatisi (quasi) tutti allo stesso campo estivo, l’estate del 1999 sarà veramente memorabile, a partire da quel fatidico 1° agosto che oggi è diventato persino una ricorrenza tra gli appassionati.

La serie costruisce le sue fondamenta sul videogioco 'Digimon World', uscito per la prima PlayStation nello stesso gennaio del 1999, e da esso prende soprattutto l’ambientazione iniziale dell’Isola di File, la sua geografia e la sua popolazione, per poi espandersi per necessità di trama mostrando un mondo, quello digitale, sempre più ampio e variegato. Sì, perché gli otto protagonisti, prescelti un po’ dal fato e un po’ dal caso, si ritroveranno catapultati nel mondo digitale, collegato e al contempo separato dal nostro, dove faranno la conoscenza dei loro partner Digimon, creature che abitano questo luogo misterioso, e si troveranno incaricati di scongiurare una terribile minaccia che aleggia sia sulle terre digitali che sul mondo umano.

Normalmente, il ciclo vitale di un Digimon segue un percorso ben preciso: nato da un uovo con un aspetto quasi larvale, si evolve con l’età assumendo forme sempre più forti sulla base della sua nutrizione, esperienza e salute, per poi terminare la sua esistenza tornando allo stadio di uovo per ricominciare un nuovo ciclo esistenziale, talvolta con una forma totalmente diversa.
Questa regola, però, non si applica ai Digimon compagni dei Bambini Prescelti: grazie ai loro Digivice, infatti, sono in grado di farli evolvere temporaneamente per superare ostacoli e sconfiggere nemici troppo forti, per poi tornare allo stadio “standard” una volta passato il pericolo (o regredendo ulteriormente se l’evoluzione è stata particolarmente avanzata e ha richiesto un eccessivo sforzo fisico per la creatura digitale).

La “possibilità” dei Bambini Prescelti di evolvere i Digimon a comando, seppur sicuramente influenzata dalla necessità di mantenere i Digimon protagonisti piccoli, carini e “vendibili” (oltre che più pratici da portarsi dietro, visto che alcune forme evolute sono davvero enormi), è già un’ottima rappresentante delle tematiche e dei messaggi della serie in sé: l’evoluzione volontaria è infatti accessibile solo se si crea un legame saldo tra umano e Digimon, ed è la conseguenza della maggior consapevolezza di sé che il singolo bambino sviluppa nel corso dell’avventura.
E questo perché la crescita non è qualcosa di individuale, ma qualcosa di profondamente legato alle persone che abbiamo intorno: la crescita personale del Bambino Prescelto di turno, indissolubilmente legata all'amicizia che si forma col suo compagno di avventure, è “tradotta” visivamente e narrativamente nell’evoluzione, graficamente e contestualmente esaltante, del suo Digimon.

Com’è tipico dell’animazione per ragazzi nipponica, il progredire della storia implica l’arrivo di ostacoli sempre più grandi, avversari sempre più forti e minacce sempre più devastanti, ma questa escalation di potere non è che il trampolino di lancio per poter scavare più a fondo nelle personalità dei personaggi, nelle problematiche della crescita e relative fonti: per poter far evolvere ulteriormente i loro Digimon, infatti, i Bambini Prescelti necessitano di particolari pietre e simboli legati a sentimenti specifici per ognuno di loro, e, non a caso, il sentimento in questione è proprio ciò che manca a quel bambino, o ciò che quel bambino cerca di essere e rappresentare, e che deve trovare per poter crescere e maturare come persona.

Dal rapporto complicato con una madre che fatica a dimostrare il suo amore, alla scarsa concezione di amicizia di un ragazzo figlio di genitori divorziati convinto di dover fare sempre tutto da solo, all’eterna curiosità verso le proprie origini di un bambino segretamente consapevole di essere stato adottato, la serie si getta verso tanti argomenti delicati per dei ragazzi dell’età dei protagonisti, senza sminuirli nel nome della leggerezza e senza renderli facile fonte di eterno disagio senza mai una risoluzione, uno sbocco, una serena accettazione.

Al centro di tutto questo si trovano quattro sentimenti fondamentali, che fanno da “colonna portante” del gruppo in maniera simile ma diversa: se la Speranza e la Luce (intesa come purezza e serenità d’animo) sono il vero fulcro della storia, e il vero fulcro di una crescita sana e positiva (non a caso i due Digimon legati a questi simboli sono quelli con le linee evolutive più particolari, perché se la speranza è quella che si vede e si sente soprattutto nei momenti di più grande disperazione, la luce della purezza d’animo è sempre più forte di qualunque altro sentimento, e quando c’è non può mai essere offuscata), il coraggio e l’amicizia sono ciò che permette, infine, di andare avanti e “sopravvivere” alle più grandi difficoltà che il turbolento periodo della crescita tende a portare ad affrontare.

La grande ispirazione per le opere “d’avventura giovanile e crescita” non si denota, dunque, solo da scene che sembrano riprese pari pari da E.T., come quelle, ambientate nel mondo umano, dove i Digimon si fingono pupazzi per non destare sospetti, ma anche e soprattutto per l’indimenticabile estate, l’indimenticabile campo estivo, l’indimenticabile avventura, lontano da scuola o genitori che dovrebbero essere fonti inesauribili di sapere, supporto e empatia ma che spesso finiscono, purtroppo, per essere solo un grosso limite per la crescita e l’espressività dei bambini (soprattutto in Giappone, dove il rapporto coi genitori è spesso piuttosto distaccato e la scuola spersonalizzante, selettiva e competitiva fin dai primi stadi), che i protagonisti vivono.

Una parte forse troppo “digitale” della serie è quella visiva, perché se è vero come è vero che il disegno digitale, in quella fine secolo giapponese in piena crisi economica, era estremamente comodo per poter realizzare anime con un budget molto più ridotto ma senza intaccarne la qualità, è anche vero che i “trucchi del digitale” vengono usati più per risparmiare tempo che per ottenere effetti spettacolari senza dispendio enorme di fogli e colori.
Se però capitano spesso anime dalla grande forma ma dagli scarsi contenuti, capitano anche anime come 'Digimon Adventure', che di contenuti ne ha a bizzeffe, e che possono quindi anche permettersi una forma non eccezionale pur non compromettendo tutto il lavoro svolto.

Come tutte le estati, anche la meravigliosa, terrificante, spassosa, drammatica estate dei Bambini Prescelti volge, infine, al termine, dopo aver raccolto tutto il loro coraggio, la loro speranza, la loro luce e aver sublimato tutta la loro amicizia in un confronto con quello che forse è il peggior nemico della gioventù, la peggiore minaccia alla stessa, perché la più comune e la più normalizzata: la convinzione che un trauma, un torto subìto dalle generazioni precedenti debba essere perpetrato nelle successive. Se, nell’allegoria battagliera della serie, questo si traduce nel tentativo di distruggere il mondo digitale, nel mondo reale questo è un atteggiamento che capita molto spesso, malcelato da intenzioni fintamente positive: quante volte un comportamento tossico viene romanticizzato come costruttivo e portato avanti per generazioni all’interno delle famiglie? Quante volte viene detto che i giovani sono delle pappemolli perché non hanno vissuto “costruttivissimi“ eventi traumatici e abusi normalizzati nel corso della loro infanzia e adolescenza?

La scomparsa di questa tremenda minaccia, più reale di quanto non sembri, mette fine alla “endless summer” dei bambini prescelti, accompagnata da un’eclissi che ai tempi abbiamo visto tutti (se c’eravamo): quella dell’11 agosto 1999, quando tutto il mondo si è un po’ rabbuiato, ha cominciato a soffiare un vento inquietante e un gruppo di bambini e il suo gruppo di amici digitali sono giunti alla conclusione della loro (non prima, non ultima) avventura. Consapevoli, però, del più importante segreto della crescita: non si cresce quando si abbandona ciò che ci faceva felici da piccoli, si cresce quando si impara che ciò che ci rende felici è ciò che ci aiuta ad affrontare i momenti di massima disperazione, di massima crisi, sempre e soltanto se “believe in your heart”, come conclude meravigliosamente la canzone Brave Heart dell’indimenticabile Koji Wada, brano portante delle sequenze di evoluzione che fa il paio con Butter-fly, memorabile sigla di testa sempre dello stesso artista.