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Sugli scaffali delle librerie, decisamente "Record of Ragnarok" ("Shuumatsu no Valkyrie", tradotto letteralmente "Le valchirie della fine") non passa inosservato, con le sue copertine bianche, semplici, che contrappongono di volta in volta due personaggi dal character design super intrigante, uno di fronte all'altro, a guardarsi come due lottatori di wrestling pronti allo scontro. Dalle splendide copertine non si riesce a capire quale sia la trama del manga serializzato dal 2017 su Comic Zenon della Coamix da Shinya Umemura (storia), Takumi Fukui (storyboard) e Azy Chika (disegni), attualmente giunto a undici volumi e pubblicato in Italia da Star Comics, ma si tratta di una delle storie più intriganti dell'ultimo periodo: per stabilire la fine o la salvezza del genere umano, tredici divinità e tredici esseri umani si scontreranno in mortale torneo di arti marziali.

L'idea di personaggi storici/famosi/divini che combattono tra loro non nasce qui. Gli amanti dei videogiochi da sala anni novanta ricorderanno con piacere la saga "World Heroes", dove appunto succedeva una cosa simile (curiosità: in entrambe le serie compare Rasputin tra i combattenti), ma "Record of Ragnarok" ci aggiunge gli scontri a squadre tra umani e divinità e lo scopo di salvare/distruggere la razza umana, cosa che aggiunge pathos e interesse alle battaglie. L'idea funziona, e "Record of Ragnarok" riscuote sempre più successo nelle librerie, tanto da vedersi dedicato un adattamento anime in dodici episodi, prodotto dallo studio Graphinica e rilasciato su Netflix in contemporanea (quasi) mondiale a giugno 2021.

È difficile parlare di "Record of Ragnarok", perché, lo si nota subito sin dall'idea iniziale, è una serie assurda, tamarra, ricca di momenti "trashissimi" eppure allo stesso tempo esaltante. Rientra nel novero delle serie di "mazzate ignoranti" da guardare a cervello spento, come "Baki" e "Kengan Ashura" (anche queste disponibili come Netflix Original), ma, per forza di cose, ha anche tutta una serie di elementi culturali e citazioni che possono accendere un po' il cervello dello spettatore e spingerlo a ricercare informazioni sui vari miti o personaggi storici che qui vengono riscritti in maniera assurda, ridisegnati come bishounen, lottatori di wrestling, citazioni da personaggi di anime e videogiochi. "Record of Ragnarok" non vuole prendersi sul serio, saccheggia qua e là da storia e cultura di tutto il mondo e rielabora in maniera assurda e caciarona, riuscendo però ad essere così estremamente esaltante e curioso. Gli autori pescano a piene mani da caratteristiche ben note (Thor ovviamente userà in combattimento il suo martellone Mjollnir, così come Kojiro Sasaki userà la sua famosa tecnica di spada Tsubamegaeshi, ad esempio), e altre ne inventano, rielaborando figure già note in maniera squisitamente personale: Zeus non usa il potere del tuono, ma è un'assurda rielaborazione in tunica del maestro Muten di Dragon Ball; Adamo... Che potere combattivo dai ad un uomo nudo con la foglia di fico sulle parti intime? Semplice, Adamo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, no? Quindi può copiare tutti i poteri delle divinità come fosse il boss finale di un picchiaduro che copia le mosse di tutti i personaggi!

Uno dei pregi di "Record of Ragnarok" è proprio la forte caratterizzazione dei personaggi. L'idea iniziale dello scontro tra umani e dei si presta tantissimo a veicolare scontri ideologici di vario tipo, uno su tutti quello che ovviamente ci viene in mente come prima cosa, sin dai tempi di "Saint Seiya": gli dei sono immutabili, stanno nel loro Paradiso, nel loro Monte Olimpo, invincibili, immortali, eterni, e credono di essere perfetti, di sapere tutto, di avere tutto sotto il proprio controllo; gli umani sono imperfetti, deboli, mortali, ma sono anche passionali, coraggiosi, hanno un cuore grande e un incredibile margine di crescita. "L'uomo può compiere miracoli", ci ha detto più volte "Saint Seiya", e ce lo mostra anche "Record of Ragnarok", mettendo in scena dei personaggi estremamente "umani" in tutta la loro imperfezione, che spesso riescono anche a far breccia nella perfezione degli dei, allo stesso modo di come lo fanno nel cuore dello spettatore. "Record of Ragnarok" è come un incontro di wrestling: c'è il "buono" (generalmente l'umano, dato che noi siamo umani e quindi non possiamo che tifare per la salvezza della nostra specie) per cui fare il tifo, c'è il "cattivo" a cui fischiare, ci sono colpi di scena, rimonte, tecniche speciali e un pubblico in delirio sempre pronto a incitare, commentare, esaltarsi mentre guarda lo scontro. Lunghi flashback inframezzano gli scambi di colpi e permettono di dare spessore ai due contendenti, raccontandocene le storie e le personalità, mentre miti, leggende e fatti storici vengono riscritti trasformandosi in trame assurde e meravigliosamente trash: i giganti che attaccano Asgard si trasformano in un episodio di "Shingeki no Kyojin", la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso diventa un processo dove il serpente voleva incastrare Eva, rea di aver resistito alle sua avances (?), e via dicendo.

"Record of Ragnarok", essendo una serie per un pubblico adulto cresciuto con i testosteronici shounen degli anni ottanta e gli adrenalinici picchiaduro da sala degli anni novanta, riprende da essi tantissimi elementi: personaggi robusti e carismatici che sembrano usciti dal primo "JoJo", scontri di cappa e spada con samurai usciti dritti dritti da "Rurouni Kenshin" o "Samurai Spirits", vecchietti che si gonfiano i muscoli, virilità a go go, iperboliche raffiche di pugni e via dicendo. Tuttavia, dagli shounen vecchio stampo la serie animata prende anche un po' diverse caratteristiche tipiche dell'animazione di un tempo, che, se da un lato la rendono affascinante e carismatica, dall'altro ne penalizzano un po' la visione e il ritmo. La serie si compone di dodici episodi e adatta, in maniera fedelissima, i primi tre scontri del torneo (quattro volumi e mezzo del fumetto). Quattro episodi a combattimento, dove però, esattamente come in una serie shounen d'altri tempi, le botte sono inframezzate da continui flashback, lungaggini, personaggi di sfondo che interrompono la narrazione per commentare, dire la loro, stemperare la tensione, fare 'spiegoni' su questa o quell'altra cosa. Questo spezza un po' il ritmo e rende i combattimenti, specialmente nel primo scontro della serie, a volte un po' tediosi da seguire, specialmente quando magari in un intero episodio i due sfidanti si sono scambiati solo un paio di fendenti e tutto il resto era flashback o 'spiegoni' di altri personaggi. Intendiamoci, anche il manga è così, la trasposizione è molto fedele, ma il ritmo della lettura viene scelto dal lettore, mentre lo spettatore di un anime deve sottostare alla mezz'ora di rito e al ritmo imposto dal minutaggio, e può avvertire qualche lentezza o lungaggine.

"Record of Ragnarok" non ha animazioni particolarmente belle, salvo un paio di casi (principalmente coincidenti con la comparsa dei poteri magici delle Valchirie) le animazioni durante i combattimenti sono statiche, prive di particolare dinamismo e, esattamente come in varie serie d'altri tempi, focalizzate principalmente su enormi caratteri volanti su schermo. L'anime tuttavia impreziosisce il disegno del manga, rendendolo più chiaro e rendendo più comprensibili certe sequenze degli scontri, oltre a regalarci ogni tanto qualche chicca (il flashback di Musashi e Kojiro disegnato in stile arte tradizionale giapponese o l'ingresso in scena di Zeus ricalcato su quello di Shinsuke Nakamura nei suoi match WWE sono meravigliose perle trash da tramandare ai posteri). La musica è affidata a Yasuharu Takanashi, che propone degli score molto simili a quelli già composti in passato per "Kengan Ashura", rock ed esaltanti, ma ogni tanto si diverte a giocare con cori lirici o con celebri brani di musica classica come "Aria sulla quarta corda" di Bach, qui protagonista di una delle sequenze più trash e divertenti della serie. Anche le sigle, "Kamigami" dei Maximum the Hormone e "Fukahi" dei SymaG, ricordano un po' quelle di "Kengan Ashura", potenti ed esaltanti al punto giusto ma poco memorabili.
Se il doppiaggio giapponese schiera fuoriclasse come Miyuki Sawashiro, Takahiro Sakurai, Tomokazu Seki, Hikaru Midorikawa o Wataru Takagi, la versione italiana ha invece nomi molto meno famosi e risulta così meno particolare e anche un po' forzata nelle interpretazioni, laddove i Giapponesi (che da decenni sono abituati a produrre, doppiare e fruire di "trashatone" esaltanti) risultano più naturali. Sul fronte dell'adattamento italiano, le uniche cose su cui si può recriminare sono il fatto che non tutte le diecimila scritte che compaiono su schermo vengono tradotte (qualcuna la si perde per strada) e che i vari nomi cinesi o giapponesi non sono sempre pronunciati nel modo giusto (stesso difetto presente nella versione italiana di "Kengan Ashura").

"Record of Ragnarok" è una serie che ha più difetti che pregi: le animazioni sono ridotte all'osso, il ritmo è lento e inframezzato da molte lungaggini che lo spezzano invece di esaltarlo durante i combattimenti, non risulta particolarmente impreziosito dal passaggio all'animazione, la trama di base è una stupidata ricca di momenti assurdi e perle trash (alcune, come Afrodite che gira coi servi che le reggono i seni assurdamente grandi, sono già diventate meme) e, last but not least, come al solito si ferma sul più bello (ci sarà una seconda stagione? Quando?) e non offre particolari vantaggi dal seguirlo in animazione, quando il manga italiano è già più avanti con la storia. Tuttavia, nel suo essere una 'trashatona' da seguire a cervello spento, che prende i miti e le culture di tutto il mondo e li riscrive in un Pantheon di personaggi assurdi ma carismatici, risulta estremamente divertente, un inaspettato "guilty pleasure" degno di colmare il vuoto tra una serie di "Baki" e l'altra o quello lasciato dalla fine (?) di "Kengan Ashura" e "The God of High School". Il manga, in Italia, è arrivato un po' in sordina, a differenza del Giappone, ma chissà che questo "antipasto" con colori, voci e musiche non possa spingerlo un po' di più, perché è una serie trash ma divertente, che regala personaggi carismatici e bei momenti. Dall'anime non bisogna aspettarsi chissà quali meraviglie, ma tra un momento assurdo e l'altro piano piano ci si appassiona e ci troveremo a tifare spassionatamente per questo o quel personaggio. Perché, in fondo, vogliamo che gli umani vincano e si salvino, ma anche gli dei non sono male e magari tifiamo per l'uno o per l'altro solo perché sono fighi, ci stanno simpatici, ci esaltano, ci ritroviamo in loro o rappresentano ciò che vorremmo essere. Come i lottatori di wrestling, ma con poteri divini e/o quel cuore passionale che sempre hanno i personaggi degli anime e che proprio per questo amiamo e ameremo, malgrado tutto, anche stavolta.