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8.0/10
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Non è facile guardare "Ergo Proxy". Non è facile apprezzare "Ergo Proxy". Ma al tempo stesso non è nemmeno facile spiegare i motivi del perché mi sia piaciuto.

Un anime lentissimo, cupo, di difficile comprensione e pieno di episodi apparentemente inutili e riempitivi. Eppure è uno di quei rari casi in cui il tutto che lo compone vale più della somma delle sue parti. Pochi dialoghi ben piazzati, suggestioni cyberpunk da inverno nucleare tra cyborg, esseri sintetici e divini, suoni metallici e gracchianti, tante piccole storie slegate ma unite da un filo comune: la ricerca dell'io. Ad amalgamare questi elementi un senso di sospensione misto a straniamento che ti accompagna fino all'ultimo episodio, che più che regalare un finale sembra dare un nuovo inizio o chiave di lettura a tutta l'opera.

Anche la opening e la ending, "Kiri" dei Monoral e "Paranoid Android" dei Radiohead, restituiscono un senso di pathos e stilisticamente si pongono subito in netto contrasto con le classiche sigle anime che ci si aspetterebbe. Questo perché "Ergo Proxy" nasce con una fortissima impronta autoriale e il desiderio di raccontare sicuramente qualcosa di già visto e rivisto, ma con uno stile tutto suo e che non manca di mostrare una nuova prospettiva. Non per ultima c'è la componente tecnica che è di alto livello, e va di pari passo con design ispirato di personaggi e ambienti molto dark, pallidi, metallici e con una estetica che urla anni '90.