Recensione
Visione d'Inferno
8.5/10
Recensione di DarkSoulRead
-
“Amato inferno vieni accanto a me
Amato inferno vieni accanto a me e avvolgimi
Il tuo odore di sangue mi piace da morire
Si, l’odore di sangue quando sono cinto da te
Una nostalgia quasi da piangere e pace, ecco cosa sento
Anche questa notte beviamo sakè scadente
Fino all’alba per un momento, nell’oscurità
Amato inferno presto, vieni accanto a me
Amato inferno patria mia
Amato inferno padre mio
Amato inferno madre mia
Amato inferno vita mia
Aah, amato inferno…”
Un pittore completamente folle realizza quadri dello spettrale ambiente che lo circonda dipingendoli con il proprio sangue. Il pittore introduce il lettore alle sue opere descrivendogli attraverso i dipinti l’orrore del suo mondo, partendo dall’infernale luogo dove vive fino agli inquietanti excursus sulla sua famiglia, raccontando dai nonni e i genitori, fino alla moglie e i figli, catapultandolo in un tunnel di sconcertante dissennatezza difficilmente riscontrabile in un manga.
“Visione d’inferno” nasce con l’arduo intento di declinare a fumetti il teatro di Shuiji Terayama.
La differenza principale tra il manga e il teatro è la distanza del fruitore: mentre uno spettacolo teatrale è eseguito e “seguito” dal vivo, in un fumetto la potenza delle immagini è condensata ed immortalata su carta, filtrata da un muro comunicativo in più. Hino veicola quindi il terrore attraverso una narrazione autobiografica in forma di confessione, e lo fa rivolgendosi direttamente al lettore, rompendo la quarta parete, aprendo i sipari di un granguignolesco teatro dell’orrore in una dimensione sospesa tra autobiografia e messinscena letteraria.
“Io sono un pittore… un pittore infernale, posseduto dalla bellezza e dal colore del sangue. In questa stanza… dove non batte mai il sole… chiudo tutte le imposte e passo il tempo a realizzare immagini d’inferno dipinte con il sangue. La cosa più bella di tutto il creato è il sangue! Si, è il colore del sangue!
Come potete vedere la stanza è piena zeppa di questi dipinti d’inferno… grazie a loro, posso vivere sempre immerso nell’odore inebriante del sangue.
Ne ho iniziato uno enorme, sarà l’opera più importante della mia vita! La visione d’inferno definitiva, rappresenterà la fine del mondo!”
“Visione d’inferno” fu concepita come opera ultima, e quindi manifesto, di un mangaka che aveva a sua detta esaurito l’estro creativo e l’ispirazione, mai volume unico fu più sconfessante: non solo l’estro visionario di Hino esondava dalle pagine, ma ibridato sapientemente a spaccati di vita vissuta ipertrofizzati e romanzati per adattarsi alle tinte fosche del contesto, generava un abbacinante affresco macabro destinato a preservare il suo fascino magnetico nel tempo. Il risultato fu cosi sorprendente che ad Hino tornò la voglia di disegnare fumetti e continuò a farlo per altri 13 anni.
Il pittore è una rappresentazione autobiografica enfatizzata ed esasperata dello stesso autore, la cui ossessione verso il sangue metaforizza quella di Hino verso l’horror manga.
Nel descrivere la famiglia del pittore il mangaka prende spunto direttamente dalla sua, il che è piuttosto inquietante vista la follia dei racconti, suo nonno era davvero uno yakuza ed alcune vicende raccontate in merito Hino le ha vissute in prima persona sulla sua pelle.
Durante lo sgancio della bomba atomica l’autore era nel ventre di sua madre, proprio come il protagonista, che in uno dei suo classici sproloqui di pazzia si definisce figlio del fungo atomico.
“L’inferno… sono certo che già nel ventre di mia madre io avevo visto l’inferno!
Il 6 agosto 1945, un lampo e un boato attraversarono il cielo di Hiroshima.
Si materializzò l’immenso re dei demoni infernali e risucchiò il sangue di centomila persone… da quel lampo si sprigionò un fascio di luce che attraversò il mare Genkai,
superò la penisola coreana… e apparve nella remota terra di Manciuria… dove colpí mia madre. In quell’instante quando cadde a terra, io mi trovavo nel suo ventre… dove vedevo un inferno intriso di sangue”.
Nella viscosa discesa verso gli inferi di Hideshi Hino la bomba atomica si trasforma in un demone fecondatore, diventando una versione oscura e demistificata dell’arcangelo Gabriele.
Emerge tutto l’antiamericanismo giapponese di un autore profondamente legato alla sua patria, ancora visibilmente ferito da quanto accaduto ad Hiroshima e Nagasaki, pur stando ancora nel grembo di sua madre essendo nato soltanto l’anno dopo.
Stavolta il mostro è umano ed è più spaventoso di qualsiasi yokai, figlio dell’orrore della guerra, figlio abominevole della bomba.
Purtroppo il tratto pittorico di Hino non è invecchiato benissimo, non eravamo certo all’apogeo del dettaglio e già all’epoca fumetti come il coevo “Ken il guerriero” di Tetsuo Hara risultavano fuori parametro; ad oggi, avendo sul mercato una sfilza di virtuosi del disegno, da Boichi a Kentaro Miura, il paragone con il top di gamma risulterebbe impietoso.
Ad onor del vero va riconosciuto il passo avanti fatto rispetto a “Bug boy”, un disegno che si distanzia dal deformed caricaturale, con linee che appaiono meno tondeggianti rispetto al passato, più dure e confacenti ai temi trattati dall’autore.
“Visione d’inferno” è un unicum diegetico disturbante e geniale, che rischia a tratti di strabordare in un eccesso gargantuesco di estremizzazione dell’odio da risultare non digeribile da tutti.
Come il finale, che provocatorio e terrificante buca letteralmente la quarta parete a picconate, rivelandosi uno dei punti più alti della carriera dell’autore e dell’horror manga in generale, anche se da molti non apprezzato, definito all’epoca “esagerato” ed “oltraggioso”.
Quest’opera è un labirinto tra le pieghe della follia, il magnum opus di un mangaka seminale per il suo genere, un atelier che diventa presto “Black museum” nello svelarci i suoi segreti più inconfessabili.
Un’escalation di violenza lungo un corridoio scarlatto di sangue, i cui quadri alle pareti diventano veri e propri mondi oscuri da cui farsi risucchiare, in un nero profondo.
“Questa è la storia di un pittore privo di fama che, ossessionato dall’odore e dalla magnificenza del sangue, è precipitato negli abissi dell’inferno. È la sua confessione raccapricciante, pervasa di follia, e vi farà accapponare la pelle…”
Amato inferno vieni accanto a me e avvolgimi
Il tuo odore di sangue mi piace da morire
Si, l’odore di sangue quando sono cinto da te
Una nostalgia quasi da piangere e pace, ecco cosa sento
Anche questa notte beviamo sakè scadente
Fino all’alba per un momento, nell’oscurità
Amato inferno presto, vieni accanto a me
Amato inferno patria mia
Amato inferno padre mio
Amato inferno madre mia
Amato inferno vita mia
Aah, amato inferno…”
Un pittore completamente folle realizza quadri dello spettrale ambiente che lo circonda dipingendoli con il proprio sangue. Il pittore introduce il lettore alle sue opere descrivendogli attraverso i dipinti l’orrore del suo mondo, partendo dall’infernale luogo dove vive fino agli inquietanti excursus sulla sua famiglia, raccontando dai nonni e i genitori, fino alla moglie e i figli, catapultandolo in un tunnel di sconcertante dissennatezza difficilmente riscontrabile in un manga.
“Visione d’inferno” nasce con l’arduo intento di declinare a fumetti il teatro di Shuiji Terayama.
La differenza principale tra il manga e il teatro è la distanza del fruitore: mentre uno spettacolo teatrale è eseguito e “seguito” dal vivo, in un fumetto la potenza delle immagini è condensata ed immortalata su carta, filtrata da un muro comunicativo in più. Hino veicola quindi il terrore attraverso una narrazione autobiografica in forma di confessione, e lo fa rivolgendosi direttamente al lettore, rompendo la quarta parete, aprendo i sipari di un granguignolesco teatro dell’orrore in una dimensione sospesa tra autobiografia e messinscena letteraria.
“Io sono un pittore… un pittore infernale, posseduto dalla bellezza e dal colore del sangue. In questa stanza… dove non batte mai il sole… chiudo tutte le imposte e passo il tempo a realizzare immagini d’inferno dipinte con il sangue. La cosa più bella di tutto il creato è il sangue! Si, è il colore del sangue!
Come potete vedere la stanza è piena zeppa di questi dipinti d’inferno… grazie a loro, posso vivere sempre immerso nell’odore inebriante del sangue.
Ne ho iniziato uno enorme, sarà l’opera più importante della mia vita! La visione d’inferno definitiva, rappresenterà la fine del mondo!”
“Visione d’inferno” fu concepita come opera ultima, e quindi manifesto, di un mangaka che aveva a sua detta esaurito l’estro creativo e l’ispirazione, mai volume unico fu più sconfessante: non solo l’estro visionario di Hino esondava dalle pagine, ma ibridato sapientemente a spaccati di vita vissuta ipertrofizzati e romanzati per adattarsi alle tinte fosche del contesto, generava un abbacinante affresco macabro destinato a preservare il suo fascino magnetico nel tempo. Il risultato fu cosi sorprendente che ad Hino tornò la voglia di disegnare fumetti e continuò a farlo per altri 13 anni.
Il pittore è una rappresentazione autobiografica enfatizzata ed esasperata dello stesso autore, la cui ossessione verso il sangue metaforizza quella di Hino verso l’horror manga.
Nel descrivere la famiglia del pittore il mangaka prende spunto direttamente dalla sua, il che è piuttosto inquietante vista la follia dei racconti, suo nonno era davvero uno yakuza ed alcune vicende raccontate in merito Hino le ha vissute in prima persona sulla sua pelle.
Durante lo sgancio della bomba atomica l’autore era nel ventre di sua madre, proprio come il protagonista, che in uno dei suo classici sproloqui di pazzia si definisce figlio del fungo atomico.
“L’inferno… sono certo che già nel ventre di mia madre io avevo visto l’inferno!
Il 6 agosto 1945, un lampo e un boato attraversarono il cielo di Hiroshima.
Si materializzò l’immenso re dei demoni infernali e risucchiò il sangue di centomila persone… da quel lampo si sprigionò un fascio di luce che attraversò il mare Genkai,
superò la penisola coreana… e apparve nella remota terra di Manciuria… dove colpí mia madre. In quell’instante quando cadde a terra, io mi trovavo nel suo ventre… dove vedevo un inferno intriso di sangue”.
Nella viscosa discesa verso gli inferi di Hideshi Hino la bomba atomica si trasforma in un demone fecondatore, diventando una versione oscura e demistificata dell’arcangelo Gabriele.
Emerge tutto l’antiamericanismo giapponese di un autore profondamente legato alla sua patria, ancora visibilmente ferito da quanto accaduto ad Hiroshima e Nagasaki, pur stando ancora nel grembo di sua madre essendo nato soltanto l’anno dopo.
Stavolta il mostro è umano ed è più spaventoso di qualsiasi yokai, figlio dell’orrore della guerra, figlio abominevole della bomba.
Purtroppo il tratto pittorico di Hino non è invecchiato benissimo, non eravamo certo all’apogeo del dettaglio e già all’epoca fumetti come il coevo “Ken il guerriero” di Tetsuo Hara risultavano fuori parametro; ad oggi, avendo sul mercato una sfilza di virtuosi del disegno, da Boichi a Kentaro Miura, il paragone con il top di gamma risulterebbe impietoso.
Ad onor del vero va riconosciuto il passo avanti fatto rispetto a “Bug boy”, un disegno che si distanzia dal deformed caricaturale, con linee che appaiono meno tondeggianti rispetto al passato, più dure e confacenti ai temi trattati dall’autore.
“Visione d’inferno” è un unicum diegetico disturbante e geniale, che rischia a tratti di strabordare in un eccesso gargantuesco di estremizzazione dell’odio da risultare non digeribile da tutti.
Come il finale, che provocatorio e terrificante buca letteralmente la quarta parete a picconate, rivelandosi uno dei punti più alti della carriera dell’autore e dell’horror manga in generale, anche se da molti non apprezzato, definito all’epoca “esagerato” ed “oltraggioso”.
Quest’opera è un labirinto tra le pieghe della follia, il magnum opus di un mangaka seminale per il suo genere, un atelier che diventa presto “Black museum” nello svelarci i suoi segreti più inconfessabili.
Un’escalation di violenza lungo un corridoio scarlatto di sangue, i cui quadri alle pareti diventano veri e propri mondi oscuri da cui farsi risucchiare, in un nero profondo.
“Questa è la storia di un pittore privo di fama che, ossessionato dall’odore e dalla magnificenza del sangue, è precipitato negli abissi dell’inferno. È la sua confessione raccapricciante, pervasa di follia, e vi farà accapponare la pelle…”