Recensione
Hell Baby
6.0/10
Recensione di DarkSoulRead
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“Vivi come i vermi che strisciano per terra
Abbandonati come i vermi che strisciano per terra
Calpestati come i vermi che strisciano per terra
Carichi di dolore come i vermi che strisciano per terra
Torneremo nelle dolci tenebre
Le tenebre infinite e silenziose
Torneremo, prima o poi”.
Il riferimento al Giappone annichilito post bomba atomica è lapalissiano nella citazione d’apertura, d’altronde, essendo stato concepito nell’anno dello sgancio del fungo atomico, è proprio il secondo conflitto mondiale uno dei motivi ricorrenti nella semantica di Hideshi Hino. In “Hell Baby” l’autore ricalca i suoi dogmi attingendo direttamente dal suo parco opere, presentandoci un horror classico che non esce dai tòpoi del genere, seguendo pedissequamente il percorso artistico tracciato dal mangaka nei suoi lavori precedenti.
In una gelida notte piovosa vedono la luce due gemelle, ma una delle due neonate si rivela un abominio mostruoso assetato di sangue. La bimba ripugnante viene abbandonata in una discarica di rifiuti, tra carcasse putrescenti e famelici cani randagi.
Ormai cresciuta covando uno smisurato odio per l’umanità, la bambina si mette in viaggio verso la città, in cerca di vendetta verso coloro i quali l’hanno abbandonata a un destino tanto crudele.
Antiamericanismo, protagonista yokai, emarginazione, vendetta, body horror, e ovviamente abbondante uso della voce narrante, in “Hell baby” ritroviamo tutti i tratti distintivi principali di un’icona dell’horror manga.
Il richiamo a “Rosemary’s baby” di Roman Polanski è evidente già dal titolo, il titolo originale “Gaki Jigoku” significa “Bambino d’inferno”, mentre il classico elogio al diverso di Hino questa volta sembra rifarsi più al “Frankenstein” di Mary Shelley che non al “Freaks” di Tod Browning, pur notandosi le influenze di entrambi gli autori, autentiche figure di riferimento per Hino.
Lo sviluppo della storia (epilogo compreso) riprende l’antecessore “Bug Boy”, con cui “Hell Baby” condivide il tema della vendetta, ma senza deriva kafkiana, per una circolarità narrativa che non riserva grosse sorprese a chi già conosce l’autore.
L’aggiunta dell’elemento mistico-paranormale, unica vera novità introdotta rispetto alle tematiche di “Bug Boy”, purtroppo non convince fino in fondo, non apportando di fatto alcun beneficio allo sviluppo della trama.
Il disegno, pur essendo strutturalmente datato e votato ad un tratto semplicistico e minimale, riesce ad incutere il giusto terrore grazie ad una cinematografica regia delle tavole e ad un sapiente uso dei chiaro-scuri,
da cui si nota un passo avanti rispetto a “Bug Boy”, ma uno indietro rispetto a “Visione D’inferno”.
Un’opera cupa e violenta, da cui si legge a chiare lettere la firma del suo autore.
Se non vi piace Hino non sarà questo il volume che vi farà ricredere, se invece siete fan del mangaka in “Hell Baby” ritroverete la sua inconfondibile cifra stilistica, in tutta la sua ridondanza autoriale.
Abbandonati come i vermi che strisciano per terra
Calpestati come i vermi che strisciano per terra
Carichi di dolore come i vermi che strisciano per terra
Torneremo nelle dolci tenebre
Le tenebre infinite e silenziose
Torneremo, prima o poi”.
Il riferimento al Giappone annichilito post bomba atomica è lapalissiano nella citazione d’apertura, d’altronde, essendo stato concepito nell’anno dello sgancio del fungo atomico, è proprio il secondo conflitto mondiale uno dei motivi ricorrenti nella semantica di Hideshi Hino. In “Hell Baby” l’autore ricalca i suoi dogmi attingendo direttamente dal suo parco opere, presentandoci un horror classico che non esce dai tòpoi del genere, seguendo pedissequamente il percorso artistico tracciato dal mangaka nei suoi lavori precedenti.
In una gelida notte piovosa vedono la luce due gemelle, ma una delle due neonate si rivela un abominio mostruoso assetato di sangue. La bimba ripugnante viene abbandonata in una discarica di rifiuti, tra carcasse putrescenti e famelici cani randagi.
Ormai cresciuta covando uno smisurato odio per l’umanità, la bambina si mette in viaggio verso la città, in cerca di vendetta verso coloro i quali l’hanno abbandonata a un destino tanto crudele.
Antiamericanismo, protagonista yokai, emarginazione, vendetta, body horror, e ovviamente abbondante uso della voce narrante, in “Hell baby” ritroviamo tutti i tratti distintivi principali di un’icona dell’horror manga.
Il richiamo a “Rosemary’s baby” di Roman Polanski è evidente già dal titolo, il titolo originale “Gaki Jigoku” significa “Bambino d’inferno”, mentre il classico elogio al diverso di Hino questa volta sembra rifarsi più al “Frankenstein” di Mary Shelley che non al “Freaks” di Tod Browning, pur notandosi le influenze di entrambi gli autori, autentiche figure di riferimento per Hino.
Lo sviluppo della storia (epilogo compreso) riprende l’antecessore “Bug Boy”, con cui “Hell Baby” condivide il tema della vendetta, ma senza deriva kafkiana, per una circolarità narrativa che non riserva grosse sorprese a chi già conosce l’autore.
L’aggiunta dell’elemento mistico-paranormale, unica vera novità introdotta rispetto alle tematiche di “Bug Boy”, purtroppo non convince fino in fondo, non apportando di fatto alcun beneficio allo sviluppo della trama.
Il disegno, pur essendo strutturalmente datato e votato ad un tratto semplicistico e minimale, riesce ad incutere il giusto terrore grazie ad una cinematografica regia delle tavole e ad un sapiente uso dei chiaro-scuri,
da cui si nota un passo avanti rispetto a “Bug Boy”, ma uno indietro rispetto a “Visione D’inferno”.
Un’opera cupa e violenta, da cui si legge a chiare lettere la firma del suo autore.
Se non vi piace Hino non sarà questo il volume che vi farà ricredere, se invece siete fan del mangaka in “Hell Baby” ritroverete la sua inconfondibile cifra stilistica, in tutta la sua ridondanza autoriale.