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6.5/10
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A vent’anni dalla sua nascita “Death Note” rimane un manga estremamente conosciuto e popolare. Un’opera capace di appassionare milioni di lettori, ma che non è stata risparmiata da critiche anche abbastanza severe che comunque sembrano non aver mai influito sul successo commerciale del titolo. Allo stato attuale in Italia rimane uno dei manga con più ristampe. Eppure, sarò brutalmente onesto, a me non ha mai fatto impazzire, anzi, l’ho sempre trovato un po’ sopravvalutato, pur non ritenendolo un brutto prodotto. A distanza di undici anni dalla prima lettura, ho deciso di rileggerlo interamente, con la speranza di apprezzarlo di più o comunque di riuscire a valutarlo con un’ottica diversa. Ma non c’è stato niente da fare. Come raramente mi capita, mi sono ritrovato a mantenere la stessa opinione e per gli stessi motivi di 11 anni fa, reputandolo ancora una volta un titolo inizialmente interessante, ma con degli sviluppi molto opinabili.

Partirei analizzando un aspetto nello specifico, ovvero la discontinuità della trama. Sia tra gli estimatori che tra i detrattori, quando si parla di “Death Note” sembra esserci spesso un punto in comune. È piuttosto diffusa infatti l’opinione che dopo la morte di un certo personaggio la storia perda spessore, consegnando al lettore una seconda metà dell’opera decisamente inferiore alla prima. Rispetto a questa posizione concordo solo in parte, perché se da un lato è vero che anch'io reputo molto più riuscita la prima parte del manga in generale, credo che suddividere “Death Note” in due parti distinte da quel preciso evento sia un po’ fuorviante. Per come la vedo io, il manga presenta infatti dei cambi nei livelli di intensità e qualità narrativa molto repentini e a dispetto della sua durata (dodici volumi apparentemente possono sembrare pochi), credo che, volendo analizzare la qualità della storia, l’opera andrebbe divisa in molte più parti, ma sarebbe un esercizio quantomeno assurdo. La verità, dal mio punto di vista, è che la qualità di scrittura dell’opera sia piuttosto altalenante e non può essere riassunta in “prima parte bella, seconda brutta”, visto che ci sono molte più sfumature nella qualità della narrazione.

Tuttavia, dovendo individuare la parte più riuscita dell’opera credo anch’io che, effettivamente, i primi volumi siano quelli che più hanno da offrire come contenuti e coinvolgimento. In particolare, i primi quattro sono quelli che offrono maggiori certezze: l’incipit è molto accattivante, i personaggi sono buoni e i dialoghi interessanti e ben calcolati. Segue quindi la parentesi della Yotsuba, quella parte di storia che sta sommariamente tra il quinto e l’inizio del settimo volume. Qui per me all’epoca della prima lettura si consumò la prima cocente delusione e ahimè così è stato anche per questa rilettura recente. C’è qualcosa che non funziona nei capitoli di questa porzione di trama. Li ho sempre trovati estremamente pesanti e noiosi. Probabilmente perché nascondono una palese volontà di tirare troppo la corda in merito a un trama che avrebbe potuto chiudersi da un momento all’altro. Ma se fino al quarto volume questo giochetto funziona piuttosto bene, con tutta la storyline di Higuchi si nota la palese volontà di perdere tempo nel tentativo, forse, di raccogliere le idee e ripartire per far accadere qualcosa di decisivo in un secondo momento. È così avviene nel settimo volume, quello di svolta. Malgrado il colpo di scena non abbia soddisfatto tutti, io l’ho sempre reputato ottimo, ben realizzato e in fin dei conti una tappa indispensabile per il proseguimento della trama. Da qui in avanti per molti è l’inizio della fine. Personalmente non la vedo così. Concordo sul fatto che gli ultimi cinque volumi abbiano subito un calo narrativo importante, ma la cosa non si è fatta notare fin dal principio e anzi, il declino di “Death Note” per me è sempre stato piuttosto lento, a tratti ingannevole perché comunque ci sono sempre dei buoni personaggi e dei buoni colpi di scena, ma nulla nasconde il fatto che, ancora una volta, gli autori cercassero disperatamente di prendere tempo per allontanare una fine inevitabile. La conclusione del manga è, anche in questo caso, stata ampiamente criticata, e pure qui mi sento di dire che invece è una conclusione coinvolgente e naturale per la storia dell’opera, almeno dal mio punto di vista.

Per quanto concerne i dialoghi, “Death Note” è famoso per essere estremamente discorsivo e anche questo è un punto abbastanza divisivo per i lettori. Tuttavia, mi sento di dire che avere una componente testuale cosi pronunciata per un manga di questo genere non è per forza una cosa negativa e io per primo ammetto di non averci fatto caso nelle parti di storia più interessanti, ma il punto è proprio questo: quando la trama funziona, i testi non sono un problema, quando le prospettive narrative si fanno più deboli, i dialoghi finiscono per appesantire la lettura in modo drastico. Nulla da ridire per quanto riguarda il disegno che è ottimo dall’inizio alla fine.

In conclusione, io per primo mi rendo conto di avere un’opinione piuttosto controversa su quest’opera. Non riesco a farmelo piacere tout court, rimango fortemente catturato dalla sua parte iniziale, ma profondamente deluso da alcuni sviluppi successivi, che comunque non sono privi di idee interessanti e di buoni colpi di scena a volte. Anche il tanto criticato finale per me non è affatto da buttare. Credo che questa sia una di quelle opere super discusse che vale la pena leggere per farsi un’idea propria, evitando di farsi condizionare troppo dalle opinioni di altri. Io mi limito a dare un voto discreto, dietro il quale si nasconde però un giudizio molto articolato che nel corso di dodici volumi è mutato profondamente, a causa di una narrazione molto discontinua, fatta di buone idee, scivoloni di scrittura e validi colpi di scena.