Recensione
Goodbye, Eri
7.5/10
Recensione di DarkSoulRead
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“Alla realtà manca un pizzico di fantasia”
Tatsuki Fujimoto è il mangaka del momento, grazie soprattutto allo spropositato successo di “Chainsaw Man” (appena entrato nel suo secondo ciclo narrativo), l’autore gode di un’invidiabile fama internazionale che l’ha portato ad essere uno degli artisti nipponici più amati dell’ultimo decennio fumettistico, nonostante un tratto pittorico lacunoso e perfettibile, seppur originale e perfettamente riconoscibile.
Le lacune tecniche nel disegno vengono in parte colmate da una fantasia briosa che comunica un’eccezionale capacità creativa, perfettamente riscontrabile nelle sue opere lunghe “Fire Punch” e “Chainsaw Man”.
Tuttavia, oltre alle estrose bizzarrie delle sue opere principali, Fujimoto ci ha spesso mostrato un’altra faccia nel concepimento dei suoi racconti brevi, un volto più mite e riflessivo, accostabile a grandi firme come Inio Asano e Taiyō Matsumoto, calando anche un velo autobiografico per rendere i racconti estremamente intimisti e personali.
Dopo aver incantato il web con lo struggente “Look Back”, Fujimoto continua il suo percorso negli one-shot con un volume altrettanto toccante: “Goodbye, Eri”.
Nel giorno del suo dodicesimo compleanno Yuta riceve da sua madre, malata terminale, una richiesta piuttosto singolare: filmarla nei suoi ultimi giorni di vita. Il ragazzo raccoglie le ore di filmati in un documentario amatoriale che decide di proiettare nella sua scuola. Tuttavia il finale da lui ideato, che lo vede far esplodere l’ospedale in cui è ricoverata sua madre, riceve aspre critiche da studenti, professori, e persino da suo padre, che gli chiede come abbia potuto dissacrare in quel modo l’immagine della madre.
Yuta, nonostante abbia realizzato quel finale istrionico per esorcizzare il dolore della perdita, subisce le critiche e cade in un profondo stato depressivo, decide così di suicidarsi dal tetto dell’ospedale in cui è morta la madre. Arrivato in cima ormai pronto a compiere il gesto estremo, il giovane incontra Eri, una misteriosa ragazza cinefila che pare essere l’unica ad aver apprezzato il finale del suo film.
Eri salva Yuta e lo porta in un fatiscente casolare abbandonato con un proiettore per guardare film, incentivandolo a diventare un regista migliore.
La cinefilia di Fujimoto ha sempre straripato dai suoi racconti e il suo grande amore per la settima arte emergeva soprattutto in “Fire Punch”, tuttavia il taglio cinematografico riservato a “Good Bye, Eri” è qualcosa di nuovo anche per Fujimoto.
L’impostazione delle tavole in lungo dall’alto al basso ricorda la consecutio immagini delle pellicole, e l’utilizzo di fotogrammi fuori fuoco e del motion blur ci fa capire che stiamo osservando dal campo visivo della telecamera invece che dagli occhi del protagonista.
È proprio il continuo gioco tra realtà e finzione il leitmotiv del volume, due facce della stessa medaglia che confluiscono in un finale perfetto per l’opera in questione, anche se un tantino prevedibile già dal titolo, soprattutto se si conosce la semantica autoriale del mangaka. Tuttavia proprio quando i nodi vengono al pettine, con un gran colpo d’autore, Fujimoto aggiunge dei fili a una matassa che solo apparentemente sembrava sbrogliata del tutto.
Tornano concetti già esplorati in “Look Back” come la metabolizzazione del lutto e la possibilità di riscrivere attraverso l’arte un finale drammatico (in “Look Back” avveniva tramite un manga, qui mediante un film).
Ma l’aspetto più interessante di questo volume è vedere come l’autore si cimenti nella decostruzione dello stereotipo del defunto, smitizzandone la venerazione a tutti i costi a cui siamo abituati. La madre di Yuta è lontanissima dagli archetipi della madre modello, ed una volta morta emergono diversi suoi lati oscuri che ci consegnano un’immagine ben diversa dalla finzione recitativa della donna delle prime pagine.
Seppur a tratti saturo di ridondanza contenutistica, “Goodbye, Eri” rappresenta per Fujimoto un’ulteriore passo in avanti verso una maturazione artistica definitiva (almeno narrativamente parlando).
Il tratto appare ancora piuttosto rigido e legnoso, anche se si nota qualche modesto passo in avanti rispetto agli esordi.
Ciò in cui l’autore è migliorato sensibilmente è senza dubbio la costruzione delle tavole, emerge una maggiore cura nella disposizione degli elementi che le compongono e una regia più esperta e virtuosa.
Come già accaduto per “Look Back” Star Comics fornisce il titolo in due versioni, la più economica in formato tankōbon classico e la deluxe in cartonato da collezione.
“Goodbye, Eri” è un titolo semplice ma complesso al tempo stesso, una parabola ossimorica sull’ineffabilità del destino fruibile a più livelli, che ci fornisce un racconto suggestivo, dandoci la conferma che il futuro del manga mainstream è in buone mani.
Tatsuki Fujimoto è il mangaka del momento, grazie soprattutto allo spropositato successo di “Chainsaw Man” (appena entrato nel suo secondo ciclo narrativo), l’autore gode di un’invidiabile fama internazionale che l’ha portato ad essere uno degli artisti nipponici più amati dell’ultimo decennio fumettistico, nonostante un tratto pittorico lacunoso e perfettibile, seppur originale e perfettamente riconoscibile.
Le lacune tecniche nel disegno vengono in parte colmate da una fantasia briosa che comunica un’eccezionale capacità creativa, perfettamente riscontrabile nelle sue opere lunghe “Fire Punch” e “Chainsaw Man”.
Tuttavia, oltre alle estrose bizzarrie delle sue opere principali, Fujimoto ci ha spesso mostrato un’altra faccia nel concepimento dei suoi racconti brevi, un volto più mite e riflessivo, accostabile a grandi firme come Inio Asano e Taiyō Matsumoto, calando anche un velo autobiografico per rendere i racconti estremamente intimisti e personali.
Dopo aver incantato il web con lo struggente “Look Back”, Fujimoto continua il suo percorso negli one-shot con un volume altrettanto toccante: “Goodbye, Eri”.
Nel giorno del suo dodicesimo compleanno Yuta riceve da sua madre, malata terminale, una richiesta piuttosto singolare: filmarla nei suoi ultimi giorni di vita. Il ragazzo raccoglie le ore di filmati in un documentario amatoriale che decide di proiettare nella sua scuola. Tuttavia il finale da lui ideato, che lo vede far esplodere l’ospedale in cui è ricoverata sua madre, riceve aspre critiche da studenti, professori, e persino da suo padre, che gli chiede come abbia potuto dissacrare in quel modo l’immagine della madre.
Yuta, nonostante abbia realizzato quel finale istrionico per esorcizzare il dolore della perdita, subisce le critiche e cade in un profondo stato depressivo, decide così di suicidarsi dal tetto dell’ospedale in cui è morta la madre. Arrivato in cima ormai pronto a compiere il gesto estremo, il giovane incontra Eri, una misteriosa ragazza cinefila che pare essere l’unica ad aver apprezzato il finale del suo film.
Eri salva Yuta e lo porta in un fatiscente casolare abbandonato con un proiettore per guardare film, incentivandolo a diventare un regista migliore.
La cinefilia di Fujimoto ha sempre straripato dai suoi racconti e il suo grande amore per la settima arte emergeva soprattutto in “Fire Punch”, tuttavia il taglio cinematografico riservato a “Good Bye, Eri” è qualcosa di nuovo anche per Fujimoto.
L’impostazione delle tavole in lungo dall’alto al basso ricorda la consecutio immagini delle pellicole, e l’utilizzo di fotogrammi fuori fuoco e del motion blur ci fa capire che stiamo osservando dal campo visivo della telecamera invece che dagli occhi del protagonista.
È proprio il continuo gioco tra realtà e finzione il leitmotiv del volume, due facce della stessa medaglia che confluiscono in un finale perfetto per l’opera in questione, anche se un tantino prevedibile già dal titolo, soprattutto se si conosce la semantica autoriale del mangaka. Tuttavia proprio quando i nodi vengono al pettine, con un gran colpo d’autore, Fujimoto aggiunge dei fili a una matassa che solo apparentemente sembrava sbrogliata del tutto.
Tornano concetti già esplorati in “Look Back” come la metabolizzazione del lutto e la possibilità di riscrivere attraverso l’arte un finale drammatico (in “Look Back” avveniva tramite un manga, qui mediante un film).
Ma l’aspetto più interessante di questo volume è vedere come l’autore si cimenti nella decostruzione dello stereotipo del defunto, smitizzandone la venerazione a tutti i costi a cui siamo abituati. La madre di Yuta è lontanissima dagli archetipi della madre modello, ed una volta morta emergono diversi suoi lati oscuri che ci consegnano un’immagine ben diversa dalla finzione recitativa della donna delle prime pagine.
Seppur a tratti saturo di ridondanza contenutistica, “Goodbye, Eri” rappresenta per Fujimoto un’ulteriore passo in avanti verso una maturazione artistica definitiva (almeno narrativamente parlando).
Il tratto appare ancora piuttosto rigido e legnoso, anche se si nota qualche modesto passo in avanti rispetto agli esordi.
Ciò in cui l’autore è migliorato sensibilmente è senza dubbio la costruzione delle tavole, emerge una maggiore cura nella disposizione degli elementi che le compongono e una regia più esperta e virtuosa.
Come già accaduto per “Look Back” Star Comics fornisce il titolo in due versioni, la più economica in formato tankōbon classico e la deluxe in cartonato da collezione.
“Goodbye, Eri” è un titolo semplice ma complesso al tempo stesso, una parabola ossimorica sull’ineffabilità del destino fruibile a più livelli, che ci fornisce un racconto suggestivo, dandoci la conferma che il futuro del manga mainstream è in buone mani.