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8.5/10
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“Se io fossi un baco… non uscirei mai fuori, in un mondo come questo. Me ne starei per sempre dentro al bozzolo, al sicuro. Moriremo lentamente dentro al nostro bozzolo immaginario, anche se in verità, nessuna di noi voleva morire”

Tra l’aprile ed il giugno del 1945 a Okinawa andò in scena uno dei conflitti più efferati di tutta la seconda guerra mondiale.
Il generale Mitsuru Ushijima ordì uno stratificato e complesso sistema difensivo di grotte fortificate all’interno delle quali erano dislocati oltre 100.000 soldati giapponesi a far muro all’avanzata statunitense. Ai soldati si aggiunsero anche numerosi civili, tra cui diverse studentesse tra i 15 e i 19 anni. Le ragazze, divenute note come “Himeyuri”, nome che simboleggia il giglio degli Inca, il bianco dell’innocenza e della fanciullezza, vennero arruolate come infermiere per prestare soccorso ai feriti in battaglia. Le fanciulle, pur avendo imparato a malapena i rudimenti infermieristici base tramite un addestramento sommario, si distinsero per coraggio e determinazione, fino a quando il 18 giugno 1945, con la sconfitta giapponese ormai improrogabile, arrivò l’ordine di sciogliere il gruppo. Così, nel momento clou della battaglia, le giovani infermiere furono costrette a lasciare le grotte e a fuoriuscire dalle proprie tane per far spazio alle basi militari. Il risultato fu un massacro annunciato.

Questi sono i principali fatti a cui la talentuosa autrice Machiko Kyō si è ispirata per la storia.
Nonostante tutta la premessa, la contestualizzazione storica è relativamente importante in “Cocoon”, un’opera volutamente sospesa in una dimensione onirica, dove un paradiso tropicale diventa il più ardente degli inferni, in cui soltanto il soave potere dell’immaginazione può sconfiggere la brutalità della guerra.
Il titolo “Cocoon”, letteralmente bozzolo, rappresenta l’ampolla all’interno della quale San, la protagonista della storia, si nasconde dagli orrori bellici grazie anche alla sua migliore amica Mayu, vivendo una realtà ovattata, una sorta di incantesimo da cui traspare la spensieratezza tipica dei bambini. Una dimensione in cui i soldati sono ombre bianche, dove un canto di gruppo copre il rumore dei proiettili, dove la speranza per il domani è nelle piccole cose, come nei gigli che sbocciano sulla scogliera, o nell’odore di sapone che sa un po’ di mamma e un po’ di casa, sempre più lontane eppure così vicine in quell’inconfondibile profumo di nostalgia. Una dimensione in cui è proprio la maturità di Mayu, che in giapponese suona come “bozzolo” appunto, la fortezza all’interno della quale si nasconde San nei momenti di maggior sconforto.
"Prova a immaginare che noi siamo protette da un bozzolo fatto di cielo, come quando sta per nevicare".
Ma il profumo di sapone viene presto coperto dal fetore del sangue rappreso, dall’odore acre della carne in decomposizione, e quando l’incantesimo si rompe ecco che le giovani infermiere diventano metafora del Giappone stesso, la cui chiusura patriottica e la cui ostilità a ogni tipo di contaminazione esterna si trasformano in un bozzolo impenetrabile all’interno del quale rimanere intrappolati proprio come le fanciulle nelle grotte.

Machiko Kyō fornisce all’opera una veste grafica minimale e stilizzata che ricorda i libri illustrati. Il tratto tremulo a linee aperte risulta un po’ acerbo tuttavia estremamente efficace nel far da contrasto alle brutalità delle vicende. Un tocco pastoso che per certi versi richiama i pastelli dei bambini, e che, senza virtuosismi, ci catapulta immediatamente nell’onirismo della storia.

“Solo una donna sa tenere il male dentro una vita intera”

“Cocoon” è un volume unico marcatamente femminile che riesce perfettamente nel suo intento di demonizzare la guerra e ogni forma di violenza.
Un gruppo di giovani studentesse improvvisate infermiere, costrette ad amputare arti e ripulire ferite dai vermi, si sacrifica al volere di un patriottismo ottuso e bigotto di un regime dalla coscienza sporca di sangue. Le fanciulle lottano per la sopravvivenza finché è loro possibile, fino ad accettare, con la passività e l’indolenza di chi ormai ha visto tutto, il compimento di un destino atroce che le renderà martiri. La mangaka ci porta in una dimensione in cui due gemelle, prima indistinguibili, vengono riconosciute solo a causa di un’abrasione riportata sulla schiena da un delle due a seguito di un bombardamento. Metafora ossimorica di come la stessa guerra, che d’identità ne elimina a frotte, talvolta un’identità possa fornirla. Un’opera struggente, fluttuante tra la purezza dei bambini e l’impudicizia della guerra; un canto dolce, un flebile grido di speranza, come un rumore bianco oltre il suono delle bombe.

“Qualche volta la crisalide riesce a rompere il bozzolo e a trasformarsi in farfalla, ma è solo per rendersi conto che non può volare”.