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10.0/10
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È incredibile quanta fatica mi costi scrivere questa recensione.

Parlare di un anime che mi è piaciuto o non piaciuto è facile: racconto brevemente la trama, elenco i pregi e i difetti, i personaggi più e meno azzeccati, aggiungo una battuta di spirito, se mi viene, e una conclusione col giudizio finale.
Quando però mi ritrovo a dover parlare di un’opera come questa, che mi ha toccato così tanto nel profondo, che sono arrivato letteralmente ad amare, mi trovo in difficoltà a trovare le parole. Temo di non riuscire a rendere giustizia alle emozioni che mi ha donato, di risultare banale, inadeguato. Di non averne diritto. Un po’ come Kondo nei confronti di Akira.
Ma ci tengo molto, perché so che, quando la rileggerò tra qualche tempo, mi farà piacere averla scritta, averci provato almeno. Pertanto adesso, appena concluso il rewatch a un anno di distanza dalla prima visione, eccomi qua.

Quella di cui parliamo è una bellissima storia di rinascita.
I protagonisti, Akira e Kondo, sono due persone che per motivi diversi si trovano in un periodo di profonda crisi. Avevano un sogno, ma l’hanno abbandonato. Due rondini cadute che volevano volare, ma che, per paura di cadere di nuovo, ci hanno rinunciato. Tuttavia si incontrano, si conoscono, guariscono insieme le proprie ferite, rinascono e trovano il coraggio di riprovare a volare.

Ciò che rende speciale questo anime è che ogni cosa è trattata con una delicatezza commovente. I disegni sono molto aggraziati e le ambientazioni suggestive. La storia è matura, narrata con un ritmo lento e realistico.
I personaggi sono caratterizzati in maniera stupenda, escono letteralmente fuori dallo schermo. I dialoghi sono profondi e pieni di significato, a volte grazie a Kondo arrivano anche a citare la letteratura “alta”.
Le scene topiche poi sono un tuffo al cuore, accompagnate dal suono della pioggia e da una colonna sonora OST a dir poco meravigliosa (che ho immediatamente recuperato e messo nella mia playlist): fanno inumidire gli occhi senza essere strappalacrime.
Anche le sequenze umoristiche sono fatte egregiamente: per niente invadenti in quanto sono saltuarie, simpatiche e alleggeriscono il racconto senza risultare idiote. Anche le sigle sono entrambe bellissime, quella di apertura più allegra e quella di chiusura più melò.

Il tutto scandito continuamente dalla pioggia, che simboleggia sì il momento di dramma in cui ci cade tutto addosso, ma anche ciò che purifica l’aria e rende limpidi i prossimi raggi di sole.
Ho trovato molto significativa la presenza costante degli ombrelli. Akira e Kondo ne portano sempre uno con sé, anche quando c’è bel tempo (Kondo addirittura ne porta in auto una collezione, per poterli donare all’occorrenza ai suoi dipendenti). Come se entrambi fossero sempre pronti al peggio, vivessero in un costante stato di pessimismo. Nel manga (i cui ultimi volumi differiscono dall’anime) questo oggetto assume un significato ancora maggiore, poiché è presente nel finale, nell’ultimissima tavola: è il regalo che Kondo dona ad Akira e che lei sfoggerà felice durante una calda giornata assolata, poiché quello, a differenza dei precedenti, è sì un ombrello, ma un ombrello parasole!

Un’altra cosa che ho apprezzato moltissimo è che l’autrice (Jun Mayuzuki) ci pone coraggiosamente davanti a un tabù: una storia d’amore tra due persone con grande differenza di età.
Riflettendoci, è incredibile: da spettatori di anime abbiamo fatto l’abitudine a tutto, accettiamo di buon grado storie in cui una ragazza si innamora di un efferato criminale, di un violento, di un demone o persino di un animale, ma se si innamora di un uomo di mezza età dall’animo buono e gentile, no, ci appare innaturale, impossibile, sbagliato. Dimenticandoci che l’amore non ha età e sfugge a qualsiasi regola. Jun Mayuzuki ci mette davanti ai nostri pregiudizi e li lava via con uno scroscio di pioggia.

Sul finale non mi esprimo, in quanto è aperto, sia qui che nel manga, e ognuno è libero di interpretarlo come preferisce. Personalmente trovo che sia collegato a una citazione, fatta più o meno a metà della serie: Akira durante le lezioni di recupero di letteratura giapponese doveva svolgere un compito su “Rashomon” e si trovava in difficoltà a rispondere all’ultima domanda aperta relativa alla conclusione del racconto. Kondo le spiega che l’autore, Akutagawa, riscrisse più volte il finale del suo racconto, finché nella stesura conclusiva scrisse semplicemente “ciò che successe all’umile servitore nessuno lo sa”. Penso che sia successa la stessa cosa con il finale di questa storia: è aperto, nessuno sa come andrà a finire e cosa riserverà il futuro ai due protagonisti, ognuno è libero di sognarlo a modo suo. Mi accodo dunque pienamente alla risposta data da Akira nel suo compito: Spero che questo coraggio influenzi positivamente la futura vita del servitore. Mi piacerebbe leggere il continuo di questa storia.

In conclusione, quest’opera è pura poesia.
Non esagero dicendo che è riuscita a cambiare la mia visione dei manga/anime. Da appassionato di vecchia data e inguaribile nostalgico del passato, pensavo che le opere moderne non facessero più tanto per me. Grazie a “Come dopo la pioggia” mi sono riaperto a questo mondo, mi sono reso conto che anche le opere “giovani” possono ancora emozionarmi, mi ha fatto tornare la passione che avevo sopito, tanto che nell’ultimo anno ho scoperto molte altre opere interessanti, sia moderne che passate.

Ma quella malinconica dolcezza latente che pervade ogni episodio di “Come dopo la pioggia”, beh, quella no, non sono più riuscito a ritrovarla da nessuna parte, ed è per questo che rimarrà qualcosa di speciale per me.

Ref:rain

P.S. Il voto è inevitabile: 10.
È la prima volta che do questo voto e probabilmente rimarrà anche l’ultima, perché l’unico altro anime a cui lo darei non avrò mai il coraggio di recensirlo (non ne sono degno).