Recensione
My Broken Mariko
8.0/10
Dalle pagine del manga della sensei Waka Hirako e tramite la regia di Yuki Tanada, prende vita quello che è un viaggio tra passato e presente, per non dimenticare, per ritrovare sé stessi e per elaborare un lutto che segna nel profondo. Tomoyo è una giovane donna che lavora presso una di quelle aziende definite Black company, il cui capo non le lascia un attimo di fiato, dove gli straordinari non sono pagati e prendere giorni di ferie è visto come una mancanza di rispetto nei confronti dei colleghi e della dirigenza. Ascoltando il notiziario durante la pausa pranzo, Tomoyo scopre che la sua migliore amica si è suicidata; dai tempi delle elementari erano rimaste in rapporti molto stretti, tanto da lasciar sottintendere un altro tipo di sentimento tra loro, e fino al giorno prima della scomparsa di Mariko, le due si erano scambiate messaggi tramite la app Line.
Nei primi istanti dall’apprendimento della notizia, mille emozioni si avvicendano sul volto della bravissima Mei Nagano che riveste il ruolo della protagonista: sconforto, amore, incredulità, rassegnazione. Piano piano dunque iniziano a riaffiorare i ricordi che si affollano nella sua mente, e per mezzo di essi ci viene concesso di conoscere la vita della dolce e fragile Mariko e capire cos’è che l’ha portata a prendere la decisione più estrema. Mariko non è riuscita ad affrancarsi dal malessere che una condizione di abusi ripetuti le ha provocato; Tomoyo era la sua unica ancora di salvezza. Quello che succede a chi viene lasciato indietro e deve continuare a vivere con il rimorso di non aver fatto abbastanza, è perfettamente espresso nelle azioni di Tomoyo, che cerca in tutti i modi di salvare la sua amica almeno ora che è solo cenere.
La disperazione che affiora è davvero straziante e lascia nel totale sconforto anche lo spettatore, che capisce quanto queste due persone fossero legate davvero l’una all’altra, indispensabili l’una per l’altra. Tomoyo si sente lasciata indietro, senza più speranza né appigli. La prova attoriale di Mei Nagano è eccezionale e riesce a dare una tridimensionalità al personaggio che lascia stupiti; se nel manga questo tutto tondo viene a mancare, il film riesce a riscattare quella profondità che in certe storie è quasi d’obbligo. La Mariko affidata a Nao arriva come uno schiaffo in pieno volto, la sua fragilità colpa di una società del tutto indifferente al suo malessere, neanche celato, che la portano verso una fine che si può dire già scritta.
La regia è rispettosa, silenziosa e accorta, in grado di sottolineare sentimenti tristi e oscuri. La sceneggiatura rimane fedele all’originale cartaceo senza troppe sorprese. Le musiche invece sono potenti e silenziose allo stesso modo, lasciando spazio a riflessioni e pensieri senza mai sovraccaricare le scene, ma donando un senso di coinvolgimento essenziale. La pellicola ha una durata di poco più di un’ora e venti minuti, ma è in grado di riuscire a penetrare nel cuore dello spettatore.
Nei primi istanti dall’apprendimento della notizia, mille emozioni si avvicendano sul volto della bravissima Mei Nagano che riveste il ruolo della protagonista: sconforto, amore, incredulità, rassegnazione. Piano piano dunque iniziano a riaffiorare i ricordi che si affollano nella sua mente, e per mezzo di essi ci viene concesso di conoscere la vita della dolce e fragile Mariko e capire cos’è che l’ha portata a prendere la decisione più estrema. Mariko non è riuscita ad affrancarsi dal malessere che una condizione di abusi ripetuti le ha provocato; Tomoyo era la sua unica ancora di salvezza. Quello che succede a chi viene lasciato indietro e deve continuare a vivere con il rimorso di non aver fatto abbastanza, è perfettamente espresso nelle azioni di Tomoyo, che cerca in tutti i modi di salvare la sua amica almeno ora che è solo cenere.
La disperazione che affiora è davvero straziante e lascia nel totale sconforto anche lo spettatore, che capisce quanto queste due persone fossero legate davvero l’una all’altra, indispensabili l’una per l’altra. Tomoyo si sente lasciata indietro, senza più speranza né appigli. La prova attoriale di Mei Nagano è eccezionale e riesce a dare una tridimensionalità al personaggio che lascia stupiti; se nel manga questo tutto tondo viene a mancare, il film riesce a riscattare quella profondità che in certe storie è quasi d’obbligo. La Mariko affidata a Nao arriva come uno schiaffo in pieno volto, la sua fragilità colpa di una società del tutto indifferente al suo malessere, neanche celato, che la portano verso una fine che si può dire già scritta.
La regia è rispettosa, silenziosa e accorta, in grado di sottolineare sentimenti tristi e oscuri. La sceneggiatura rimane fedele all’originale cartaceo senza troppe sorprese. Le musiche invece sono potenti e silenziose allo stesso modo, lasciando spazio a riflessioni e pensieri senza mai sovraccaricare le scene, ma donando un senso di coinvolgimento essenziale. La pellicola ha una durata di poco più di un’ora e venti minuti, ma è in grado di riuscire a penetrare nel cuore dello spettatore.