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Di solito pensiamo: Studio Ghibli = Hayao Miyazaki, equazione troppo semplice e a volte sbagliata.
Lo studio Ghibli è una grande realtà in cui lavorano artisti con i contro-fiocchi: se Hayao è il frontrunner, non dobbiamo dimenticare gli altri che collaborano per la sceneggiatura, il chara, le musiche e tante altre cose. Hiromane Yonebayashi, il regista di questo film, è uno dei tanti collaboratori dello studio Ghibli che è partito dagli intercalari de “La principessa Mononoke”, passando ai disegni chiave de “La città incantata”, per raggiungere la regia con “Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento”.
La sua prima regia è stata divisiva, qualche polemica c’è stata anche per questo “Quando c’era Marnie”, ma non si può riuscire a piacere a tutti. Io non sono né fra gli estimatori più accesi né un denigratore di questo film. La storia, come mi è narrata, mi è tutto sommato piaciuta, ma l’ho considerata un po’ lenta e un po’ farraginosa in alcuni punti: e sì che Yonebayashi ha tentato di renderla il più semplice possibile.

Se la storia risente di alcune mancanze, l’apparato tecnico è eccezionale, le animazioni sono fluide, alcuni fondali semplicemente meravigliosi, le musiche adatte, i colori... beh, insomma, sto ripetendo i miei usuali complimenti per ogni opera dello studio Ghibli, uscita dalle mani di Hayao o Goro Miyazaki, complimenti di cui sono parco invece quando si tratta di un’opera di Isao Takahata, quello che consideravano l’intellettuale del gruppo.

Il film è ispirato a un romanzo per ragazzi inglese degli anni ‘60 ed è pero meno interessante di molte opere del World Masterpiece Theater che hanno reso felice la nostra infanzia. Ma è anche vero che quelle opere godevano di decine di episodi per rendersi amate, qui è solo un lungometraggio di poco più di cento minuti. Ricordo comunque che il romanzo è arrivato in Italia pubblicato da Kappalab, la casa editrice specializzata nei romanzi associati allo studio Ghibli o comunque all’animazione giapponese.

Ma il film è da vedere? Ni.
E un’opera carina, e poi basta; se si vuole, si possono anche trovare spunti per filosofeggiare, personaggi da psicoanalizzare, comportamenti da commentare per i fanciulli. Ma alla fine un film lo voto più con la pancia che con la testa: e la mia pancia gli assegna un magro sette.