Recensione
The Tatami Galaxy
1.0/10
Se puoi esprimere un concetto in due parole e ne usi dieci, hai sprecato otto parole. Se non c’era nessun concetto da esprimere, hai sprecato una buona occasione per restare in silenzio
Detesto chi non ha rispetto per l’ambiente e il prossimo. Gente che spreca sconsideratamente risorse vitali come l’acqua o il cibo, che insozza mari e fiumi con liquami e scorie, che rompe i timpani delle persone col rumore della marmitta truccata o della musica dozzinale sparata a 200 decibel, che riempie spiagge e campagne di spazzatura. Odiosi inquinatori.
E la parola? Beh, la parola è una cosa particolare. Se è piena di significato, è una risorsa vitale, se è vuota, invece, è pura spazzatura. “Le parole sono importanti!”, urlava Nanni Moretti, dopo aver dato una sberla a una giornalista, in un’iconica scena di Palombella Rossa. Ecco, in questo momento, tradito da un sorriso, immagino nella mia testa un diluvio di sberle che travolgono l’autore di “The Tatami Galaxy”. Odioso inquinatore.
Me l’ha consigliato una mia amica. E voi direte: “Se questi sono gli amici, figuriamoci i nemici!” E forse avreste anche ragione. Ma tant’è, indipendentemente da come sia successo, io ho accettato di guardare “The Tatami Galaxy” e me ne assumo la responsabilità.
Se dovessi scegliere una parola che sintetizzi compiutamente cos’è “The Tatami Galaxy sarebbe una sola: logorrea
Una logorrea tartassante, inesauribile, esasperante.
Il protagonista (non ha nome, io lo chiamerò “Tizio”), che è anche la voce narrante, è un esaurito che non la smette mai di parlare, neanche per un minuto. O meglio, di pensare, perché di dialoghi con altri personaggi ce ne sono ben pochi: in ogni episodio di “The Tatami Galaxy” non facciamo altro che sentire ininterrottamente le sue paturnie mentali, senza sosta, che corrispondono al 99% delle parole che sentiremo, nonché, in fondo, della trama, perché di solito, quando una cosa accade, noi non la vediamo, ce la racconta (purtroppo) lui.
Tizio è un logorroico allucinante: se per dire una cosa bastano due parole, lui ne usa cento e ce le vomita addosso alla velocità della luce, manco dovesse battere il record mondiale di parole dette al secondo. Una roba davvero insensata. Ciò significa che per te, povero spettatore, è assolutamente impossibile stare al passo con i sottotitoli: sei costretto a mettere continuamente pausa, per poter leggere ogni papiro di sottotitolo prima che sparisca, e poi di nuovo col prossimo sottotitolo e col prossimo. Rendendo la visione di una pesantezza unica.
E considerate che Tizio ci ammorba col suo flusso di coscienza in continuazione, ogni trenta secondi o anche meno. In sostanza, se vuoi leggere tutto quello che dice, per vedere un episodio da venti minuti perdi mezz’ora.
Inoltre, la voce interiore di Tizio è costantemente monotòna, asettica, completamente priva di qualunque inflessione emotiva. Immaginate un episodio intero in cui c’è una specie di rumore costante rappresentato da ‘sta voce fastidiosa con tono da automa che parla a velocità supersonica. Guardare “The Tatami Galaxy” ti fa sperimentare cosa prova una persona soggetta ad acufene.
Ma almeno dice cose interessanti? No.
La cosa più terrificante di questi suoi monologhi è infatti che sono pura aria fritta. Dicesse mai qualcosa di profondo, di intimo, di arguto, di divertente, di ironico, di triste. Ci fosse mai un’emozione. Le sue non sono riflessioni, non esprimono solitamente nessun concetto, non sono neanche veri pensieri: sono solo uno sterile ammasso di dettagli. Dettagli descrittivi di qualcosa, di qualcuno o di qualche situazione.
Per darvi un’idea, provo ora a fare un esperimento insieme a voi. Ho preso in questo momento un episodio a caso e ho piazzato la riproduzione in un punto totalmente a caso: banale scena di intermezzo, si vede un vecchio edificio. Tizio potrebbe tranquillamente non dire niente, l’immagine parla da sé. Se proprio volesse dire qualcosa, basterebbero cinque parole: “Abito in un edificio decrepito”. Invece no, in quei pochi secondi di inutile intermezzo Tizio dice: “Il sottoscritto passa le giornate alla pensione Shimogamo Yusui, dietro la stazione di Demechiyanagi della linea Eizan. È un edificio di legno di tre piani che sembra sempre sul punto di crollare. Il suo preoccupante aspetto decadente lo rende paragonabile a un importante punto di riferimento culturale, ma non stento a credere che, se svanisse da un giorno all’altro, non importerebbe a nessuno”.
Detto tutto d’un fiato, senza pause, in nemmeno dieci secondi.
Dettagli su dettagli su dettagli. Inutili, ridondanti, che non avranno nessun tipo di importanza nella trama, ma che trasformano un banale intermezzo in cui avremmo potuto riposare le orecchie per dieci secondi nell’ennesimo accumulo di stress: devi mettere in pausa tre volte, per riuscire a leggere tutto ‘sto papiro e alla fine, come sempre, ti ritrovi con la frustrazione di aver perso inutilmente il tuo tempo, perché anche stavolta era tutto completamente superfluo. E la prossima volta (tra venti-trenta secondi) accadrà ancora e tu di nuovo a mettere pausa e leggere per timore di perderti chissà quale informazione importante, che puntualmente non c’è. O se quantomeno c'è un'informazione di trama, essa consiste in quattro parole disperse in mezzo ad altre duecento di pura aria fritta. E accumuli altra frustrazione. Alla fine di ogni episodio mi sentivo pieno solamente di stress.
“The Tatami Galaxy” è questa roba qua: una masturbazione mentale continua, martellante, esasperante, che Tizio ci getta addosso ogni momento. Mi viene il dubbio che il senso sia farci provare l’esperienza di vivere nella testa di un nevrotico da manicomio e far diventare nevrotici anche noi.
Nevrotici con acufene.
C’è luce oltre le ‘seghe mentali’?
Mi rendo conto che la mia repulsione per la logorrea compulsiva ha sicuramente compromesso molto la visione di questo anime, che personalmente ho vissuto come un’autentica agonia. Non è facile per me riuscire ad andare oltre, dare una valutazione anche su tutto il resto, anche perché le ‘seghe mentali’ di Tizio occupano la quasi totalità di ciò che si sente e che accade nel cartone animato; tolte quelle, non è che rimanga tanto altro, onestamente. Ma proverò a fare lo sforzo.
Innanzitutto, merita una menzione lo stile visivo, che è sicuramente qualcosa di diverso dal solito. Sperimentale, potremmo dire. Una via di mezzo tra la pop e la street art. Essendo così strano, va a gusto personale: può piacere un sacco, come può fare schifo. A me non è piaciuto molto, specialmente all’inizio ho trovato i disegni brutti e poco accattivanti, poi verso le ultime puntate lo stile va a migliorare, diventando un po’ più decorativo e con inserti di immagini reali ecc. In definitiva: è particolare, io non l’ho gradito molto, ma de gustibus.
Per quanto riguarda il concept di base: il protagonista è uno studente deluso dalla sua vita universitaria, e così, finiti i tre anni, si trova a ripensare con rimpianto al passato, pensando che magari, se all’inizio avesse fatto una scelta differente (ad esempio, se si fosse iscritto a un club diverso), allora chissà, forse la sua vita avrebbe preso un’altra piega e questi tre anni universitari sarebbero stati belli, rosei, perfetti e pieni di soddisfazioni.
La struttura della serie assume dunque quella di un format di tipo “what-if”: in ogni episodio lui si ritrova all’inizio del suo primo anno universitario, fa una scelta differente e vediamo lo sviluppo di questa realtà alternativa che si concluderà però nello stesso modo, perché alla fine della fiera le cose vanno a finire sempre male e lui rimane di nuovo insoddisfatto.
Essendo un format, le puntate rappresentano la quintessenza della ripetitività e della prevedibilità. Sai già cosa vedrai: si ricomincerà da capo, Tizio ripeterà le stesse parole introduttive, farà una scelta iniziale diversa, questa prenderà una piega negativa, la chiromante a metà episodio gli dirà che la soluzione ce l’ha davanti agli occhi (e tutti noi spettatori, sin dalla puntata 1, sappiamo benissimo quale sia), non la seguirà, alla fine i tre anni andranno male, sarà insoddisfatto e al prossimo episodio punto e a capo. Le cose che accadono sono in sostanza sempre le stesse, semplicemente si ripropongono in una veste diversa.
E non si può nemmeno dire che insieme formino un mosaico, sono proprio identiche.
Detto questo, non è che una serie impostata come format debba per forza essere noiosa. Può comunque risultare interessante e intrattenere, se riesce in qualche modo a rinnovarsi ad ogni iterazione. Se ad essere interessante non è il “cosa”, può esserlo il “come”.
Peccato non sia il caso di “The Tatami Galaxy”. Le scene, tranne rarissimi casi, non sono divertenti (né provano ad esserlo), non sono riflessive o profonde, non hanno nemmeno una carica emotiva.
Mi sarei allora aspettato una complessità d’intreccio, che magari tra un episodio e l’altro ci fossero collegamenti o cose del genere, e invece no: rarissimamente c’è qualche deja-vu, ma niente di che, dettagli superflui senza nessun particolare significato.
Inoltre, il protagonista nel corso delle puntate non mostra nessuna evoluzione: non ha coscienza degli episodi passati e dunque non ne può trarre insegnamento, è sempre tale e quale, fossilizzato nella sua nevrosi. Quindi, anche la speranza di vedere un graduale processo di crescita del personaggio viene delusa. Gli altri personaggi sono solo macchiette, comparse, si vedono pochissimo. È tutto molto, molto piatto.
Da un punto di vista introspettivo poco o niente, il massimo livello di riflessione esistenziale a cui si arriva in tutta la serie è quando, verso la fine, quella specie di bonzo, la cui unica particolarità era emettere rumori sgradevoli mentre mangiava, gli fa un illuminante sermone, rivelandogli che la rosea vita universitaria perfetta non esiste (ma va!), per cui, se ti poni obiettivi irrealizzabili, rimarrai sempre insoddisfatto.
Me cojoni, che profondità... Socrate, spostati proprio.
Tutto questo fino alla penultima puntata, allorché si spezza il format.
Ovvio che accadesse, perché, per dare una conclusione, bisognava per forza rompere il format, dunque qualcosa ci si doveva pur inventare. E quello che si sono inventati è una delle cose, in fondo, più telefonate: il protagonista prende consapevolezza di questi scenari alternativi, rendendosi conto che, nonostante ai tempi se ne lamentasse, in fondo non erano poi così male. Tutto qui.
Non aspettatevi plot-twist del tipo che il finale svelerà una chiave di lettura che darà un significato del tutto nuovo a quello che avevamo visto nelle puntate precedenti, o cose del genere: quello che avevamo visto finora era proprio quello, quel piattume li, né più né meno.
È un finale abbastanza banale.
Semplicemente, il protagonista capisce che la perfezione non esiste, questa è la vita, non ci sono più le mezze stagioni, bisogna cogliere l’attimo, e così Tizio fa finalmente quello che tutti noi, sin dalla prima puntata, sapevamo dovesse fare e la cosa sortisce esattamente l’effetto che tutti noi, sin dalla prima puntata, sapevamo avrebbe sortito. Happy end.
"Geniuale"
Conclusione
Un'allucinazione collettiva.
Ero pronto all’instant drop dopo dieci minuti della prima puntata. Avevo sempre avuto quella soluzione davanti agli occhi, bastava coglierla e avrei scansato ‘sto fosso. E invece sono andato avanti fino alla fine. Perché? Mah. È che ‘sta serie faceva così pietà, che non riuscivo a spiegarmi perché me l’avessero consigliata e perché avesse voti così strabilianti su questo sito, per cui mi si era insinuato seriamente il dubbio che la situazione si potesse ribaltare davvero. E, attenzione, se fossero stati in grado di ribaltarla, sarebbe stata una cosa veramente clamorosa.
Sono quindi andato avanti per la curiosità di scoprire cosa potesse mai succedere nel finale, per riabilitare ‘sta roba. Risposta: niente.
Ho visto cartoni animati più brutti e scadenti, ma li vedevo con leggerezza, proprio perché facevano schifo, in chiave trash erano anche divertenti. Ho visto cartoni animati più noiosi, ma alla peggio mi facevano addormentare. Ho visto cartoni animati più pretenziosi, ma alla brutta mi facevano sbuffare. Ho visto anche cartoni animati molto fastidiosi, ma li ‘droppavo’ dopo una puntata. Qua no. E ho accumulato fastidio e stress per undici puntate.
Il risultato è quella che, probabilmente, ho vissuto come l’esperienza visiva di un anime peggiore della mia vita.
L’unica nota positiva è stata che, a un certo punto, è finita.
Detesto chi non ha rispetto per l’ambiente e il prossimo. Gente che spreca sconsideratamente risorse vitali come l’acqua o il cibo, che insozza mari e fiumi con liquami e scorie, che rompe i timpani delle persone col rumore della marmitta truccata o della musica dozzinale sparata a 200 decibel, che riempie spiagge e campagne di spazzatura. Odiosi inquinatori.
E la parola? Beh, la parola è una cosa particolare. Se è piena di significato, è una risorsa vitale, se è vuota, invece, è pura spazzatura. “Le parole sono importanti!”, urlava Nanni Moretti, dopo aver dato una sberla a una giornalista, in un’iconica scena di Palombella Rossa. Ecco, in questo momento, tradito da un sorriso, immagino nella mia testa un diluvio di sberle che travolgono l’autore di “The Tatami Galaxy”. Odioso inquinatore.
Me l’ha consigliato una mia amica. E voi direte: “Se questi sono gli amici, figuriamoci i nemici!” E forse avreste anche ragione. Ma tant’è, indipendentemente da come sia successo, io ho accettato di guardare “The Tatami Galaxy” e me ne assumo la responsabilità.
Se dovessi scegliere una parola che sintetizzi compiutamente cos’è “The Tatami Galaxy sarebbe una sola: logorrea
Una logorrea tartassante, inesauribile, esasperante.
Il protagonista (non ha nome, io lo chiamerò “Tizio”), che è anche la voce narrante, è un esaurito che non la smette mai di parlare, neanche per un minuto. O meglio, di pensare, perché di dialoghi con altri personaggi ce ne sono ben pochi: in ogni episodio di “The Tatami Galaxy” non facciamo altro che sentire ininterrottamente le sue paturnie mentali, senza sosta, che corrispondono al 99% delle parole che sentiremo, nonché, in fondo, della trama, perché di solito, quando una cosa accade, noi non la vediamo, ce la racconta (purtroppo) lui.
Tizio è un logorroico allucinante: se per dire una cosa bastano due parole, lui ne usa cento e ce le vomita addosso alla velocità della luce, manco dovesse battere il record mondiale di parole dette al secondo. Una roba davvero insensata. Ciò significa che per te, povero spettatore, è assolutamente impossibile stare al passo con i sottotitoli: sei costretto a mettere continuamente pausa, per poter leggere ogni papiro di sottotitolo prima che sparisca, e poi di nuovo col prossimo sottotitolo e col prossimo. Rendendo la visione di una pesantezza unica.
E considerate che Tizio ci ammorba col suo flusso di coscienza in continuazione, ogni trenta secondi o anche meno. In sostanza, se vuoi leggere tutto quello che dice, per vedere un episodio da venti minuti perdi mezz’ora.
Inoltre, la voce interiore di Tizio è costantemente monotòna, asettica, completamente priva di qualunque inflessione emotiva. Immaginate un episodio intero in cui c’è una specie di rumore costante rappresentato da ‘sta voce fastidiosa con tono da automa che parla a velocità supersonica. Guardare “The Tatami Galaxy” ti fa sperimentare cosa prova una persona soggetta ad acufene.
Ma almeno dice cose interessanti? No.
La cosa più terrificante di questi suoi monologhi è infatti che sono pura aria fritta. Dicesse mai qualcosa di profondo, di intimo, di arguto, di divertente, di ironico, di triste. Ci fosse mai un’emozione. Le sue non sono riflessioni, non esprimono solitamente nessun concetto, non sono neanche veri pensieri: sono solo uno sterile ammasso di dettagli. Dettagli descrittivi di qualcosa, di qualcuno o di qualche situazione.
Per darvi un’idea, provo ora a fare un esperimento insieme a voi. Ho preso in questo momento un episodio a caso e ho piazzato la riproduzione in un punto totalmente a caso: banale scena di intermezzo, si vede un vecchio edificio. Tizio potrebbe tranquillamente non dire niente, l’immagine parla da sé. Se proprio volesse dire qualcosa, basterebbero cinque parole: “Abito in un edificio decrepito”. Invece no, in quei pochi secondi di inutile intermezzo Tizio dice: “Il sottoscritto passa le giornate alla pensione Shimogamo Yusui, dietro la stazione di Demechiyanagi della linea Eizan. È un edificio di legno di tre piani che sembra sempre sul punto di crollare. Il suo preoccupante aspetto decadente lo rende paragonabile a un importante punto di riferimento culturale, ma non stento a credere che, se svanisse da un giorno all’altro, non importerebbe a nessuno”.
Detto tutto d’un fiato, senza pause, in nemmeno dieci secondi.
Dettagli su dettagli su dettagli. Inutili, ridondanti, che non avranno nessun tipo di importanza nella trama, ma che trasformano un banale intermezzo in cui avremmo potuto riposare le orecchie per dieci secondi nell’ennesimo accumulo di stress: devi mettere in pausa tre volte, per riuscire a leggere tutto ‘sto papiro e alla fine, come sempre, ti ritrovi con la frustrazione di aver perso inutilmente il tuo tempo, perché anche stavolta era tutto completamente superfluo. E la prossima volta (tra venti-trenta secondi) accadrà ancora e tu di nuovo a mettere pausa e leggere per timore di perderti chissà quale informazione importante, che puntualmente non c’è. O se quantomeno c'è un'informazione di trama, essa consiste in quattro parole disperse in mezzo ad altre duecento di pura aria fritta. E accumuli altra frustrazione. Alla fine di ogni episodio mi sentivo pieno solamente di stress.
“The Tatami Galaxy” è questa roba qua: una masturbazione mentale continua, martellante, esasperante, che Tizio ci getta addosso ogni momento. Mi viene il dubbio che il senso sia farci provare l’esperienza di vivere nella testa di un nevrotico da manicomio e far diventare nevrotici anche noi.
Nevrotici con acufene.
C’è luce oltre le ‘seghe mentali’?
Mi rendo conto che la mia repulsione per la logorrea compulsiva ha sicuramente compromesso molto la visione di questo anime, che personalmente ho vissuto come un’autentica agonia. Non è facile per me riuscire ad andare oltre, dare una valutazione anche su tutto il resto, anche perché le ‘seghe mentali’ di Tizio occupano la quasi totalità di ciò che si sente e che accade nel cartone animato; tolte quelle, non è che rimanga tanto altro, onestamente. Ma proverò a fare lo sforzo.
Innanzitutto, merita una menzione lo stile visivo, che è sicuramente qualcosa di diverso dal solito. Sperimentale, potremmo dire. Una via di mezzo tra la pop e la street art. Essendo così strano, va a gusto personale: può piacere un sacco, come può fare schifo. A me non è piaciuto molto, specialmente all’inizio ho trovato i disegni brutti e poco accattivanti, poi verso le ultime puntate lo stile va a migliorare, diventando un po’ più decorativo e con inserti di immagini reali ecc. In definitiva: è particolare, io non l’ho gradito molto, ma de gustibus.
Per quanto riguarda il concept di base: il protagonista è uno studente deluso dalla sua vita universitaria, e così, finiti i tre anni, si trova a ripensare con rimpianto al passato, pensando che magari, se all’inizio avesse fatto una scelta differente (ad esempio, se si fosse iscritto a un club diverso), allora chissà, forse la sua vita avrebbe preso un’altra piega e questi tre anni universitari sarebbero stati belli, rosei, perfetti e pieni di soddisfazioni.
La struttura della serie assume dunque quella di un format di tipo “what-if”: in ogni episodio lui si ritrova all’inizio del suo primo anno universitario, fa una scelta differente e vediamo lo sviluppo di questa realtà alternativa che si concluderà però nello stesso modo, perché alla fine della fiera le cose vanno a finire sempre male e lui rimane di nuovo insoddisfatto.
Essendo un format, le puntate rappresentano la quintessenza della ripetitività e della prevedibilità. Sai già cosa vedrai: si ricomincerà da capo, Tizio ripeterà le stesse parole introduttive, farà una scelta iniziale diversa, questa prenderà una piega negativa, la chiromante a metà episodio gli dirà che la soluzione ce l’ha davanti agli occhi (e tutti noi spettatori, sin dalla puntata 1, sappiamo benissimo quale sia), non la seguirà, alla fine i tre anni andranno male, sarà insoddisfatto e al prossimo episodio punto e a capo. Le cose che accadono sono in sostanza sempre le stesse, semplicemente si ripropongono in una veste diversa.
E non si può nemmeno dire che insieme formino un mosaico, sono proprio identiche.
Detto questo, non è che una serie impostata come format debba per forza essere noiosa. Può comunque risultare interessante e intrattenere, se riesce in qualche modo a rinnovarsi ad ogni iterazione. Se ad essere interessante non è il “cosa”, può esserlo il “come”.
Peccato non sia il caso di “The Tatami Galaxy”. Le scene, tranne rarissimi casi, non sono divertenti (né provano ad esserlo), non sono riflessive o profonde, non hanno nemmeno una carica emotiva.
Mi sarei allora aspettato una complessità d’intreccio, che magari tra un episodio e l’altro ci fossero collegamenti o cose del genere, e invece no: rarissimamente c’è qualche deja-vu, ma niente di che, dettagli superflui senza nessun particolare significato.
Inoltre, il protagonista nel corso delle puntate non mostra nessuna evoluzione: non ha coscienza degli episodi passati e dunque non ne può trarre insegnamento, è sempre tale e quale, fossilizzato nella sua nevrosi. Quindi, anche la speranza di vedere un graduale processo di crescita del personaggio viene delusa. Gli altri personaggi sono solo macchiette, comparse, si vedono pochissimo. È tutto molto, molto piatto.
Da un punto di vista introspettivo poco o niente, il massimo livello di riflessione esistenziale a cui si arriva in tutta la serie è quando, verso la fine, quella specie di bonzo, la cui unica particolarità era emettere rumori sgradevoli mentre mangiava, gli fa un illuminante sermone, rivelandogli che la rosea vita universitaria perfetta non esiste (ma va!), per cui, se ti poni obiettivi irrealizzabili, rimarrai sempre insoddisfatto.
Me cojoni, che profondità... Socrate, spostati proprio.
Tutto questo fino alla penultima puntata, allorché si spezza il format.
Ovvio che accadesse, perché, per dare una conclusione, bisognava per forza rompere il format, dunque qualcosa ci si doveva pur inventare. E quello che si sono inventati è una delle cose, in fondo, più telefonate: il protagonista prende consapevolezza di questi scenari alternativi, rendendosi conto che, nonostante ai tempi se ne lamentasse, in fondo non erano poi così male. Tutto qui.
Non aspettatevi plot-twist del tipo che il finale svelerà una chiave di lettura che darà un significato del tutto nuovo a quello che avevamo visto nelle puntate precedenti, o cose del genere: quello che avevamo visto finora era proprio quello, quel piattume li, né più né meno.
È un finale abbastanza banale.
Semplicemente, il protagonista capisce che la perfezione non esiste, questa è la vita, non ci sono più le mezze stagioni, bisogna cogliere l’attimo, e così Tizio fa finalmente quello che tutti noi, sin dalla prima puntata, sapevamo dovesse fare e la cosa sortisce esattamente l’effetto che tutti noi, sin dalla prima puntata, sapevamo avrebbe sortito. Happy end.
"Geniuale"
Conclusione
Un'allucinazione collettiva.
Ero pronto all’instant drop dopo dieci minuti della prima puntata. Avevo sempre avuto quella soluzione davanti agli occhi, bastava coglierla e avrei scansato ‘sto fosso. E invece sono andato avanti fino alla fine. Perché? Mah. È che ‘sta serie faceva così pietà, che non riuscivo a spiegarmi perché me l’avessero consigliata e perché avesse voti così strabilianti su questo sito, per cui mi si era insinuato seriamente il dubbio che la situazione si potesse ribaltare davvero. E, attenzione, se fossero stati in grado di ribaltarla, sarebbe stata una cosa veramente clamorosa.
Sono quindi andato avanti per la curiosità di scoprire cosa potesse mai succedere nel finale, per riabilitare ‘sta roba. Risposta: niente.
Ho visto cartoni animati più brutti e scadenti, ma li vedevo con leggerezza, proprio perché facevano schifo, in chiave trash erano anche divertenti. Ho visto cartoni animati più noiosi, ma alla peggio mi facevano addormentare. Ho visto cartoni animati più pretenziosi, ma alla brutta mi facevano sbuffare. Ho visto anche cartoni animati molto fastidiosi, ma li ‘droppavo’ dopo una puntata. Qua no. E ho accumulato fastidio e stress per undici puntate.
Il risultato è quella che, probabilmente, ho vissuto come l’esperienza visiva di un anime peggiore della mia vita.
L’unica nota positiva è stata che, a un certo punto, è finita.