I manga/anime (s)consigliati dall'utenza di AnimeClick.it (25/12/2024)
In questo periodo di feste si è tutti più buoni, ragion per cui oggi vi proponiamo tre recensioni i cui autori sono stati assai generosi nella loro valutazioni. Che siate d'accordo o meno ricordatevi che... È pur sempre Natale!
di Miriam22
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Gravity Falls
10.0/10
"Gravity Falls" è una serie eccezionale, atipica e peculiare, che oscilla tra leggerezza e profondità.
L'ambientazione presenta il classico comedy teen mystery con due gemelli protagonisti che si imbattono in fenomeni strani e insoliti, cercando di risolverli mentre si addentrano nel mistero della cittadina dove trascorrono le vacanze. Sebbene il soggetto appaia inizialmente infantile e adatto a un pubblico giovane, è evidente fin da subito che c'è materiale interessante anche per spettatori più maturi e smaliziati. Battute con doppi sensi, citazioni e numerose chicche ed easter eggs arricchiscono la narrazione.
Un aspetto notevole è l'attenzione ai dettagli: può capitare di vedere un personaggio muoversi sullo sfondo apparentemente senza motivo, per poi scoprire 5 o 10 episodi dopo che ha una storia dedicata e una spiegazione per la sua presenza. Ci sono molti indizi e fotogrammi apparentemente casuali che in realtà sono stati inseriti con uno scopo preciso, ci sono decine di pagine su internet che provano ad elencarli e sono davvero moltissimi.
I protagonisti formano una coppia perfetta: Dipper è il classico adolescente un po' nerd, con tanto di cotta per una ragazza più grande anch'essa fuori dagli schemi, mentre Mabel è un'ondata irrefrenabile di stranezze e ottimismo. I personaggi secondari, inizialmente più leggeri, si sviluppano nel corso della serie, ognuno con il proprio spazio e momento da protagonista. Anche i villain sono unici e assolutamente deliziosi.
Gli episodi hanno generalmente una trama verticale, ma la trama orizzontale, sebbene non evidente all'inizio, è assolutamente presente e ben costruita. Anche gli episodi apparentemente autoconclusivi presentano situazioni così accattivanti e divertenti da risultare piacevoli da guardare.
Dal punto di vista realizzativo, sia le musiche e la grafica sono encomiabili: fra tutto è sicuramente la creatività che permea la serie a essere fenomenale e rarissima. Se l'assurdo la fa quasi sempre da padrone, certi passaggi lasciano a bocca aperta per la loro genialità.
Forse l'approccio iniziale può risultare difficile a causa dello stile apparentemente infantile, ma dopo qualche episodio è difficile non essere rapiti dalle atmosfere di Gravity Falls. Consiglio vivamente di vederla prestando la giusta attenzione: sono certo che non deluderà le aspettative.
L'ambientazione presenta il classico comedy teen mystery con due gemelli protagonisti che si imbattono in fenomeni strani e insoliti, cercando di risolverli mentre si addentrano nel mistero della cittadina dove trascorrono le vacanze. Sebbene il soggetto appaia inizialmente infantile e adatto a un pubblico giovane, è evidente fin da subito che c'è materiale interessante anche per spettatori più maturi e smaliziati. Battute con doppi sensi, citazioni e numerose chicche ed easter eggs arricchiscono la narrazione.
Un aspetto notevole è l'attenzione ai dettagli: può capitare di vedere un personaggio muoversi sullo sfondo apparentemente senza motivo, per poi scoprire 5 o 10 episodi dopo che ha una storia dedicata e una spiegazione per la sua presenza. Ci sono molti indizi e fotogrammi apparentemente casuali che in realtà sono stati inseriti con uno scopo preciso, ci sono decine di pagine su internet che provano ad elencarli e sono davvero moltissimi.
I protagonisti formano una coppia perfetta: Dipper è il classico adolescente un po' nerd, con tanto di cotta per una ragazza più grande anch'essa fuori dagli schemi, mentre Mabel è un'ondata irrefrenabile di stranezze e ottimismo. I personaggi secondari, inizialmente più leggeri, si sviluppano nel corso della serie, ognuno con il proprio spazio e momento da protagonista. Anche i villain sono unici e assolutamente deliziosi.
Gli episodi hanno generalmente una trama verticale, ma la trama orizzontale, sebbene non evidente all'inizio, è assolutamente presente e ben costruita. Anche gli episodi apparentemente autoconclusivi presentano situazioni così accattivanti e divertenti da risultare piacevoli da guardare.
Dal punto di vista realizzativo, sia le musiche e la grafica sono encomiabili: fra tutto è sicuramente la creatività che permea la serie a essere fenomenale e rarissima. Se l'assurdo la fa quasi sempre da padrone, certi passaggi lasciano a bocca aperta per la loro genialità.
Forse l'approccio iniziale può risultare difficile a causa dello stile apparentemente infantile, ma dopo qualche episodio è difficile non essere rapiti dalle atmosfere di Gravity Falls. Consiglio vivamente di vederla prestando la giusta attenzione: sono certo che non deluderà le aspettative.
Dopo la pioggia
10.0/10
È incredibile quanta fatica mi costi scrivere questa recensione.
Parlare di un anime che mi è piaciuto o non piaciuto è facile: racconto brevemente la trama, elenco i pregi e i difetti, i personaggi più e meno azzeccati, aggiungo una battuta di spirito, se mi viene, e una conclusione col giudizio finale.
Quando però mi ritrovo a dover parlare di un’opera come questa, che mi ha toccato così tanto nel profondo, che sono arrivato letteralmente ad amare, mi trovo in difficoltà a trovare le parole. Temo di non riuscire a rendere giustizia alle emozioni che mi ha donato, di risultare banale, inadeguato. Di non averne diritto. Un po’ come Kondo nei confronti di Akira.
Ma ci tengo molto, perché so che, quando la rileggerò tra qualche tempo, mi farà piacere averla scritta, averci provato almeno. Pertanto adesso, appena concluso il rewatch a un anno di distanza dalla prima visione, eccomi qua.
Quella di cui parliamo è una bellissima storia di rinascita.
I protagonisti, Akira e Kondo, sono due persone che per motivi diversi si trovano in un periodo di profonda crisi. Avevano un sogno, ma l’hanno abbandonato. Due rondini cadute che volevano volare, ma che, per paura di cadere di nuovo, ci hanno rinunciato. Tuttavia si incontrano, si conoscono, guariscono insieme le proprie ferite, rinascono e trovano il coraggio di riprovare a volare.
Ciò che rende speciale questo anime è che ogni cosa è trattata con una delicatezza commovente. I disegni sono molto aggraziati e le ambientazioni suggestive. La storia è matura, narrata con un ritmo lento e realistico.
I personaggi sono caratterizzati in maniera stupenda, escono letteralmente fuori dallo schermo. I dialoghi sono profondi e pieni di significato, a volte grazie a Kondo arrivano anche a citare la letteratura “alta”.
Le scene topiche poi sono un tuffo al cuore, accompagnate dal suono della pioggia e da una colonna sonora OST a dir poco meravigliosa (che ho immediatamente recuperato e messo nella mia playlist): fanno inumidire gli occhi senza essere strappalacrime.
Anche le sequenze umoristiche sono fatte egregiamente: per niente invadenti in quanto sono saltuarie, simpatiche e alleggeriscono il racconto senza risultare idiote. Anche le sigle sono entrambe bellissime, quella di apertura più allegra e quella di chiusura più melò.
Il tutto scandito continuamente dalla pioggia, che simboleggia sì il momento di dramma in cui ci cade tutto addosso, ma anche ciò che purifica l’aria e rende limpidi i prossimi raggi di sole.
Ho trovato molto significativa la presenza costante degli ombrelli. Akira e Kondo ne portano sempre uno con sé, anche quando c’è bel tempo (Kondo addirittura ne porta in auto una collezione, per poterli donare all’occorrenza ai suoi dipendenti). Come se entrambi fossero sempre pronti al peggio, vivessero in un costante stato di pessimismo. Nel manga (i cui ultimi volumi differiscono dall’anime) questo oggetto assume un significato ancora maggiore, poiché è presente nel finale, nell’ultimissima tavola: è il regalo che Kondo dona ad Akira e che lei sfoggerà felice durante una calda giornata assolata, poiché quello, a differenza dei precedenti, è sì un ombrello, ma un ombrello parasole!
Un’altra cosa che ho apprezzato moltissimo è che l’autrice (Jun Mayuzuki) ci pone coraggiosamente davanti a un tabù: una storia d’amore tra due persone con grande differenza di età.
Riflettendoci, è incredibile: da spettatori di anime abbiamo fatto l’abitudine a tutto, accettiamo di buon grado storie in cui una ragazza si innamora di un efferato criminale, di un violento, di un demone o persino di un animale, ma se si innamora di un uomo di mezza età dall’animo buono e gentile, no, ci appare innaturale, impossibile, sbagliato. Dimenticandoci che l’amore non ha età e sfugge a qualsiasi regola. Jun Mayuzuki ci mette davanti ai nostri pregiudizi e li lava via con uno scroscio di pioggia.
Sul finale non mi esprimo, in quanto è aperto, sia qui che nel manga, e ognuno è libero di interpretarlo come preferisce. Personalmente trovo che sia collegato a una citazione, fatta più o meno a metà della serie: Akira durante le lezioni di recupero di letteratura giapponese doveva svolgere un compito su “Rashomon” e si trovava in difficoltà a rispondere all’ultima domanda aperta relativa alla conclusione del racconto. Kondo le spiega che l’autore, Akutagawa, riscrisse più volte il finale del suo racconto, finché nella stesura conclusiva scrisse semplicemente “ciò che successe all’umile servitore nessuno lo sa”. Penso che sia successa la stessa cosa con il finale di questa storia: è aperto, nessuno sa come andrà a finire e cosa riserverà il futuro ai due protagonisti, ognuno è libero di sognarlo a modo suo. Mi accodo dunque pienamente alla risposta data da Akira nel suo compito: Spero che questo coraggio influenzi positivamente la futura vita del servitore. Mi piacerebbe leggere il continuo di questa storia.
In conclusione, quest’opera è pura poesia.
Non esagero dicendo che è riuscita a cambiare la mia visione dei manga/anime. Da appassionato di vecchia data e inguaribile nostalgico del passato, pensavo che le opere moderne non facessero più tanto per me. Grazie a “Come dopo la pioggia” mi sono riaperto a questo mondo, mi sono reso conto che anche le opere “giovani” possono ancora emozionarmi, mi ha fatto tornare la passione che avevo sopito, tanto che nell’ultimo anno ho scoperto molte altre opere interessanti, sia moderne che passate.
Ma quella malinconica dolcezza latente che pervade ogni episodio di “Come dopo la pioggia”, beh, quella no, non sono più riuscito a ritrovarla da nessuna parte, ed è per questo che rimarrà qualcosa di speciale per me.
Ref:rain
P.S. Il voto è inevitabile: 10.
È la prima volta che do questo voto e probabilmente rimarrà anche l’ultima, perché l’unico altro anime a cui lo darei non avrò mai il coraggio di recensirlo (non ne sono degno).
Parlare di un anime che mi è piaciuto o non piaciuto è facile: racconto brevemente la trama, elenco i pregi e i difetti, i personaggi più e meno azzeccati, aggiungo una battuta di spirito, se mi viene, e una conclusione col giudizio finale.
Quando però mi ritrovo a dover parlare di un’opera come questa, che mi ha toccato così tanto nel profondo, che sono arrivato letteralmente ad amare, mi trovo in difficoltà a trovare le parole. Temo di non riuscire a rendere giustizia alle emozioni che mi ha donato, di risultare banale, inadeguato. Di non averne diritto. Un po’ come Kondo nei confronti di Akira.
Ma ci tengo molto, perché so che, quando la rileggerò tra qualche tempo, mi farà piacere averla scritta, averci provato almeno. Pertanto adesso, appena concluso il rewatch a un anno di distanza dalla prima visione, eccomi qua.
Quella di cui parliamo è una bellissima storia di rinascita.
I protagonisti, Akira e Kondo, sono due persone che per motivi diversi si trovano in un periodo di profonda crisi. Avevano un sogno, ma l’hanno abbandonato. Due rondini cadute che volevano volare, ma che, per paura di cadere di nuovo, ci hanno rinunciato. Tuttavia si incontrano, si conoscono, guariscono insieme le proprie ferite, rinascono e trovano il coraggio di riprovare a volare.
Ciò che rende speciale questo anime è che ogni cosa è trattata con una delicatezza commovente. I disegni sono molto aggraziati e le ambientazioni suggestive. La storia è matura, narrata con un ritmo lento e realistico.
I personaggi sono caratterizzati in maniera stupenda, escono letteralmente fuori dallo schermo. I dialoghi sono profondi e pieni di significato, a volte grazie a Kondo arrivano anche a citare la letteratura “alta”.
Le scene topiche poi sono un tuffo al cuore, accompagnate dal suono della pioggia e da una colonna sonora OST a dir poco meravigliosa (che ho immediatamente recuperato e messo nella mia playlist): fanno inumidire gli occhi senza essere strappalacrime.
Anche le sequenze umoristiche sono fatte egregiamente: per niente invadenti in quanto sono saltuarie, simpatiche e alleggeriscono il racconto senza risultare idiote. Anche le sigle sono entrambe bellissime, quella di apertura più allegra e quella di chiusura più melò.
Il tutto scandito continuamente dalla pioggia, che simboleggia sì il momento di dramma in cui ci cade tutto addosso, ma anche ciò che purifica l’aria e rende limpidi i prossimi raggi di sole.
Ho trovato molto significativa la presenza costante degli ombrelli. Akira e Kondo ne portano sempre uno con sé, anche quando c’è bel tempo (Kondo addirittura ne porta in auto una collezione, per poterli donare all’occorrenza ai suoi dipendenti). Come se entrambi fossero sempre pronti al peggio, vivessero in un costante stato di pessimismo. Nel manga (i cui ultimi volumi differiscono dall’anime) questo oggetto assume un significato ancora maggiore, poiché è presente nel finale, nell’ultimissima tavola: è il regalo che Kondo dona ad Akira e che lei sfoggerà felice durante una calda giornata assolata, poiché quello, a differenza dei precedenti, è sì un ombrello, ma un ombrello parasole!
Un’altra cosa che ho apprezzato moltissimo è che l’autrice (Jun Mayuzuki) ci pone coraggiosamente davanti a un tabù: una storia d’amore tra due persone con grande differenza di età.
Riflettendoci, è incredibile: da spettatori di anime abbiamo fatto l’abitudine a tutto, accettiamo di buon grado storie in cui una ragazza si innamora di un efferato criminale, di un violento, di un demone o persino di un animale, ma se si innamora di un uomo di mezza età dall’animo buono e gentile, no, ci appare innaturale, impossibile, sbagliato. Dimenticandoci che l’amore non ha età e sfugge a qualsiasi regola. Jun Mayuzuki ci mette davanti ai nostri pregiudizi e li lava via con uno scroscio di pioggia.
Sul finale non mi esprimo, in quanto è aperto, sia qui che nel manga, e ognuno è libero di interpretarlo come preferisce. Personalmente trovo che sia collegato a una citazione, fatta più o meno a metà della serie: Akira durante le lezioni di recupero di letteratura giapponese doveva svolgere un compito su “Rashomon” e si trovava in difficoltà a rispondere all’ultima domanda aperta relativa alla conclusione del racconto. Kondo le spiega che l’autore, Akutagawa, riscrisse più volte il finale del suo racconto, finché nella stesura conclusiva scrisse semplicemente “ciò che successe all’umile servitore nessuno lo sa”. Penso che sia successa la stessa cosa con il finale di questa storia: è aperto, nessuno sa come andrà a finire e cosa riserverà il futuro ai due protagonisti, ognuno è libero di sognarlo a modo suo. Mi accodo dunque pienamente alla risposta data da Akira nel suo compito: Spero che questo coraggio influenzi positivamente la futura vita del servitore. Mi piacerebbe leggere il continuo di questa storia.
In conclusione, quest’opera è pura poesia.
Non esagero dicendo che è riuscita a cambiare la mia visione dei manga/anime. Da appassionato di vecchia data e inguaribile nostalgico del passato, pensavo che le opere moderne non facessero più tanto per me. Grazie a “Come dopo la pioggia” mi sono riaperto a questo mondo, mi sono reso conto che anche le opere “giovani” possono ancora emozionarmi, mi ha fatto tornare la passione che avevo sopito, tanto che nell’ultimo anno ho scoperto molte altre opere interessanti, sia moderne che passate.
Ma quella malinconica dolcezza latente che pervade ogni episodio di “Come dopo la pioggia”, beh, quella no, non sono più riuscito a ritrovarla da nessuna parte, ed è per questo che rimarrà qualcosa di speciale per me.
Ref:rain
P.S. Il voto è inevitabile: 10.
È la prima volta che do questo voto e probabilmente rimarrà anche l’ultima, perché l’unico altro anime a cui lo darei non avrò mai il coraggio di recensirlo (non ne sono degno).
Bugie d'Aprile
10.0/10
Recensione di Laura200033
-
È strano descrivere che cosa rappresenta per me questo anime, perché è sempre inusuale trovare un’opera che descrive la propria vita, almeno in parte.
Non vorrei soffermarmi troppo sul comparto tecnico, che comprende regia (cristallina, che inquadra spesso i personaggi al centro di scene vuote per far trasparire la solitudine, o che si sofferma sui loro volti, che traboccano di emozioni), animazioni e grafiche (perfette, sia nei momenti più ilari, che in quelli drammatici e nelle performance musicali, in cui ogni dettaglio è curato fino all’inverosimile e le movenze sono estremamente realistiche), e musiche (di rara bellezza, sia la colonna sonora, che le scelte stilistiche dei brani suonati dai personaggi della storia).
Altro aspetto molto accurato è la raffigurazione del mondo della musica classica: viene analizzata la paura di sbagliare, di deludere le aspettative, la voglia di sorprendere e di trasmettere, viene mostrato il crudele e incredibilmente complesso mondo dei concorsi, dei giudizi, dei partecipanti e della competizione che vige fra loro. Temi di cui raramente si è a conoscenza se non si è parte di questo mondo, poiché sovente associati a quello dello sport e non alla musica.
Tuttavia, ciò che più colpisce di “Shigatsu wa Kimi no Uso” è di per sé la storia; apparentemente molto semplice, quasi scontata, in cui si racconta di vicende adolescenziali, romantiche o meno, via via acquista una sfumatura sempre più originale e drammatica. I personaggi principali attorno a cui si sviluppa, molto ben caratterizzati, con tratti distintivi e realistici, contribuiscono a costituire un’opera corale, in cui è il gruppo di amici e rivali che assume significato, grazie alle relazioni tra i singoli e, soprattutto, alla musica che li unisce, ma non solo: all’interno dell’opera, ogni personaggio ha un proprio spazio e un proprio significato, che si comprende analizzando i numerosi momenti introspettivi che si alternano alle scene diegetiche. Ognuno infatti ha una propria psicologia, dei propri sentimenti, dei pensieri e delle azioni conseguenti. Tutti si trovano a dover affrontare qualche tipo di sfida, di ostacolo, di paura, di battaglia, e ognuno lo fa in modo differente, combattendo con coraggio o meno, rinnegando il proprio passato e vivendo nelle illusioni, ignorando tutto il resto per concentrarsi univocamente sulla propria guerra.
Tra tutti, tuttavia, è la perdita il mostro più temibile da affrontare: c’è chi sta perdendo la sua vita, chi il suo eroe, chi il proprio fratello, il figlio, il migliore amico, la propria madre o l’amata, chi ha perso la possibilità di diventare qualcuno, chi ha perso la capacità di sentire, chi ha perso e basta.
Ciò che è comune a Kaori, Kousei, Tsubaki, Watari, Emi, Takeshi, Nagi, Saki è l’isolamento in cui vivono, è la disincantata consapevolezza che ognuno è solo nella propria vita. Nessuno di loro, difatti, riesce a esternare le proprie sensazioni, a chiedere aiuto, a trovare una spalla su cui sorreggersi. Nessuno cerca il conforto di qualcun altro per far fronte al proprio dolore, e con il progredire della trama questo aspetto si affievolisce. Si impara ad ascoltare e a parlare, ad aiutare e a farsi aiutare.
E proprio questo viene approfondito nella trattazione della malattia di Kaori: dalla sua storia traspaiono la difficoltà di accettazione, la vergogna di mostrare la debolezza, la lotta per farvi fronte, la perdita delle speranze, il coraggio di lottare nonostante sia la fine, la sofferenza di dover abbandonare le esperienze vissute e le persone amate, la rinuncia alla propria vita.
Il tema principale dell’opera è sicuramente quello della dicotomia tra rinascita e morte, che si può ritrovare in numerosi aspetti che legano i due protagonisti (le differenti sfumature di colore dei capelli di Kaori e degli occhi di Kousei all’inizio e alla fine dell’opera, il fatto che, mentre nell’incipit è soprattutto Kaori che suona, progressivamente è Kousei a partecipare alle competizioni). Mentre Kaori si sta lentamente spegnendo a causa della sua malattia, è proprio l’incontro con Kousei che donerà nuovamente significato ai suoi ultimi mesi e le consentirà di ritrovare il coraggio e allo stesso tempo farà rinascere Kousei come musicista e come persona, nonostante l’epilogo presupponga la morte della ragazza, affrontata con una tale delicatezza ed espressività da risultare contemporaneamente realistica (poiché nella vita, spesso, anche dopo una dura lotta, non si vince) ed eterea (raffigurata come una piuma che cade dolcemente dal cielo, come i petali di ciliegio o come dei fiocchi di neve bianca).
Altro punto di fondamentale importanza è la bugia: non solo quella più palese, detta dalla protagonista all’inizio dell’opera, che ha permesso a tutte le vicende narrate di verificarsi, ma sono comprese anche tutte quelle che ciascuno dei personaggi racconta a sé stesso o agli altri. Kaori mente riguardo la sua malattia, Kousei mente riguardo il rapporto con la madre, mente a sé stesso riguardo i suoni e ha un blocco psicologico tale da non riuscire più a udire, Tsubaki mente a sé stessa sui sentimenti che prova per il suo migliore amico. Da quelle bugie si sviluppano tutti gli intrecci narrativi e, allo stesso tempo, i personaggi imparano a crescere proprio sconfiggendole.
È di difficile interpretazione il significato di questo anime: è proprio con la morte che è possibile una rinascita. È nella perdita che si possono trovare il coraggio, la forza, la grinta di proseguire sul proprio cammino. Come se l’esistenza di un singolo assumesse significato solo una volta incontrata la sofferenza. È un concetto che si sposa perfettamente con quello di maturità musicale: una capacità espressiva che si acquisisce solamente col tempo e che rispecchia il personaggio di Kaori, come artista che non segue pedissequamente lo spartito, ma che “sente” la musica come esternazione di sensazioni profonde, come flusso di energie che poi si trasforma in note. È la maturità ciò che rende tali un musicista e una persona. Qualcosa che si acquisisce solo vivendo, tramutando le proprie esperienze, i propri dolori, le proprie paure in musica, svincolandosi dai canoni perfetti della tecnica e del ritmo. E queste esperienze, come il vivere la morte di una persona cara, sono necessarie al raggiungimento della maturità, di una consapevolezza che altrimenti risulterebbe impossibile da comprendere, di un modo di pensare che ci rende semplicemente e profondamente umani.
Non vorrei soffermarmi troppo sul comparto tecnico, che comprende regia (cristallina, che inquadra spesso i personaggi al centro di scene vuote per far trasparire la solitudine, o che si sofferma sui loro volti, che traboccano di emozioni), animazioni e grafiche (perfette, sia nei momenti più ilari, che in quelli drammatici e nelle performance musicali, in cui ogni dettaglio è curato fino all’inverosimile e le movenze sono estremamente realistiche), e musiche (di rara bellezza, sia la colonna sonora, che le scelte stilistiche dei brani suonati dai personaggi della storia).
Altro aspetto molto accurato è la raffigurazione del mondo della musica classica: viene analizzata la paura di sbagliare, di deludere le aspettative, la voglia di sorprendere e di trasmettere, viene mostrato il crudele e incredibilmente complesso mondo dei concorsi, dei giudizi, dei partecipanti e della competizione che vige fra loro. Temi di cui raramente si è a conoscenza se non si è parte di questo mondo, poiché sovente associati a quello dello sport e non alla musica.
Tuttavia, ciò che più colpisce di “Shigatsu wa Kimi no Uso” è di per sé la storia; apparentemente molto semplice, quasi scontata, in cui si racconta di vicende adolescenziali, romantiche o meno, via via acquista una sfumatura sempre più originale e drammatica. I personaggi principali attorno a cui si sviluppa, molto ben caratterizzati, con tratti distintivi e realistici, contribuiscono a costituire un’opera corale, in cui è il gruppo di amici e rivali che assume significato, grazie alle relazioni tra i singoli e, soprattutto, alla musica che li unisce, ma non solo: all’interno dell’opera, ogni personaggio ha un proprio spazio e un proprio significato, che si comprende analizzando i numerosi momenti introspettivi che si alternano alle scene diegetiche. Ognuno infatti ha una propria psicologia, dei propri sentimenti, dei pensieri e delle azioni conseguenti. Tutti si trovano a dover affrontare qualche tipo di sfida, di ostacolo, di paura, di battaglia, e ognuno lo fa in modo differente, combattendo con coraggio o meno, rinnegando il proprio passato e vivendo nelle illusioni, ignorando tutto il resto per concentrarsi univocamente sulla propria guerra.
Tra tutti, tuttavia, è la perdita il mostro più temibile da affrontare: c’è chi sta perdendo la sua vita, chi il suo eroe, chi il proprio fratello, il figlio, il migliore amico, la propria madre o l’amata, chi ha perso la possibilità di diventare qualcuno, chi ha perso la capacità di sentire, chi ha perso e basta.
Ciò che è comune a Kaori, Kousei, Tsubaki, Watari, Emi, Takeshi, Nagi, Saki è l’isolamento in cui vivono, è la disincantata consapevolezza che ognuno è solo nella propria vita. Nessuno di loro, difatti, riesce a esternare le proprie sensazioni, a chiedere aiuto, a trovare una spalla su cui sorreggersi. Nessuno cerca il conforto di qualcun altro per far fronte al proprio dolore, e con il progredire della trama questo aspetto si affievolisce. Si impara ad ascoltare e a parlare, ad aiutare e a farsi aiutare.
E proprio questo viene approfondito nella trattazione della malattia di Kaori: dalla sua storia traspaiono la difficoltà di accettazione, la vergogna di mostrare la debolezza, la lotta per farvi fronte, la perdita delle speranze, il coraggio di lottare nonostante sia la fine, la sofferenza di dover abbandonare le esperienze vissute e le persone amate, la rinuncia alla propria vita.
Il tema principale dell’opera è sicuramente quello della dicotomia tra rinascita e morte, che si può ritrovare in numerosi aspetti che legano i due protagonisti (le differenti sfumature di colore dei capelli di Kaori e degli occhi di Kousei all’inizio e alla fine dell’opera, il fatto che, mentre nell’incipit è soprattutto Kaori che suona, progressivamente è Kousei a partecipare alle competizioni). Mentre Kaori si sta lentamente spegnendo a causa della sua malattia, è proprio l’incontro con Kousei che donerà nuovamente significato ai suoi ultimi mesi e le consentirà di ritrovare il coraggio e allo stesso tempo farà rinascere Kousei come musicista e come persona, nonostante l’epilogo presupponga la morte della ragazza, affrontata con una tale delicatezza ed espressività da risultare contemporaneamente realistica (poiché nella vita, spesso, anche dopo una dura lotta, non si vince) ed eterea (raffigurata come una piuma che cade dolcemente dal cielo, come i petali di ciliegio o come dei fiocchi di neve bianca).
Altro punto di fondamentale importanza è la bugia: non solo quella più palese, detta dalla protagonista all’inizio dell’opera, che ha permesso a tutte le vicende narrate di verificarsi, ma sono comprese anche tutte quelle che ciascuno dei personaggi racconta a sé stesso o agli altri. Kaori mente riguardo la sua malattia, Kousei mente riguardo il rapporto con la madre, mente a sé stesso riguardo i suoni e ha un blocco psicologico tale da non riuscire più a udire, Tsubaki mente a sé stessa sui sentimenti che prova per il suo migliore amico. Da quelle bugie si sviluppano tutti gli intrecci narrativi e, allo stesso tempo, i personaggi imparano a crescere proprio sconfiggendole.
È di difficile interpretazione il significato di questo anime: è proprio con la morte che è possibile una rinascita. È nella perdita che si possono trovare il coraggio, la forza, la grinta di proseguire sul proprio cammino. Come se l’esistenza di un singolo assumesse significato solo una volta incontrata la sofferenza. È un concetto che si sposa perfettamente con quello di maturità musicale: una capacità espressiva che si acquisisce solamente col tempo e che rispecchia il personaggio di Kaori, come artista che non segue pedissequamente lo spartito, ma che “sente” la musica come esternazione di sensazioni profonde, come flusso di energie che poi si trasforma in note. È la maturità ciò che rende tali un musicista e una persona. Qualcosa che si acquisisce solo vivendo, tramutando le proprie esperienze, i propri dolori, le proprie paure in musica, svincolandosi dai canoni perfetti della tecnica e del ritmo. E queste esperienze, come il vivere la morte di una persona cara, sono necessarie al raggiungimento della maturità, di una consapevolezza che altrimenti risulterebbe impossibile da comprendere, di un modo di pensare che ci rende semplicemente e profondamente umani.