Xmas Comics&Games di Torino: il panel Ludo ergo s(u)ono con Richter e Gianni Ricciardi
Un panel davvero interessante, ricco di spunti e riflessioni sul mondo della musica (e non solo) legata ai videogiochi
di Marcello Ribuffo
Il Xmas Comics&Games di Torino non è stato solo una piacevole occasione di intervistare Richter ma anche quella di seguire un panel molto interessante, legato al mondo della musica videoludica e al sound design. Insieme a Richter è intervenuto anche Gianni Ricciardi, un veterano del settore e che non si occupa solo di comporre musica ma anche di audio design, elemento questo strettamente correlato al tema. È stata una piacevole chiacchierata, grazie anche alla simpatia e alla buona chimica tra gli ospiti ma anche grazie alla moderazione di Federico Ercole. Questo in sostanza, è quello che è avvenuto al The Hive.
Qual è stato il momento in cui avete capito che potevate fare musica per i videogiochi?
GR: "Nasco come programmatore di computer e lì la strada sembrava segnata. Nel frattempo facevo musica e ho avuto la possibilità di creare qualcosa per Ubisoft e Milestone. Ho avuto l'intuizione che le due cose potessero andare assieme, musica e videogiochi, anche perché sono due medium che io non ho mai vissuto come due cose diverse. Per me era abbastanza naturale far convivere musica e storytelling all'interno di un videogame".
R: “I mio percorso è stato un pochino diverso: ho cominciato come pianista classico con uno studio in Conservatorio di Roma e contemporaneamente, però, anche come videogiocatore. I primi amori sono nati su Super Nintendo e mi trovavo spesso a completare i giochi e poi a sedermi al piano e risuonare le colonne sonore, perché mi colpivano talmente tanto da volerle fare mie. Successivamente, per una scommessa vinta con un amico abbiamo prodotto una traccia di musica elettronica che è stata licenziata su Universal Music, e mi sono trovato impelagato, mio malgrado, nel settore della musica elettronica. Era una cosa che non avevo voglia di fare, solo che i contratti sono po' difficili da sciogliere. C'era una continua richiesta di follow up e collaborazioni e questo è andato avanti per un po' di anni. Io avrei voluto dedicarmi alla musica per videogiochi ma non potevo. Nel 2020 è arrivato il Covid e per me è stata una 'fortuna'. Si era fermato tutto e lì ho avuto il tempo di dire 'ok, qua è il momento di tentare qualcosa'. Grazie anche alla spinta di un amico, un grande fan di Sakimoto, mi ha detto: 'ma scusa, tu sei fan di Sakimoto. Perché non lo contatti? Perché non provi mandargli delle tracce e chiedergli se è possibile collaborare?'. L'ho fatto. Ho scritto una mail con varie tracce demo, senza aspettarmi nulla e invece, con mia sorpresa, dieci giorni dopo mi ha risposto lui in persona dicendo che gli interessava. E da lì abbiamo cominciato, sono diventato membro di Basiscape e da allora sono un membro interno”.
Trovo che una delle differenze e unicità fondamentali della musica per un videogioco è che debba essere pensata anche per interagire con i suoni prodotti da chi gioca nel momento in cui si compiono determinate azioni. Quando componete, avete sempre in mente anche questa strana polifonia oppure componete una musica a suo modo pura, che andrà a risuonare dopo e casualmente con il suono del videogioco?
GR: “Questa è una domanda molto interessante. Questa mi riguarda particolarmente, in quanto sono sì compositore di musica per videogame ma anche produttore di tutta la parte sonora. Non in tutti i progetti sono coinvolto nel ruolo di Audio Director e Sound Designer, ma produrre suoni e tutti i sistemi interattivi è diverso dallo scrivere musica. Nella nostra industria, anche a livello professionale, è una cosa molto separata dal musicista, però io ho avuto la fortuna di svolgere spesso tutti e due i ruoli. Questa secondo me è una cosa veramente fantastica: la possibilità di scrivere sia la musica sia produrre suoni per un videogame è fantastico. Ad esempio in Murasaki Baby, dove mi sono occupato del comparto audio a 360° e fatto anche le voci tutti i personaggi, è molto interessante esplorare quelle zone di confine o di accavallamento tra quello che è il sound design e la musica. Ci sono delle zone grigie, dove queste due cose si accavallano e lì nasce veramente la magia. Un esempio è Nintendo, che mette particolarmente attenzione in quest'ambito. Sono suoni estremamente musicali, dove anche tutti gli effetti sonori, sono accordati nella stessa tonalità. Si può davvero creare un universo che sia in armonia tra suoni e musica”.
R: “Nel mio caso, invece, io sono un puro compositore. Non mi occupo di sound design. Nel nostro caso abbiamo un sound designer che ha il malaugurato compito di dover creare suoni sulle nostre musiche”.
Ho sempre pensato che le colonne sonore occidentali del videogioco, si ispirino più direttamente al mondo Hollywoodiano. Perché invece in Giappone si identifica immediatamente la sua sostanza, pensata per risuonare e animare il videogioco e non semplicemente accompagnarlo?
R: “Secondo me dipende in parte dal background dei compositori occidentali, di quelli giapponesi. Ci sono compositori occidentali che prendono come riferimento Hollywood e quindi hanno quel background, mentre la maggior parte dei compositori giapponesi hanno un background partendo da quello che loro chiamano crossover, ovvero jazz-rock, progressive e altri stili musicali che già di loro fondevano diversi generi. E sono partiti da quello per cercare di creare, e ci sono riusciti alla grande, un linguaggio unico, uno stile unico che hanno solo loro".
GR: “Forse il concetto è anche un po' questo, che in quanto europei, in quanto occidentali, abbiamo il fardello che arriva dal passato, e ce lo portiamo dietro. Mentre invece i giapponesi, anche quando devono rifarsi un po' alla musica occidentale, non essendo loro, non hanno questo peso, questa responsabilità che invece noi non riusciamo a scrollarci di dosso. Possono esplorare in maniera più libera rispetto a noi. In Murasaki Baby ad esempio, molto vicino alla cultura giapponese, abbiamo deciso a tavolino cosa fare della questione musicale. Infatti poi è venuta fuori una colonna sonora rock-psichedelica, che somiglia più ai Pink Floyd e a Genesis, a cui mi sono ispirato, che non tutta la parte hollywodiana".
Il gesto, l'attività del comporre, è ancora qualcosa di fisico? Si compone sullo spartito, c'è ancora un rapporto con la Carta e con lo strumento? Oppure è un'attività che fondamentalmente si svolge al computer?
GR: “Per quanto mi riguarda per me la parola giusta è proprio 'fisica', nel senso che io la vivo tanto proprio a livello fisico e non riesco a farne a meno. Mi immedesimo anche fisicamente nelle situazioni: ad esempio, Murasaki Baby, che racconta di una bambina che in qualche modo deve ritrovare sua mamma e il giocatore deve accompagnarla, molto genitoriale insomma, in quel momento era appena nato mio figlio, quindi mi ero proprio immedesimato in questa genitorialità. Adesso, con A Quiet Place, sostanzialmente un survival horror post-apocalittico, c'è stata tutto il tema della mia separazione con mia moglie. Il computer sicuramente ormai è uno strumento dal quale non si può prescindere. Io credo che comunque la musica debba essere necessariamente creata con uno strumento. Che poi questo strumento possa essere anche il computer, ok, ma bisogna riuscire in qualche modo a rendere il gesto musicale. Quando tutto il lavoro è finito, questo gesto arriva all'ascoltatore”.
R: “Sì, sono molto d'accordo. Nel mio caso può capitare che lavorando a una colonna sonora può capitarmi l'ispirazione per un brano in qualsiasi momento, magari mentre sto facendo il bagno. Allora lì prendo l'Ipad e prendo un appunto. Magari ci sono momenti in cui mi sento ispirato e mi siedo direttamente al piano. Dipende insomma, ma esiste sempre un gesto fisico".
GR: “Tra l'altro tu ti occupi di elettronica. Magari la gente non lo sa, però in realtà anche nella musica elettronica c'è tanto gesto, no?”.
R: “Sì, io faccio un tipo di musica elettronica molto 'suonata' e quindi c'è sempre il rapporto con lo strumento, un rapporto appunto, fisico”.
Come si lavora in un collettivo di musicisti? Ad esempio, in Unicorn Overlord, come avete lavorato? Come ci si divide il lavoro?
R: “Normalmente il cliente ci invia tutto il materiale; in questo caso Atlus, che ha inviato filmati, artwork e quant'altro. Tra di noi viene deciso un direttore dei lavori, che successivamente distribuisce le tracce in maniera equa. Ad esempio 15, 20 ciascuno. Fissiamo una deadline per la consegna delle demo e alla fine ne abbiamo un giudizio. Ci dice se c'è qualcosa da modificare oppure se le tracce vanno bene. Se le tracce vengono ritenute idonee vengono sottoposte al cliente, che fa la stessa cosa. Se le tracce vanno bene, si passa al pre-master e vengono mandate allo studio di Mastering”.
GR: “Questa per me è una cosa molto magica, perché invece io, non per scelta, ho spesso lavorato da solo. Quindi è un po' 'magica' questa cosa per me, capire come si riesca, soprattutto nell'ambito di una produzione di videogame, a riuscire a collaborare con tante persone. Quindi complimenti!”.
R: “In realtà si va molto d'accordo. È comunque un meccanismo molto rodato: Basiscape esiste dal 2001, anche se io ci sono entrato nel 2021. È talmente organizzato che è difficile scornarsi o cose del genere. Certo, a volte ci sono discussioni: a volte il direttore di un progetto fa un appunto dove magari il compositore non è d'accordo e lì si va e ci si chiarisce. Mi è capitato ad esempio, anche con Sakimoto stesso, 'quella parte lì magari puoi orchestrarla in quella maniera lì', io gli dicevo, “ma guarda, secondo me invece meglio tenerla così', e lui dice, 'ah no, hai ragione'”.
Qual è stato il tuo approccio [riferito a Ricciardi, ndr], l'idea musicale per questa sorta di “sound of silence”, una colonna sonora per un gioco dove non devi fare rumore?
GR: “È stata una sfida, anche perché io mi sono occupato anche di sound effect, dove sicuramente la sfida è ancora più grande, perché sappiamo bene che i sound effect sono parte della realtà del gioco, mentre la musica, essendo extra-diegetica, può dire un po' quello che vuole. In realtà però non è stato propriamente così. Infatti la mia difficoltà, lo dico proprio chiaramente, era dovuta principalmente al fatto che io sono molto legato al discorso tematico proprio della colonna sonora, cioè proprio il tema. A me interessa sempre mettere un seme, diciamo un seme di un tema. Lì questa cosa risultava molto difficile, perché per tutta una serie di motivi, la produzione spingeva molto, e secondo me a ragione, verso qualcosa di molto astratto dal punto di vista musicale. Alla fine sono soddisfatto e sono riuscito a dare la percezione che in questo universo, sostanzialmente non c'è suono, ma quindi questo significa che non c'è musica. Abbiamo giocato molto su questo 'prima', diciamo del 'mondo sonoro', dove c'era la musica e il dopo, dove questa musica non c'è. È stato questo bilanciamento tra la presenza e assenza la chiave per rendere al meglio questo tema”.
Nella vostra carriera di compositori avete mai trovate un momento in cui eravate obbligati a scrivere musica in cui avete ritenuto che "no, qui deve permanere il silenzio"? Perché anche la pausa ha una sua musicalità.
R: “Personalmente no, perché normalmente gli artisti, gli sviluppatori e gli studi giapponesi, in tutte le forme d'arte, sono molto attenti anche alla musicalità e a ciò che può esprimere la pausa, e quindi il silenzio. Sono fortunato perché ho a che fare con una cultura che a livello artistico sa valorizzare anche quello che è il silenzio. Tant'è, ti dico la verità, quando mi capita di vedere film, ad esempio hollywoodiani, e sentire certe colonne sonore, trovo che siano fin troppo ridondanti”.
GR: “Tu sei più fortunato proprio per questo, perché invece io a volte ho dovuto lottare. Paradossalmente poi, perché un musicista dovrebbe lottare per mettere la sua musica. Invece in certi casi ho dovuto lottare per non avere nulla. Mi è andata bene il fatto che in molte delle produzioni dove ho scritto, magari ero anche l'audio director, chi ha l'ultima parola sugli aspetti proprio contenutistici della musica e del suono. Quindi potevo dire la mia e decidere dove inserire musica e dove no. Però per esempio in A Quiet Place, invece sono stato molto più esterno e lì non resistito. Ho preferito farmi dare video, spezzoni del gioco, e decidere anche in montaggio; cioè non solo scrivere la musica, ma decidere anche la maniera in cui questa doveva essere utilizzata nel gioco. Questo di solito non è propriamente un ruolo del musicista, questo lo fa il montatore. Quando ho la possibilità di farlo preferisco occuparmene io, perché credo che appunto la musica sia un linguaggio. Non basta scriverla, ma è anche la maniera in cui la usi. Quindi lottiamo per le pause!”.
Esiste un'editoria di partiture videoludiche? Ad esempio, se cerco una sinfonia di Brahms trovo lo spartito. Nei videogiochi?
GR: “Già è tanto se esiste l'editoria di musica da videogame venduta, stampata in CD” [ride, ndr.].
R: “In Giappone in realtà esiste ed è anche molto fiorente. Per qualsiasi strumento e formazione di quasi tutte le colonne sonore dei giochi che hanno venduto oltre un milione di copie, ma anche meno. Le varie software house ci investono molto e nei vari store come Yodobashi, grandi catene giapponesi, trovate interi settori dedicati a CD ma anche spartiti di colonne sonore videoludiche. Penso anche Yamaha Store a Tokyo, che ha probabilmente la più grande selezione di spartiti di musica di videogiochi al mondo, un piano intero dedicato. Ho visto anche in Corea e in Cina il settore è in espansione”.
GR: “Questo per noi è un sogno però! Perché per esempio, per il nostro Murasaki Baby, un gioco indie, decisamente artistico e che quindi non ha avuto un pubblico enorme, ha degli affezionatissimi che mi dicevano 'dove compro la colonna sonora?' e io non sono riuscito alla fine a convincere Sony a pubblicare la colonna sonora. Sono riuscito a farlo un paio d'anni fa per conto mio, ovviamente chiedendo il permesso a Sony, su Bandcamp. Questo dopo tantissimi anni dove la gente continuava a scrivermi 'ma dove la compro?'. Purtroppo, in occidente non abbiamo questa cultura proprio del Medium che può vivere in maniera indipendente anche al di fuori di esso”.
R: “Ci sono isole felici. Qua in occidente è ancora raro, ma spero che nei prossimi anni diventerà qualcosa di più diffuso; anche qua ci vuole ancora del tempo. Ma ho dei feedback positivi. Per cui speriamo assolutamente che sia come in Asia".
GR: “Per me non c'è niente di più bello di vedere una colonna sonora di videogame su un vinile. Una meraviglia".
Qual è la prima colonna sonora, il primo componimento per un videogioco che vi ha convinto di come questo tipo di musica è forse la forma più profonda e complessa di comporre degli ultimi venti, trent'anni? Io che sono da sempre stato appassionato di musica classica romantica, quando ho sentito la colonna sonora di Xenogears di Yasunori Mitsuda lì ho detto: “è come sentire qualcosa composto da Stravinskij, da Šostakovič", insomma, da uno dei grandi del '900.
R: “Non riesco a sceglierne solo uno, quindi te ne dico due: Vagrant Story di Sakimoto e Parasite Eve di Yoko Shimomura”.
GR: “Beh, io devo andare un po' indietro. Dico Agony di Psygnosis, che è nelle mie radici. Però ecco, volendo essere un po' più moderni, direi che sicuramente Journey di Austin Wintory, suonato tra l'altro da Tina Guo, con il quale ho avuto anche il piacere di collaborare”.
Secondo me non c'è nessuna forma, come dicevo prima, nessuna composizione attuale che ha la dilatazione, la profondità e la complessità di quella di un videogioco.
R: “Sono molto d'accordo. Io questo l'ho riscontrato quando ho cominciato ad ascoltare in maniera più consapevole. Uno dei miei grandi idoli, oltre a Sakimoto, è Sugiyama per Dragon quest e lì ho cominciato davvero ad apprezzare quanto dici, soprattutto studiando, ad esempio il lavoro di Mitsuda”.
GR: “Sicuramente, appunto, se ci soffermiamo sul fatto che la musica di per sé, e questo vale sicuramente anche nel cinema, detiene le chiavi delle emozioni. Mentre il suono può fare tantissime cose, può avere degli indizi anche sulla matericità degli oggetti, la musica possiede le chiavi emotive e quindi in un videogame, dove siamo stati abituati a credere, che non ci potesse far piangere, abbiamo cominciato a renderci conto che potevamo anche farlo. Questo soprattutto quando la musica ha cominciato a liberarsi, un po' anche per una questione tecnica, cominciando a un certo punto a utilizzare gli strumenti con un'espressività pari a quella di qualunque altro medium. In quel momento si è aperto un universo, perché oggi possiamo avere un forte carico emotivo da un videogame, e 90 su 100 direi che quel carico emotivo arriva dalla musica”.
Può quindi la musica essere estrapolata dal videogioco per vivere in una sua dimensione assoluta? Quindi vivere al di fuori di quel videogioco e magari diventare musica per altri media come il cinema? Per esempio, La Cavalcata delle Valchirie utilizzata in Apocalypse Now rivive una sua corrispondenza, una nuova vita che però non risulta offensiva per la musica stessa. Un appassionato di musica che non ha videogiocato, può apprezzarla nella sua forma più pura, senza avere il ricordo, la memoria del videogioco, anche avendo corrispondenza con altre immagini o con altre espressioni artistiche?
GR: “Tu stai parlando del 'Demone di Morricone'. Morricone era ossessionato da questa domanda. Lui ha fatto per tutta la vita la musica da film, ma lui in realtà non voleva fare quello. Lui voleva fare quella che lui chiamava la 'Musica Assoluta' e odiava essere ricordato per la sua musica sempre a servizio di qualcos'altro. Quindi è stato un incubo per lui, che lo ha accompagnato fino alla fine.
Secondo me è un discorso di contenuto, nel senso che un musicista, fa musica non legata a nessun medium. È chiaro che dentro quella musica mette un messaggio in qualche modo. La musica è appunto un veicolo di emozioni. È chiaro che una musica creata per un videogioco e le emozioni che hanno creato quella musica fanno parte di quel medium ma nessuno vieta di ascoltare pezzi al di fuori di quello che è il videogioco o il cinema”.
R: “Assolutamente d'accordo, ma infatti all'atto pratico, lo so, ci sono tantissime persone che vanno ai vari concerti legati alla musica dei videogiochi ma non videogiocano. Ci vanno perché adorano la musica, magari tramite i figli che li giocano. Ci sono genitori che si sono appassionati per la musica dei videogiochi, ci sono playlist intere su Spotify ascoltate da persone che non hanno mai videogiocato”.
GR: “Infatti! Secondo me, la cosa più interessante è quando viene chiamato a fare musica per un videogioco chi non ha mai fatto questo. The Last of Us è un ottimo esempio visto che Gustavo Santaolalla non aveva mai videogiocato, ed è successo la stessa cosa anche a noi con Last Day of June, dove abbiamo chiamato Steven Wilson. Last Day of June è nato da da uno spin-off di un videoclip di Steven, che ci ha ci ha detto “guardate io sono disposto a fare questa cosa, ma io non ho mai fatto musica per un videogioco, non ho neanche proprio idea di cosa siano i videogiochi”. Questo secondo me è un plus assoluto perché poi si creano effettivamente cortocircuiti interessantissimi”.
C'è stato spazio anche per un interessante domanda dal pubblico, riferita soprattutto ai suoni creati per l'UI Design e soprattutto per il primo menu di gioco. Qui Ricciardi, vista la sua esperienza, è stato molto contento di poter rispondere.
GR: “È sempre una sfida, perché ovviamente parliamo di sound design completamente astratto. Non sto descrivendo un suono che accade, una porta che si apre o qualcosa di simile; non ho a disposizione tutto quello che può essere la parte materica, quindi posso essere completamente libero di inventare qualunque cosa, un design completamente astratto. Proprio per questo motivo è anche difficile. Quindi ci sono vari approcci: c'è quello un po' più semantico, dove magari i suoni sono associati a determinate cose che accadono in gioco. Possono essere impatti molto forti, come ci ha insegnato Doom, oppure possono essere suoni più elettronici nel caso di un gioco sci-fi. Quindi diciamo che si fa uno studio: sonorizzare è qualcosa che richiede comunque uno studio po' concettuale, cioè quello che io voglio comunicare al giocatore. Considerate che tra l'altro la UI è forse la prima cosa che sentite in un videogioco. Prima ancora di iniziare a giocare, io comincio già a spostarmi nei menu e questa cosa è un po come dire, 'ok, stai entrando in questo mondo, io ti devo accompagnare e devo cominciare a farti entrare in un universo sonoro in grado di portarti per mano dentro quel mondo lì'. Sembra una roba così di poco conto, ma non lo è affatto. È anche molto difficile. Probabilmente io ai miei alunni, essendo che insegno anche game audio, dico sempre 'quando arriverete a fare le UI vuol dire che avete siete arrivati', perché è proprio la parte più difficile”.
Per Richter invece, la questione menu riguarda solo la parte musicale, anche questa una parte fondamentale visto che essenzialmente si tratta di un “biglietto da visita” in grado di mostrare il mood del gioco che si sta per giocare.
Questo è il resoconto del panel dedicato alla musica e al sound design nei videogiochi. Un argomento estremamente complesso ma che Richter e Ricciardi hanno saputo raccontare al meglio. Non era così scontato.
Qual è stato il momento in cui avete capito che potevate fare musica per i videogiochi?
GR: "Nasco come programmatore di computer e lì la strada sembrava segnata. Nel frattempo facevo musica e ho avuto la possibilità di creare qualcosa per Ubisoft e Milestone. Ho avuto l'intuizione che le due cose potessero andare assieme, musica e videogiochi, anche perché sono due medium che io non ho mai vissuto come due cose diverse. Per me era abbastanza naturale far convivere musica e storytelling all'interno di un videogame".
R: “I mio percorso è stato un pochino diverso: ho cominciato come pianista classico con uno studio in Conservatorio di Roma e contemporaneamente, però, anche come videogiocatore. I primi amori sono nati su Super Nintendo e mi trovavo spesso a completare i giochi e poi a sedermi al piano e risuonare le colonne sonore, perché mi colpivano talmente tanto da volerle fare mie. Successivamente, per una scommessa vinta con un amico abbiamo prodotto una traccia di musica elettronica che è stata licenziata su Universal Music, e mi sono trovato impelagato, mio malgrado, nel settore della musica elettronica. Era una cosa che non avevo voglia di fare, solo che i contratti sono po' difficili da sciogliere. C'era una continua richiesta di follow up e collaborazioni e questo è andato avanti per un po' di anni. Io avrei voluto dedicarmi alla musica per videogiochi ma non potevo. Nel 2020 è arrivato il Covid e per me è stata una 'fortuna'. Si era fermato tutto e lì ho avuto il tempo di dire 'ok, qua è il momento di tentare qualcosa'. Grazie anche alla spinta di un amico, un grande fan di Sakimoto, mi ha detto: 'ma scusa, tu sei fan di Sakimoto. Perché non lo contatti? Perché non provi mandargli delle tracce e chiedergli se è possibile collaborare?'. L'ho fatto. Ho scritto una mail con varie tracce demo, senza aspettarmi nulla e invece, con mia sorpresa, dieci giorni dopo mi ha risposto lui in persona dicendo che gli interessava. E da lì abbiamo cominciato, sono diventato membro di Basiscape e da allora sono un membro interno”.
Trovo che una delle differenze e unicità fondamentali della musica per un videogioco è che debba essere pensata anche per interagire con i suoni prodotti da chi gioca nel momento in cui si compiono determinate azioni. Quando componete, avete sempre in mente anche questa strana polifonia oppure componete una musica a suo modo pura, che andrà a risuonare dopo e casualmente con il suono del videogioco?
GR: “Questa è una domanda molto interessante. Questa mi riguarda particolarmente, in quanto sono sì compositore di musica per videogame ma anche produttore di tutta la parte sonora. Non in tutti i progetti sono coinvolto nel ruolo di Audio Director e Sound Designer, ma produrre suoni e tutti i sistemi interattivi è diverso dallo scrivere musica. Nella nostra industria, anche a livello professionale, è una cosa molto separata dal musicista, però io ho avuto la fortuna di svolgere spesso tutti e due i ruoli. Questa secondo me è una cosa veramente fantastica: la possibilità di scrivere sia la musica sia produrre suoni per un videogame è fantastico. Ad esempio in Murasaki Baby, dove mi sono occupato del comparto audio a 360° e fatto anche le voci tutti i personaggi, è molto interessante esplorare quelle zone di confine o di accavallamento tra quello che è il sound design e la musica. Ci sono delle zone grigie, dove queste due cose si accavallano e lì nasce veramente la magia. Un esempio è Nintendo, che mette particolarmente attenzione in quest'ambito. Sono suoni estremamente musicali, dove anche tutti gli effetti sonori, sono accordati nella stessa tonalità. Si può davvero creare un universo che sia in armonia tra suoni e musica”.
R: “Nel mio caso, invece, io sono un puro compositore. Non mi occupo di sound design. Nel nostro caso abbiamo un sound designer che ha il malaugurato compito di dover creare suoni sulle nostre musiche”.
Ho sempre pensato che le colonne sonore occidentali del videogioco, si ispirino più direttamente al mondo Hollywoodiano. Perché invece in Giappone si identifica immediatamente la sua sostanza, pensata per risuonare e animare il videogioco e non semplicemente accompagnarlo?
R: “Secondo me dipende in parte dal background dei compositori occidentali, di quelli giapponesi. Ci sono compositori occidentali che prendono come riferimento Hollywood e quindi hanno quel background, mentre la maggior parte dei compositori giapponesi hanno un background partendo da quello che loro chiamano crossover, ovvero jazz-rock, progressive e altri stili musicali che già di loro fondevano diversi generi. E sono partiti da quello per cercare di creare, e ci sono riusciti alla grande, un linguaggio unico, uno stile unico che hanno solo loro".
GR: “Forse il concetto è anche un po' questo, che in quanto europei, in quanto occidentali, abbiamo il fardello che arriva dal passato, e ce lo portiamo dietro. Mentre invece i giapponesi, anche quando devono rifarsi un po' alla musica occidentale, non essendo loro, non hanno questo peso, questa responsabilità che invece noi non riusciamo a scrollarci di dosso. Possono esplorare in maniera più libera rispetto a noi. In Murasaki Baby ad esempio, molto vicino alla cultura giapponese, abbiamo deciso a tavolino cosa fare della questione musicale. Infatti poi è venuta fuori una colonna sonora rock-psichedelica, che somiglia più ai Pink Floyd e a Genesis, a cui mi sono ispirato, che non tutta la parte hollywodiana".
Il gesto, l'attività del comporre, è ancora qualcosa di fisico? Si compone sullo spartito, c'è ancora un rapporto con la Carta e con lo strumento? Oppure è un'attività che fondamentalmente si svolge al computer?
GR: “Per quanto mi riguarda per me la parola giusta è proprio 'fisica', nel senso che io la vivo tanto proprio a livello fisico e non riesco a farne a meno. Mi immedesimo anche fisicamente nelle situazioni: ad esempio, Murasaki Baby, che racconta di una bambina che in qualche modo deve ritrovare sua mamma e il giocatore deve accompagnarla, molto genitoriale insomma, in quel momento era appena nato mio figlio, quindi mi ero proprio immedesimato in questa genitorialità. Adesso, con A Quiet Place, sostanzialmente un survival horror post-apocalittico, c'è stata tutto il tema della mia separazione con mia moglie. Il computer sicuramente ormai è uno strumento dal quale non si può prescindere. Io credo che comunque la musica debba essere necessariamente creata con uno strumento. Che poi questo strumento possa essere anche il computer, ok, ma bisogna riuscire in qualche modo a rendere il gesto musicale. Quando tutto il lavoro è finito, questo gesto arriva all'ascoltatore”.
R: “Sì, sono molto d'accordo. Nel mio caso può capitare che lavorando a una colonna sonora può capitarmi l'ispirazione per un brano in qualsiasi momento, magari mentre sto facendo il bagno. Allora lì prendo l'Ipad e prendo un appunto. Magari ci sono momenti in cui mi sento ispirato e mi siedo direttamente al piano. Dipende insomma, ma esiste sempre un gesto fisico".
GR: “Tra l'altro tu ti occupi di elettronica. Magari la gente non lo sa, però in realtà anche nella musica elettronica c'è tanto gesto, no?”.
R: “Sì, io faccio un tipo di musica elettronica molto 'suonata' e quindi c'è sempre il rapporto con lo strumento, un rapporto appunto, fisico”.
Come si lavora in un collettivo di musicisti? Ad esempio, in Unicorn Overlord, come avete lavorato? Come ci si divide il lavoro?
R: “Normalmente il cliente ci invia tutto il materiale; in questo caso Atlus, che ha inviato filmati, artwork e quant'altro. Tra di noi viene deciso un direttore dei lavori, che successivamente distribuisce le tracce in maniera equa. Ad esempio 15, 20 ciascuno. Fissiamo una deadline per la consegna delle demo e alla fine ne abbiamo un giudizio. Ci dice se c'è qualcosa da modificare oppure se le tracce vanno bene. Se le tracce vengono ritenute idonee vengono sottoposte al cliente, che fa la stessa cosa. Se le tracce vanno bene, si passa al pre-master e vengono mandate allo studio di Mastering”.
GR: “Questa per me è una cosa molto magica, perché invece io, non per scelta, ho spesso lavorato da solo. Quindi è un po' 'magica' questa cosa per me, capire come si riesca, soprattutto nell'ambito di una produzione di videogame, a riuscire a collaborare con tante persone. Quindi complimenti!”.
R: “In realtà si va molto d'accordo. È comunque un meccanismo molto rodato: Basiscape esiste dal 2001, anche se io ci sono entrato nel 2021. È talmente organizzato che è difficile scornarsi o cose del genere. Certo, a volte ci sono discussioni: a volte il direttore di un progetto fa un appunto dove magari il compositore non è d'accordo e lì si va e ci si chiarisce. Mi è capitato ad esempio, anche con Sakimoto stesso, 'quella parte lì magari puoi orchestrarla in quella maniera lì', io gli dicevo, “ma guarda, secondo me invece meglio tenerla così', e lui dice, 'ah no, hai ragione'”.
Qual è stato il tuo approccio [riferito a Ricciardi, ndr], l'idea musicale per questa sorta di “sound of silence”, una colonna sonora per un gioco dove non devi fare rumore?
GR: “È stata una sfida, anche perché io mi sono occupato anche di sound effect, dove sicuramente la sfida è ancora più grande, perché sappiamo bene che i sound effect sono parte della realtà del gioco, mentre la musica, essendo extra-diegetica, può dire un po' quello che vuole. In realtà però non è stato propriamente così. Infatti la mia difficoltà, lo dico proprio chiaramente, era dovuta principalmente al fatto che io sono molto legato al discorso tematico proprio della colonna sonora, cioè proprio il tema. A me interessa sempre mettere un seme, diciamo un seme di un tema. Lì questa cosa risultava molto difficile, perché per tutta una serie di motivi, la produzione spingeva molto, e secondo me a ragione, verso qualcosa di molto astratto dal punto di vista musicale. Alla fine sono soddisfatto e sono riuscito a dare la percezione che in questo universo, sostanzialmente non c'è suono, ma quindi questo significa che non c'è musica. Abbiamo giocato molto su questo 'prima', diciamo del 'mondo sonoro', dove c'era la musica e il dopo, dove questa musica non c'è. È stato questo bilanciamento tra la presenza e assenza la chiave per rendere al meglio questo tema”.
Nella vostra carriera di compositori avete mai trovate un momento in cui eravate obbligati a scrivere musica in cui avete ritenuto che "no, qui deve permanere il silenzio"? Perché anche la pausa ha una sua musicalità.
R: “Personalmente no, perché normalmente gli artisti, gli sviluppatori e gli studi giapponesi, in tutte le forme d'arte, sono molto attenti anche alla musicalità e a ciò che può esprimere la pausa, e quindi il silenzio. Sono fortunato perché ho a che fare con una cultura che a livello artistico sa valorizzare anche quello che è il silenzio. Tant'è, ti dico la verità, quando mi capita di vedere film, ad esempio hollywoodiani, e sentire certe colonne sonore, trovo che siano fin troppo ridondanti”.
GR: “Tu sei più fortunato proprio per questo, perché invece io a volte ho dovuto lottare. Paradossalmente poi, perché un musicista dovrebbe lottare per mettere la sua musica. Invece in certi casi ho dovuto lottare per non avere nulla. Mi è andata bene il fatto che in molte delle produzioni dove ho scritto, magari ero anche l'audio director, chi ha l'ultima parola sugli aspetti proprio contenutistici della musica e del suono. Quindi potevo dire la mia e decidere dove inserire musica e dove no. Però per esempio in A Quiet Place, invece sono stato molto più esterno e lì non resistito. Ho preferito farmi dare video, spezzoni del gioco, e decidere anche in montaggio; cioè non solo scrivere la musica, ma decidere anche la maniera in cui questa doveva essere utilizzata nel gioco. Questo di solito non è propriamente un ruolo del musicista, questo lo fa il montatore. Quando ho la possibilità di farlo preferisco occuparmene io, perché credo che appunto la musica sia un linguaggio. Non basta scriverla, ma è anche la maniera in cui la usi. Quindi lottiamo per le pause!”.
Esiste un'editoria di partiture videoludiche? Ad esempio, se cerco una sinfonia di Brahms trovo lo spartito. Nei videogiochi?
GR: “Già è tanto se esiste l'editoria di musica da videogame venduta, stampata in CD” [ride, ndr.].
R: “In Giappone in realtà esiste ed è anche molto fiorente. Per qualsiasi strumento e formazione di quasi tutte le colonne sonore dei giochi che hanno venduto oltre un milione di copie, ma anche meno. Le varie software house ci investono molto e nei vari store come Yodobashi, grandi catene giapponesi, trovate interi settori dedicati a CD ma anche spartiti di colonne sonore videoludiche. Penso anche Yamaha Store a Tokyo, che ha probabilmente la più grande selezione di spartiti di musica di videogiochi al mondo, un piano intero dedicato. Ho visto anche in Corea e in Cina il settore è in espansione”.
GR: “Questo per noi è un sogno però! Perché per esempio, per il nostro Murasaki Baby, un gioco indie, decisamente artistico e che quindi non ha avuto un pubblico enorme, ha degli affezionatissimi che mi dicevano 'dove compro la colonna sonora?' e io non sono riuscito alla fine a convincere Sony a pubblicare la colonna sonora. Sono riuscito a farlo un paio d'anni fa per conto mio, ovviamente chiedendo il permesso a Sony, su Bandcamp. Questo dopo tantissimi anni dove la gente continuava a scrivermi 'ma dove la compro?'. Purtroppo, in occidente non abbiamo questa cultura proprio del Medium che può vivere in maniera indipendente anche al di fuori di esso”.
R: “Ci sono isole felici. Qua in occidente è ancora raro, ma spero che nei prossimi anni diventerà qualcosa di più diffuso; anche qua ci vuole ancora del tempo. Ma ho dei feedback positivi. Per cui speriamo assolutamente che sia come in Asia".
GR: “Per me non c'è niente di più bello di vedere una colonna sonora di videogame su un vinile. Una meraviglia".
Qual è la prima colonna sonora, il primo componimento per un videogioco che vi ha convinto di come questo tipo di musica è forse la forma più profonda e complessa di comporre degli ultimi venti, trent'anni? Io che sono da sempre stato appassionato di musica classica romantica, quando ho sentito la colonna sonora di Xenogears di Yasunori Mitsuda lì ho detto: “è come sentire qualcosa composto da Stravinskij, da Šostakovič", insomma, da uno dei grandi del '900.
R: “Non riesco a sceglierne solo uno, quindi te ne dico due: Vagrant Story di Sakimoto e Parasite Eve di Yoko Shimomura”.
GR: “Beh, io devo andare un po' indietro. Dico Agony di Psygnosis, che è nelle mie radici. Però ecco, volendo essere un po' più moderni, direi che sicuramente Journey di Austin Wintory, suonato tra l'altro da Tina Guo, con il quale ho avuto anche il piacere di collaborare”.
Secondo me non c'è nessuna forma, come dicevo prima, nessuna composizione attuale che ha la dilatazione, la profondità e la complessità di quella di un videogioco.
R: “Sono molto d'accordo. Io questo l'ho riscontrato quando ho cominciato ad ascoltare in maniera più consapevole. Uno dei miei grandi idoli, oltre a Sakimoto, è Sugiyama per Dragon quest e lì ho cominciato davvero ad apprezzare quanto dici, soprattutto studiando, ad esempio il lavoro di Mitsuda”.
GR: “Sicuramente, appunto, se ci soffermiamo sul fatto che la musica di per sé, e questo vale sicuramente anche nel cinema, detiene le chiavi delle emozioni. Mentre il suono può fare tantissime cose, può avere degli indizi anche sulla matericità degli oggetti, la musica possiede le chiavi emotive e quindi in un videogame, dove siamo stati abituati a credere, che non ci potesse far piangere, abbiamo cominciato a renderci conto che potevamo anche farlo. Questo soprattutto quando la musica ha cominciato a liberarsi, un po' anche per una questione tecnica, cominciando a un certo punto a utilizzare gli strumenti con un'espressività pari a quella di qualunque altro medium. In quel momento si è aperto un universo, perché oggi possiamo avere un forte carico emotivo da un videogame, e 90 su 100 direi che quel carico emotivo arriva dalla musica”.
Può quindi la musica essere estrapolata dal videogioco per vivere in una sua dimensione assoluta? Quindi vivere al di fuori di quel videogioco e magari diventare musica per altri media come il cinema? Per esempio, La Cavalcata delle Valchirie utilizzata in Apocalypse Now rivive una sua corrispondenza, una nuova vita che però non risulta offensiva per la musica stessa. Un appassionato di musica che non ha videogiocato, può apprezzarla nella sua forma più pura, senza avere il ricordo, la memoria del videogioco, anche avendo corrispondenza con altre immagini o con altre espressioni artistiche?
GR: “Tu stai parlando del 'Demone di Morricone'. Morricone era ossessionato da questa domanda. Lui ha fatto per tutta la vita la musica da film, ma lui in realtà non voleva fare quello. Lui voleva fare quella che lui chiamava la 'Musica Assoluta' e odiava essere ricordato per la sua musica sempre a servizio di qualcos'altro. Quindi è stato un incubo per lui, che lo ha accompagnato fino alla fine.
Secondo me è un discorso di contenuto, nel senso che un musicista, fa musica non legata a nessun medium. È chiaro che dentro quella musica mette un messaggio in qualche modo. La musica è appunto un veicolo di emozioni. È chiaro che una musica creata per un videogioco e le emozioni che hanno creato quella musica fanno parte di quel medium ma nessuno vieta di ascoltare pezzi al di fuori di quello che è il videogioco o il cinema”.
R: “Assolutamente d'accordo, ma infatti all'atto pratico, lo so, ci sono tantissime persone che vanno ai vari concerti legati alla musica dei videogiochi ma non videogiocano. Ci vanno perché adorano la musica, magari tramite i figli che li giocano. Ci sono genitori che si sono appassionati per la musica dei videogiochi, ci sono playlist intere su Spotify ascoltate da persone che non hanno mai videogiocato”.
GR: “Infatti! Secondo me, la cosa più interessante è quando viene chiamato a fare musica per un videogioco chi non ha mai fatto questo. The Last of Us è un ottimo esempio visto che Gustavo Santaolalla non aveva mai videogiocato, ed è successo la stessa cosa anche a noi con Last Day of June, dove abbiamo chiamato Steven Wilson. Last Day of June è nato da da uno spin-off di un videoclip di Steven, che ci ha ci ha detto “guardate io sono disposto a fare questa cosa, ma io non ho mai fatto musica per un videogioco, non ho neanche proprio idea di cosa siano i videogiochi”. Questo secondo me è un plus assoluto perché poi si creano effettivamente cortocircuiti interessantissimi”.
C'è stato spazio anche per un interessante domanda dal pubblico, riferita soprattutto ai suoni creati per l'UI Design e soprattutto per il primo menu di gioco. Qui Ricciardi, vista la sua esperienza, è stato molto contento di poter rispondere.
GR: “È sempre una sfida, perché ovviamente parliamo di sound design completamente astratto. Non sto descrivendo un suono che accade, una porta che si apre o qualcosa di simile; non ho a disposizione tutto quello che può essere la parte materica, quindi posso essere completamente libero di inventare qualunque cosa, un design completamente astratto. Proprio per questo motivo è anche difficile. Quindi ci sono vari approcci: c'è quello un po' più semantico, dove magari i suoni sono associati a determinate cose che accadono in gioco. Possono essere impatti molto forti, come ci ha insegnato Doom, oppure possono essere suoni più elettronici nel caso di un gioco sci-fi. Quindi diciamo che si fa uno studio: sonorizzare è qualcosa che richiede comunque uno studio po' concettuale, cioè quello che io voglio comunicare al giocatore. Considerate che tra l'altro la UI è forse la prima cosa che sentite in un videogioco. Prima ancora di iniziare a giocare, io comincio già a spostarmi nei menu e questa cosa è un po come dire, 'ok, stai entrando in questo mondo, io ti devo accompagnare e devo cominciare a farti entrare in un universo sonoro in grado di portarti per mano dentro quel mondo lì'. Sembra una roba così di poco conto, ma non lo è affatto. È anche molto difficile. Probabilmente io ai miei alunni, essendo che insegno anche game audio, dico sempre 'quando arriverete a fare le UI vuol dire che avete siete arrivati', perché è proprio la parte più difficile”.
Per Richter invece, la questione menu riguarda solo la parte musicale, anche questa una parte fondamentale visto che essenzialmente si tratta di un “biglietto da visita” in grado di mostrare il mood del gioco che si sta per giocare.
Questo è il resoconto del panel dedicato alla musica e al sound design nei videogiochi. Un argomento estremamente complesso ma che Richter e Ricciardi hanno saputo raccontare al meglio. Non era così scontato.