Harukichi Shimoi: il giapponese che diventò "ardito" per seguire D'Annunzio
Scopriamo chi fosse davvero il "camerata samurai" del poeta italiano che abbiamo visto rappresentato nella serie Sky
di Hachi194
L'attore italiano di origini nipponiche Taiyo Yamanouchi interpreta infatti Harukichi Shimoi, un giapponese innamorato dell'Italia. Venuto nel nostro Paese per studiare Dante, finì per combattere nella Prima Guerra Mondiale, per poi intraprendere la carriera di professore a Napoli. Fu anche grande amico di Indro Montanelli. Ma andiamo con ordine.
Harukichi Shimoi nacque a Fukuoka il 20 ottobre 1883, quarto figlio di Kikuzō Inoue, discendente di samurai. Al termine delle scuole medie, si trasferì con tutta la famiglia a Tokyo. Nel 1907 fu adottato da Kasuke Shimoi e cambiò il suo cognome in Shimoi appunto dopo averne sposato la figlia, Tomishi. Studiò sotto il poeta Bansui Doi e nel 1911 fondò il club di conferenze Ōtsuka, famoso per le sue recite di fiabe. Diventato professore in due istituti femminili (medie e superiori), si iscrisse come studente al dipartimento italiano dell'Università degli Studi esteri di Tokyo, dove imparò l'italiano.
Innamorato della cultura e della lingua, decise di partire per l'Italia per studiare Dante e alla fine si ritrovò nel 1915 a insegnare la sua lingua all'Università Orientale di Napoli, città in cui si integrò benissimo, tanto da saper parlare bene anche il napoletano.
Poeta, traduttore, scrittore, amava gli scambi culturali e attraverso Gherardo Marone, il caporedattore della rivista letteraria La Diana, conobbe intellettuali come Giuseppe Ungaretti, Elpidio Jenco e Benedetto Croce; a sua volta fece conoscere poeti giapponesi come Tekkan Yosano e Isamu Yoshii, mentre tra gli autori italiani da lui tradotti figurano D'Annunzio e Dante. Per il sommo poeta, Shimoi promosse addirittura la costruzione di un tempio a lui dedicato a Tokyo, costruendo la più grande biblioteca dantesca in Oriente.
Negli stessi anni però l'Italia era coinvolta nella Prima Guerra Mondiale e su suggerimento del generale Armando Diaz, Harukichi Shimoi decise di partire per il fronte per seguire il conflitto da corrispondente del giornale Asahi Shinbun e raccontare così la vita della trincea. Vita che lo affascinò a tal punto da arruolarsi come volontario nel Regio Esercito, entrando poi a far parte degli Arditi, un ramo dell'arma di fanteria, costituita in autonomi reparti d'assalto.
Decise di raccontare le sue imprese in un pugno di lettere, raggruppate poi a fine conflitto in un opuscoletto, La guerra italiana vista da un giapponese, uscito per le edizioni La Diana nel 1919. In queste vesti, insegnò ai suoi commilitoni l'arte del karate e conobbe Gabriele D'Annunzio, il poeta italiano più famoso dell'epoca, incontro che segnò probabilmente la sua vita in modo definitivo.
Fra i due nacque una profonda amicizia, tanto che tradusse diverse sue opere, progettò e organizzò con lui di compiere il volo propagandistico Roma-Tokyo terminato dall'aviatore Arturo Ferrarin e poi lo seguì a Fiume. Svolse la funzione di ufficiale di collegamento tra i legionari e Benito Mussolini, all'epoca a capo dei Fasci italiani di combattimento e direttore de Il Popolo d'Italia, sfruttando il suo passaporto diplomatico che gli permetteva una grande libertà di movimento. D'Annunzio soprannominò Shimoi "camerata Samurai" e "samurai di Fiume".
Trasportando segretamente le lettere tra Gabriele D'Annunzio e Benito Mussolini, divenne amico e confidente di quest'ultimo tanto da partecipare nel 1922 alla marcia su Roma e da convincerlo ad essere testimonial per una bibita nipponica. Nel 1925 fondò il suo movimento politico ultra- patriottico, chiamato Kokoku seinento (Il partito della Gioventù Imperiale). Nel 1934 fece da interprete, durante la sua permanenza in Italia, a Jigorō Kanō, fondatore del judo, dando così una spinta fondamentale allo sviluppo di questa disciplina in Italia.
Rientrato in Giappone, si prodigò per l''avvicinamento politico fra Italia fascista e Giappone imperiale, che culminerà nel 1940 con la firma del patto tripartito.
Shimoi fu uno dei più noti sostenitori giapponesi del fascismo italiano, vedendo alcune analogie tra i principi fascisti e i valori tradizionali della cultura giapponese, in particolare il Bushido. Nonostante questo, Shimoi non lo promosse mai in Giappone, considerando tale movimento un fenomeno culturale unicamente italiano, ipotizzando invece di dare vita a una forma di fascismo imperiale, più indirizzata ad una rivoluzione spirituale dell'individuo, ancor prima che politica.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Shimoi fu assunto dal “Corriere della Sera” come corrispondente da Tokyo. Deluso dall'esito della Seconda Guerra Mondiale, Shimoi si allontanò dalla politica. Nel 1949 pubblicò una serie di articoli nei quali espresse tutta la nostalgia per l’Italia, per Napoli, e per le tradizioni culturali, folkloristiche e religiose del nostro paese.
Ma la vita gli aveva riservato un ultimo importante incontro: conobbe e divenne amico di Indro Montanelli, giunto in Giappone per dei reportage al quale fece da guida in giro per il paese. Durante un'intervista con il giornalista, si dichiarò fiero delle scelte fatte e insultò in perfetto napoletano un giornalista americano presente all'incontro, esternando così tutto il rancore maturato nei confronti del popolo che a detta sua aveva distrutto il Giappone e che lo stava accusando di propaganda a favore dell'Asse. Morì il 1 dicembre 1954.
Fonte consultata:
Wikipedia