Tales of Graces f Remastered: un gradito ritorno - Recensione

Torna con una nuova versione uno dei Tales più amati

di TWINKLE

A Lhant, un viillaggio del regno di Windor, tre bambini, Asbel Lhant, Hubert Lhant, figli del Lord del luogo, e Cheria Barnes, loro amica d’infanzia cagionevole di salute, incontrano su un prato fiorito una ragazza affetta da amnesia, che decidono di chiamare Sophie. Quello stesso giorno, Lhant riceve la visita di Richard, il principe di Windor, il quale stringe un patto di amicizia con Abel e Sophie, dopo essere stato salvato da un attentato alla sua vita. Una volta che il principe fa ritorno a Barona, la capitale di Windor, Abel decide di andare a trovarlo, nonostante i continui rimproveri del padre e il divieto di lasciare la sua residenza. Accompagnato da Sophie e ricongiunto con Cheria e Hubert, su invito di Richard i quattro si intrufolano in un passaggio segreto del castello, senza immaginare quello che vi avrebbero trovato...



Sul finire del 2009, Tales of Graces è senza dubbio un’operazione produttiva interessante, quasi d’antan o comunque distante dalla prassi contemporanea ruolistica giapponese della sua generazione, che vedeva una netta distinzione, concettuale ma anche di budget tra chi, come la Square Enix del coevo Final Fantasy XIII e la Sega pre-Atlus di Resonance of Fate, si impelagava con gli astrusi circuiti di PS3, e chi invece preferiva il più confortevole ambiente a 256X192 pixel del Nintendo DS, come il Dragon Quest IX prevedibile campione d’incassi di quell’anno. In un democristiano inciucio alternato tra i sistemi del periodo (Vesperia su Xbox 360, Graces su Wii e Xillia su PS3) il fu Tales Studio, almeno in questa fase, non perde la rotta e allaccia il percorso artistico di Tales of Destiny 2 e Rebirth alle intuizioni dell’altra corrente della serie, dove prima Symphonia e poi Abyss furono artefici di creare uno stile riconoscibile, facendosi portavoce di un modo di fare jrpg immediato e accessibile, ma non per questo trascurato, nonostante un ritmo di uscite di quel periodo che potremmo definire industriale.
Graces ha una notevole capacità nel reggere il ritmo interno dei dialoghi nei momenti che servono e una propensione alla commedia sicuramente derivativa, del passato più o meno recente dell’animazione giapponese, ma che a questo punto dopo oltre dieci capitoli possiamo definire Tales-like, nel suo modo di porsi quasi sempre funzionale al racconto e raramente sopra le righe. Se in gran parte delle situazioni Tales of Graces appare prevedibile, dato che Namco sceglie di seguire alla lettera non pochi cliché di riferimento del genere, dall’infiltrazione nel castello al mostro del deserto che ci divora tutti interi (con tanto di battuta "dovremmo uscire dal retro" verso cui non ha resistito neanche il recente Metaphor), dall’altra il gioco è rinvigorito proprio dai personaggi, sorprendentemente tridimensionali, e dal modo con cui questi affrontano una vicenda poco originale ma che alla fin fine svolge il suo compito senza troppi indugi.



Fin da Kingdom Hearts II e quel suo prologo con Roxas, rimasto impresso in quell’ormai lontano 2006 al punto da farmi dimenticare tutto il resto di quel gioco, mi è capitato di riflettere sull’importanza dell’incipit, di come classificare un inizio riuscito o meno, nell’economia di una storia studiata per accompagnarci diverse decine di ore. C’è chi ama essere catapultato subito nella azione di una Bombing Mission, e c’è chi invece predilige approcci più rilassati, nel più classico dei villaggi sperduti. L’inizio di Tales of Graces è perfetto, un protagonista ansioso di crescere e dimostrare al mondo il suo valore, compiendo una sciocchezza dietro l’altra, un classico incontro voluto dal destino con una ragazza misteriosa che, fin da Laputa, ritroviamo ciclicamente in questo tipo di storie, la promessa di amicizia eterna vista in tanti anime, e un evento nefasto atto a determinare una brusca rottura nella spensieratezza giocosa e infantile di un gruppo di amici. Qui non si tratta di una mera scala di valori fatta di giocabilità-storia-ritmo che ormai usano soltanto certi youtuber che si credono critici, sulla quale in ogni caso Graces si posizionerebbe su scalini alti, ma di una prospettiva intimista che spesso manca ai giochi di ruolo di nuova generazione. Trovarsi a vivere un flashback, laddove ben scritto come questo, non significa solo imbattersi in un “passato toccante”, ma equivale a entrare in empatia con i personaggi, dalla porta di servizio delle loro vite e ciò che ne tessa le fila, dove le regole della logica sono sovvertite dal sentimento, da una naturale sensibilità, rafforzando in questa maniera quella che sarà la storia principale e le sue tematiche.



La continuità stilistica con il “Team Destiny”, contrapposto all’epoca al “Team Symphonia”, risponde al nome del director Kazuya Ishizuka, ma soprattutto alla character design Mutsumi Inomata, e non ce ne voglia Kōsuke Fujishima se diciamo che i suoi personaggi hanno sempre avuto quel qualcosa in più, entrando in sintonia con la serie come pochi altri, fin dal processo di concepimento, ma del resto stiamo parlando di una delle migliori artiste degli ultimi quarant’anni e fa ancora un male dell'anima dover adesso parlare di lei al passato. Quando si tratta di party nei jrpg, i giudizi a riguardo vertono o verso l’insieme, oppure in pochi elementi polarizzanti. Nei Tales, vi sono storie che si focalizzano attorno ad una coppia di protagonisti (Symphonia, Destiny 2, Arise) mentre altre fanno un lavoro migliore nel destreggiarsi tra i loro archi narrativi, valorizzando anche i comprimari (Abyss, Xillia, Berseria).
Il precedente e qui vergognosamente inedito Rebirth in questo fece un lavoro eccellente, l’intero gruppo aveva un ruolo da svolgere in un equilibrio magistrale, depotenziando il protagonista. Ebbene Graces, confermandone buona parte dello staff, segue a ruota. Spesso si sente dire che Graces ha un ottimo sistema di combattimento e una storia blanda, non so la gente a cosa ha giocato nel 2012 o se sapesse l’inglese, i dubbi a proposito emergono quando leggi queste cose perché ad avercene di storie come quella di Graces, che di certo poco ha da invidiare alle altre, come se i toni edgy di un Berseria bastasse a sopperire i problemi di pacing della parte centrale (tornando al discorso dell'importanza dell'inizio, a proposito), ma pare che il dibattito attorno ai jrpg avvenga ormai tramite frasi preconfezionate e cementate nel tempo. Asbel è il tipico eroe da rpg che “sogna di fare il cavaliere per proteggere tutti” salvo poi fare i conti con la dura realtà e la sua debolezza, dovendo poi fare ammenda con i suoi errori. Nel mentre, il nostro eroe viene trattato come una pezza un po’ da chiunque, una cresciuta Cheria vi si approccia con freddezza perché si è sentita abbandonata, Hubert guarda suo fratello dall’alto verso il basso perché lo vede come uno che ha abbandonato la sua patria (e anche lui soffre di un complesso di abbandono da parte della sua famiglia), Richard gli volta le spalle alla prima occasione utile.



Unico punto fermo, di irrazionale certezza, nel suo essere mistero di per sé, sembra essere questa misteriosa Sophie, che dice ad Asbel “no guarda, ti proteggo io”, riapparsa improvvisamente sette anni dopo senza essere cambiata di una virgola, come se fosse tornata effettivamente per permettere a tutti di fare i conti con il proprio passato. E infatti è lei, l’elemento catartico che fa calare le maschere del rancore e della tristezza: Cheria sotto la sua aria da adulta vorrebbe tornare a fare le scemenze ricominciando a sorridere (e arrabbiarsi da brava tsundere), Hubert inizia ad apprezzare gli sforzi del fratello, Malik ne riconosce il valore fin dall’accademia e Pascal riporta un po’ di allegria con la sua leggerezza. Tutto questo nelle prime dieci ore circa, in cui Abel si fa trascinare a destra e a manca senza un preciso obiettivo (cosa comunque abbastanza comune) al che ci si potrebbe chiedere come il gioco ha intenzione di riempire tutto ciò che ne consegue, e sarebbe un dubbio legittimo perché qui Graces, parimenti al repentino ritorno al ruolo di fidanzatina tsundere di Cheria, si adagia sul collaudato: visita questa nuova città, risolvi questo problema, esplora quelle rovine di un’antica e avanzata civiltà, in un’impalcatura sicuramente familiare ma comunque abbastanza gradevole, inceppandosi in alcuni atti finali del percorso. Se il tutto regge è grazie anche a questo utilizzo delle skit rompi-tensione, di intervalli anti-intorpidimento ludico, delle scenette post-combattimento, un gioco dialettico che fa prendere fiato e dona colore in una attitudine abituaria al viaggio altrimenti artificiosa, una metodologia che solo Tales, non Atlus, non Square, non Monolith (per l’amor del cielo), ma solo Tales, sa fare, e quando hai qualcosa di tuo e di riconoscibile, che altri tentano di emulare non sempre riuscendoci, allora meriti di spegnere con un certo orgoglio le trenta candeline.



Tales of Graces manda quasi in pensione il Linear Motion System, dico “quasi” poiché, pur collocandosi in un’ambiente totalmente tridimensionale, il personaggio rimane legato al nemico tramite un filo invisibile. Una volta che questo arriva in prossimità dell’avversario, può aggirarlo servendosi di repentini passi laterali fino ad arrivargli alle spalle, in questo modo può schivare gli attacchi e iniziare a sua volta un contrattacco. Ogni personaggio ha due sistemi di abilità: Assault Artes, che sono combo predeterminate, e Burst Artes, ovvero le tecniche impostabili su input specifici, l’unione tra le stesse permette una concatenazione di attacchi mai vista prima, le Mystic Art (L1) si attivano unicamente durante una combo. La capacità di combo (CC) indica il numero di abilità e azioni che un personaggio può eseguire, come fosse la sua stamina. Durante la battaglia, il giocatore e il nemico hanno un indicatore Eleth che, quando riempito, garantisce CC illimitato e resistenza allo stordimento. La progressione dei personaggi passa attraverso i Titoli, i quali andranno equipaggiati per sbloccare suoi potenziamenti tramite i punti abilità guadagnati in battaglia, che possono essere aumento di statistiche, nuove abilità o anche costumi.



Graficamente questo Tales è gradevole, nonostante si tratti di un gioco originario Wii, quindi non di due ma di tre generazioni fa, anche se ormai parlare di generazioni console ha sempre meno senso, specie se riguarda le produzioni nipponiche. Come nel precedente Vesperia, la telecamera non è ancora manovrabile dal giocatore bensì segue una sua regia, questo però permette una cura del dettaglio e una pulizia dell’immagine, nelle città come nelle altre location, decisamente apprezzabile nella sua semplicità. Ironicamente, Graces pare risentire meglio del passare degli anni rispetto al più recente e aperto Zestiria. Un anno dopo l’uscita su Wii, Tales of Graces viene portato su PlayStation 3 in una versione rimasterizzata e migliorata dal titolo Tales of Graces f. Il porting, oltre a giovare di una grafica in alta definizione, aggiunge una "Accelerate Mode" al gameplay, possibilità di installare il gioco su hard disk riducendo i caricamenti, nuovi titoli e soprattutto una corposa after-story intitolata Lineage & Legacies. In occidente il gioco arriverà nel 2012 direttamente tramite questa versione. In occasione delle celebrazioni del trentesimo anniversario della serie, il dodicesimo Tales viene ora riproposto su PS4, PS5, Xbox, Switch e PC con Tales of Graces f Remastered, che aggiunge nuove funzioni alla quality of life come il salvataggio automatico, skip dei dialoghi, possibilità di disattivare gli incontri con i nemici, oltre a permettere, per la prima volta, di giocarlo con doppiaggio giapponese e traduzione in italiano. La risoluzione va da un massimo di 3840x2160 su PS5, Xbox Series X e PC ad un minimo di 720p per Switch in versione portatile, con in mezzo i 1080p su PS4, Xbox One, Switch docked e i 1440p per quanto riguarda le mid-gen e Series S. Il frame rate è dichiarato a 60 in tutte le piattaforme Sony e Microsoft, mentre Switch è l’unica versione a girare a 30. Probabilmente nessuna di queste novità farà esclamare “must buy” a chi ha già spolpato il gioco su PS3, ma quantomeno come remaster denota una cura sicuramente migliore rispetto a quella riservata a Tales of Symphonia qualche anno fa, proposta ad un prezzo abbastanza onesto e con il rassicurante sentore che a questa ne seguiranno altre.

Versione testata: PS5, disponibile dal 17 gennaio anche su PS4, Switch, Xbox e PC.

Per quello che potremmo definire un Tales tanto tradizionale quanto moderno nelle meccaniche, prima che Xillia si ponga da ponte artistico tra le due correnti della serie, Graces merita un posto speciale e una meritata rivalutazione. Il prologo non è semplice orpello ma piuttosto qualcosa che si impone sulle vite dei personaggi attraverso un’intesa di rapporti di amicizia, tra piccoli e grandi traumi, che scatenano future contese. Graces non è né paradigma di originalità né di un world building scritto da chissà quale emulo tolkeniano, ma nella sua riconoscibile genuinità riesce a sviluppare il suo intreccio in maniera tutt’altro che sterile, gestendo bene i tempi e facendo della sua natura derivativa una fonte di strumenti ed espedienti fini a rimanere nella memoria, e dopo tredici anni è cosa provata.


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