The Boy and the Beast: Trailer ita, pressbook e intervista a Hosoda
di Slanzard
CAST TECNICO
Scritto e diretto da MAMORU HOSODA
Basato su una storia originale di MAMORU HOSODA
Direttore dell’animazione TAKAAKI YAMASHITA
TATSUZO NISHITA
Direttori artistici TAKASHI OMORI
YOHEI TAKAMATSU
YOICHI NISHIKAWA
Musiche originali MASAKATSU TAKAGI
Vendite internazionali GAUMONT
Un film prodotto da STUDIO CHIZU
SINOSSI
Kyuta è un bambino senza genitori. Smarritosi per le vie di Tokio, si ritrova in un universo parallelo dove incontra Kumatetsu, una creatura simile ad un orso che lotta per vivere. Kumatetsu prende Kyuta sotto la sua protezione e gli insegna tutti i segreti dell’arte del combattimento.
Ormai cresciuto, il giovane Kyuta torna a Tokio mosso dal desiderio di riscoprire le sue origini. Lì scoprirà l’amore e una verità che non credeva più possibile...
Ma proprio nel momento in cui sembrava raggiunta la serenità, i nemici del passato si ripresentano minando la sicurezza dell’intera città. Sarà pronto Kyuta per dimostrare a Kumatetsu di essere il più forte?
INTERVISTA CON MAMORU HOSODA
Quanti anni le ci sono voluti per scrivere, ideare graficamente e dirigere il suo nuovo film The Boy and the Beast?
Il mio film precedente, Wolf Children, è uscito in Giappone nel 2012 ed è consuetudine del nostro studio non cominciare a lavorare ad un nuovo film prima dell’uscita e della fine della promozione del nostro film precedente. Non ho iniziato a pensare a The Boy and the Beast durante la fase di produzione e di uscita di Wolf Children, ma solo dopo, perché preferisco prendermi il tempo per osservare e comprendere la reazione del pubblico di fronte a un film, prima di iniziare il mio progetto successivo. Perciò è stato solo all’inizio del 2013 che ho iniziato a riflettere, per circa un anno, su questo film, assieme al mio team. In seguito, ho impiegato sei mesi per scrivere la sceneggiatura, che ho completato nel febbraio del 2014, e poi, un mese dopo, abbiamo iniziato a preparare gli storyboard. L’animazione del film era divisa in quattro parti. Abbiamo iniziato a lavorare sulla prima a maggio, e alle altre dal giugno 2015, e per un periodo di undici mesi.
In Wolf Children il pubblico si schiera dalla parte della madre che sacrifica se stessa per i suoi figli, e che deve accettare di lasciarli andare e di scegliere il loro destino come esseri umani o come lupi. In The Boy and the Beast, seguiamo le vicende del giovane Kyuta, che impara a vivere senza i genitori, e che deve, ugualmente, scegliere tra il mondo umano e quello degli animali. Come mai questa esplorazione dei legami famigliari alimenta così tanto il suo lavoro come autore e regista?
Quando ho deciso di diventare regista e di dedicarmi all’animazione non avrei mai immaginato che avrei dedicato un film al tema della famiglia, e più precisamente al destino di una madre. Ma poi, ho diretto Wolf Children. Quel film era una riflessione sulla mia vita personale, perché a quei tempi mia moglie ed io stavamo provando ad avere un bambino, ma sfortunatamente non ci riuscivamo. Ho cercato un modo per consolarla durante quel periodo così difficile, qualcosa che le facesse provare le gioie della maternità. È stato per questo che ho deciso di scrivere e dirigere Wolf Children, per far sì che lei si sentisse madre mentre lo vedeva. E poi il destino ha voluto che finalmente rimanesse incinta proprio durante la lavorazione del film. Abbiamo avuto la fortuna di diventare genitori di un bambino a settembre del 2012. Poi la nostra famiglia è cresciuta ulteriormente con l’arrivo di una bambina. Questo mi ha permesso di comprendere quanto diventi complicata la vita dei genitori quando hanno un bambino di cui prendersi cura, perché gli dedicano gran parte della loro vita. Mi sono anche reso conto che non sono solamente la madre e il padre a crescere i loro figli, ma tutte le persone che gli stanno attorno. In ogni fase della vita, quell’entourage cambia. È questo che ho visto mentre osservavo mio figlio crescere, ed è stato ciò che ha influenzato la creazione di questo film…Quando si dedica un film al tema della famiglia, molte persone immaginano che lo si stia facendo per ragioni commerciali. Perché è un tema nel quale tutti s’identificano. Ma non è così che ragiono: quello che m’interessa di più è trarre ispirazione dalla mia vita personale. È quasi una necessità per me scrivere e dirigere questa tipologia di film, che si basano sulle mie esperienze di vita. Devo dire che, poiché mi fido solo di quello che la mia vita mi ha insegnato, qualche volta mi domando se queste cose avranno un effetto negli spettatori e se saranno all’altezza delle loro aspettative! Vorrei anche aggiungere che sono seriamente preoccupato riguardo a un problema molto serio che affligge il Giappone: L’invecchiamento della sua popolazione, causato dall’attuale basso tasso di nascite. La nostra società sta cambiando perché il numero di bambini che nascono sta diminuendo in maniera consistente. The Boy and the Beast non racconta la storia di una famiglia comune, ma parla del gruppo che si forma attorno a Kyuta, che diventa la sua famiglia surrogata. Credo sia particolarmente importante parlare dell’attuale ruolo sociale della famiglia.
In The Boy and the Beast, così come in Wolf Children, troviamo la stessa attrazione verso il mondo animale, la libertà, e il piacere di lasciarsi sopraffare dall’istinto, anche quando questo crea una rottura con il normale percorso di un individuo nella società…
Credo che tendiamo ad analizzare le cose da un punto di vista troppo limitato a riferimenti legati alla vita urbana, dimenticandoci da dove proveniamo. È questa la ragione per la quale, quando parlo di ‘noi uomini’, spesso mi riferisco agli animali, sia come esseri che una volta erano nostri cugini più prossimi, che come membri della società umana. È per questo, che spesso utilizzo gli animali come personaggi.
Più precisamente, in The Boy and the Beast, gli animali rappresentano la libertà dalle costrizioni sociali?
Nel film, il ragazzino va avanti e indietro tra il mondo degli animali e il mondo umano. Ho creato il Jutengai, l’universo animale, perché volevo che i personaggi non-umani giudicassero il mondo degli esseri umani. Grazie a questo sguardo dall’esterno possiamo evidenziare ancor meglio gli aspetti più strani delle nostre vite, quelli a cui non facciamo attenzione, perché sono così ben radicati nella nostra quotidianità: le nostre costrizioni, i momenti in cui ci sentiamo privati della libertà, le convenzioni sociali …E così, alcuni pensieri che occupano tanto spazio nelle nostre menti appariranno relativamente semplici o pressoché privi d’importanza agli occhi dei personaggi del Jutengai, che hanno punti di vista differenti, e un modo diverso di approcciare le questioni.
The Boy and the Beast è un racconto d’iniziazione. Ritiene che sia accurato dire che nei suoi film, i racconti d’iniziazione si focalizzano sulla libertà e sulla trasgressione delle regole stabilite?
Sì, è vero, è proprio uno dei temi comuni di tutti i miei film. Vorrei chiarire qualcosa riguardo al titolo del film, perché nella traduzione francese (e inglese) le parole bête/beast sono leggermente diverse dal significato della parola “bakemono”, utilizzata nel titolo originale giapponese. “Bakemono” indica qualcosa di bestiale, ma nel senso negativo del termine, che, ad esempio, evoca un essere mostruoso, molto diverso da un essere umano. Questa immagine del mostro è molto presente nelle nostre menti, ma, paradossalmente, nella vita reale spesso osserviamo che gli esseri umani agiscono in maniera molto più crudele rispetto alle creature immaginarie più terribili. Mentre, nelle leggende, alcuni mostri agiscono in maniera empatica, dimostrando sensibilità, e finiscono per fare del bene. Volevo giocare su questa contraddizione, giustapponendo il mondo reale e il mondo animale del Jutengai, quando Kyuta passa da un universo all’altro. Ovviamente, il racconto comincia quando il nostro giovane eroe si ritrova nel Jutengai, alla ricerca della libertà, trasgredendo le regole del mondo umano.
Ha preso ispirazione da qualche leggenda giapponese in particolare quando ha immaginato il Jutengai?
Sì, da molte leggende giapponesi, ma anche cinesi. In Giappone ci sono moltissime fiabe che parlano degli “yokai” (fantasmi, spiriti, misteriosi esseri soprannaturali) o mostri. Per quanto riguarda le influenze cinesi, invece, c’è la famosa leggenda del Re Scimmia, che mi ha dato l’idea per Hyakushubo e Tatara, gli amici e compagni di viaggio di Kumatetsu. Ma non volevo neanche che l’influenza cinese fosse troppo forte nella storia. È per questo che descrivo festività che celebrano le nostre numerose divinità, prendendo spunto dalla cultura politeistica giapponese; o quando ci riuniamo per assistere ai combattimenti di Sumo tra guerrieri che sono semidei, dotati di grandi poteri. Per me, l’equivalente moderno di quelle festività è rappresentato dal distretto di Shibuya di Tokyo.
Come mai Kumatetsu, il mentore di Kyuta, è un orso? Questo animale ha forse qualche particolare significato simbolico in Giappone?
Sì, perché in un racconto che tutti i bambini giapponesi conoscono, un ragazzino di nome Kintaro combatte regolarmente con un orso, e così facendo acquisisce grande forza. Lì l’orso è un simbolo dell’iniziazione alla vita, e della crescita di un bambino, che diventa un uomo. Credo anche che sia l’animale indigeno più forte del Giappone. Inoltre, in quei racconti combattere con la spada è simbolo anche di emancipazione e di crescita.
C’è qualche film di animazione in particolare che l’ha influenzata, quando ha creato The Boy and the Beast?
Sì. Tutto risale a quando fui assunto dagli studi di animazione Toei, nel 1991. A quell’epoca mi piacevano talmente tanto i film di animazione della Disney, che comprai un cofanetto in dvd che all’epoca costava una tombola rispetto al mio magro stipendio di animatore in erba! Uno dei cartoni animati contenuti nel cofanetto era la versione Disney de La Bella e La bestia, che ebbe un profondo impatto su di me. M’ispirò moltissimo, perché in quella storia si vede l’evoluzione che compie la bestia: all’inizio è terrificante, ma poi quando conosce Belle diventa dolce e gentile. Poi mi venne voglia di vedere la versione di Cocteau, che mi piacque anche molto. Proprio come la versione Disney, mi fece venir voglia di fare il regista. E confesso anche una certa influenza nel titolo The Boy and the Beast!
Kumatetsu incita Kyuta a scoprire la forza dentro di lui, che lui ignora. È forse un modo per dire ai giovani spettatori di credere in se stessi e di scegliere da soli il loro cammino nella vita?
Molti film descrivono il rapporto maestro\discepolo, ma in molti casi vediamo i discepoli che si elevano al livello dei loro maestri, spesso sorpassandoli. È una cosa che accade spesso nei film di Jackie Chan, ad esempio. In The Boy and the Beast, anche se la situazione inizialmente obbliga Kyuta a fare ciò che gli dice Kumatetsu, ci rendiamo presto conto che non è solo il maestro che istruisce l’allievo, ma che spesso avviene anche il contrario. L’insegnamento non è una strada a senso unico, e questa cosa si capisce anche dai dialoghi del film. Credo che lo stesso valga nei rapporti tra genitori e figli, dove ci s’insegna a vicenda le cose. E poiché parlo spesso della famiglia nei miei film, sono tutti temi che riaffiorano spesso, perché li considero davvero importanti.
Il passaggio in cui Kumatetsu tramanda la sua conoscenza, simboleggiato dal momento in cui Kyuta entra in possesso della spada, è forse il suo modo di rendere omaggio ai mentori che s’incontrano nella vita? Lei ha dei mentori nell’animazione?
Sì, avevo una specie di maestro nella mia vita, quando lavoravo alla Toei Animation. A quel tempo era uno studio molto grande, dove lavoravano cinquanta registi, tra veterani ed esordienti. Essendo un animatore lavoravo per dei registi, ed uno di essi era Shigeyasu Yamauchi, che praticamente mi ha insegnato tutto quello che c’è da sapere sull’animazione. Ha diretto le versioni cinematografiche di Dragonball Z e dei Cavalieri dello Zodiaco. Ero pronto a lavorare duramente per lui, e a sacrificarmi più che per qualsiasi altro regista, ero pronto a tutto. Ho imparato tantissimo grazie a lui, specialmente a non mollare mai, qualunque siano le difficoltà che s’incontrano durante la realizzazione di un progetto. Questo atteggiamento era in netto contrasto con quello di altri registi che insegnavano che era sufficiente seguire gli ordini dello studio, e che spesso abbandonavano le loro idee. Shigeyasu Yamauchi è sempre rimasto fedele a se stesso e alle sue idee, e il suo modo di lavorare mi ha ispirato enormemente.
Torniamo al punto che rappresenta il cuore del film: pensa che nella vita reale i mentori debbano anche alimentare la loro esperienza aprendosi all’audacia e alle nuove idee dei giovani?
Sì, senza alcun dubbio; inoltre, questa tendenza viene accentuata dal modo in cui la nostra società si sta evolvendo. Nel Giappone del passato recente, l’influenza dei tempi feudali era ancora molto forte, e la gente pensava che una persona più anziana sapesse sempre come affrontare meglio una situazione o un problema, grazie alla sua esperienza, mentre i giovani erano considerati immaturi e, quindi, incapaci di trovare la soluzione migliore. Oggi le cose sono cambiate, e quel modo di pensare è considerato arcaico. I mentori e i maestri ritengono di poter apprendere cose nuove entrando in contatto con i giovani, e in molte situazioni, i giovani riescono a insegnare qualcosa ai più vecchi. C’è una maggiore apertura mentale ed è opinione comune che non ci si dovrebbe privare del piacere di evolversi nella vita, qualsiasi sia la nostra età.
Come ha escogitato l’idea visivamente molto potente del buco nero creato da un dolore che si è incapaci di superare?
Lungo il cammino di un giovane ci sono sempre dei momenti dolorosi che vengono vissuti con particolare intensità durante le crisi adolescenziali. A quell’età, le ragazze e i ragazzi avvertono un senso di vuoto, di mancanza, e osservano con frustrazione tutto ciò che differenzia le loro vite da quelle degli adulti, che hanno la possibilità di agire in maniera indipendente. Sono anche consapevoli delle loro mancanze e imperfezioni, che creano numerosi complessi. È una fase inevitabile della loro esistenza, qualcosa che tutti hanno conosciuto. Volevo usare una forma per esprimere la sensazione di vuoto che affligge i giovani, e così ho pensato che un buco nero potesse essere una rappresentazione grafica efficace di quella sensazione. Aveva il vantaggio di incanalare la sua forza, senza necessariamente essere classificato come buono o cattivo. Personalmente, mi annoi quando le cose vengono raccontate in maniera semplicistica in un film o in un romanzo, e vengono designate come buone o cattive. La vita non ha un approccio così manicheo. Per questo, descrivo quel buco nero come una disavventura, una fase che i due personaggi del film devono affrontare, e ognuno reagisce a modo suo. È sempre per questo che non volevo specificare la natura di questo fenomeno - così come non si può stabilire, quando si vede un vero buco nero nell’universo, dove sia la linea di confine tra luce e oscurità. Nel film, questo elemento rappresenta un momento clou, una catarsi inevitabile che poi permette ai protagonisti di iniziare una nuova fase della loro vita.
Poco fa ha detto che ha preso ispirazione dalle festività che si celebrano nel moderno quartiere di Shibuya, scegliendolo come sfondo per alcune scene del film. Era anche un modo di creare un contrasto ancora più netto con gli ambienti rurali e il mondo feudale del Jutengai?
No, non volevo giocare sul contrasto tra una grande città moderna e una cittadina di campagna, circondata dalla natura. Shibuya è un posto dove si va per divertirsi, per sentirsi felici, per passare del tempo assieme. È caratterizzata da un’atmosfera piacevole e festaiola. Il mood lì è totalmente diverso dai quartieri degli affari della capitale. Non ci sono molti posti come questo in Giappone, ed è per questo che l’ho scelto, anche se non ho cercato di fingere che non ci si possa imbattere in qualche persona svantaggiata o nei rifiuti della società: come nel caso di Kyuta, la prima volta che ci arriva. Si vedono molti giovani che vivono esistenze solitarie. Ma, in generale, è percepito come un quartiere molto vibrante, ed è anche famoso per le sue strade ripide, che gli conferiscono un tocco quasi Mediterraneo. Che è il motivo per il quale hanno chiamato ‘Strada Spagnola’ una strada molto scoscesa che si trova proprio accanto all’immenso centro commerciale Shibuya Parco. Devo dire che è questo che mi ha fatto venire voglia di dare al Jutengai un tocco Mediterraneo, e di circondare la casa di Kumatetsu di strade scoscese e strette.
Alcuni film di samurai sembrano averla ispirata. È facile pensare a quello più famoso, I Sette Samurai di Akira Kurosawa…
È esatto, inoltre, c’è qualcos’altro che posso dirle. La grande spada di Kumatetsu è la stessa di Kikuchiyo, il personaggio interpretato da Toshiro Mifune in I Sette Samurai. Il film di Kurosawa è stato girato in bianco e nero, ma sono certo che se fosse stato a colori avreste scoperto che la spada è rossa, proprio come quella di Kumatetsu!
Cosa la interessa di più del Giappone feudale, le sue ambientazioni e i suoi personaggi? Il codice dei samurai dell’onore e del coraggio? La possibilità di descrivere combattimenti epici?
Non era il codice d’onore di quei tempi che m’interessava. Ma il loro aspetto caotico e la loro vitalità. I Sette Samurai è ambientato poco prima di quello che chiamiamo lo Shogunato Tokugawa, il periodo durante il quale ci furono molte guerre tra le diverse fazioni e tra gli shogun, e quando nessuno sapeva chi avrebbe vinto e finito per regnare. Anche la Cina attraversò eventi simili. Durante i periodi di caos avvengono sempre cose straordinarie. Sempre parlando del passato del Giappone, poco prima della restaurazione Meiji, nel 1868, ci furono dei giovani che combatterono per fare evolvere le cose. Amo l’eccitazione che caratterizza quei periodi di sconvolgimenti.
I suoi film sono un mix notevole di emozione e fantasia. Lei rende onore a Miyazaki, ma aggiunge la sua visione originale e personale su come potrebbe essere un grande film di animazione destinato sia agli adulti che ai bambini …
Quando ero uno studente, avevo grande rispetto per il regista Miyazaki. A quei tempi, il suo ultimo film uscito al cinema era Kiki Consegne a Domicilio. Miyazaki era una specie di eroe per me, e anche un esempio, perché volevo diventare un regista. Una volta che sono diventato un regista, le cose sono cambiate, ovviamente. Come creatore non volevo essere influenzato o dominato dal suo lavoro. In seguito, siamo diventati antagonisti, nonostante facessimo dei film molto diversi. Inoltre, il film di animazione che mi ha più influenzato nel corso della mia infanzia non è stato uno dei suoi, ma Galaxy Express 999, diretto da Rintaro. Lo vidi al cinema quando uscì nell’estate del 1979. E anch’esso parla delle avventure iniziatiche di un giovane ragazzo. Quel film mi fece rendere conto del fatto che quei film di animazione, che erano fatti per intrattenere il pubblico giovane durante i mesi estivi, avevano anche la vocazione di presentare storie di viaggi, nel corso dei quali i giovani eroi diventano più forti e crescono. Ancora oggi penso che quello sia uno dei ruoli più importanti del cinema di animazione. È anche la ragione che nel 2006 mi ha spinto a dirigere La Ragazza che Saltava nel Tempo.
La rende triste il cinismo dei nostri giorni? Lei che immagina i suoi film come un modo per fare del bene alla gente, crede sia questa una delle missioni dei cineasti di oggi?
Credo di sì, e ci penso molto spesso. Oggi ci sono numerosi social network creati da internet, ma la gente li usa per togliersi dei pesi da dosso, e per esprimere opinioni negativi. Lo trovo molto triste. Come molti creatori e artisti cerco di nuotare contro corrente e di parlare di più delle cose positive, di quello che da speranza e che fa sognare le persone. Credo sia questa una delle missioni e delle caratteristiche del cinema di animazione. I documentari e i film, invece, sono più ideali per criticare gli aspetti negativi e i problemi del mondo in cui viviamo.
Cosa la emoziona di più quando gli spettatori le dicono cosa provano quando guardano i suoi film?
Come abbiamo già detto, molti dei miei film parlano del tema del viaggio iniziatico e del passaggio alla maturità. Anche nella vita reale, il pubblico dei miei film è cresciuto da quando ho esordito nel 1999 con il film Digimon. All’epoca avevo 30 anni. Ora ne ho 47, ma mi sembra di aver fatto quel film ieri. Un giorno, un uomo molto alto venne da me e mi disse che aveva visto Digimon diverse volte quando aveva 10 o 11 anni, e che gli era piaciuto molto. Quando un gigante come quello mi dice una cosa del genere, mi sento davvero vecchio! Ho anche notato che i titoli dei film di cui la gente mi parla cambiano col passare del tempo. Di recente, una donna bellissima mi ha detto che durante la sua infanzia era rimasta moto toccata da La Ragazza che Saltava nel Tempo. Quando una spettatrice così affascinante mi dice una cosa del genere, ovviamente, rimango molto soddisfatto! In genere prendo tutti i complimenti con gioia e soddisfazione.
L’autore francese Antoine de Saint Exupéry, che come lei pensava molto ai bambini, scrisse nel Piccolo Principe: “Tutti gli adulti una volta sono stati bambini, ma solo alcuni se lo ricordano.” Con i suoi film lei dimostra che non ha mai dimenticato di essere stato un bambino.
Mi ha molto toccato e fatto piacere sentirla dire questa cosa, perché conosco bene questa meravigliosa frase di Saint Exupéry, e ci rifletto su costantemente.
BIOGRAFIA - MAMORU HOSODA
Mamoru HOSODA è nato il 19 settembre del 1967 in Giappone, nella prefettura di Toyama. Nel 1991 ha lavorato come animatore presso gli studi Toei-Doga (che poi hanno preso il nome Toei Animation). Ha scalato i ranghi lavorando nelle serie più importanti dello studio - Dragon Ball Z (1993), Slam Dunk (1994-1995), Sailor Moon (1996) – e poi, durante la seconda metà degli anni ’90, è passato alla creazione degli storyboard. In seguito, è diventato regista.
Nel 1999 ha diretto il cortometraggio dal titolo Digimon Adventure, e successivamente è passato a dirigere il suo primo lungometraggio di animazione, Digimon, Il Film (2000), basato sulla famosa serie, della quale ha anche diretto diversi episodi televisivi. Nel 2003, ha diretto il commercial Superflat Monogram per la collezione primavera-estate di Louis Vuitton; e poi nel 2005 la versione cinematografica della serie One Piece - One Piece: L’Isola Segreta del Barone Omatsuri. In quello stesso anno ha diretto, per il Madhouse studio, il suo terzo film di animazione, dal titolo La ragazza che saltava nel tempo (2006). Nonostante sia stato distribuito in un numero limitato di sale, il film ha ottenuto un grande successo tra il pubblico più giovane ed è rimasto in programmazione per un lungo periodo di tempo. Ha anche ricevuto numerosi premi, tra di essi il primo premio ad essere stato mai istituito dall’Academy of Cinema giapponese per il miglior film di animazione. Il 2009 ha segnato un’altra pietra miliare nella carriera di Hosoda. Per la prima volta, ha scritto una sceneggiatura di un film, che poi ha anche diretto: Summer Wars. Il film è stato un enorme successo, con 1.26 milioni di spettatori in Giappone. Come i suoi film precedenti, Summer Wars ha ottenuto numerosi premi, sia in Giappone che all’estero. È stato selezionato per concorrere al Festival di Berlino del 2010. Hosoda è stato anche candidato per la migliore regia agli Annie Awards del 2011, e questo lo ha reso uno dei più rinomati registi giapponesi del cinema di animazione. Quello stesso anno, Hosoda ha fondato la sua società di produzione, Studio CHIZU, assieme al produttore Yuichiro Saito. Wolf Children, il primo film prodotto dalla sua società, nel 2012, è stato un enorme successo di critica e di pubblico, con 3.44 milioni di spettatori in Giappone. Anche in Francia le reazioni sono state molto positive. Il record imposto in Giappone da Wolf Children è stato poi sorpassato ad agosto del 2015 da The Boy and the Beast, dopo un solo mese di programmazione nei cinema. Questo nuovo trionfo conferma Mamoru Hosoda come uno dei più importanti sceneggiatori e registi del cinema di animazione a livello mondiale.
Fonte consultata:
Pressbook Lucky Red