Shingeki no Bahamut Virgin Soul: Recensione

Quando il sogno dell'emancipazione genera mostri

di Eoin

Shingeki no Bahamut: Virgin Soul (noto anche come Rage of Bahamut: Virgin Soul) è una serie d’animazione giapponese del 2017 andata in onda in patria tra l’aprile e il settembre 2017 e arrivata sottotitolata in Italia in simulcast grazie a Amazon Prime Video. Composta da ventiquattro episodi di durata canonica e prodotta dallo studio MAPPA, è il sequel diretto di Shingeki no Bahamut: Genesis, a sua volta ispirato all'omonimo videogioco di carte collezionabili sviluppato da Cygames.

Sono passati dieci anni da quando Favaro, sacrificando Amira, ha sigillato nuovamente il terribile Bahamut e salvato il mondo da un’apocalisse di fiamme e morte. Oggi, Anatae, la capitale del regno degli uomini, si è quasi ripresa dalla devastazione causata dal mostro e, guidata da Re Charioce XVII, si riscopre sempre più fiorente e ottimista.
Il giovane sovrano, ambizioso e spietato, ha però dichiarato guerra a Demoni e Dei e, armato di magie proibite, ha già sconfitto e ridotto in catene i primi, la cui manodopera ferocemente sfruttata costituisce il combustibile per i fuochi della ricostruzione e per l’intrattenimento del volgo, e progetta l’annientamento totale dei secondi, nei confronti dei quali è più prudente a causa della devozione del popolo, indebolita ma ancora molto radicata.
Nel frattempo, l’esuberante Nina Drango svolge in città lavori saltuari per racimolare denaro per il suo villaggio, dimostrando doti fisiche fuori dal comune e conquistando l’affetto della gente grazie alla sua allegra spontaneità. La fanciulla verrà coinvolta, più o meno involontariamente, in uno scontro per l’egemonia ideologica e razziale e incontrerà alleati, nemici e vecchie conoscenze.



Shingeki no Bahamut: Genesis si era rivelata una sorpresa all’interno del panorama anime durante la stagione autunnale del 2014 grazie ad un grandioso comparto tecnico, personaggi carismatici a cui era facile affezionarsi e uno spirito guascone che però non ostacolava la presenza di scene dall’alto impatto emotivo. Inutile dire, dunque, che l’annuncio di Manaria Friends, una serie spin-off senza legami con la storia principale narrata in Genesis, era stato accolto con una certa delusione dal sottoscritto. Tale delusione aveva poi lasciato il posto alla trepidazione in seguito al rilascio dei primi trailer e dei cortometraggi che anticipavano un vero e proprio sequel, che spintonava lontano dai riflettori il disgraziato Manaria Friends, la cui produzione è oramai interrotta a tempo indeterminato.

Virgin Soul, con un quantitativo di episodi doppio rispetto al suo predecessore, propone allo spettatore una vicenda dai ritmi considerevolmente più lenti, ma non per questo tediosa. Ogniqualvolta sembra che gli eventi narrati stiano per scadere nella ripetitività (per quanto adorabili, c’è un numero limitato di volte in cui è possibile assistere alle sceneggiate d’imbarazzo di Nina prima che il tutto venga a noia), ecco che viene introdotto un nuovo elemento che, nella maggior parte dei casi, dona nuova linfa alla storia.
L’andamento più compassato, tuttavia, è sfruttato alla perfezione nella prima metà dell’anime, che permette allo spettatore di assorbire e comprendere un mondo dalle dinamiche socio-culturali intriganti e, dove possibile, neutrali, che non mancano di approfittare anche di quanto era già stato stabilito in Genesis: Charioce guida l’umanità verso l’emancipazione, cercando, con risolutezza, di liberarla da quella paura e quel timore reverenziale che per millenni l’hanno costretta alla sottomissione nei confronti delle altre due razze e delle varie creature sovrannaturali che popolano Mistarcia. Infatti, gli Dei, dotati di un’eterea bellezza e distaccati, si sono mostrati spesso sordi alle preghiere della gente comune, troppo presi da questioni più pressanti, mentre i Demoni hanno più volte manifestato un’indole malevola e crudele, non di rado costringendo gli uomini uno contro l’altro per divertimento o per sete di potere e sangue. Tuttavia, è davvero il genocidio la risposta più adeguata? Le migliaia di Demoni di ogni sesso ed età schiavizzati e maltrattati costituiscono davvero le fondamenta migliori per un regno prospero?
In quest’ottica, sarebbe facile prendere ciecamente le parti della fazione mutilata e privata di ogni dignità, ma la serie, traendo a piene mani dagli eventi della prima stagione e dando voce agli esponenti di ogni gruppo, rende il dilemma morale ben più complesso: sebbene molti Dei e Demoni siano caduti sotto i colpi degli Umani e la sofferenza dei sopravvissuti sia tangibile e vibrante, tra imprecazioni e calde lacrime di rabbia e impotenza, è comunque ovvio che questi ultimi intendano ripristinare lo status quo iniziale, un fragile equilibrio in cui qualcuno ci deve sempre rimettere, e ricordare alla gente quale sia la sua posizione nella piramide sociale, mescolando spirito di conservazione, vendetta, arroganza e nostalgia per un passato di indiscussa supremazia.



Tali questioni si ripercuotono poi sui personaggi, numerosi dei quali sono gli eroi e gli antieroi della prima serie, il cui ritorno è generalmente salutato con entusiastiche ovazioni dai fan, senza nulla togliere ai nuovi arrivi, anch’essi più che capaci di appassionare il pubblico con la propria simpatia e vitalità. Nonostante il focus principale sia su Nina e Charioce, ruoli rilevanti ai fini della narrazione sono rivestiti anche dalle altre figure appena introdotte e persino da quelle che apparivano come secondarie in Genesis. Attraverso i loro occhi possiamo osservare il dramma degli sconfitti e l’implacabilità dei vincitori, così come le genuine opinioni della plebe, in tutte le sue sfaccettature. Sebbene alcuni personaggi risultino più monocordi rispetto al passato, le performance sono quasi sempre coinvolgenti e intense e l'introspezione psicologica è sufficiente a comprendere il core di ciascuno di essi, anche con risultati inaspettatamente buoni.
E’ anche possibile, solitamente, apprezzare una buona dose di coerenza delle caratterizzazioni, conformi con quanto visto nel primo Shingeki no Bahamut e nelle prime puntate della serie: background, traumi, speranze, sogni, paure e sentimenti sono tutti ben evidenti e trascinano ogni episodio fino al gran finale. Solo Nina e Charioce, paradossalmente, sono soggetti a qualche calo nella scrittura, che li rende a volte troppo scostanti, senza però inficiare eccessivamente il godimento delle sequenze che li vedono protagonisti. Nina, in particolare, con il suo temperamento solare e genuino, non solo è il cuore pulsante dell'opera, ma costituisce anche il perfetto contraltare per il re, incrollabile e introverso.
Purtroppo, specie a partire dalla seconda metà dell'anime, si può notare come la grande cura nella realizzazione del setting non sia pari a quella riversata nella trama generale, in cui i colpi di scena sono pochi e prevedibili e in cui è possibile osservare singoli casi di potenziale inesploso e focus malriposto. In particolare, l’aspetto relativo alla romance principale da subplot diventa rapidamente il vero fulcro della narrazione, con sequenze forzate che relegano in secondo piano altri elementi più pregnanti e che spesso emergono come autentici buchi nella trama.

Il comparto tecnico è semplicemente glorioso: le animazioni sono fluide e dettagliate e, coadiuvate da alcuni fondali realizzati in CG per un maggior dinamismo e da inquadrature strategiche, riescono a dar vita a scene d’azione e di vita quotidiana sempre ottime e elettrizzanti, mentre gli effetti speciali e le magie sono di una bellezza quasi liquida e sono disegnati con rara maestria, regalando una costante impressione di potere e magnificenza, nonché un’esplosione cromatica mozzafiato; il caratteristico design dei personaggi è anch’esso estremamente curato, proporzionato e avvenente in ogni particolare, dai costumi ai connotati alla mimica facciale, e, anche nel caso di capi di vestiario succinti o nudità censurate, il fanservice, se proprio si vuole considerarlo come tale, non è mai inopportuno o volgare; splendide anche le ambientazioni, che espandono Mistarcia senza scompattarla, permettendo un’esplorazione meno confusionaria e labile. In particolare, a colpire è la scala del mondo, delle creature che lo popolano e dei notevoli mezzi di trasporto, mai così imponenti.
Tuttavia, è arduo non notare l’invasività della computer grafica: se in alcune sequenze è stato possibile mascherarla con opportuni espedienti grafici e giochi di luce, nella maggior parte dei casi è fin troppo evidente e sgraziata, affiancata a pupazzi inespressivi dai movimenti innaturali e legnosi. L’abuso che se ne è fatto, anche in momenti relativamente innocui in cui è normalmente preferita l’animazione tradizionale, spesso emerge quasi come sintomo di pigrizia.



La colonna sonora, ancora una volta, si distingue per la varietà di generi e mescola sonorità epiche, tonanti e drammatiche, melodie dolci e delicate e ritmati pezzi popolari, ricorrendo anche ai leitmotiv della prima stagione, sia cupi che sopra le righe. Sembra si sia anche stabilita una sorta di tradizione, in cui le sigle di apertura sono caratterizzate da suoni duri e aggressivi, mentre le ending presentano toni molto più leggeri. In particolare, la prima opening vede il ritorno dei SiM con “LET iT END”, un brano a tratti forse troppo simile a “EXiSTENCE”, ma che non delude; stesso dicasi per la seconda, “Walk This Way“ dei THE BEAT GARDEN. Le due ending, “Haikei Goodbye Sayonara” e “Cinderella Step”, invece, per quanto graziose, orecchiabili e distensive, hanno difficoltà a reggere il confronto con “Promise Land”, più evocativa anche dal punto di vista grafico.
Nulla da dire sul doppiaggio giapponese, ineccepibile ed espressivo, capace di abbracciare ed accompagnare con professionalità le personalità dei vari personaggi senza stonature, sebbene qualche voce possa risultare fastidiosa.
 
In conclusione, Shingeki no Bahamut: Virgin Soul è un’epopea di guerra, odio, amore, sangue e magia, ricolma di vita ed emozioni, arricchita da una componente tecnica di alto livello e da un cast trascinante, anche laddove gli stereotipi si fanno più palesi. Non è una storia che non ha nulla in comune con Genesis, con cui condivide solo l’universo in cui svolge la vicenda, ma un vero e proprio sequel che sa quando reggersi sul passato e quando affidarsi alle novità per andare avanti e risultare sempre toccante, che non si adagia sugli allori e la discreta popolarità della prima stagione, ma che cerca di elevarsi il più possibile, forse fallendo, ma dimostrando carattere e determinazione.
Avvicinandosi all’epilogo si possono notare problemi nella gestione del ritmo narrativo, e il finale stesso può risultare frettoloso e forzatamente privo delle conseguenze che ci si aspettava dall’inizio della serie, ma è anche possibile riconoscere in esso il picco emozionale della storia, il punto d’incontro di tutti i sentimenti, negativi e positivi, accumulati nel corso degli episodi.
Più che vergine, è uno spirito indomito e sorprendente che diverte, intrattiene e commuove laddove sarebbe bastata una banale operazione di marketing.




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