Si può divorziare dal coniuge morto? In Giappone sì
Sempre di più le donne che chiedono di rompere ogni legame con la famiglia del marito defunto
di Hachi194
Ecco allora che occorre "divorziare" post mortem o più correttamente presentare all'ufficio competente un documento chiamato "dissoluzione dei legami di parentela creati con il matrimonio". In Giappone esiste questa procedura e negli ultimi anni le domande sono aumentate in modo notevole. Vediamo di chiarire come funziona e perché sono principalmente le donne a farne uso.
La burocrazia è pressoché minima: basta un documento d'identità, l'atto di morte del coniuge e compilare un modulo indicando nome, indirizzo, indirizzo del defunto e apporre il proprio hanko (il timbro che fa da firma). Finito.
Non occorre alcun consenso da parte di terze persone, nè aspettare un tempo minimo dalla data del decesso. La famiglia del defunto non può opporsi e non è nemmeno obbligatorio informarla. Semplice, veloce ed immediato. All'inizio era così poco usata che alcuni impiegati degli uffici competenti non ne conoscevano l'esistenza.
Fino al 2013 l'aumento era lieve con 2.167 casi registrati, ma dal 2014 si è notata una progressione maggiore: 2.202 nel 2014, che nel 2015 sono diventati 2.783 per raggiungere un totale di 4.032 nel 2016, quasi il doppio in tre anni. Nella stragrande maggioranza dei casi i richiedenti sono donne.
Come si spiegano sia i numeri che il sesso di chi presenta la domanda? Bisogna fare un piccolo passo indietro per analizzare l'evoluzione della famiglia nella società giapponese negli ultimi decenni.
Il modello tradizionale di famiglia nipponica era quello contadino: coloro che possedevano la terra la coltivavano assieme a tutta la famiglia e per fare in modo che tutto restasse unito e si tramandasse attraverso le generazioni, si era stabilito che l'eredità andasse al primogenito maschio. Era lui a capo di tutto, lui che comandava e all'epoca Meiji lo stesso codice civile fu forgiato proprio su questo modello patriarcale. Le donne che sposavano il primogenito lasciavano la famiglia di origine e diventavano a tutti gli effetti membri di quella del marito.
Pur essendo stato formalmente abolito nel 1947, questo sistema di vita è rimasto profondamente radicato nelle persone cresciute prima della Seconda Guerra Mondiale e nella generazione seguente (quelli che oggi hanno dai 75 anni in su). Per loro è normale che una moglie viva nella stessa casa dei suoceri, lavori nell'azienda di famiglia, si occupi di tutto quello che concerne i rapporti con il parentado del marito e soprattutto curi i suoceri quando questi non saranno più autosufficienti.
Ma se prima della guerra, agricoltura e pesca impiegavano il 50% circa della popolazione, dal 1955 si inizia a vedere un costante calo, fino ad arrivare ad un solo 10% del 1985. Inoltre, proprio durante gli anni della bolla economica, sempre più ragazzi decidono di trasferirsi dalle zone rurali verso le grandi città, dando vita a nuclei famigliari composti solo dai due genitori e dai loro bambini.
Molte donne lavorano e continuano a farlo anche dopo il matrimonio e la nascita dei figli, per cui il ruolo della moglie devota che si occupa per forza della cura dei suoceri risulta ostico sia da un punto di vista psicologico che fisico.
D'altronde la legge parla chiaro: è previsto l'obbligo di nutrire e curare i familiari fino al terzo grado di parentela, comprendendo quindi i nonni, i genitori e i fratelli/sorelle del coniuge, così come i loro figli. Con il "divorzio postumo" tutti questi obblighi spariscono.
Sia chiaro, è raro che i parenti del marito pretendano davanti ad un giudice che la vedova assolva ai doveri previsti dalla legge; può capitare ad esempio nel caso in cui la nuora abbia beneficiato per lunghi anni dell'appoggio finanziario dei suoceri. Ma laddove un giudice ravveda una circostanza speciale, di solito si obbliga il soggetto ad un assegno mensile proporzionato al suo reddito, in grado di garantire loro il minimo per la sopravvivenza.
Eppure le richieste di tagliare i ponti con le famiglie acquisite aumentano. Ad incidere può essere il calo demografico: le giovani generazioni devono fare fronte ad un esercito di anziani da curare e occuparsi anche dei suoceri diventa semplicemente troppo complicato. Oppure si possono risolvere beghe legali in modo semplice ed economico.
Prendiamo in esame alcuni casi: una vedova di circa 50 anni che abitava insieme alla suocera da più di trent'anni, continuava a rimbosarle il prestito contratto per acquistare la casa, ma la suocera, pur riscuotendo una pensione, non contribuiva minimamente alle spese di casa. La vedova si è liberata del debito divorziando dal marito morto.
E ancora: una donna conviveva da quando era sposata con i genitori di suo marito che aveva rilevato l'azienda di famiglia dopo il matrimonio. Alla sua morte, ha preso lei le redini della ditta continuando allo stesso tempo a prendersi cura dei suoi due figli, a pulire e a cucinare. Sua suocera ha iniziato a intromettersi nella gestione dell'impresa, dandole una serie di ordini. La vedova, dopo aver esitato per circa due anni, alla fine si è decisa a presentare la domanda di dissoluzione dei legami di parentela.
Ma c'è anche un altro motivo per cui tale domanda viene presentata: molte vedove non vogliono essere tumulate nella tomba di famiglia del marito. Quando il diventare parte integrante della famiglia dello sposo era per una donna la prassi, essere tumulata assieme a lui era normale. Ora invece molte donne non vogliono più che sia così, vuoi perché con gli anni l'amore è sparito, vuoi perché i suoceri non si sono mai sopportati, vuoi perché si vuole evitare ai figli di doversi occupare della tomba di famiglia.
E così si ricorre al divorzio. Nel 2009, da un sondaggio condotto dalla Dai-ichi Life Research Institute, risultò che il 48,6% degli uomini voleva essere sotterrato nella tomba di famiglia contro il 29,9% delle donne. Nel 2014, da un sondaggio condotto su un campione di coppie di età compresa fra i 60 e i 79 anni, è venuto fuori che il 64,7% degli uomini voleva dividere l'ultima dimora con la moglie, contro il 43,7% delle donne.
Insomma, le donne giapponesi sembrano cercare sempre di più una loro autonomia, anche dopo la morte se non è stato possibile durante la vita.
Fonte consultata:
Nippon