Il marito di mio fratello: recensione del drama tratto dal manga di Gengoroh Tagame
Un padre single, una vivace figlioletta e uno zio "bear" per una storia tenera, toccante e ricca di riflessioni
di Kotaro
Cosa succede quando un fumettista, che da decenni realizza opere a tematica omoerotica su riviste dedicate ad un pubblico gay, firma uno slice of life a tematica gay privo di qualsiasi connotazione sessuale, che esce dalla nicchia, è pubblicato su una rivista di manga mainstream ed è venduto tranquillamente in tutte le librerie del Giappone, senza doverselo andare a cercare apposta nelle sezioni di nicchia dei Mandarake?
Succede che Il marito di mio fratello, la più recente opera di Gengoroh Tagame, diventa in breve tempo un piccolo caso editoriale, viene pubblicizzato con installazioni a tema nelle librerie, vengono organizzati talk show e firma copie con l’autore ad accompagnare l’uscita di ogni volume; il manga raggiunge i lettori più insospettabili, viene pubblicato un po’ in tutto il mondo, vince un premio al Japan Media Arts Festival nel 2015, ottiene la nomination per il miglior fumetto alla fiera di Angoulême nel 2016, la nomination per l'Eisner Award e vince il Premio Eccellenza al 47simo Japan Cartoonists Association Award nel 2018.
A pochi mesi dall’uscita del volume conclusivo, viene annunciata la trasposizione in un drama televisivo prodotto dalla NHK, e già il solo annuncio basta a far schizzare le vendite del manga su Amazon Japan facendo esaurire immediatamente le copie disponibili (“Ora capisco perché alla Marvel sono così contenti, quando fanno i film tratti dai loro fumetti” scherza il maestro Tagame), mentre interviste all’autore spuntano sui più disparati siti giapponesi, il tag “Otouto no otto” (Il marito di mio fratello, titolo originale dell’opera) diventa all’istante uno dei più popolari su Twitter durante il periodo di programmazione, il drama vince un Premio di incoraggiamento al 55simo Galaxy Award e la NHK, che ha trasmesso il drama sul suo canale BS Premium dal 4 al 18 marzo 2018, ha ritrasmesso il 4 maggio una maratona di tutti gli episodi sul suo canale pubblico.
Inizia così una convivenza tra i tre personaggi, e il fulcro della storia diventano immediatamente le reazioni che padre e figlia hanno nei confronti di questo ospite inatteso.
La piccola Kana non ha alcun problema ad accettarlo immediatamente come membro della sua famiglia, è felicissima di poter giocare con lui e, con gran naturalezza e curiosità, si fa domande sugli usi e costumi del lontano Canada, sull’omosessualità e su come nei due paesi ci si rapporti ad essa.
Domande che, sulle prime, mettono in crisi il povero papà, facendo riaffiorare in lui i ricordi di quando, da ragazzo, aveva inconsapevolmente ferito e allontanato il fratello omosessuale a causa dei propri pregiudizi.
E’ forse giusto pensare che una persona sia cattiva, e dunque allontanarla, solo perché “diversa”?
Esiste forse un unico, insindacabile e valido per tutti, modo di definire la “famiglia”?
Queste domande sono il leitmotiv del viaggio interiore di Yaichi: un viaggio che, mediante l’accettazione come parte della propria famiglia di quello straniero da cui in un primo momento era spaventato e infastidito, passa anche attraverso il ritrovamento del legame col proprio fratello minore perduto diversi anni prima, e una crescita personale, come padre e come uomo.
In tre episodi da 50 minuti l’uno, il drama televisivo di Il marito di mio fratello riesce perfettamente a coprire la storia dell’inizio alla fine e a restituire tutta l’atmosfera del fumetto originale, che, essendo uno “slice of life” tranquillissimo e privo di effetti particolari, dove buona parte del fascino è dovuta anche alla rappresentazione dettagliatissima di ambienti, cibi e paesaggi, ben si presta al formato del film dal vivo, piuttosto che quello a cartoni animati.
Pochissimi i tagli rispetto al manga: un paio di capitoli più “d’atmosfera”, qualche dialogo o qualche riflessione sono stati esclusi, tra cui un paio di sequenze che forse avrebbero dato un po’ più sostanza ai personaggi secondari, ma si tratta di tagli di poco conto.
Vi sono, al contrario, anche delle aggiunte alla storia del fumetto, che aiutano ad approfondire meglio le situazioni del cast principale e le loro vicende passate, prendendosi pure la briga di creare un personaggio originale che non compare nel manga. Le nuove aggiunte si inseriscono benissimo nella storia scritta dal maestro Tagame, creando un finale che acquista maggior definizione sui titoli di coda e dando maggior spessore alla figura di Ryoji, che nel manga rimane sempre piuttosto enigmatica.
Il più grande punto di distacco rispetto al fumetto è che l’unico, vero, colpo di scena del manga, nel drama viene annullato, sia dai primi trailer promozionali, sia dalla storia stessa, che non crea le condizioni affinché questo si verifichi. Non è una cosa gravissima in sé e per sé, ma da lettore che ci è rimasto sorpreso quanto e più dei personaggi, all’epoca, un po’ mi dispiace.
E’ l’unica, piccolissima (e assolutamente ininfluente per chi non ha letto il manga), pecca di un telefilm davvero straordinario, che racconta una storia bellissima in maniera intelligente, delicata e sensibile.
Privo di qualsiasi malizia o effetto speciale, Il marito di mio fratello è uno sceneggiato pacato, poetico e molto riflessivo, che manda avanti una storia fatta di tanti piccoli momenti quotidiani, scanditi dal reiterato “Sto uscendo” “Fai attenzione” “Sono a casa” “Bentornato/a” pronunciato dei personaggi, mentre pian piano, un piccolo ma importantissimo legame comincia ad instaurarsi tra di loro.
Esattamente come il fumetto, anche il drama televisivo è abilissimo nel passare con estrema naturalezza dalla commedia al dramma, dalla rappresentazione di scene di vita quotidiana alla riflessione interiore dei personaggi, da scene di una tenerezza infinita ad altre più intense. Con altrettanta naturalezza cambiano le emozioni sul volto dello spettatore, che passa da un sorriso enorme, un po’ sciocco ma sincero, a calde lacrime di commozione.
Nella sua pacatissima rappresentazione di vita quotidiana di una famiglia, Il marito di mio fratello riesce ad inanellare una sequela inaspettata di scene apparentemente tranquillissime, ma che risultano di un fortissimo impatto emotivo nel loro contesto, portandosi dietro importanti riflessioni e andando a costituire una seria minaccia per le ghiandole lacrimali degli spettatori, che potrebbero trovarsi a piangere dal minuto 1 al minuto 50 di ogni episodio.
Non è il tipo di storia che esaspera il dramma con pianti greci a tutti i costi, ma, del resto, a Il marito di mio fratello non servono chissà quali effetti speciali per arrivare al cuore dei suoi spettatori (e lettori, originariamente). Gli basta un sorriso dei suoi personaggi, un’inquadratura degli stessi intenti a consumare un pasto insieme o a scambiarsi battute scherzose, la messa in scena di tutti quei rituali, formule, piccoli gesti tipici della cultura giapponese e che, trasposti in uno sceneggiato dal vivo, aiutano a rendere ancor più veri questi personaggi a cui è così facile affezionarsi nonostante la breve durata della serie.
Merito della solidissima sceneggiatura originale, ma anche e soprattutto degli attori, che hanno dato una straordinaria tridimensionalità ai personaggi cartacei. Certo, è facile riuscirci quando si deve raccontare una storia di vita quotidiana priva di elementi troppo particolari, ma i personaggi del drama sembrano proprio usciti dalle pagine del fumetto.
La piccola Kana, interpretata dalla giovanissima Maharu Nemoto, è allegra, curiosa ed estremamente naturale. Ride, scherza, gioca, piange, si arrabbia, fa domande e commenti con estrema innocenza.
Sua madre, Natsuki, interpretata da una bellissima Yuri Nakamura (Sakuran), è un personaggio più secondario all’interno della narrazione, ma risulta comunque piacevolissimo e un pelo più approfondito rispetto al manga: una donna spigliata, acuta, intelligente, il cui rapporto col marito è sereno e fatto di battute scherzose e di una grande fiducia reciproca, nonostante la situazione non rosea vissuta in passato.
E’ lei, del resto, ad aprire gli occhi al protagonista su una delle più grandi verità raccontate da questa storia: l’importanza dei sentimenti e dei legami che intercorrono tra le persone sta nella loro semplice esistenza, non nel nome che viene dato loro.
Yaichi, interpretato da un grandissimo Ryuta Sato (Full Metal Alchemist), è praticamente identico a com’è nel manga. Il vero e proprio protagonista della storia, che accompagna lo spettatore per tutti e tre gli episodi con le sue riflessioni, i suoi dubbi, la sua crescita personale. E’ il personaggio che più si “racconta” con tutti i suoi problemi: ha perso l’affetto dell’amato fratello a causa dei suoi pregiudizi, ha perso la moglie e adesso si trova, da solo, a crescere una figlia piccola, interrogandosi su quale sia il modo più giusto per renderla un’adulta felice.
Yaichi è il tipico uomo giapponese, abituato a nascondere i propri sentimenti anche se magari si mostra cortese e discreto con tutti, ma è proprio questa sua mancanza di coraggio e sincerità la causa della sua sofferenza, e gli servirà un omaccione sorridente venuto dall’estero per farglielo capire. Un personaggio adulto, che guarda con tristezza al passato e ai tanti errori commessi, magistralmente interpretato da un attore adulto, che gli dà un’impronta riflessiva ma anche tenera ed assai naturale. Degna di nota anche la doppia interpretazione di Ryuta Sato come Ryoji, in poche ma significative scene: abbastanza per dimostrare che, come giustamente detto in una delle prime scene, “anche se da fuori sono identici, ciò che hanno dentro è totalmente diverso”.
L’interpretazione di Mike era lo scoglio più grande da superare per la buona riuscita del drama: serviva un interprete straniero, per rimanere fedeli al personaggio originale e far sì che tutto quadrasse.
La scelta è caduta su Baruto Kaito, ex lottatore di sumo estone attualmente impegnato come lottatore di MMA. E, in barba (ah ah!) a chi non credeva che uno sportivo potesse recitare, la scelta si è rivelata incredibilmente azzeccatissima.
Si distingue da quello del fumetto solo per lievissime differenze nella capigliatura e nello stile di abbigliamento (camicie da boscaiolo, gilet e tute da ginnastica al posto di camicie a maniche corte, t-shirt e pantaloncini alla zuava, ma, del resto, con le riprese effettuate in inverno è più che giusto), ma l’orsone canadese dal cuore tenero uscito dalla matita del maestro Tagame ci è stato restituito alla perfezione anche nella sua versione in carne ed ossa.
Enorme (arriva quasi al tetto della casa di Yaichi e deve sempre abbassarsi per passare dalle porte), robusto e peloso come un orso, eppure gentile, educato, buffo e tenerissimo in ogni sua espressione, Mike non è un personaggio facile, diviso com’è tra un carattere buono e allegro e una grande sofferenza che si porta dentro senza poterla esternare. Baruto Kaito ci regala un personaggio adorabile quanto e più quello del manga: un’espressività incredibile e una parlata tipicamente “da straniero” fatta di un giapponese scolastico, estremamente formale e rispettoso, e saltuarie espressioni in inglese qua e là.
Come nel manga, anche nello sceneggiato, è Mike il motore della storia e delle nostre emozioni. Non potremo fare a meno di volergli bene, di sorridere o piangere (o, perché no, entrambe le cose) in tutte le scene che lo riguardano.
Fa davvero piacere che sia diventata un ottimo drama televisivo, che stia racimolando sempre più consensi. Serie come questa, a poco a poco, forse apriranno una breccia nella rigidissima società nipponica, dove si guarda ancora un po’ con sospetto al “diverso” e dove è ancora oggi molto difficile riuscire ad esprimere in maniera chiara i propri sentimenti.
Tuttavia, Il marito di mio fratello non si rivolge al solo Giappone e anzi parla abbastanza chiaramente a un pubblico di qualsiasi nazionalità, sesso, etnia, età, orientamento sessuale: non giudicare mai dalle apparenze, non chiuderti mai nei tuoi pregiudizi, perché la tua vita potrebbe cambiare, nei modi, tempi e luoghi che meno t’aspetteresti.
Il maestro Gengoroh Tagame racconta una storia che parla d’amore, d’affetto, di famiglia, di quelle persone che magari ne fanno parte solo per breve tempo ma che lasciano un segno indelebile nella nostra vita, in maniera del tutto imprevista.
Ed è una storia che val davvero la pena di ascoltare, e di vivere in prima persona.
Con un'unica controindicazione. Giungeremo ai titoli di coda del drama (così come alle ultime tavole del fumetto) con un senso di incredibile serenità, un enorme e sciocco sorriso dipinto sul volto, gli occhi bagnati di lacrime, e un’immensa, incontrollabile, voglia di raggiungere TUTTE le persone a cui vogliamo bene e dar loro un grosso abbraccio.
le persone a cui vogliamo tanto bene”