Le Ama: le pescatrici in apnea che preservano una tradizione millenaria
Ma ancora per quanto le donne del mare potranno resistere?
di Hachi194
Il termine "ama" si traduce come "donna del mare" e fa la sua prima apparizione nel 750 d.C. nella più antica antologia giapponese di poesia, il Man'yoshu. Perché proprio le donne furono scelte per fare questo lavoro? Perché sembra che siano in grado di trattenere il respiro più a lungo degli uomini e avendo più grasso sottocutaneo sarebbero protette meglio dal freddo. Le ama infatti scendono in apnea fino a 30 piedi (poco meno di 10 metri), trattenendo il respiro per un massimo di 2 minuti alla volta in modo da lavorare fino a 4 ore al giorno. Fino agli anni '60 la loro tenuta da lavoro consisteva in un piccolo perizoma e in una lama ricurva ad un'estremità (il kaginomi appunto) con cui raccogliere vari prodotti del mare sia per il consumo che per la vendita.
Vecchie foto e cartoline ritraggono le ama che pescano in topless, pratica andata in disuso, ma che ha contribuito ad associarle ad un'immagine di fantasia esotica. In realtà per queste donne fare le ama è l'unico modo per sostenere le loro famiglie abitando in regioni rurali isolate dove non ci sono altri impieghi. Ancora oggi non hanno nessun ausilio per la respirazione sott'acqua: a seconda della regione sono state aggiunte maschere, pinne e leggere tute termiche, ma continuano ad immergersi in totale apnea.
Per 10 mesi all'anno (tanto dura la stagione delle immersioni) l'associazione locale di pescatori controlla quotidianamente le previsioni meteo e le annuncia agli altoparlanti per le ama che devono andare al lavoro. Le donne così partono, fissano un anello dai colori vivaci per segnalare la loro presenza in superficie (una sorta di boa) e iniziano ad affondare e riemergere più e più volte, anche decine in una sola sessione. Quando riemergono emettono un iconico ed emblematico sibilo detto isobue e una volta finito si rifugiano nelle amakoya, piccoli edifici in legno costruiti fuori dalla portata delle maree dove riscaldarsi accanto al fuoco, dopo aver passato ore nelle fredde acque oceaniche.
Esistono due tipi di ama: le kachido che partono dalla riva e vanno a nuoto fino al punto prestabilito e le funado che sono accompagnate con una barca spesso guidata dai loro mariti. Anche se molte di loro ora indossano le mute, tutte si rifiutano di usare le bombole che permetterebbero loro di rimanere molto più a lungo sotto la superficie dell'acqua. Per loro non è solo una questione di rispetto per la tradizione ma è anche un modo per prevenire lo sfruttamento eccessivo del territorio, potendo restare solo per poco tempo in immersione.
In questo video, girato nel corso di una visita al museo delle Ama di Toba durante uno dei viaggi Animeclick, potete ammirarle dal vivo:
Essendo un lavoro pericoloso, le donne non dimenticano di pregare gli dei per essere protette: visitano regolarmente il santuario shintoista di Shinmei, in cima a una piccola collina che domina il villaggio di Osatsu. Qui venerano una divinità chiamata Ishigami-san, porgendo offerte sotto forma di sake e torte di riso e richiamano la sua attenzione suonando un gong. La leggenda vuole che almeno una volta nella vita ogni donna vedrà realizzato uno dei suoi desideri da Ishigami-san.
Le ama sono state immortalate sulle stampe ukiyo-e di Utamaro e Hokusai ("Il sogno della moglie del pescatore" ne è l'esempio più famoso) e sui francobolli. Sono state le protagoniste del dorama della NHK "Ama-chan" in cui la protagonista è una ragazza che si trasferisce nella regione del Tohoku per diventare appunto una ama. Le troviamo anche nei romanzi "Il respiro degli Abissi"di James Nestor, in "Si vive solo due volte" di Ian Fleming, (e nel film omonimo "Agente 007 - Si vive solo due volte" nel quale appare la pescatrice Kissy Suzuki) e in "Dimentica di respirare" (2018) di Kareen De Martin Pinter.
Purtroppo la loro figura sta lentamente scomparendo: se nel 1956 se ne contavano circa 17.000, oggi il loro numero è sceso a 2.000, la maggior parte delle quali vive nella penisola di Shima nella prefettura di Mie, sulla costa orientale di Osaka. La loro età poi è sempre più elevata: nel 2003, la media era di 67 anni (le più giovani intorno ai 50 anni e le più anziane sugli 87 anni). D'altronde al giorno d'oggi difficilmente si riesce a vivere facendo solo l'ama: occorre trovarsi un secondo lavoro, per cui le giovani generazioni preferiscono andare in città alla ricerca di un impiego più sicuro e più redditizio.
Si spera che il governo e le autorità locali aiutino le ama offrendo loro un sostegno finanziario; ogni nuova allieva è accettata con entusiasmo e poco importa se non fa parte di una famiglia del luogo, se la sua nonna e la sua bisnonna non sono ama. "Se vogliamo proteggere e trasmettere i valori delle Ama, il loro modo di vivere, dobbiamo aprirci agli estranei e andare oltre la tradizione di tramandare il nostro sapere solo in famiglia" dichiara convinta una di loro.
Fonte consultata:
Nippon
TheJapanTimes