Il giornale Nikkei prevede tempi bui in arrivo per l'industria giapponese degli anime
Aumenta la competizione dall'estero: la Cina si sta concentrando particolarmente sull'animazione domestica
di Demi98
A differenza però del Giappone, che continua a registrare una crescita interna scarsa negli ultimi anni, la Cina ha ribaltato la situazione, aumentando le risorse ed i fondi dedicati all'animazione: ad oggi le società cinesi assumono sempre più aziende giapponesi per lavorare su IP cinesi. Un esempio emblematico può essere quello del 2018, quando una società appartenente a Tencent ha aperto uno studio chiamato Colored Pencil Animation Japan, che produce anime per i servizi di streaming del colosso tecnologico cinese (tra i più famosi ricordiamo Quan Zhi Gao Sho).
Un altro fattore che distingue la Cina dal Giappone sono gli ottimi salari di cui godono gli animatori che lavorano per società di animazione cinesi: a differenza dell'industria giapponese, che tende a fare affidamento sul lavoro dei liberi professionisti, la Colored Pencil Animation Japan assume animatori come dipendenti e persino i nuovi arrivati guadagnano uno stipendio superiore alla media del settore (si parla di 175.000 yen, quasi 1500 euro al mese). Nel frattempo, secondo un recente sondaggio della Japan Animation Creators Association, solo il 14% degli animatori giapponesi è impiegato a tempo indeterminato.
L’interesse della Cina nell'animazione domestica è nato parallelamente ad un difficile periodo finanziario per gli studi di animazione giapponesi: secondo la Teikoku Databank, oltre il 30% degli studi di produzione di animazione in Giappone era in rosso nel 2018 e quelle andate in bancarotta lo erano da minimo 10 anni. Questo è principalmente dovuto al fatto che poiché il prezzo del lavoro a contratto continua a scendere si rimane a corto di personale e non si è in grado di lavorare di più, creando così un circolo vizioso; basta infatti che anche solo una persona si ritiri per impedire alla società di completare i progetti a cui ha preso parte. La situazione ha reso più difficile la formazione di giovani animatori e anche la qualità delle animazioni ne ha risentito; secondo Bunjirō Eguchi, CEO di Colored Pencil Animation Japan, ci sono anche casi in cui la società ha affidato lavori ad animatori giapponesi, il cui lavoro però è stato poi rifiutato a causa della scarsa qualità e che, col tempo, potrebbe creare stagnazione nel settore.
Secondo l'Association of Japanese Animations, il valore di mercato totale per l'industria degli anime nel 2018 è di 2.1814 trilioni di yen, ovvero circa 18 miliardi di euro); d'altra parte però solo 267.1 miliardi di yen (circa 2.2 miliardi di euro, dunque il 12% del valore di mercato) sono andati a studi di animazione. Inoltre, sebbene circa la metà delle entrate dell'industria degli anime provenga dall'estero, una quota maggiore del denaro viene destinata ai comitati di produzione, che impedisce a molti studi di vedere profitti anche nel caso di serie anime di successo. Secondo Daisuke Iijima, ricercatore della Teikoku Databank, le aziende cinesi stanno cercando di invogliare gli animatori giapponesi a lavorare in Cina per espandere il loro mercato interno: Nikkei ha citato un sito web di reclutamento cinese che aveva inserzioni con uno stipendio mensile di circa 34.000 yuan (4.200 euro).
L'editoriale si conclude con una cupa previsione per l'industria giapponese ed il sistema del comitato di produzione per il finanziamento degli anime, e questo declino durerà finché non ci sarà una migliore distribuzione dei profitti tra le varie società.
Fonte Consultata:
Anime News Network