Far East Film Festival 25: intervista agli autori di Yudo, la sacra "via del bagno" giapponese
Dallo sceneggiatore di Departures, una commedia moderna e frizzante, dal sapore profondamente nostalgico, apre lo sguardo a un'affezionata tradizione nipponica
di zettaiLara
Di seguito Vi proponiamo il focus sul film Yudo, incentrato sulla tradizione prettamente nipponica del sentō, ovvero dei bagni pubblici. Nella pellicola udiamo inoltre anche le musiche di Naoki Sato (Rurouni Kenshin).
Yudo ~ Trailer completo con sottotitoli in lingua inglese
Per Yudo, a Udine sono giunti come ospiti il regista Masayuki Suzuki (GTO, Bocchan, Radiation House), il produttore Hiroki Wakamatsu e lo sceneggiatore Kundo Koyama (Departures), che hanno lasciato in dono a Sabrina Baracetti, la direttrice del Far East, omaggi "a tema" nella forma di un catino tradizionale e non solo:
Com’è nata l'idea del film? Il film era già stato pensato da un po’ di tempo e si doveva semplicemente valutare come realizzarlo?
Inoltre, il film è stato realizzato in maniera specifica per un pubblico giapponese oppure intende offrire uno sguardo più internazionale, dal momento che ha un'attrattiva che può andare anche al di fuori dei confini nipponici?
Masayuki Suzuki e Hiroki Wakamatsu (regia e produzione): il tempo di realizzazione del film non possiamo dire che sia stato lungo perché ne abbiamo realizzati di ben più lunghi. Per quanto riguarda invece il lasso di tempo da quando abbiamo iniziato a parlare dello yudo, in cui si è deciso che questo sarebbe stato il titolo, che avrebbe avuto come idea quella di un sentō e, in generale, da quando abbiamo parlato in maniera generica di questo argomento finché non è stata prodotta la sceneggiatura, è stato di circa due anni.
In questi due anni abbiamo avuto modo di visitare molti sentō, tutti e tre assieme: abbiamo iniziato con un sentō a Kawasaki e poi abbiamo proseguito con vari sentō presenti in Giappone, trascorrendo anche bei momenti assieme. Anche perché quando ci recavamo nei vari sentō bevevamo con le persone che erano lì, cercavamo di ottenere dei momenti di convivialità tutti assieme, ed è così che poi si è sviluppato il resto della storia e in breve abbiamo iniziato a girare.
Invece, per quanto riguarda il possibile pubblico internazionale, noi vogliamo creare una forma di intrattenimento, questo è il nostro business, e senza dubbio l’elemento principale è quello di riuscire a fare un prodotto di successo per il pubblico nazionale; siccome però esso rappresenta un elemento culturale giapponese così peculiare e importante, è da tempo che abbiamo cercato di spingere perché venisse presentato anche all’estero, perché secondo noi ha dei valori che possono essere apprezzati anche al di fuori del Giappone.
Kundo Koyama (sceneggiatura): aggiungo che in realtà ancor prima di voler creare un film che riguardasse lo yudo, io volevo proprio creare lo yudo, cioè la "via dell’acqua calda e dei bagni giapponesi". Questa idea era nata già nel 2015, perché avevo pensato che esistendo una "via del tè" (cha-no-yu), secondo me, poteva esistere anche una "via dell’acqua", una "via dello yudo".
Poi mano a mano che le cose sono andate avanti non ho voluto solo creare la storia, ma ho deciso che avrei voluto realizzare un film e, intanto, una sceneggiatura che avesse come protagonista l’ofuro (rito del bagno giapponese). Visto l’argomento, credevo che avrebbe ricevuto al massimo la collaborazione da parte di qualche casa di distribuzione indipendente, ma certo non avrei mai pensato che addirittura la Fuji Television avrebbe messo gli occhi su una tale sceneggiatura.
Poi ecco, come dire, la ruota della vita si è anche un po' rotta probabilmente, quindi quella che inizialmente doveva essere un’opera "seriosa", per il fatto che poi siamo diventati noi tre a occuparcene, ha preso uno slancio di commedia che non si era preso in considerazione all'inizio.
I bagni pubblici in Giappone, così come le onsen, fanno parte di una peculiare tradizione. Quale messaggio al riguardo vorreste che in particolare il film riuscisse a veicolare?
M. S., H. W. e K. K.: quando ci troviamo nella scena che si concentra sullo yudo, in cui c’è l’eremita del bagno, ad un certo punto viene detto: "ma che cos’è l’ofuro se non un’illusione?". Si parla cioè del venerare una via, però, alla fine in realtà questa via è un’illusione perché tutto quanto dipenderà da
come gli spettatori percepiranno tutto questo, e la battuta del film, all'interno del film.
Questo era il concetto più importante che si voleva trasferire, cioè il fatto che ci fosse una personale percezione dei sentō per ciascuno.
Dato che viviamo in un periodo storico estremamente nostalgico, secondo voi questo film può essere considerato un inno alla nostalgia? Dal racconto che ne viene fatto, il sento sembra cioè essere un po' come la madeleine di Proust, cioè riporta le persone a un certo periodo e sentimento della loro infanzia, a livello psicologico.
M. S., H. W. e K. K.: sì, diciamo che per quello che riguarda l’immagine abbiamo tenuto bene in mente quella che fosse l’atmosfera dell’epoca Shōwa, però l’accezione non voleva essere necessariamente incentrata sul passato. Voleva essere un’attenzione incentrata sul presente, dando al contempo l’idea che questo presente partisse dal presupposto che l’epoca in cui probabilmente i sentō erano in maggiore attività era, appunto, lo Shōwa.
Questo era più che altro per presentare il fatto che si partiva da un’epoca in cui era normale utilizzare i bagni pubblici per comunicare, per stare insieme, anche con persone di età diverse tra loro.
Kundo Koyama (sceneggiatura): aggiungo che in un’intervista precedente si era parlato del fatto che a Kyoto c’è un locale di ristorazione che ha ben 167 anni dalla sua fondazione. Adesso me ne occupo io, ma la precedente proprietaria mi aveva detto di come la tradizione riguardi una continuatività di innovazione. Un’innovazione continua è la vera forma di tradizione. Tradizione non vuol dire semplicemente "Ah, che bello! Ho qualcosa di vecchio, di antico tra le mie mani", significa aggiungere sempre un elemento nuovo a qualcosa del passato, quindi scervellarsi su quello che può essere un elemento nuovo che si può integrare rispetto a quello che c’è già stato, cioè una continuatività.
La stessa cosa vale per questa storia: non è una storia che vuole solo proteggere i sentō, vuole essere una sfida nel fare sopravvivere questa attività, aggiungendo un qualcosa in più.
Questo film può essere definito anche un film su padri e figli, anche se il padre lo vediamo solamente tramite dei ricordi. Quanto è importante quindi questo aspetto nella storia? E quanto sono importanti queste attività familiari che tendono a scomparire?
Kundo Koyama (sceneggiatura): il rapporto tra genitori e figli si nota anche nell’altro film che ho sceneggiato, ovvero Departures, e probabilmente questa cosa deriva dal fatto che io non ho avuto una grande relazione con i miei genitori... e quindi come forma di ammirazione nei confronti di chi ha avuto una buona relazione con loro, tendo effettivamente ad inserire questo tema nelle mie opere.
Fonti consultate:
Si ringrazia mxcol per la realizzazione dell'intervista e il corredo fotografico, nonché l'ufficio stampa del Far East Film Festival per la disponibilità