A volte mi tocca spiegarlo a fiere, eventi e nei viaggi. Il Giappone è davvero tremendamente diverso da noi, arrivando agli estremi opposti.
Complimenti ad Hachi, ci tenevo particolarmente a questo articolo che rende più chiaro uno dei mali nipponici che sembra più una leggenda metropolitana e invece...
Ecco, questi sono articoli che davvero vogliamo leggere. Poi ci fanno male, ma... ci vogliono, ed è giusto che ci siano. Perché ogni realtà ha più di un lato oscuro. Grazie.
Complimenti per l'articolo, davvero dettagliato ed esaustivo su un argomento che, purtroppo, viene spesso ignorato e sottovalutato.
Purtroppo il "lavorare per gli altri sempre e comunque fino a morirne" è un concetto fin troppo radicato nella mentalità giapponese, per loro l'avere tempo libero viene visto come un "disonore", se poi pensiamo che il più grande "sogno giapponese" (passatemi il termine) del giapponese medio è di essere assunto in una grande azienda e diventare impiegato......
E purtroppo, anche se in misura diversa (ma neanche tanto alla fine), questo "modello" lavorativo inizia ad essere pure esportato all'estero e in Italia, dove le aziende sfruttano i nuovi assunti o precari......per carità non dico fino alla morte, ma di sicuro di poco sotto i limiti della sopportazione umana.
Pensando al lavoro in Giappone poi mi torna in mente che alle superiori ho avuto come compagno di classe un giapponese che è stato in Italia per un anno con uno scambio interculturale, ricordo che era rimasto impressionato che l'orario scolastico finisse "già" all'ora di pranzo e che avessimo tre mesi di vacanza in estate ("date molto spazio al tempo libero!" mi disse) e ricordo ancora quando qualche anno fa è tornato in Italia per un breve periodo, gli chiesi se aveva trovato una ragazza in questo lasso di tempo, ma lui si è messo a ridere e ha detto "appena sono tornato in Italia tutti che me l'hanno chiesto! Ma mettere su famiglia non è così importante, è più importante pensare allo studio/lavoro!" e questo suo commento la dice tutta.....
Come ultima cosa, visto che siamo su un sito dedicato ad anime e manga, parlando nello specifico del lavoro dei mangaka......certo, anch'io mi incavolo di brutto perchè Yoshihiro Togashi sta fermo anni prima di continuare Hunter X Hunter, anch'io mi spazientisco vista la lentezza con cui Kentaro Miura pubblica nuovi capitoli di Berserk.....però vedendo che razza di ritmi inumani hanno i giapponesi riguardo al lavoro.....non dico che li giustifico al 100%, ma capisco se dopo un po' non hanno molta voglia di lavorare......
Purtroppo conoscevo già questo fatto. Tale e quale all'Italia insomma! Da noi oggi lavoro non c'è ma solo a chi lavora in nero credo possa capitare una cosa simile. Rido sempre di quelli che trovano che vivere alla giapponese sia "fico". Il Sol Levante è bello ed esotico da turisti o da gaijin ma io personalmente non farei neanche un giorno della vita di un giapponese. E' una cultura dove l'universale prevale sul particolare. I gruppi (famiglia, scuola, azienda, nazione,...) vengono sempre prima dei singoli. In pratica è un supplizio dantesco in una voragine di responsabilità reali o posticce che divorano l'individuo.
Alle Twin Towers, l'11 Settembre, un gruppo di impiegati nipponici che era riuscito a mettersi in salvo dovette risalire su una delle torri "per riprendere il lavoro". Sono morti tutti quando la torre crollò. Ovviamente ogni paese ha le sue regole scritte e non, ma questo non è semplice stakanovismo. Che io sappia è una realtà tipicamente giapponese, altrove è considerato sfruttamento o schiavismo.
A causa di questa pressione sociale i giapponesi stanno addirittura sparendo come etnia. Ci sono aziende che hanno dovuto obbligare gli impiegati a prendersi delle ferie perchè rimanessero a casa a fare figli. Il Giappone è già da tempo il paese più "vecchio" del mondo col più basso tasso globale di giovani per popolazione. Altissimo è anche il tasso di suicidi.
Per molti occidentali questa mentalità è incomprensibile ma quanto costa al paese tutto questo?
"Si trabajas para vivir porque te matas de trabajo"
Articolo molto bello, che mette in mostra l'amore del sito per tutte le sfaccettature della cultura giapponese, anche quelle più brutte e disumane. Come dico sempre il Giappone è un paese fantastico da visitare, ma viverci e lavorarci sono un altro paio di maniche. Ancora, complimenti per l'articolo.
Infatti, come dice Zero, io non critico i mangaka che si prendono le pause, ma ammiro chi NON se le prende. Sono ritmi di lavoro per me inconcepibili. Per me già 8 ore giornaliere sono troppe, farei di tutto per lavorarne al massimo 6 giornaliere. Non si può vivere per lavorare, ma la "vita" dovrebbe occupare più tempo di quello occupato dal lavoro.
Ho visto un drama. quest'estate, dove un amico del protagonista si toglieva la vita perchè, prossimo alla laurea, non riusciva a trovare un lavoro fisso..quindi lo stress inizia già con la ricerca del posto di lavoro, figuriamoci dopo. Dalla nascita, i giapponesi, sono convogliati direttamente in un nefando sistema di obblighi e codificazioni che, di fatto, ne anninetano la personalità: si è solo un ingranaggio nel sistema. Questa svalutazione dell'io è un po' tipica della mentalità orientale, dove è la comunità a contare, ma il Sol Levante, sicuramente, lo ha portato all'estremo. Bello vedere che ci sono timidi segnali di cambiamento: anche perchè tutti questi suicidi, in continuo aumento, dimostrano che incosciamente la popolazione si sta già ribellando, prima o poi i danni psichici vengono alla luce, non si può resistere anni a lavorare 13 ore al giorno!! Cioè, vi rendete conto: prendere le ferie per concepire un figlio???? O_O
È davvero importante che articoli come questo vengano pubblicati su questo portale, e di questo non posso far altro che encomiare Hachi194, che anche questa volta ha davvero fatto un lavoro superbo! Una realtà davvero triste e disgustosa questa dello sfruttamento disumano del lavoro dipendente, benché in realtà i lavoratori siano tutelati teoricamente dalle leggi, ma purtroppo, così come già visto in un articolo pubblicato recentemente su questo stesso portale sui burakumin, mentalità arcaiche quanto sbagliate, unite ad un conformismo esasperato e ad un indottrinamento che comincia già in tenera età sui banchi di scuola, fanno sì che questi paghino un prezzo esagerato per gli interessi delle loro aziende. La cosa che suscita in me più rabbia è che questa situazione scandalosa sia vissuta dalla maggior parte della popolazione con totale rassegnazione, come se non potesse esserci nessuna alternativa a questo mondo del lavoro così crudo e alienante. Non stupisce affatto che poi nelle statistiche internazionali il Giappone ha il record di suicidi e di infelicità percepita. Le cause di tutto questo penso che vadano ricercate nella storia stessa del Giappone, e della sua società, nell'esaltazione estrema del valore della collettività a costo di considerare gli individui poco più che un numero. Qualcuno sta provando a ribellarsi, ma vista l'insensibilità pressoché totale degli organi giudiziari e della politica verso queste istanze di giustizia e umanità, solo quando ci sarà un vero risveglio della coscienza della massa potrà migliorare questa situazione. Lo tengano bene a mente tutti quegli ingenui che pensano che il Giappone sia una specie di gigantesco parco dei divertimenti dove vivere spensieratamente, questo può essere vero per i turisti, ma non certo per gli indigeni, almeno nella maggior parte dei casi!
Una parte oscura del giappone. Qualche tempo fa ho visto pure uno documento che mostrava una copia giapponese che ha mostrato tabu della societa giapponese. Iniziando da un uomo su 56 anni che lavora part-time e prima negli anni 90 era bussines man che ha perso tutto grazie grande crisi. La sua ragazza che fa acompagnatrice in uno bar, dove lei stessa dopo lavoro prende anti-depressivi per spegnersi e dormire. Una bella critica del capitalismo disumano e della vita dei tanti giapponesi. Il documentario si chiama Japan: A story of love and hate ...lo consiglio vedere a tutti http://www.imdb.com/title/tt1401179/ Putroppo ho potuto vederlo solo in inglese, quindi non so dirvi sulla versione italiana.
Onestamente questo articolo mi ha colto di sorpresa. Pensavo che tutte queste cose fossero retaggio del passato, cose che si sentivano negli anni ottanta. Non credevo assolutamente che nel 2015 il Giappone fosse ancora cosi'.
Che poi e' tutta un'assurdita', perche' la produttivita' di lavorare 90 ore a settimana e' meno di quella di lavorare 45 ore, visto che i lavoratori saranno completamente rimbecilliti e faranno piu' errori che cose utili. Non a caso l'economia giapponese e' in stagnazione da piu' di 25 anni. I paesi piu' prodottivi sono quelli in cui i lavoratori lavorano meno, tipo la Germania, l'Olanda e il Nord Europa. Quindi questo sistema e' dannoso anche per le aziende oltre che per i lavoratori e la societa' in generale.
Bellissimo articolo, ero già a conoscenza di questi problemi ma non pensavo raggiungessero queste cifre, mi sono sentito male a leggerle O.o ! E' proprio vero che il Giappone è un paese pieno di contraddizioni...
L'ironia tra il sapere che ci sono persone che si uccidono di lavoro e persone che lavorano poco e male, si lamentano, eppure vivono e anche molto meglio. Il senso del dovere e il rispetto per il proprio lavoro, che piaccia o meno, è importantissimo, ma mai portato agli eccessi, una mentalità di quel tipo è deleterio per la società, al di là del mero riscontro economico che ne ricava. Mi auguro che le cose migliorino per quelle persone, che, pur private della propria libertà, hanno tutto il mio rispetto.
Ottimo articolo come sempre! Vado un attimo contro corrente sull'argomento: è assolutamente innegabile che il problema ci sia e continui ad esser molto radicato, tuttavia a detta di alcuni italiani che vivono da anni in Giappone il problema si focalizza più sul fatto che il dipendente è costretto a rimanere tante ore in ditta per volere del suo capo (o capo reparto) anche se di fatto, magari, non c'è sto gran lavoro da portare avanti/ultimare... perchè andare a casa prima serebbe maleducato, irrispettoso... e si rischierebbe di innescare del mobbing pesante da parte dei colleghi! Poi va beh, le casistiche sono molteplici e variabili... Sempre secondo ciò che dicono i nostri connazionali in Giappone (a differenza dell'italia) si riuscirebbe a vivere degnamente anche facendo tanti lavori part-time (anche se dalla società è considerato altamente denigratorio) però permetterebbe di avere del buon tempo libero e molti giovani giapponesi si starebbero orientando più verso queste opportunità... Grazie Hachi!
Caino (anonimo)
- 9 anni fa
20
@micheles i paesi più produttivi sono quelli senza diritti Se un ragazzo di 23 anni lavora 15 ore al giorno ha scelto di essere un martire come tutti quelli prima (e dopo) di lui. Come si fa a dire che il giappone e l'italia in questo sono diverse? Paghiamo entrambi per gli errori di gente che ha rinunciato ai propri diritti per lavorare.
Bellissimo articolo, complimenti! La cosa triste è che ci stiamo arrivando anche in Italia: non posso ovviamente scrivere nomi di ditte in un sito internet pubblico, ma posso dirvi che ho sentito storie terribili anche di ditte italiane che già chiedono orari assurdi, di continuare il lavoro a casa, nessun giorno di riposo, straordinari lunghi non pagati, pena licenziamento in tronco (tanto fuori dalla porta c'era la fila). Mi ci sono trovata anche io, per fortuna era un lavoro di un anno (una delle poche volte che ho ringraziato il lavoro precario), mi ricordo bene quell'anno perchè ero dimagrita tantissimo, peccato fosse tutto mancanza di sonno e stress.
Bellissimo articolo, veramente, complimenti. Questi sono gli articoli che vogliamo vedere su animeclick. Conoscevo già questa realtà purtroppo, ma è doveroso ribadire questi problemi, perchè sia chiaro che in giappone non è tutto caruccio luccicoso anime manga, è un popolo diversissimo da noi con problemi che facciamo addirittura fatica a comprendere. Una mentalità sul lavoro del genere non riusciamo nemmeno ad immaginarla, è necessario comprendere una profonda diversità culturale.
Bell'articolo, complimenti all'autore. C'è da dire che in Giappone, cosi come in altri paesi orientali, se le cose funzionano perfettamente c'è un motivo...ed è questo. Naturalmente questa perfezione ha un prezzo caro, carissimo, a mio modo di vedere insensato.
Molti credono che sia tutto rose e fiori, come nei manga e negli anime, ma solo una parte delle cose che leggiamo e vediamo sono reali. Ciò che mi fa piacere è che ci siano numerosi segnali di cambiamento, segnali che possano portare avanti gli ideali del Giappone senza intaccare però la vita e le menti del suo popolo. Spero davvero che le cose cambino al più presto.
Alexander
- 9 anni fa
111
E' necessario che queste situazioni vengano riconosciute al più presto per quello che sono: violazione dei diritti umani e crimini contro l'umanità.
Darcia
- 9 anni fa
50
Verità agghiaccianti purtroppo. Grazie per lo splendido articolo Hachi.
Che il dipendente Giapponese sia "assoggettato" all'azienda per cui lavora è cosa nota, da decenni, una volta la si vedeva più con ironia oggi si guarda anche ai risvolti drammatici di certe conseguenze.
Il problema però si è ingigantito con il graduale passaggio dal dipendente "fisso" a quelli "iterinale". Il 30% della forza lavoro è un numero veramente altissimo, e purtroppo il trend è mondiale, nonostante la continua riduzione dei diritti anche per i lavoratori fissi.
Purtroppo in alcune nazioni l'errore delle associazioni per la difesa dei lavoratori è stato accettare certi soprusi verso questi lavoratori di "serie b" in cambio del mantenimento dello status quo per gli altri. Non pensando che a lungo andare il numero dei primi sarebbe stato tale da porre i secondi di fronte all'alternativa "o rinunciate ai diritti o diventate anche voi lavoratori di serie b". E sarà sempre peggio.
Sul fronte dati statistici anche nei paesi occidentali le morti e le malattie causate da stress lavorativo non mancano, certo non siamo arrivati ai casi eccezzionali di questo articolo, sperando anche anche in Giappone questi siano appunto casi eccezzionali e non la normalità che si sta creando. Perchè combattere qualcosa che si è radicato è molto più difficile che farlo per tempo.
Situazione tristemente nota e purtroppo ancora presente nella "moderna" società giapponese, grazie ad Hachi per questo articolo cosi' chiaro e completo.
Da fan di anime e manga verrebbe naturale pensare che sarebbe un sogno andare a vivere nel Sol Levante dove si potrebbe accedere a tutte le serie esistenti e stare a contatto con tutto ciò che ne è inerente: cibo, musica, tradizione, sfilza di gadget ed eventi e cosi' via. Mettendo spesso in secondo piano quello che dovrebbe veramente essere l'ostacolo, ossia come farsi una vita li'.
Sono realtà come karoshi e traffico umano (se ne sentono di articoli che ne parlano, purtroppo, fenomeni simili se ne vedono pure negli stessi anime e manga, solo che qui ai nostri occhi ci appaiono più come situazioni eroiche in favore del protangonista...) che più delle volte mi hanno frenata ad immedesimarmi in una società, già complicata di suo, come quello giapponese, senza contare poi tutte le difficoltà di chi viene da fuori, abituato poi ad un altro modello di vita fin da piccolo.
Il Giappone è anch'esso pieno di facce nascoste, bisogna conoscerle e farsi una ragione che non sia sempre un paradiso.
@Franzelion: vado un po' in OT, ma concordo con il tuo pensiero che non si possa vivere per lavorare, infatti credo anch'io che bisogna tenere il lavoro separato dalla vita privata. Se sei dipendente, hai quel lavoro li' con tot ore da fare, quando hai finito hai finito, non che devi trascinarti dietro il pensiero del lavoro anche al di fuori dell'orario lavorativo per tutto il resto della tua giornata. Discorso diverso se l'attività è tua o sei comunque in qualche modo ancora legato a tale lavoro. Però per quanto mi riguarda, come orario lavorativo, il full-time che studiai a scuola del 48 ore settimanali con giorno di riposo mi sembra giusto. Solo che per come siamo messi ora, per quello che sento e ho vissuto, le almeno 9-10h giornaliere stanno diventando la norma...
Grazie per il bellissimo articolo. E' bene conoscere anche questi aspetti negativi del Giappone. Come direbbe mia madre "li allevano già da piccoli": già dalla scuola, i ragazzini devono impegnarsi a scuola e studiare per entrare nelle migliori scuoleuniversità e trovare poi un buon posto di lavoro. E una volta trovato un'occupazione, hanno ritmi sfiancanti, orari e ritmi di lavoro assurdi. Non c'è da stupirsi se poi c'è chi non regge allo stress fisico e mentale e compie un gesto estremo, o ci lascia le penne. E' un problema di mentalità secondo me, ma spero che si riescano a fare dei passi in avanti in futuro per ridurre questo fenomeno. E' una piaga che va debellata.
In Giappone si ha subito l'impressione che un conto è essere turisti, un conto è viverci.
Per carità, mi capitano pure a me settimana con 100 ore di lavoro e ci sta che ci siano, ma si tratta di 3/4 l'anno. Se fosse la prassi morirei, già finite quelle settimane sono messo male ;
Questo articolo deve essere da perfetto esempio di come uno stato come il giappone non sia tutto rose e fiori come lo si vuol far credere (senza contare che ci sarebbe anche da parlare di come il lavoro sia importante a livello sociale) e di come questo fenomeno sia uno delle grosse piaghe nipponiche. Quindi per concluderla sul comico "in vacanza si, ma viverci troppo no grazie". Hachi, non posso fare davvero altro se non rigraziarti e complimentarmi per il tempo e l' impegno impiegato per la sua stesura, davvero un ottimo articolo! ☺
Utente10941
- 9 anni fa
50
Certi articoli e perciò certe notizie lasciano a bocca aperta: da dietro uno schermo o magari con rari viaggetti in questa "terra favolosa", noi amanti della cultura giapponese pensiamo che lì sia tutto, non dico rose e fiori, ma almeno diverso da qui, sicuramente migliore. Secondo me l'impostazione giapponese si fa preoccupante già dalla scuola, ma questa cosa del lavoro proprio non la sapevo, ti credo che poi il Giappone è fra le nazioni più ricche: lo è scapito dei suoi abitanti. Non dico di essere fanfaroni e perditempo come la maggior parte degli italiani sono, ma questa situazione è ridicola. Altro che manga e videogiochi, guardiamo la realtà dei fatti che vivono i giapponesi...
Cosa si intende per produttività lo sanno solo chi stila certe classifiche. Temo che per molti produttività significhi benessere, ma proprio questo genere di articoli - no scusatemi, i problemi che ha evidenziato Hachi - dimostrano l'esatto contrario. Il Karoshi è un fenomeno, per molti versi titpico del Giappone, una mescolanza, lo si è notato, di mentalità arcaica e di eccessi capitalistici - e tralasciamo l'intero capitolo delle bevute del dopolavoro con il capo ufficio ed i colleghi, il modo in cui sono trattate le donne negli uffici, salvo casi fortunati sono le ultime ruote del caro comunque, senza voler scendere in dettagli peggiori, che sono questioni non di mero folclore - ma potete trovarne forme simili anche in ambienti diversi è invalsa l'idea, in certi ambiti, del necessario scambio fra benessere economico e diritti, la "sottomissione" ( termine tanto caro alla destra) dell'individuo in nome della necessaria "prosperità" della Comunitas......Peccato che questa Prosperità sia declinata solo in termini di PIL [ sempre sommato aritmeticamente ] mai di benessere vero, ignorando i costi per i singoli e le famiglie - Hachi fà bene a sottolineare come nello stesso giappone si sia consapevoli di quanto pericoloso sia per la vita familiare questa situazione - ma sarà meglio che noi tutti ci guardiamo allo specchio ogni giorno. L'idea che queste cose possano succedere solo nel "lontano Cipangu"...bhè è sbagliata assai, succedono anche molto vicino a noi..]
Ovviamente sapevo del problema ma non pensavo fossero così tante le vittime, fa davvero paura l'idea di vivere in questo modo, se poi si può chiamare vivere. Davvero un ottimo articolo Hachi.
Porca vacca!! Sapevo che erano gran lavoratori! Ma arrivare a questi punti certo non me lo sarei mai aspettato!! Per me è una cosa inconcepibile, non vivo per lavorare, ma lavoro per vivere!! Voglio dire, che senso ha essere retribuiti se poi non posso godermi il frutto del mio lavoro, ma anzi devo lavorare ancora e ancora!! Sarò italiano, ma la penso così! Spero comunque che le cose cambino in Giappone cambino, non si può vivere così! Anzi morire così!
Questo articolo mi ha lasciata senza parole. Ho sempre visto i giapponesi come persone che dedicano tutto al lavoro con l'obiettivo di avere successo nella vita, ma non immaginavo che la situazione fosse così critica. In molti casi lavorano quasi il doppio delle ore rispetto ad un dipendente italiano. Fortunatamente, sembra che si sia mosso qualcosa, ma la strada per raggiungere un cambiamento nelle loro abitudini é ancora lunga.
Oggi ho avuto la giornata super impegnata, arrivo tardi su AC e trovo questo splendido articolo di Hachi che ha fatto una disanima perfetta di questo grave problema che viene tenuto nascosto. Spero di non "copiare" le riflessioni e le considerazioni degli altri utenti, nel caso mi scuso ma allo stesso tempo mi fa piacere vedere che quello che sento io è condiviso da altri.
L'aspetto degli straordinari obbligatori non retribuiti lo conoscevo, con tutte le sfumature che si porta dietro - appartenenza al gruppo della "ditta" per la quale si lavora, sopportazione per cortesia o per rispetto verso i colleghi più anziani... In Usagi Drop, pur senza mostrare l'aspetto della durata degli straordinari, si vede che la ditta dove lavora Daikichi concede a lui e a un'altra collega la possibilità di NON fare straordinari per avere la possibilità di prendersi cura dei bambini, ovviamente al prezzo di rinunciare alla carriera adattandosi a un semplice lavoro di magazziniere. Questi aspetti me li ha raccontati anche una mia collega che, nella sua storia lavorativa, è stata impiegata a tempo determinato nella filiale italiana di una ditta giapponese. Pur essendo su Firenze gli impiegati erano quasi tutti nipponici - sorrideva per i tanti "Moshi Moshi" al telefono - e lei era praticamente l'unica che rispettava l'orario di 8 ore contrattuali: tutti i suoi colleghi si trattenevano per 2-3 ore oltre l'orario di lavoro, e ricorda ancora il clima di "voglio fregarti in tutti i modi" tra colleghi che si respirava in quelle stanze.
Altri hanno già fatto riferimento al gruppo che viene prima dell'individuo in quasi tutti i campi della vita di un giapponese; Keiko Ichiguchi, nel libro Non ci sono più i giapponesi di una volta, affronta il tema della competizione tra gli studenti - legato al successivo ingresso nel mondo del lavoro - che, dalle scuole medie in poi, sono costretti ad vivere per ottenere i voti migliori (che garantiscono l'accesso ai licei più rinomati, alle università prestigiose e alle aziende importanti, ma solo per quei pochissimi che riescono a mantenere la media dell'eccellenza lungo tutto il loro percorso di studi); qui ho rivisto Godai di Maison Ikkoku, i sacrifici che compie per tentare di accedere a un'università prestigiosa e i compromessi che è costretto ad accettare quando si accorge che solo un'università di terz'ordine è alla sua portata.
Che la maggiore produttività sia legata a un maggior numero di ore lavorate può essere vero per una fabbrica, meno per i "colletti bianchi" che anzi - come già ricordato - dopo un lungo periodo di lavoro possono commettere errori a ripetizione. Anche qui ricordo un episodio di Lamù dove il sig. Moroboshi viene ripreso dal suo capoufficio perché aveva sbagliato completamente un report, e lo invitava a ripresentarlo corretto rifacendolo fuori dall'orario di lavoro non retribuito.
Il rientro a casa con l'ultimo treno disponibile mi ha fatto tornare in mente un altro aspetto: ci sono anche dei lavoratori che lo perdono, perché hanno lavorato molto oltre l'orario pattuito o perché si sono trattenuti nei giri di bevute con i colleghi/capi, e l'unica possibilità di riposo che gli è concessa è passare la notte in un capsule hotel o in un manga café, sperando che l'indomani possano rientrare a casa...
Mi rendo conto che le mie note sono ben poca cosa rispetto ai temi trattati da Hachi, ma chi è intervenuto prima di me ha già posto l'accento sulla gravità del fenomeno del Karoshi: io sono rimasto veramente molto turbato dal fatto che le aziende coinvolte fanno di tutto per nascondere le morti sospette o a farle passare per "cause naturali" (come se fosse naturale per un giovane morire per un ictus o un infarto o arrivare a perdere quindici chili per lo stress).
Ma se passano tutto questo tempo in azienda, poi quando li vanno a spendere i soldi che guadagnano? Poi ci credo che l'economia non gira... So che è un ragionamento semplicistico, ma le due cose non potrebbero essere collegate, un minimo?
Ma a parte tutto, ha senso vivere una vita del genere?
M'inquieta assai come questo pensiero, impresso nella memoria di tante persone come il simbolo dell'orrore supremo, sembri collimare con le stesse prospettive presentate nel mondo del lavoro in Giappone. L'analogia è troppo forte per essere ignorata ed è proprio ora che il popolo giapponese, quelle persone che si rifiutano di fare causa all'azienda perché non ne vogliono rovinare la reputazione (quasi come mogli remissive di fronte agli abusi di un marito padrone), deve affrontare un passo importante per distaccarsi da questa mentalità che, farà anche parte della loro cultura, ma come molte cose provenienti dal passato rappresenta un punto di vista ormai superato e contro tutto ciò che riguarda la libera vita di una persona.
P.S. Complimenti per lo splendido articolo, ricco di spunti di riflessione e di nozioni molto utili per inquadrare il problema.
Pippov (anonimo)
- 9 anni fa
00
Ma anche Kondo dello Studio Ghibli si diceva fosse morto per il troppo lavoro. Ma ovviamente, vero o falso che fosse, la cosa fu negata.
se non stiamo attenti, rischiamo pure noi di fare questa fine!
Bababa (anonimo)
- 9 anni fa
00
L'articolo, boh, puzza un pò di vecchio. Le cose sono cambiate visto che anche in Giappone si sente la crisi, i disoccupati aumentano, i consumi sono al palo e si viene assunti giusto per vivere. In compenso c'è meno staordinario (escludendo ovviamente i salaryman) visto che molte aziende hanno fatto una misteriosa scoperta: lavorare 11 ore non rende poi tanto piu di 8. Anche dal governo si cerca di spingere ad una riforma di governo del tipo "meno lavoro ma per tutti". Poi non è vero che non si conoscono i nomi delle black companies, solo non c'è una lista ufficiale (dal governo per intenderci).
Ero già a conoscenza di questo problema, ma devo ammettere che non pensavo fosse così grave. È fondamentale che, oltre che sulle tante bellezze del Giappone, ci si soffermi a comprenderne i problemi, come si è fatto in questo articolo; per questo grazie mille ad Hachi.
Complimentoni per l'articolo davvero ben fatto e approfondito, anche io credevo che questa brutta piaga fosse un po scemata o almeno diminuita in questa ultima decade, ma a quanto pare ancora no è ancora viva . Certo che è davvero assurdo come l'impiegato giapponese sia sottomesso e si sottometta per il proprio capo e lavoro, però credevo che tutti gli extra lavorativi fossero almeno pagati come è giusto che sia, ma neanche quello!! O___O Questo articolo dovrebbero leggerlo tutti i giappomikia che rompono le scatole e credono che il Giappone sia il Paradiso sceso in terra dove tutto è perfetto e tutto funziona!!
A questo punto mi verrebbe da chiedere come siano visti gli scioperi dalla società, sempre se ci siano state persone tanto coraggiose da provare ad organizzarne uno.
Avere un buon senso civico è un'ottima cosa, porta un sacco di vantaggi e rende il posto dove si vive migliore, ma esistere in funzione di esso non ha assolutamente senso.
Un motivo in più per non lavorare, questa è l'ennesima prova che il detto "il lavoro nobilita l'uomo" sia un valore dannoso per l'uomo e tale valore dovrebbe essere cancellato.
Hachi194 sei bravissima! Io penso che sia proprio un problema dell'uomo moderno.... lavoriamo troppo, troppo poco tempo per la nostra vita. Ma dov'è quella famosa tecnologia promessa che doveva farci lavorare la metà?
Un ottimo articolo, esaustivo e ben scritto, su un argomento terribile. E' esattamente per questo motivo che ho rinunciato al sogno di vivere permanentemente in Giappone, perché ho troppa paura di una prospettiva del genere. Ovvio, non bisogna fare dell' erba un fascio, ma con numeri simili credo che sia molto difficile scamparne, una volta che ti trovi lì e devi trovare lavoro. La cosa che più agghiaccia secondo me è la generale accettazione di questa piaga sociale, neanche fosse un onore morire così. Spero che la situazione con il tempo migliori, perché di certo non è un modo di vivere umano.
Getty Images Getty Images Il "superlavoro" può essere riconosciuto come una causa di morte. A deciderlo è stato l'Ufficio di verifica delle condizioni di lavoro del Giappone che, chiamato in causa per la morte di un dipendente di Sony negli Emirati arabi uniti a gennaio 2018, ha condannato la multinazionale a risarcire i parenti della vittima.
Il caso, aperto dopo la morte di un 40enne "colletto bianco" del marketing, non è che l'ennesimo che vede le aziende accusate di "sfruttamento" dei lavoratori. Il "karoshi", ovvero la morte per troppo lavoro, è un problema sociale in Giappone che, secondo gli ultimi dati disponibili al 2019, ha subito oltre 174 morti per superlavoro, la maggior parte dei quali per suicidio. Secondo le autorità nipponiche, infatti, non conta tanto la causa del decesso (infarto, ictus, o altro), ma l'ambiente entro cui questo è avvenuto.
In Giappone il rapporto di lavoro supera quasi sempre in maniera eccessiva la prestazione all'interno di un orario definito. Nel caso del 40enne morto a Dubai, infatti, è stato rilevato che il dipendente aveva lavorato 80 ore mensili medie in più dell'orario previsto. Subito dopo il decesso la famiglia aveva presentato la richiesta di risarcimento per "infortunio sul lavoro", ma questa non fu in un primo momento riconosciuta, perché sulle registrazioni dei badge non risultava che il dipendente avesse fatto straordinari.
VIDEO - Giappone, "premium friday" contro le morti per troppo lavoro
Complimenti ad Hachi, ci tenevo particolarmente a questo articolo che rende più chiaro uno dei mali nipponici che sembra più una leggenda metropolitana e invece...
Purtroppo il "lavorare per gli altri sempre e comunque fino a morirne" è un concetto fin troppo radicato nella mentalità giapponese, per loro l'avere tempo libero viene visto come un "disonore", se poi pensiamo che il più grande "sogno giapponese" (passatemi il termine) del giapponese medio è di essere assunto in una grande azienda e diventare impiegato......
E purtroppo, anche se in misura diversa (ma neanche tanto alla fine), questo "modello" lavorativo inizia ad essere pure esportato all'estero e in Italia, dove le aziende sfruttano i nuovi assunti o precari......per carità non dico fino alla morte, ma di sicuro di poco sotto i limiti della sopportazione umana.
Pensando al lavoro in Giappone poi mi torna in mente che alle superiori ho avuto come compagno di classe un giapponese che è stato in Italia per un anno con uno scambio interculturale, ricordo che era rimasto impressionato che l'orario scolastico finisse "già" all'ora di pranzo e che avessimo tre mesi di vacanza in estate ("date molto spazio al tempo libero!" mi disse) e ricordo ancora quando qualche anno fa è tornato in Italia per un breve periodo, gli chiesi se aveva trovato una ragazza in questo lasso di tempo, ma lui si è messo a ridere e ha detto "appena sono tornato in Italia tutti che me l'hanno chiesto! Ma mettere su famiglia non è così importante, è più importante pensare allo studio/lavoro!" e questo suo commento la dice tutta.....
Come ultima cosa, visto che siamo su un sito dedicato ad anime e manga, parlando nello specifico del lavoro dei mangaka......certo, anch'io mi incavolo di brutto perchè Yoshihiro Togashi sta fermo anni prima di continuare Hunter X Hunter, anch'io mi spazientisco vista la lentezza con cui Kentaro Miura pubblica nuovi capitoli di Berserk.....però vedendo che razza di ritmi inumani hanno i giapponesi riguardo al lavoro.....non dico che li giustifico al 100%, ma capisco se dopo un po' non hanno molta voglia di lavorare......
Alle Twin Towers, l'11 Settembre, un gruppo di impiegati nipponici che era riuscito a mettersi in salvo dovette risalire su una delle torri "per riprendere il lavoro". Sono morti tutti quando la torre crollò. Ovviamente ogni paese ha le sue regole scritte e non, ma questo non è semplice stakanovismo. Che io sappia è una realtà tipicamente giapponese, altrove è considerato sfruttamento o schiavismo.
A causa di questa pressione sociale i giapponesi stanno addirittura sparendo come etnia. Ci sono aziende che hanno dovuto obbligare gli impiegati a prendersi delle ferie perchè rimanessero a casa a fare figli. Il Giappone è già da tempo il paese più "vecchio" del mondo col più basso tasso globale di giovani per popolazione. Altissimo è anche il tasso di suicidi.
Per molti occidentali questa mentalità è incomprensibile ma quanto costa al paese tutto questo?
"Si trabajas para vivir porque te matas de trabajo"
Come dico sempre il Giappone è un paese fantastico da visitare, ma viverci e lavorarci sono un altro paio di maniche.
Ancora, complimenti per l'articolo.
Dalla nascita, i giapponesi, sono convogliati direttamente in un nefando sistema di obblighi e codificazioni che, di fatto, ne anninetano la personalità: si è solo un ingranaggio nel sistema. Questa svalutazione dell'io è un po' tipica della mentalità orientale, dove è la comunità a contare, ma il Sol Levante, sicuramente, lo ha portato all'estremo.
Bello vedere che ci sono timidi segnali di cambiamento: anche perchè tutti questi suicidi, in continuo aumento, dimostrano che incosciamente la popolazione si sta già ribellando, prima o poi i danni psichici vengono alla luce, non si può resistere anni a lavorare 13 ore al giorno!!
Cioè, vi rendete conto: prendere le ferie per concepire un figlio???? O_O
Una realtà davvero triste e disgustosa questa dello sfruttamento disumano del lavoro dipendente, benché in realtà i lavoratori siano tutelati teoricamente dalle leggi, ma purtroppo, così come già visto in un articolo pubblicato recentemente su questo stesso portale sui burakumin, mentalità arcaiche quanto sbagliate, unite ad un conformismo esasperato e ad un indottrinamento che comincia già in tenera età sui banchi di scuola, fanno sì che questi paghino un prezzo esagerato per gli interessi delle loro aziende. La cosa che suscita in me più rabbia è che questa situazione scandalosa sia vissuta dalla maggior parte della popolazione con totale rassegnazione, come se non potesse esserci nessuna alternativa a questo mondo del lavoro così crudo e alienante. Non stupisce affatto che poi nelle statistiche internazionali il Giappone ha il record di suicidi e di infelicità percepita. Le cause di tutto questo penso che vadano ricercate nella storia stessa del Giappone, e della sua società, nell'esaltazione estrema del valore della collettività a costo di considerare gli individui poco più che un numero. Qualcuno sta provando a ribellarsi, ma vista l'insensibilità pressoché totale degli organi giudiziari e della politica verso queste istanze di giustizia e umanità, solo quando ci sarà un vero risveglio della coscienza della massa potrà migliorare questa situazione. Lo tengano bene a mente tutti quegli ingenui che pensano che il Giappone sia una specie di gigantesco parco dei divertimenti dove vivere spensieratamente, questo può essere vero per i turisti, ma non certo per gli indigeni, almeno nella maggior parte dei casi!
Il documentario si chiama Japan: A story of love and hate ...lo consiglio vedere a tutti http://www.imdb.com/title/tt1401179/
Putroppo ho potuto vederlo solo in inglese, quindi non so dirvi sulla versione italiana.
Che poi e' tutta un'assurdita', perche' la produttivita' di lavorare 90 ore a settimana e' meno di quella di lavorare 45 ore, visto che i lavoratori saranno completamente rimbecilliti e faranno piu' errori che cose utili. Non a caso l'economia giapponese e' in stagnazione da piu' di 25 anni. I paesi piu' prodottivi sono quelli in cui i lavoratori lavorano meno, tipo la Germania, l'Olanda e il Nord Europa. Quindi questo sistema e' dannoso anche per le aziende oltre che per i lavoratori e la societa' in generale.
Mah!
Il senso del dovere e il rispetto per il proprio lavoro, che piaccia o meno, è importantissimo, ma mai portato agli eccessi, una mentalità di quel tipo è deleterio per la società, al di là del mero riscontro economico che ne ricava. Mi auguro che le cose migliorino per quelle persone, che, pur private della propria libertà, hanno tutto il mio rispetto.
sull'argomento: è assolutamente innegabile che il problema ci
sia e continui ad esser molto radicato, tuttavia a detta di alcuni
italiani che vivono da anni in Giappone il problema si focalizza
più sul fatto che il dipendente è costretto a rimanere tante ore in
ditta per volere del suo capo (o capo reparto) anche se di fatto,
magari, non c'è sto gran lavoro da portare avanti/ultimare...
perchè andare a casa prima serebbe maleducato, irrispettoso...
e si rischierebbe di innescare del mobbing pesante da parte dei colleghi!
Poi va beh, le casistiche sono molteplici e variabili...
Sempre secondo ciò che dicono i nostri connazionali in Giappone
(a differenza dell'italia) si riuscirebbe a vivere degnamente anche
facendo tanti lavori part-time (anche se dalla società è considerato
altamente denigratorio) però permetterebbe di avere del buon tempo
libero e molti giovani giapponesi si starebbero orientando più verso
queste opportunità...
Grazie Hachi!
Se un ragazzo di 23 anni lavora 15 ore al giorno ha scelto di essere un martire come tutti quelli prima (e dopo) di lui. Come si fa a dire che il giappone e l'italia in questo sono diverse?
Paghiamo entrambi per gli errori di gente che ha rinunciato ai propri diritti per lavorare.
La cosa triste è che ci stiamo arrivando anche in Italia: non posso ovviamente scrivere nomi di ditte in un sito internet pubblico, ma posso dirvi che ho sentito storie terribili anche di ditte italiane che già chiedono orari assurdi, di continuare il lavoro a casa, nessun giorno di riposo, straordinari lunghi non pagati, pena licenziamento in tronco (tanto fuori dalla porta c'era la fila). Mi ci sono trovata anche io, per fortuna era un lavoro di un anno (una delle poche volte che ho ringraziato il lavoro precario), mi ricordo bene quell'anno perchè ero dimagrita tantissimo, peccato fosse tutto mancanza di sonno e stress.
Questi sono gli articoli che vogliamo vedere su animeclick.
Conoscevo già questa realtà purtroppo, ma è doveroso ribadire questi problemi, perchè sia chiaro che in giappone non è tutto caruccio luccicoso anime manga, è un popolo diversissimo da noi con problemi che facciamo addirittura fatica a comprendere.
Una mentalità sul lavoro del genere non riusciamo nemmeno ad immaginarla, è necessario comprendere una profonda diversità culturale.
Molti credono che sia tutto rose e fiori, come nei manga e negli anime, ma solo una parte delle cose che leggiamo e vediamo sono reali. Ciò che mi fa piacere è che ci siano numerosi segnali di cambiamento, segnali che possano portare avanti gli ideali del Giappone senza intaccare però la vita e le menti del suo popolo. Spero davvero che le cose cambino al più presto.
Il problema però si è ingigantito con il graduale passaggio dal dipendente "fisso" a quelli "iterinale".
Il 30% della forza lavoro è un numero veramente altissimo, e purtroppo il trend è mondiale, nonostante la continua riduzione dei diritti anche per i lavoratori fissi.
Purtroppo in alcune nazioni l'errore delle associazioni per la difesa dei lavoratori è stato accettare certi soprusi verso questi lavoratori di "serie b" in cambio del mantenimento dello status quo per gli altri.
Non pensando che a lungo andare il numero dei primi sarebbe stato tale da porre i secondi di fronte all'alternativa "o rinunciate ai diritti o diventate anche voi lavoratori di serie b".
E sarà sempre peggio.
Sul fronte dati statistici anche nei paesi occidentali le morti e le malattie causate da stress lavorativo non mancano, certo non siamo arrivati ai casi eccezzionali di questo articolo, sperando anche anche in Giappone questi siano appunto casi eccezzionali e non la normalità che si sta creando.
Perchè combattere qualcosa che si è radicato è molto più difficile che farlo per tempo.
Da fan di anime e manga verrebbe naturale pensare che sarebbe un sogno andare a vivere nel Sol Levante dove si potrebbe accedere a tutte le serie esistenti e stare a contatto con tutto ciò che ne è inerente: cibo, musica, tradizione, sfilza di gadget ed eventi e cosi' via. Mettendo spesso in secondo piano quello che dovrebbe veramente essere l'ostacolo, ossia come farsi una vita li'.
Sono realtà come karoshi e traffico umano (se ne sentono di articoli che ne parlano, purtroppo, fenomeni simili se ne vedono pure negli stessi anime e manga, solo che qui ai nostri occhi ci appaiono più come situazioni eroiche in favore del protangonista...) che più delle volte mi hanno frenata ad immedesimarmi in una società, già complicata di suo, come quello giapponese, senza contare poi tutte le difficoltà di chi viene da fuori, abituato poi ad un altro modello di vita fin da piccolo.
Il Giappone è anch'esso pieno di facce nascoste, bisogna conoscerle e farsi una ragione che non sia sempre un paradiso.
E' un problema di mentalità secondo me, ma spero che si riescano a fare dei passi in avanti in futuro per ridurre questo fenomeno. E' una piaga che va debellata.
In Giappone si ha subito l'impressione che un conto è essere turisti, un conto è viverci.
Per carità, mi capitano pure a me settimana con 100 ore di lavoro e ci sta che ci siano, ma si tratta di 3/4 l'anno. Se fosse la prassi morirei, già finite quelle settimane sono messo male ;
Ciao!
Tacchan
Quindi per concluderla sul comico "in vacanza si, ma viverci troppo no grazie".
Hachi, non posso fare davvero altro se non rigraziarti e complimentarmi per il tempo e l' impegno impiegato per la sua stesura, davvero un ottimo articolo! ☺
Altro che manga e videogiochi, guardiamo la realtà dei fatti che vivono i giapponesi...
Davvero un ottimo articolo Hachi.
Spero comunque che le cose cambino in Giappone cambino, non si può vivere così! Anzi morire così!
dovrei vincere la lotteria per andare a viverci
L'aspetto degli straordinari obbligatori non retribuiti lo conoscevo, con tutte le sfumature che si porta dietro - appartenenza al gruppo della "ditta" per la quale si lavora, sopportazione per cortesia o per rispetto verso i colleghi più anziani... In Usagi Drop, pur senza mostrare l'aspetto della durata degli straordinari, si vede che la ditta dove lavora Daikichi concede a lui e a un'altra collega la possibilità di NON fare straordinari per avere la possibilità di prendersi cura dei bambini, ovviamente al prezzo di rinunciare alla carriera adattandosi a un semplice lavoro di magazziniere.
Questi aspetti me li ha raccontati anche una mia collega che, nella sua storia lavorativa, è stata impiegata a tempo determinato nella filiale italiana di una ditta giapponese. Pur essendo su Firenze gli impiegati erano quasi tutti nipponici - sorrideva per i tanti "Moshi Moshi" al telefono - e lei era praticamente l'unica che rispettava l'orario di 8 ore contrattuali: tutti i suoi colleghi si trattenevano per 2-3 ore oltre l'orario di lavoro, e ricorda ancora il clima di "voglio fregarti in tutti i modi" tra colleghi che si respirava in quelle stanze.
Altri hanno già fatto riferimento al gruppo che viene prima dell'individuo in quasi tutti i campi della vita di un giapponese; Keiko Ichiguchi, nel libro Non ci sono più i giapponesi di una volta, affronta il tema della competizione tra gli studenti - legato al successivo ingresso nel mondo del lavoro - che, dalle scuole medie in poi, sono costretti ad vivere per ottenere i voti migliori (che garantiscono l'accesso ai licei più rinomati, alle università prestigiose e alle aziende importanti, ma solo per quei pochissimi che riescono a mantenere la media dell'eccellenza lungo tutto il loro percorso di studi); qui ho rivisto Godai di Maison Ikkoku, i sacrifici che compie per tentare di accedere a un'università prestigiosa e i compromessi che è costretto ad accettare quando si accorge che solo un'università di terz'ordine è alla sua portata.
Che la maggiore produttività sia legata a un maggior numero di ore lavorate può essere vero per una fabbrica, meno per i "colletti bianchi" che anzi - come già ricordato - dopo un lungo periodo di lavoro possono commettere errori a ripetizione. Anche qui ricordo un episodio di Lamù dove il sig. Moroboshi viene ripreso dal suo capoufficio perché aveva sbagliato completamente un report, e lo invitava a ripresentarlo corretto rifacendolo fuori dall'orario di lavoro non retribuito.
Il rientro a casa con l'ultimo treno disponibile mi ha fatto tornare in mente un altro aspetto: ci sono anche dei lavoratori che lo perdono, perché hanno lavorato molto oltre l'orario pattuito o perché si sono trattenuti nei giri di bevute con i colleghi/capi, e l'unica possibilità di riposo che gli è concessa è passare la notte in un capsule hotel o in un manga café, sperando che l'indomani possano rientrare a casa...
Mi rendo conto che le mie note sono ben poca cosa rispetto ai temi trattati da Hachi, ma chi è intervenuto prima di me ha già posto l'accento sulla gravità del fenomeno del Karoshi: io sono rimasto veramente molto turbato dal fatto che le aziende coinvolte fanno di tutto per nascondere le morti sospette o a farle passare per "cause naturali" (come se fosse naturale per un giovane morire per un ictus o un infarto o arrivare a perdere quindici chili per lo stress).
Ma a parte tutto, ha senso vivere una vita del genere?
Molto toccanti ancorché drammatiche le foto a corredo.
I giapponesi non lavorano per vivere ma vivono per lavorare..
M'inquieta assai come questo pensiero, impresso nella memoria di tante persone come il simbolo dell'orrore supremo, sembri collimare con le stesse prospettive presentate nel mondo del lavoro in Giappone. L'analogia è troppo forte per essere ignorata ed è proprio ora che il popolo giapponese, quelle persone che si rifiutano di fare causa all'azienda perché non ne vogliono rovinare la reputazione (quasi come mogli remissive di fronte agli abusi di un marito padrone), deve affrontare un passo importante per distaccarsi da questa mentalità che, farà anche parte della loro cultura, ma come molte cose provenienti dal passato rappresenta un punto di vista ormai superato e contro tutto ciò che riguarda la libera vita di una persona.
P.S. Complimenti per lo splendido articolo, ricco di spunti di riflessione e di nozioni molto utili per inquadrare il problema.
Ma ovviamente, vero o falso che fosse, la cosa fu negata.
Questo articolo dovrebbero leggerlo tutti i giappomikia che rompono le scatole e credono che il Giappone sia il Paradiso sceso in terra dove tutto è perfetto e tutto funziona!!
Avere un buon senso civico è un'ottima cosa, porta un sacco di vantaggi e rende il posto dove si vive migliore, ma esistere in funzione di esso non ha assolutamente senso.
Hachi194 dovrebbero darti il premio al giornalismo.
Io penso che sia proprio un problema dell'uomo moderno.... lavoriamo troppo, troppo poco tempo per la nostra vita. Ma dov'è quella famosa tecnologia promessa che doveva farci lavorare la metà?
Primo Piano
mar 16 marzo 2021,
Primo Piano
mar 16 marzo 2021, 10:08 AM
Getty Images
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Il "superlavoro" può essere riconosciuto come una causa di morte. A deciderlo è stato l'Ufficio di verifica delle condizioni di lavoro del Giappone che, chiamato in causa per la morte di un dipendente di Sony negli Emirati arabi uniti a gennaio 2018, ha condannato la multinazionale a risarcire i parenti della vittima.
Il caso, aperto dopo la morte di un 40enne "colletto bianco" del marketing, non è che l'ennesimo che vede le aziende accusate di "sfruttamento" dei lavoratori. Il "karoshi", ovvero la morte per troppo lavoro, è un problema sociale in Giappone che, secondo gli ultimi dati disponibili al 2019, ha subito oltre 174 morti per superlavoro, la maggior parte dei quali per suicidio. Secondo le autorità nipponiche, infatti, non conta tanto la causa del decesso (infarto, ictus, o altro), ma l'ambiente entro cui questo è avvenuto.
In Giappone il rapporto di lavoro supera quasi sempre in maniera eccessiva la prestazione all'interno di un orario definito. Nel caso del 40enne morto a Dubai, infatti, è stato rilevato che il dipendente aveva lavorato 80 ore mensili medie in più dell'orario previsto. Subito dopo il decesso la famiglia aveva presentato la richiesta di risarcimento per "infortunio sul lavoro", ma questa non fu in un primo momento riconosciuta, perché sulle registrazioni dei badge non risultava che il dipendente avesse fatto straordinari.
VIDEO - Giappone, "premium friday" contro le morti per troppo lavoro
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