Sono fermamente convinto che, se ascoltati con onestà, davvero sia evidente che i miei adattamenti dei film Ghibli, dal taglio e target più familiare, sono ben diversi dal mio adattamento di Evangelion.
Quelle che tu epiteti come "le mie stranezze" sono per me le particolarità, al ricchezza di A) una cultura diversa traslata in italiano senza essere appiattita col ferro da stiro e B) la ricchezza delle variazioni presenti nell'originale e mantenute in un adattamento fedele.
A me continua solo a sembrare che chi strabuzza di fronte alle mie presunte "stranezze" inconsciamente non brami altro che la banalità della lingua a cui è probabilmente avezzo nel proprio quotidiano, che per crassa comodità, o voglia di pacchia, o sollazzo, vorrebbe anche nell'adattamento dei prodotti stranieri. Ecco, a me è tutto questo che proprio non riguarda né interessa.
(iinvero: ricchezza linguistica)
Ma proprio no. Ma da dove ti viene questa convinzione? Forse allora sei tu che guardi soprattutto "un certo tipo" di animazione. Niente di male, ma occhio a non generalizzarne la lingua, o gli stilemi.
Posso obiettivamente contestarti che "non è vero!" in giapponese si può dire eccome, e NON si dice come "Uso!". Rendendo "Uso!" come "non è vero" si introduce materiale lessemico ASSENTE nell'originale - il concetto di verità, e un concetto di negazione. Si rende una idea lampante (bugia!) con un concettp elaborato (non-è-vero). No, no, no: non si fa.
Ma lo dici tu. Secondo me si può interpretare eccome, in italiano, a seconda del contesto. E a seconda di come viene pronunciato. Tanti quanto in giapponese.
Il contenuto di "Uso!" è semplicemente una reazione di incrediltà istantanea.
Quando Asuka sente Kanji nell'episodio 8 lei CI CREDE ECCOME a quello che Kaji le ha detto. Infatti poi va a "cooptare Shinji, dato che ne ha conosciuto un punto di interesse/valore. Il suo "Uso!", come tutti gli "Uso!" non è affatto un modo per dire davvero "non ci credo", è un modo per esprimere la propria sorpresa di fronte a qualcosa che non si sarebbe pensato. Idem nell'episodio 24. Ovviamente, la presa di coscienza, lo "shock" è ben diverso - e questo ta alla recitazione, in giapponese come in italiano (su cui non mi esprimo, perché non l'ho sentito).
Gentile Sig. Cannarsi, premetto che sono laureato in lingua giapponese, ho un master in traduzione audiovisiva e traduco da amatoriale da quasi dieci anni, quindi penso di sapere di cosa parlo e spero prenderà in considerazione le mie parole.
Non ho intenzione di fare commenti mirati a delle sue scelte linguistiche, né voglio fare riferimenti alla live di ieri con GioPizzi e compagnia. Voglio parlare della sua filosofia lavorativa, del suo attaccamento al voler riportare il significato letterale delle frasi perché "l'autore ha scelto quella parola e quindi io devo rispettare le volontà dell'autore". Nella mia modesta opinione, lei, Cannarsi, come tutti gli adattatori, è superiore all'autore. Il suo compito è riportare non tanto le parole quanto i concetti che l'autore vuole esprimere. È suo onere e onore far sì che al pubblico arrivi un messaggio mediato ma chiaro. Non deve limitarsi alla resa letterale di una frase quanto piuttosto al trovare un equivalente per il suo contenuto. Il suo lavoro non è cosa soltanto sua, ma coinvolge tutti coloro che leggono ed è precisamente per loro che figure come la sua esistono. La prego, non si lasci più confondere da dei princìpi ferrei che lei stesso si è imposto ma svolga un lavoro libero, mediato non dal suo vocabolario ma dal suo animo.
Non ho mai parlato di "significato LETTERALE", anzi come dicevo sopra ritengo che questa idea sia un falso demone.
"Il suo compito è riportare non tanto le parole quanto i concetti che l'autore vuole esprimere."
Dissento fortemente su questo assunto, passato per categorico e scontato - per di più.
Un autore si esprime con le parole che scrive. Cosa ci sia "dentro la sua testa" lo può sapere solo lui, o un dio forse, ma di certo non un'altra persona.
Quindi no, trovo fortemente errato tutto il discorso che qui mi si propone, per le ragioni che credo di avere più e più volte espresso.
Di fatto, PRESUMERE di poter sapere quello che l'autore "vuole esprimere" mi pare un atto di presunzione quasi megalomaniaca, e foriero delle più nefaste autolegittimazioni. Bisogna attenersi al testo. Il testo è quanto è dato, non i processi alle intenzioni.
Un autore si esprime con le parole che scrive. Cosa ci sia "dentro la sua testa" lo può sapere solo lui, o un dio forse, ma di certo non un'altra persona.
Quindi no, trovo fortemente errato tutto il discorso che qui mi si propone, per le ragioni che credo di avere più e più volte espresso.
Lei non potrà mai, e sottolineo MAI, rispecchiare le idee dell'autore
Proprio per questo il mio referente è l'opera, non "l'idea dell'opera" nella testa dell'autore, né presunta e neppure dichiarata in possibili "interpretazioni autentiche".
Le parole esprimono linguisticamente qualcosa, il loro legame determina un contesto culturale, nessuno dei due va perso con una "traduzione". Non serve chiamarsi DeSaussure e distinguere tra langue e parole per capirlo.
Per l'appunto non intendo farlo. Resto con gli occhi fissi sulla materia dell'opera: le parole che la esprimono.
Sì, certo, quello che dici è vero, ma continui a eludere o non considerare il fatto che non esista nessuna lingua che faccia corrispondere a ciascun concetto esistente un dato vocabolo e/o forma strutturale.
Quindi?