Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Serial Experiments Lain
10.0/10
Recensione di Nicola Scarfaldi Cancello
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Parlare di "Serial Experiments Lain" non è semplice.
Questo sia perché essa è effettivamente un'opera complessa, ma anche e soprattutto perché, essendo un'opera di tale complessità, tutti quelli che volevano darsi delle arie ne hanno parlato, sperticandosi in discorsi dall'apparenza intellettuale, ma dalla sostanza autoerotica.
Tutte queste cose sono chiaramente un'offesa verso "Serial Experiments Lain" come opera: non c'è nulla di più offensivo dell'idealizzazione, soprattutto se è strumentale a far idealizzare noi stessi agli altri.
Forse avrei potuto evitare questa premessa.
Purtuttavia, ho ritenuto necessario mettere in chiaro chi sono io, e chi sono buona parte dei "fan" di quest'opera, e anche qual è la dimensione dell'opera in sé e per sé, tutto ciò al fine che voi non confondiate me con loro, e il mio ego con la mia analisi dell'opera.
Dunque, partiamo da ciò che dicono tutti.
"Serial Experiments Lain" è una serie di tredici episodi trasmessa per la prima volta nel 1998, ed è d'impatto ancora oggi per il modo, quasi profetico, con cui ha descritto la possibile evoluzione dei mezzi di comunicazione, e il modo in cui ci rapportiamo con essi e tra di noi tramite essi.
"Serial Experiments Lain", però, non è solo questo.
L'anime è un vero e proprio saggio sull'individuo, sulla formazione dei legami tutti e su come le lenti e i filtri con cui guardiamo al mondo possono cambiare il modo in cui lo percepiamo, il mondo, ma anche su come queste lenti possono essere cambiate da elementi esterni per cambiare di conseguenza noi.
Tali concetti sono spiegati tramite una serie di elementi legati da relazioni antonime, e non complementari. Il Wired viene introdotto a Lain come strumento per ottenere informazioni e creare legami, ma il cui mondo è separato da quello "reale", e Lain invece dimostra che la dicotomia non è così netta. Il Wired è parte del mondo reale, e il mondo reale è parte del Wired; tutto questo, non essendo (non in quella parte dell'opera) pienamente sovrapposti.
Un rapporto che, come ho detto, esula dalla complementarietà, dalle scissioni binarie, ma è parte di quel caos organizzato di cui solo le relazioni umane sono parte.
Perché il dialogo artistico di "Serial Experiments Lain" non si ferma alla sola tecnologia. Anzi, la tecnologia è quasi solo un denominatore per esprimere al meglio le angosce, ma anche solo le riflessioni, di un periodo storico che, per l'avvento di tali tecnologie e l'avvicinarsi del nuovo millennio, stava sconvolgendo gli animi di chi lo viveva.
Come detto in precedenza, "Serial Experiments Lain" parla di umanità, di rapporti umani. L'individuo esiste solo in rapporto agli altri, o sono gli altri che esistono solo in rapporto a noi? La risposta ad entrambe le domande non è né "sì" né "no", ma "tendenzialmente sì" e "tendenzialmente no". Due risposte apparentemente in contrasto, che trovano senso solo nella realtà non contrastiva dell'esistenza umana, e che si rifanno a quel linguaggio usato dalle scienze matematiche per descrivere parti di realtà troppo complesse per essere comprese a pieno.
Perché forse la matematica è davvero l'alfabeto con cui Dio ha scritto il mondo, ma tale alfabeto sembra esserci giunto in una maniera incompleta, e chissà se non sia profondamente sbagliato.
E così, nell'interpretazione di "Serial Experiments Lain" degli studi sociali sull'argomento, l'umanità è vista come un organismo vivo e pulsante connesso da rapporti interpersonali, miliardi di neuroni connessi tra loro, miliardi di individui che si uniscono per agire come un individuo solo.
Si tratta esattamente di quella teoria della coscienza collettiva umana che è stata usata in altre opere, come l'arcinoto "Neon Genesis Evangelion", ma che trova in "Serial Experiments Lain" una delle sue descrizioni più profonde e interessanti.
Questo perché viene messa in prospettiva, relazionata a un insieme di altre strutture che si sovrappongono, spesso influenzandosi tra loro; e viene messo in chiaro come queste strutture sono innumerevoli, forse infinite, e comprenderle non è probabilmente possibile. Sicuramente non danno risposte chiare, e non dobbiamo illuderci di comprenderle, o di avere percezione di ogni cosa.
Il tema di "Dio nel Wired" e la rivelazione che quel Dio non è il vero Dio, ma solo qualcuno che è stato messo lì per ricoprire quel ruolo, può essere vista come una critica al positivismo, o comunque all'eccesso di fiducia nelle capacità umane.
Non possiamo credere che la logica sia l'unico strumento per discernere il mondo, poiché analizzando tutto ciò che è percepibile, ignora ciò che non lo è. Dopotutto, il rasoio di Occam non dice che le cose non esistono al di fuori delle nostre analisi, ma solo che non dobbiamo tenerne conto fin quando non abbiamo motivo di pensare siano esistenti e utili al nostro ragionamento.
Come ho detto, l'opera è complessa, ma è anche un manuale su come gestire al meglio tale complessità.
"Serial Experiments Lain" non è mai arrogante nel suo dialogo artistico con lo spettatore, usa la sua complessità per generare curiosità nel districarsi delle vicende e per far percepire l'immensa organicità e ramificazione tematica dell'opera, ma sapendo spiegare e presentare gli elementi che lo compongono, e avendo piena di consapevolezza di cosa lo spettatore può capire da solo e cosa lo spettatore può capire solo dopo aver lasciato qualche indizio, riuscendo quindi ad essere un'opera complessa, magari anche criptica, ma sicuramente non ermetica.
Volendo paragonare la scrittura di "Serial Experiments Lain" con quella di un'opera cinematografica uscita dieci anni prima, ovvero "Akira", il secondo mostra tutte quelle mancanze che invece fanno risplendere il primo, almeno sul piano di pura gestione della scrittura.
"Akira" è un'opera arrogante a livello narrativo, che pretende che lo spettatore comprenda una logica aliena all'immediata comprensione, e diventando quindi di difficile approccio anche a una visione attenta; "Serial Experiments Lain" invece, come detto, ha nella sua complessità uno dei suoi punti di forza, perché la sa mostrare al pubblico senza banalizzare o diventare didascalici.
Infine, un'ultima nota sul comparto estetico di quest'opera, che è la quintessenza di ciò che molte opere erano in quegli anni, tra la fine di un millennio e l'inizio del seguente. Un'estetica che rivediamo anche in "The Silver Case" di Suda51, o nel celebre "Metal Gear Solid", nonché in svariate visual novel di quel periodo. Un'estetica che fonde immagini reali, spesso alterate da filtri, con l'animazione, ma anche con altre trovate estetiche: riuscendo ad amalgamare il tutto anche grazie all'utilizzo di queste soluzioni su più piani "concettuali" diversi.
Un'estetica apprezzabile, che subito rimanda al periodo di concezione e uscita dell'opera, e che forse è l'unica cosa di cui dovremmo essere davvero nostalgici di quegli anni; soprattutto, però, tale estetica è coadiuvata alla perfezione con il resto dell'opera, con tutte le scelte registiche, che impreziosiscono ogni singolo secondo.
Perché in "Serial Experiments Lain" anche i lunghi silenzi sono maledettamente interessanti, e persino il ronzio dell'elettricità ha un significato preciso nel meccanismo della storia.
"Serial Experiments Lain" è semplicemente un monumento.
Alla vera arte, alla vera capacità di raccontare la complessità, a come far primeggiare l'opera e non l'ego di chi l'ha scritta.
Let's all love Lain!
Auf wiedersehen!
P.S. Dedico questa recensione a tutti quelli che mi considerano un "edgelord". Se ho dato 6 e mezzo al "L'attacco dei giganti", è perché nella mia analisi "L'attacco dei giganti" è un'opera da 6 e mezzo, non perché voglio fare l'alternativo.
Io voglio essere l'eccellenza, non la voce fuori dal coro.
Questo sia perché essa è effettivamente un'opera complessa, ma anche e soprattutto perché, essendo un'opera di tale complessità, tutti quelli che volevano darsi delle arie ne hanno parlato, sperticandosi in discorsi dall'apparenza intellettuale, ma dalla sostanza autoerotica.
Tutte queste cose sono chiaramente un'offesa verso "Serial Experiments Lain" come opera: non c'è nulla di più offensivo dell'idealizzazione, soprattutto se è strumentale a far idealizzare noi stessi agli altri.
Forse avrei potuto evitare questa premessa.
Purtuttavia, ho ritenuto necessario mettere in chiaro chi sono io, e chi sono buona parte dei "fan" di quest'opera, e anche qual è la dimensione dell'opera in sé e per sé, tutto ciò al fine che voi non confondiate me con loro, e il mio ego con la mia analisi dell'opera.
Dunque, partiamo da ciò che dicono tutti.
"Serial Experiments Lain" è una serie di tredici episodi trasmessa per la prima volta nel 1998, ed è d'impatto ancora oggi per il modo, quasi profetico, con cui ha descritto la possibile evoluzione dei mezzi di comunicazione, e il modo in cui ci rapportiamo con essi e tra di noi tramite essi.
"Serial Experiments Lain", però, non è solo questo.
L'anime è un vero e proprio saggio sull'individuo, sulla formazione dei legami tutti e su come le lenti e i filtri con cui guardiamo al mondo possono cambiare il modo in cui lo percepiamo, il mondo, ma anche su come queste lenti possono essere cambiate da elementi esterni per cambiare di conseguenza noi.
Tali concetti sono spiegati tramite una serie di elementi legati da relazioni antonime, e non complementari. Il Wired viene introdotto a Lain come strumento per ottenere informazioni e creare legami, ma il cui mondo è separato da quello "reale", e Lain invece dimostra che la dicotomia non è così netta. Il Wired è parte del mondo reale, e il mondo reale è parte del Wired; tutto questo, non essendo (non in quella parte dell'opera) pienamente sovrapposti.
Un rapporto che, come ho detto, esula dalla complementarietà, dalle scissioni binarie, ma è parte di quel caos organizzato di cui solo le relazioni umane sono parte.
Perché il dialogo artistico di "Serial Experiments Lain" non si ferma alla sola tecnologia. Anzi, la tecnologia è quasi solo un denominatore per esprimere al meglio le angosce, ma anche solo le riflessioni, di un periodo storico che, per l'avvento di tali tecnologie e l'avvicinarsi del nuovo millennio, stava sconvolgendo gli animi di chi lo viveva.
Come detto in precedenza, "Serial Experiments Lain" parla di umanità, di rapporti umani. L'individuo esiste solo in rapporto agli altri, o sono gli altri che esistono solo in rapporto a noi? La risposta ad entrambe le domande non è né "sì" né "no", ma "tendenzialmente sì" e "tendenzialmente no". Due risposte apparentemente in contrasto, che trovano senso solo nella realtà non contrastiva dell'esistenza umana, e che si rifanno a quel linguaggio usato dalle scienze matematiche per descrivere parti di realtà troppo complesse per essere comprese a pieno.
Perché forse la matematica è davvero l'alfabeto con cui Dio ha scritto il mondo, ma tale alfabeto sembra esserci giunto in una maniera incompleta, e chissà se non sia profondamente sbagliato.
E così, nell'interpretazione di "Serial Experiments Lain" degli studi sociali sull'argomento, l'umanità è vista come un organismo vivo e pulsante connesso da rapporti interpersonali, miliardi di neuroni connessi tra loro, miliardi di individui che si uniscono per agire come un individuo solo.
Si tratta esattamente di quella teoria della coscienza collettiva umana che è stata usata in altre opere, come l'arcinoto "Neon Genesis Evangelion", ma che trova in "Serial Experiments Lain" una delle sue descrizioni più profonde e interessanti.
Questo perché viene messa in prospettiva, relazionata a un insieme di altre strutture che si sovrappongono, spesso influenzandosi tra loro; e viene messo in chiaro come queste strutture sono innumerevoli, forse infinite, e comprenderle non è probabilmente possibile. Sicuramente non danno risposte chiare, e non dobbiamo illuderci di comprenderle, o di avere percezione di ogni cosa.
Il tema di "Dio nel Wired" e la rivelazione che quel Dio non è il vero Dio, ma solo qualcuno che è stato messo lì per ricoprire quel ruolo, può essere vista come una critica al positivismo, o comunque all'eccesso di fiducia nelle capacità umane.
Non possiamo credere che la logica sia l'unico strumento per discernere il mondo, poiché analizzando tutto ciò che è percepibile, ignora ciò che non lo è. Dopotutto, il rasoio di Occam non dice che le cose non esistono al di fuori delle nostre analisi, ma solo che non dobbiamo tenerne conto fin quando non abbiamo motivo di pensare siano esistenti e utili al nostro ragionamento.
Come ho detto, l'opera è complessa, ma è anche un manuale su come gestire al meglio tale complessità.
"Serial Experiments Lain" non è mai arrogante nel suo dialogo artistico con lo spettatore, usa la sua complessità per generare curiosità nel districarsi delle vicende e per far percepire l'immensa organicità e ramificazione tematica dell'opera, ma sapendo spiegare e presentare gli elementi che lo compongono, e avendo piena di consapevolezza di cosa lo spettatore può capire da solo e cosa lo spettatore può capire solo dopo aver lasciato qualche indizio, riuscendo quindi ad essere un'opera complessa, magari anche criptica, ma sicuramente non ermetica.
Volendo paragonare la scrittura di "Serial Experiments Lain" con quella di un'opera cinematografica uscita dieci anni prima, ovvero "Akira", il secondo mostra tutte quelle mancanze che invece fanno risplendere il primo, almeno sul piano di pura gestione della scrittura.
"Akira" è un'opera arrogante a livello narrativo, che pretende che lo spettatore comprenda una logica aliena all'immediata comprensione, e diventando quindi di difficile approccio anche a una visione attenta; "Serial Experiments Lain" invece, come detto, ha nella sua complessità uno dei suoi punti di forza, perché la sa mostrare al pubblico senza banalizzare o diventare didascalici.
Infine, un'ultima nota sul comparto estetico di quest'opera, che è la quintessenza di ciò che molte opere erano in quegli anni, tra la fine di un millennio e l'inizio del seguente. Un'estetica che rivediamo anche in "The Silver Case" di Suda51, o nel celebre "Metal Gear Solid", nonché in svariate visual novel di quel periodo. Un'estetica che fonde immagini reali, spesso alterate da filtri, con l'animazione, ma anche con altre trovate estetiche: riuscendo ad amalgamare il tutto anche grazie all'utilizzo di queste soluzioni su più piani "concettuali" diversi.
Un'estetica apprezzabile, che subito rimanda al periodo di concezione e uscita dell'opera, e che forse è l'unica cosa di cui dovremmo essere davvero nostalgici di quegli anni; soprattutto, però, tale estetica è coadiuvata alla perfezione con il resto dell'opera, con tutte le scelte registiche, che impreziosiscono ogni singolo secondo.
Perché in "Serial Experiments Lain" anche i lunghi silenzi sono maledettamente interessanti, e persino il ronzio dell'elettricità ha un significato preciso nel meccanismo della storia.
"Serial Experiments Lain" è semplicemente un monumento.
Alla vera arte, alla vera capacità di raccontare la complessità, a come far primeggiare l'opera e non l'ego di chi l'ha scritta.
Let's all love Lain!
Auf wiedersehen!
P.S. Dedico questa recensione a tutti quelli che mi considerano un "edgelord". Se ho dato 6 e mezzo al "L'attacco dei giganti", è perché nella mia analisi "L'attacco dei giganti" è un'opera da 6 e mezzo, non perché voglio fare l'alternativo.
Io voglio essere l'eccellenza, non la voce fuori dal coro.
Mind Game
8.5/10
"Mind Game"... tradotto letteralmente "gioco mentale" o "gioco psicologico", è il film di esordio di Maasaki Yuasa del 2004. Dell'ormai famoso regista, sceneggiatore e animatore ho avuto modo di apprezzare "Ride Your Wave" del 2019, ma lui aveva già raggiunto il successo qualche anno prima con "The Tatami Galaxy" del 2010, per poi confermarla con "Ping Pong The Animation" (2014), "Lu e la città delle sirene" (2017), "Devilman Crybaby" (2018), fino a "Japan Sinks" (2020) e "Inu-Oh" (2021).
"Mind Game" è l'opera prima di una delle personalità probabilmente più vivaci dell’animazione giapponese odierna, e questo film animato rappresenta probabilmente il manifesto del regista e la sua particolare visione dell'animazione.
Si potrebbe definire il film con tanti aggettivi qualificativi positivi, ma credo che ce ne sia uno particolarmente adatto: "anticonformista", nello stile in primis e poi nei anche nei contenuti, che oscillano tra la particolare visione anche "positiva" dell'esistenza e il nonsense, anche con sconfinamenti nel "pulp", con marcate venature tarantiniane (soprattutto all'inizio del film).
Un film che mi ha lasciato l'impressione di osservare la storyboard attraverso un caleidoscopio. Di sicuro chi è delle generazioni più risalenti come me (Baby boomers, X) saprà a cosa mi riferisco: quel tubo tipo "monocolo", che contiene due o più specchietti e piccoli oggetti colorati, attraverso il quale si osserva un'immagine. Ogni volta che lo si muoveva, quei pezzetti colorati frapposti con la luce e l'immagine formavano immagini diverse e affascinanti, psichedeliche e oniriche, diventando un vero e proprio filtro creativo sulla realtà.
Perché ho utilizzato la metafora del caleidoscopio per descrivere il primo film di Maasaki Yuasa?
Perché "Mind Game" mi ha rammentato le teorie sul "pensiero caleidoscopico" di una docente universitaria, Rosabeth Moss Kanter (Harvard University), che ha sostenuto che «Il caleidoscopio è un insieme flessibile di elementi: se lo ruoti, o se guardi da una diversa angolazione, puoi vedere un’immagine o un pattern diverso. Non è la realtà che è fissa, ma la nostra visione della realtà. È importante imparare a vedere nuove possibilità».
Tale affermazione sembra calzare a pennello su "Mind Game", un film che dopo la sua visione lascia allo spettatore la sensazione di essere stato stimolato nell'immaginazione, nell'ampliamento della propria visione della realtà, per far apprezzare idee e soluzioni diverse dalla solita esperienza sensoriale e mentale.
Un vero e proprio invito ad accogliere idee e concetti che potrebbero sembrare prima facie anche contrapposti tra loro, senza scartarli sommariamente a priori.
E così l'esordiente Yuasa con "Mind Game" ha animato un mondo atipico, fuori dai canoni o dalle solite convenzioni del mainstream sia dell'animazione sia delle modalità narrative della storia.
E come tutte le opere "sperimentali", sembra che alla sua uscita il film sia stato un flop, al pari di altre opere di illustri registi del calibro di M. Oshii o H. Anno (vedi rispettivamente "Tenshi no Tamago" e anche "Neon Genesis Evangelion"), che hanno tentato di innovare rispetto al genere e stile che andavano per la maggiore nel periodo.
La trama è un viaggio metaforico/onirico sull'esistenza umana e sulla determinazione a voler incidere sul proprio destino "against all odds and issues".
E Yuasa lo fa a modo suo con uno mix di stili narrativi che partono da una sequenza ipnotica iniziale di immagini estrapolate dal film sotto forma di anticipazione, in una delle quali si legge che "La tua vita è il risultato delle tue decisioni", e dopo alcuni minuti di immagini veloci, serrate e senza respiro si inizia a vedere la vera e propria trama. Inutile riportare le citazioni che il regista inserisce nelle immagini (mi sovviene "Astro Boy").
E dopo una serie infinita di stili animati in cui si passa dal tradizionale al 3D digitale con l'utilizzo di filmati e immagini girati in live action, si chiude con una margherita che ruota come una girandola e sui cui petali leggiamo il titolo del film: "Mind Game"... e una frase emblematica, "This story has never ended".
Il finale è una "riscrittura" in chiave positiva dei cambiamenti conseguenti alle vicissitudini narrate nel film, e dimostra come il messaggio sia quello che, avendo il coraggio, è possibile modificare il corso degli eventi e migliorare la propria condizione: basta volerlo.
Con "Mind Game" Yuasa ha dimostrato di possedere un grande talento nello sviluppare una storia dal ritmo narrativo variabile, capace di stupire e disorientare lo spettatore con visioni inedite, spaziando dal pulp all'introspezione, al dramma e alla commedia.
Il film rappresenta pertanto un'opera fuori dagli schemi, atipica e surreale, aspetti sui quali a tratti mi è sembrato di percepire, di contro, un eccesso in cui ho avuto anche l'impressione che a tratti il film abbia "indossato il vuoto con classe" (mi vorranno perdonare gli Afterhours), in un'ottica quasi giocosa di sincretismo visivo e tecnico eccessivamente barocco.
Ovviamente, è solo la mia opinione personale, e devo comunque ammettere che "Mind Game" abbia aperto una nuova porta sull'universo tanto particolare e affascinante che è l'animazione d'autore.
"Mind Game" è l'opera prima di una delle personalità probabilmente più vivaci dell’animazione giapponese odierna, e questo film animato rappresenta probabilmente il manifesto del regista e la sua particolare visione dell'animazione.
Si potrebbe definire il film con tanti aggettivi qualificativi positivi, ma credo che ce ne sia uno particolarmente adatto: "anticonformista", nello stile in primis e poi nei anche nei contenuti, che oscillano tra la particolare visione anche "positiva" dell'esistenza e il nonsense, anche con sconfinamenti nel "pulp", con marcate venature tarantiniane (soprattutto all'inizio del film).
Un film che mi ha lasciato l'impressione di osservare la storyboard attraverso un caleidoscopio. Di sicuro chi è delle generazioni più risalenti come me (Baby boomers, X) saprà a cosa mi riferisco: quel tubo tipo "monocolo", che contiene due o più specchietti e piccoli oggetti colorati, attraverso il quale si osserva un'immagine. Ogni volta che lo si muoveva, quei pezzetti colorati frapposti con la luce e l'immagine formavano immagini diverse e affascinanti, psichedeliche e oniriche, diventando un vero e proprio filtro creativo sulla realtà.
Perché ho utilizzato la metafora del caleidoscopio per descrivere il primo film di Maasaki Yuasa?
Perché "Mind Game" mi ha rammentato le teorie sul "pensiero caleidoscopico" di una docente universitaria, Rosabeth Moss Kanter (Harvard University), che ha sostenuto che «Il caleidoscopio è un insieme flessibile di elementi: se lo ruoti, o se guardi da una diversa angolazione, puoi vedere un’immagine o un pattern diverso. Non è la realtà che è fissa, ma la nostra visione della realtà. È importante imparare a vedere nuove possibilità».
Tale affermazione sembra calzare a pennello su "Mind Game", un film che dopo la sua visione lascia allo spettatore la sensazione di essere stato stimolato nell'immaginazione, nell'ampliamento della propria visione della realtà, per far apprezzare idee e soluzioni diverse dalla solita esperienza sensoriale e mentale.
Un vero e proprio invito ad accogliere idee e concetti che potrebbero sembrare prima facie anche contrapposti tra loro, senza scartarli sommariamente a priori.
E così l'esordiente Yuasa con "Mind Game" ha animato un mondo atipico, fuori dai canoni o dalle solite convenzioni del mainstream sia dell'animazione sia delle modalità narrative della storia.
E come tutte le opere "sperimentali", sembra che alla sua uscita il film sia stato un flop, al pari di altre opere di illustri registi del calibro di M. Oshii o H. Anno (vedi rispettivamente "Tenshi no Tamago" e anche "Neon Genesis Evangelion"), che hanno tentato di innovare rispetto al genere e stile che andavano per la maggiore nel periodo.
La trama è un viaggio metaforico/onirico sull'esistenza umana e sulla determinazione a voler incidere sul proprio destino "against all odds and issues".
E Yuasa lo fa a modo suo con uno mix di stili narrativi che partono da una sequenza ipnotica iniziale di immagini estrapolate dal film sotto forma di anticipazione, in una delle quali si legge che "La tua vita è il risultato delle tue decisioni", e dopo alcuni minuti di immagini veloci, serrate e senza respiro si inizia a vedere la vera e propria trama. Inutile riportare le citazioni che il regista inserisce nelle immagini (mi sovviene "Astro Boy").
E dopo una serie infinita di stili animati in cui si passa dal tradizionale al 3D digitale con l'utilizzo di filmati e immagini girati in live action, si chiude con una margherita che ruota come una girandola e sui cui petali leggiamo il titolo del film: "Mind Game"... e una frase emblematica, "This story has never ended".
Il finale è una "riscrittura" in chiave positiva dei cambiamenti conseguenti alle vicissitudini narrate nel film, e dimostra come il messaggio sia quello che, avendo il coraggio, è possibile modificare il corso degli eventi e migliorare la propria condizione: basta volerlo.
Con "Mind Game" Yuasa ha dimostrato di possedere un grande talento nello sviluppare una storia dal ritmo narrativo variabile, capace di stupire e disorientare lo spettatore con visioni inedite, spaziando dal pulp all'introspezione, al dramma e alla commedia.
Il film rappresenta pertanto un'opera fuori dagli schemi, atipica e surreale, aspetti sui quali a tratti mi è sembrato di percepire, di contro, un eccesso in cui ho avuto anche l'impressione che a tratti il film abbia "indossato il vuoto con classe" (mi vorranno perdonare gli Afterhours), in un'ottica quasi giocosa di sincretismo visivo e tecnico eccessivamente barocco.
Ovviamente, è solo la mia opinione personale, e devo comunque ammettere che "Mind Game" abbia aperto una nuova porta sull'universo tanto particolare e affascinante che è l'animazione d'autore.
Paprika - Sognando un sogno
8.0/10
Gustavo69
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"Paprika" è l'ultimo film completo di Satoshi Kon, famoso per altri lungometraggi quali "Perfect Blue", "Tokyo Godfathers" e "Millennium Actress", nonché la serie TV "Paranoia Agent" e una manciata di manga, in genere non molto lunghi. Stava inoltre lavorando a un nuovo film, quando purtroppo è venuto a mancare dopo una lotta contro il cancro. Satoshi Kon è stato senza dubbio una delle forze creative più potenti nel panorama giapponese: difficile immaginare dove sarebbe potuto arrivare se oggi fosse ancora in vita, forse avrebbe perfino vinto un Oscar per un suo film.
Ma torniamo a "Paprika", un film che è stato apprezzato sia dal pubblico che dalla critica: personalmente, quando lo vidi nel 2007 o 2008, non rimasi molto impressionato, anzi, forse pure un po' deluso, il film in sé mi sembrò discreto ma lontano da altri suoi lavori (migliori). Non brutto, ma nemmeno così geniale come mi aspettavo. Tratto da un romanzo (che non ho letto), "Paprika" si snoda attraverso la dimensione onirica, tanto che a un certo punto i personaggi del film non sono nemmeno più sicuri se stanno sognando o se sono svegli. Nulla di nuovo per il 2006, forse più originale nel 1993, seppure opere con temi simili cominciassero a diffondersi a macchia d'olio, per culminare alcuni anni più tardi con film come "Matrix" ed "Existenz" di Cronenberg, che facevano riflettere lo spettatore su cosa fosse reale o meno. Ma già nel 1990 film come "Allucinazione perversa" ("Jacob's Ladder") avevano introdotto temi simili. D'altro canto i filosofi antichi si erano già cimentati con i concetti di "realtà" e "apparenza", e l'analisi e lo studio dei sogni è diventata una branca importante della psicoanalisi moderna. infatti, secondo Freud, è possibile interpretare il contenuto dei sogni e arrivare al significato profondo e nascosto degli stessi sogni. In tal modo si potrebbe dunque comprendere meglio la psiche del paziente e anche risalire alle cause profonde dei suoi problemi. La storia di "Paprika" prende dunque il via da queste teorie, e ci mostra una dottoressa che entra nei sogni dei suoi pazienti tramite uno strumento chiamato "DC mini", che permette appunto di entrare nel mondo onirico di altre persone, per esplorare i loro desideri più nascosti e anche le loro fobie. In tal modo dovrebbe diventare più semplice aiutare chi soffre di disturbi psichici più o meno seri. Il DC mini è stato realizzato da un geniale inventore, che è tanto intelligente quanto infantile e vorace. A un certo punto però il dispositivo viene rubato da qualcuno che vuole utilizzarlo per scopi molto meno nobili di quelli del suo inventore e della dottoressa Chiba, che entra nei sogni altrui con il suo alter ego Paprika. Con l'aiuto di altri personaggi, alla fine Paprika riuscirà a scoprire chi si cela dietro al furto del DC mini e alle sue reali intenzioni.
Come detto, la prima volta che ho visto questo film non mi impressionò molto, almeno per quanto riguarda la storia. La trovai forse poco originale, specie nella parte finale. Rivedendolo dopo quindici anni, la mia impressione sulla storia non è cambiata molto, ma, se la trama non è brillante come avrei voluto, il resto del film non delude, regalandoci un'altra perla del compianto Satoshi Kon. Disegni e animazioni sono infatti il cavallo di battaglia di questo lungometraggio, non tanto la storia, bene o male già vista e stravista in numerose opere simili. Se questo film fosse stato prodotto a metà degli anni '90, forse avrebbe avuto un impatto differente su di me, ma così non è stato. Ma ad elevare il tutto ci pensa la perizia e la bravura di Satoshi Kon: se ci fosse stato qualcun altro al suo posto, questo film sarebbe stato appena passabile, invece grazie a lui diventa quasi memorabile. Qualcuno inoltre afferma che "Paprika" possa aver ispirato "Inception" di Christopher Nolan: ci sono alcune analogie di fondo infatti, ma il film di Nolan è più complesso a livello di trama di quello di Satoshi Kon; questo rende "Paprika" sicuramente più accessibile da parte del pubblico, ma probabilmente meno affascinante. Diversi film di Nolan fanno della loro complessità interna un cavallo di battaglia in fondo, anche se non sempre si è rivelata una scelta saggia. "Paprika" invece è molto più lineare, forse anche troppo, si poteva forse osare un po' di più, ma evidentemente non c'era il tempo (il film del resto dura circa novanta minuti), o forse non si voleva deviare troppo dal romanzo originale, chissà. In ogni caso, si tratta certamente di un buon film animato, ma ha qualche difetto che ai miei occhi non gli permette di essere quel capolavoro che poteva davvero diventare.
Ma torniamo a "Paprika", un film che è stato apprezzato sia dal pubblico che dalla critica: personalmente, quando lo vidi nel 2007 o 2008, non rimasi molto impressionato, anzi, forse pure un po' deluso, il film in sé mi sembrò discreto ma lontano da altri suoi lavori (migliori). Non brutto, ma nemmeno così geniale come mi aspettavo. Tratto da un romanzo (che non ho letto), "Paprika" si snoda attraverso la dimensione onirica, tanto che a un certo punto i personaggi del film non sono nemmeno più sicuri se stanno sognando o se sono svegli. Nulla di nuovo per il 2006, forse più originale nel 1993, seppure opere con temi simili cominciassero a diffondersi a macchia d'olio, per culminare alcuni anni più tardi con film come "Matrix" ed "Existenz" di Cronenberg, che facevano riflettere lo spettatore su cosa fosse reale o meno. Ma già nel 1990 film come "Allucinazione perversa" ("Jacob's Ladder") avevano introdotto temi simili. D'altro canto i filosofi antichi si erano già cimentati con i concetti di "realtà" e "apparenza", e l'analisi e lo studio dei sogni è diventata una branca importante della psicoanalisi moderna. infatti, secondo Freud, è possibile interpretare il contenuto dei sogni e arrivare al significato profondo e nascosto degli stessi sogni. In tal modo si potrebbe dunque comprendere meglio la psiche del paziente e anche risalire alle cause profonde dei suoi problemi. La storia di "Paprika" prende dunque il via da queste teorie, e ci mostra una dottoressa che entra nei sogni dei suoi pazienti tramite uno strumento chiamato "DC mini", che permette appunto di entrare nel mondo onirico di altre persone, per esplorare i loro desideri più nascosti e anche le loro fobie. In tal modo dovrebbe diventare più semplice aiutare chi soffre di disturbi psichici più o meno seri. Il DC mini è stato realizzato da un geniale inventore, che è tanto intelligente quanto infantile e vorace. A un certo punto però il dispositivo viene rubato da qualcuno che vuole utilizzarlo per scopi molto meno nobili di quelli del suo inventore e della dottoressa Chiba, che entra nei sogni altrui con il suo alter ego Paprika. Con l'aiuto di altri personaggi, alla fine Paprika riuscirà a scoprire chi si cela dietro al furto del DC mini e alle sue reali intenzioni.
Come detto, la prima volta che ho visto questo film non mi impressionò molto, almeno per quanto riguarda la storia. La trovai forse poco originale, specie nella parte finale. Rivedendolo dopo quindici anni, la mia impressione sulla storia non è cambiata molto, ma, se la trama non è brillante come avrei voluto, il resto del film non delude, regalandoci un'altra perla del compianto Satoshi Kon. Disegni e animazioni sono infatti il cavallo di battaglia di questo lungometraggio, non tanto la storia, bene o male già vista e stravista in numerose opere simili. Se questo film fosse stato prodotto a metà degli anni '90, forse avrebbe avuto un impatto differente su di me, ma così non è stato. Ma ad elevare il tutto ci pensa la perizia e la bravura di Satoshi Kon: se ci fosse stato qualcun altro al suo posto, questo film sarebbe stato appena passabile, invece grazie a lui diventa quasi memorabile. Qualcuno inoltre afferma che "Paprika" possa aver ispirato "Inception" di Christopher Nolan: ci sono alcune analogie di fondo infatti, ma il film di Nolan è più complesso a livello di trama di quello di Satoshi Kon; questo rende "Paprika" sicuramente più accessibile da parte del pubblico, ma probabilmente meno affascinante. Diversi film di Nolan fanno della loro complessità interna un cavallo di battaglia in fondo, anche se non sempre si è rivelata una scelta saggia. "Paprika" invece è molto più lineare, forse anche troppo, si poteva forse osare un po' di più, ma evidentemente non c'era il tempo (il film del resto dura circa novanta minuti), o forse non si voleva deviare troppo dal romanzo originale, chissà. In ogni caso, si tratta certamente di un buon film animato, ma ha qualche difetto che ai miei occhi non gli permette di essere quel capolavoro che poteva davvero diventare.
Mind Game attendiamo Anime Factory che con Dario Moccia ha annunciato una versione home video da collezione
Scherzi a parte, contento di essere finito di nuovo in questa rubrica.
Grazie mille.
- Close the world, Open the nExt
La muovo io la critica alla tua recensione:
Parlare di "Serial Experiments Lain" non è semplice.
Questo sia perché essa è effettivamente un'opera complessa, ma anche e soprattutto perché, essendo un'opera di tale complessità, tutti quelli che volevano darsi delle arie ne hanno parlato, sperticandosi in discorsi dall'apparenza intellettuale, ma dalla sostanza autoerotica.
Tutte queste cose sono chiaramente un'offesa verso "Serial Experiments Lain" come opera: non c'è nulla di più offensivo dell'idealizzazione, soprattutto se è strumentale a far idealizzare noi stessi agli altri.
Proprio ciò che hai criticato, ecco di seguito una pugnet... mentale con autoelogio.
Qualche Lucca fa la Dynit rispose che non erano interessati, ne' a Lain, ne' a Mushishi, ne' a Haibane Renmei. Proprio amanti ed esperti dell`animazione . Capisco il guadagnare, pero'...
Forse ti sorprenderà che io lo dica, ma hai effettivamente ragione.
Dopotutto, il paragrafo dopo dico che avrei potuto evitare quella premessa, ma che l'ho fatta per mettere in chiaro una presa di consapevolezza su di me, e su come sarei andato a parlare di Lain.
Pecco di arroganza, non lo metto in dubbio, ma non sono impermeabile alle critiche, e le ascolto e le giudico con maturità, riflettendo con la massima chiarezza mentale su quanto mi viene detto, e su quanto io mi ritrovi d'accordo con determinate obiezioni.
Se le ritengo legittime, miglioro. Se non le ritengo legittime, mi domando cosa le abbia causate, e cerco di modificare, laddove possibile, i problemi che hanno causato determinate reazione "avverse".
Detto ciò, se mi permetto una certa arroganza, oltre che per una questione di stile (odio le recensioni asettiche), è anche perché, onestamente, io mi sento in grado di formulare pareri ed analisi leggermente più obiettivi e articolati di un influencer qualsiasi, o comunque di un utente come un altro. Sento anche di avere un vero e proprio spirito critico, capace di osservare davvero alle strutture di un'opera e di giudicarlo con lente critica, senza spacciare la mia opinione personale per qualcosa di empirico.
Detto ciò, credo che questa recensione me ne abbia dato conferma.
Anche le persone che mi hanno mosso delle critiche, non lo hanno fatto sulla sostanza del testo, ma su alcune delle parentesi non strettamente collegate a Lain.
Detto papale papale, mi è stato detto "Davvero una bella recensione, peccato gli scivoloni su Akira e AOT", e questo implica che la recensione su Lain sia davvero apprezzabile, almeno per la maggioranza.
Giusto per chiarire.
Quando una persona mi dice qualcosa, non concentro la mia attenzione solo su quello che intende, ma anche su quello che inconsciamente sottintende con quanto mi dice. Perché sia nei complimenti che nelle critiche aperte possono esserci bias, ma in ciò che dici senza pensarci, è molto più difficile.
Poi, non dico di essere infallibile, eh!
Dico solo che, quando sbaglierò, se non l'ho già fatto, potrò almeno dire di essere sempre stato coerente con me stesso, e di essere ancora desideroso di migliorare.
Mi inserisco nel discorso, solo per mera curiosità.
Perché odieresti le recensioni “asettiche”?
Prima di dire, di non apprezzare il termine, preferisco capire meglio cosa intendi, perché per quel che traspare, personalmente trovo frustrante quelle recensioni, che vengono scambiate per una pagina, del loro “caro diario”.
Ogni mezzo dev’essere funzionale al loro utilizzo, e anche il citare, paragonare o anche solo nominare altre opere, o racconti di vita, al di fuori da quelle bibliografiche dell’autore dell’opera in sé, lo trovo fuorviante e apparentemente inutile, se non mera pubblicità personale, in base ai propri criteri, che ovviamente non posso essere usati come metro di giudizio perfetto, anzi così si dimostra la propria imperfezione come recensore.
Preferisco lasciare tale ingombrante incombenza, al lettore della recensione, restituendogli un testo, il più limpido e scevro possibile di paragoni influenzabili dalla mia soggettività, per fare un esempio stupido.
Io ti do un 1 metro, di un qualsiasi oggetto, spetta a te decidere se è tanto, poco, buono o brutto, in base alle tue esperienze, senza che io ti possa minimamente influenzare con le mie esperienze, cercando di darti solamente opinioni tecniche e oggettive.
Ovviamente nel concreto risulta pressoché impossibile come intento, visto che ciò che viene studiato e/o osservato, viene spesso mutato, da tale azione, ma come metodologia a cui ambire, credo che sia il più proficuo per il fruitore della recensione.
Ovviamente non voglio dire nulla di male, è una mia personalissima opinione personale (ridondante, ma credo strettamente necessaria), di uno sconosciuto che passava di qui per sbaglio.
Parlando di recensioni, ritengo asettico tutto ciò che, dovendo ostentare la propria imparzialità invece di mantenerla nella sostanza di quanto si esprime, coadiuva tali giudizi con una forma troppo contenuta e regolare, che rischia di diventare manieristica.
Non lo apprezzo perché lo ritengo un po' offensivo dell'intelligenza del lettore: non è il modo in cui ti esprimi a rivelare la tua obiettività, ma la sostanza di ciò che dici.
Anche perché sono uno scrittore, e so benissimo che con la forma posso prendere in giro chi voglio. Credimi, se mi esprimo in un determinato modo, facendo determinati paragoni, è perché voglio farlo, non perché non sappia fare altrimenti.
Potrei esplicare esattamente gli stessi concetti che esprimo di solito, ma con la forma che tu ritieni essere più appropriata, e sono convinto che non mi avresti detto niente, ma sarei stato uno dei tanti che recensisce opere online, con più o meno criterio.
Ti invito a guardare alla sostanza di quello che scrivo.
Noterai che, ad esempio, in questa recensione faccio un paragone tra Akira e Serial Experiment Lain, ma non lo faccio per parlare di Akira, ma solo del modo in cui veicolano la cripticità di determinate informazioni. Avessi scritto "A differenza di altre opere, Serial Experiment Lain non è mai arrogante nel dialogo con lo spettatore..." etc., senza mai nominare Akira, sarebbe cambiato qualcosa?
No, avrei solo lasciato l'incognita di quali potessero essere le altre opere a cui mi riferivo.
Avessi tolto la nota personale, che è un post scriptum, sul mio voto ad AOT, cosa sarebbe cambiato? Che sarei stato più "professionale"? No, lo sarei solo sembrato, al massimo.
La verità è che posso togliere le frecciatine, le espressioni roboanti, i paragoni etc.
I concetti rimarrebbero gli stessi, e non sarei un recensore migliore.
Sarei solo meno Nicola.
Per anni le persone hanno cercato di impedirmi di essere me stesso, non si meritano che io le accontenti.
Detto questo, la mia forma mentis è che le recensioni devono essere obiettive, e non oggettive.
Quando parlo di un'opera, cerco di analizzare di l'opera in quanto tale, riferendomi anche al contesto di riferimento qualora necessario, e cercando di parlarne nel modo più empirico possibile, e non di nobilitare le mie opinioni con la retorica della critica (cosa che fanno tutti). Tutto questo però sapendo che, come hai anche detto tu alla fine, che non possiamo esserlo davvero.
Ci sarà sempre un discriminante personale, volente o nolente. Perché non siamo macchine, e perché in realtà nessuno vuole essere perfetto, vuole solo provare la soddisfazione che ti da il cammino verso questa meta irraggiungibile.
Detto questo, le mie recensioni non sono specchio dei miei gusti, tutt'altro.
Serial Experiment Lain è un'opera che ritengo... be', quello che ho detto in recensione, ma non è la mia preferita di sempre.
A me piace Fate.
Forse non sembrerà, ma io non ho mai creduto che le cose siano "belle" (in senso artistico) solo perché piacciono a me, tutt'altro.
Ti rispondo, il più brevemente possibile, per non intasare la notizia, nonostante come discussione mi interessi e credo sia utile un pò a tutti, ma risulterei comunque off-topic.
*Ogni mio punto, è riferito a un tuo paragrafo, più o meno*
1) Non condivido molto il pensiero, perchè il lavorare in maniere sterile, in una sala chirurgica, non è manierismo, come la ricerca di imparzialità non pregiudica la sostanza, è solo un mezzo per cercare di far brillare il suo contenuto, sterilizzata da ogni germe di puerile egocentrismo.
Trovo più manieristico e puramente autoreferenziale, il cercare di ostentare una continua innovazione e trasformazione, nella propria esposizione, portando e riportando informazioni totalmente inutili, con una sfrenata voglia di farsi conoscere, piuttosto che far conoscere, non sono opere d'arte, ma recensioni.
Specialmente dissento sul "non è il modo in cui ti esprimi a rivelare la tua obiettività, ma la sostanza di ciò che dici", fattuale si, ma i mezzi sono peculiari e caratteristici, per ogni singolo aspetto nella vita dell'essere umano, e francamente, la fanno la differenza, perché se per dire una cosa, fai giri di parole, e fai perdere il lettore, in voli pindarici, o parafrasi che rimandano ad altro, tanto obbiettivo non sei.
(Meno male, che ho premesso, che sarei stato stringato >.<)
2) non prendere il mio commento come una critica o altro, nei tuoi confronti, mera curiosità e spasmodica voglia di confronto e crescita personale, se temi un tiro al piattello, stai sicuro che io sarei l'ultimo degli utenti, a parteciparvi.
Comunque se ricerchi una tua forma d'arte, nell'esporre le tue recensioni, hai tutta la mia approvazione, (per quel che vale) come persona, nonostante continui a ritenere ogni deviazione dal raggiungimento dell'obbiettivo (informare per me, specifico), un orpello inutile, che appesantiscono la lettura di chi brama solo informazioni, su che cosa sta andando a visionare/leggere.
3) Salto totalmente, la parte riguardante la tua recensione, che ho letto e apprezzato molto nella sua forma. (come sopra, potrai pensare chissene, dei miei pareri xD)
Ogni cosa detta nel mio precedente commento, non era assolutamente riferita alla tua recensione, ma solo un elenco di situazioni, che vedo spesso ripetersi in molte recensioni, e che personalmente non apprezzo, perchè solamente perdite di tempo.
4) "Per anni le persone hanno cercato di impedirmi di essere me stesso, non si meritano che io le accontenti."
Volevo saltare questo pezzo, perchè lungi da me, scrivere qualcosa, su un tuo frammento di vita personale, ma come sopra, il mio inciso (eufemisticamente inciso xD) non era riferito a te, o per attaccare te.
Per come la vedo, più che scritti che racchiudono frammenti del mio essere, le mie recensioni, sono solo rigurgiti di appunti, per riportare alla mente, la rappresentazione più fedele possibile, di un'opera, cercando di far fare altrettanto, a chiunque non abbia mai visionato e/o letto un'opera, sfida veramente ardua direi.
5) Preferisco non aprire l'argomento su obbiettivi, e aspirazioni con cui si affronta lo scrivere una recensione, se no ti ammorberei con una sequela infinita di filippiche decadentiste haha
6) come detto, non è un'invettiva nei tuoi confronti, sulle tue valutazioni, sul tuo modo di scrivere o sui tuoi gusti, come dico spesso "la mer*a di qualcuno, può essere il tesoro di qualcun'altro" (ovviamente molto parafrasata haha), semplice curiosità e voglia di capire, un punto di vista diverso dal mio, e che a sto punto, ritengo inconciliabili, con buona pace dei sensi, di qualunque sventurato, si appresterebbe mai, a leggere sti papiri haha
Prima di tutto, mi scuso se magari sono partito troppo sulla difensiva.
Un po' per indole, un po' perché ci sono state effettivamente alcune persone che hanno tentato di delegittimarmi per cose non del tutto inerenti alla sostanza di ciò che scrivo, ho erroneamente pensato che magari tu potessi avere le stesse intenzioni.
Dopotutto, hai risposto a un commento in cui parlavo di me, quindi mi è venuto naturale fare questo collegamento.
Non era questo il caso, quindi mi scuso nuovamente per averti frainteso.
Detto ciò, guarda che io sono d'accordo con quanto hai detto nel tuo messaggio, soprattutto il primo punto. Però, vorrei invitarti a riflettere che chi fa giri di parole, voli pindarici etc. spesso lo fa perché cerca di camuffare il fatto che non sa cosa dire, e non sa cosa dire perché non ha sia le conoscenze che la maturità critica per analizzare un'opera, e quindi accadono due cose: o utilizza una forma impropria per esprimersi perché non ha punti di riferimento, o cerca di "darsi un tono" esprimendosi in un modo che trasudi, o cerchi di trasudare, chissà quale sensibilità o capacità di ragionamento.
Il trionfo della forma sulla sostanza.
E ti dirò, finché questa cosa la facessero solo gli utenti, non me lamenterei più di tanto. Rimarrei un po' avvilito, ma comunque non mi posso aspettare che ogni uomo comune sia, o voglia essere, un "intellettuale".
Il fatto è che questa situazione problematica c'è anche dall'alto. Guarda gli influencer, guarda tutti quei recensori che chiaramente non hanno gli strumenti per un analisi, ma vogliono "fare i critici", quindi raccontano la loro esperienza utente con una forma alterata.
Io lo definisco "opinionismo che ruba la retorica della critica", e questo è.
Perché l'opinionismo di per sé può essere interessante, se la tua prospettiva sull'argomento è interessante; ma quando sei un quindicenne nel corpo di un trentenne che non ha mai fatto esperienza del mondo, e le cui basi culturali per analizzare un qualcosa sono "faccio esperienza di medium X da quando sono bambino", lì c'è un problema.
Soprattutto se non vuoi fare la fatica di studiare, e di confrontarti con gli altri invece di cercare conferme perché ti senti speciale.
Molti non ci crederanno se lo dico, ma io non mi sento speciale.
Io mi vergogno di essere migliore di alcune figure più celebri - perché voglio sempre migliorare, voglio anch'io provare la soddisfazione di camminare verso la perfezione, ma il livello culturale di molti che mi circondano mi rende difficile orientarmi.
Se io dico, come mi è capitato in gruppo Telegram, due cose di base su una materia e le persone iniziano a considerarmi un genio, o comunque un esperto, io mi sento a disagio.
E se io vedo che ci sono tantissime persone che seguono una figura in vista, e prendono per oro colato le banalità che dice solo perché gliele presenta bene, io mi rimango avvilito se posso fare di meglio senza impegnarmi particolarmente.
Quindi, sono davvero contento di questa discussione.
E capisco il sentimento di non voler intasare i commenti di questa notizia.
Se ti va di continuarla, puoi scrivermi in privato.
Così posso essere ancor più schietto e fare nomi e cognomi! Eehehhee!
Figurati, mica volevo delle scuse, era per chiarire il fraintendimento ^^
Come hai detto, continueremo tramite MP, però due piccole note, per concludere:
1) Vorrei far mie le parole di Dante "non ragioniam di lor, ma guarda e passa", perchè crucciarsi e avvelenarsi l'animo, lascia (per non dire abbandona) la gente, al loro libero discernimento e goditi la vita, che il tempo non basta mai, specialmente per approfondire i nostri hobby o i veri "influencer" tipo Verga, Italo Calvino o Nietzsche (nomi a caso pffff >.<)
2) Non disincentivare nessuna attività di recensione/critica, perché per quante mille mila parole sprecate, solitamente, trovo sempre, qua e la, qualche spunto, punto di vista, o informazione di rilievo, sarà compito di chi dovrà revisionare, selezionare e leggersi, quella marea di ciarpame, in cerca di quella pepita d'oro, da poter pubblicare, poi se gli "elementi" sono da considerarsi "marci", cioè cosi imputriditi nel proprio ego, da non poter portare nulla di nuovo, allora torna al punto 1 ù.ù
Scusa il ritardo, ma il lavoro è una pressa haha
Ti scrivo, per quanto ormai gran parte del discorso è andato a esaurirsi naturalmente ^^
Scusate tutti, per le X notifiche, passo e chiudo ù.ù
"Serial Experiments Lain" e "Mind Game" li metto in lista.
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