Secondo rumors recenti anche la saga di Resident Evil potrebbe, per la prima volta, cedere al fascino dell'ambientazione open world, addentrandosi in ambiti non nuovi per il survival horror a tema zombie, ma fino ad oggi non associabili a titoli rimasti nell'Olimpo del genere. Un gioco ad ambientazione aperta rappresenta ciò che nella mente degli sviluppatori dovrebbe essere libertà assoluta, possibilità sconfinate, un'esperienza in cui è il giocatore stesso a dettare tempi e modi, aumentando esponenzialmente anche il divertimento: ma è davvero così? Parliamone insieme.
Una dei più bei compiti di ogni forma d'arte, nelle quali annovero certamente anche il videogioco, è quello di veicolare e trasmettere emozioni: l'ottava arte (mi si conceda questa convinzione) ha in più il pregio di poterci far vivere in maniera interattiva una storia immersiva e nuova, in modi preclusi al cinema ed alla scrittura, portandoci in mondi fantastici o distopici, comunque lontani dalla quotidianità con cui tutti noi dobbiamo necessariamente convivere. In teoria prolungare la fruizione di qualcosa di bello è un aspetto positivo, ma proviamo a pensare ad un magnifico quadro: se anziché poterlo direttamente apprezzare nella sua interezza questo ci venisse mostrato a pezzi, come un puzzle da comporre molto lentamente ed intervallando questa attività con altre più banali, riuscirebbe ad emozionarci allo stesso modo? Avrete capito il concetto: uno dei problemi fondamentali dei titoli open world è proprio la diluizione dell'esperienza secondo tempistiche che non possono essere definite a priori, proprio perché dipendono dal giocatore (salvo precise - e spesso controverse - scelte di gameplay, come la presenza di un tempo limite per il completamento di alcune quest) e che quasi sempre fanno perdere il fulcro della storia, fanno venir meno l'urgenza dei protagonisti, costringono ad una importante dissonanza ludonarrativa quando un personaggio con un compito di un'urgenza critica si sofferma ad allevare pennuti colorati per vincere una gara.
L'altro compito, forse il principale anche se tendiamo a dimenticarcene spesso, è quello di fornirci un divertimento pratico pad o tastiera alla mano, di essere divertente, sfidante, gratificante e di fare tutto questo seguendo una curva di apprendimento stabilita dai suoi creatori, studiata a tavolino per trasportarci verso una crescita costante, con sbarramenti più o meno ostici a seconda delle loro volontà. In Dark Souls se non si trovava il modo di far fuori il demone toro su quel ponte appena fuori dal Borgo dei non morti, non c'era verso di proseguire. Elden Ring dà invece la possibilità di cavalcare via ed evitare qualsiasi scontro, andare dalla parte opposta del mondo di gioco e fare tutt'altro, anche accumulare tantissimi livelli per overkillare quel boss ostico. E se ancora la community non ci riesce lo nerfiamo pure (poor Radahn). Tutto questo non vuole essere un elogio alla difficoltà gratuita, quanto piuttosto stimolare una riflessione su quanto in un open world diventi molto più complesso creare un avanzamento organico e razionale sia della trama che della curva di difficoltà, al punto che molti sviluppatori alla fine decidono di rinunciarci, andando a sacrificare queste due fondamentali caratteristiche del medium sull'altare del parametro noto come "ore di gioco".
C'è stato un preciso momento in cui moltissimi scrittori hanno smesso di concentrarsi sullo storytelling, sul lasciare qualcosa a livello emotivo, per focalizzarsi quasi esclusivamente sulla grafica e sul tenere i videogiocatori incollati al loro titolo il più a lungo possibile. Educare gli stessi a misurare la qualità di un titolo in base a quanto dichiarato dal sito HowLongToBeat è stata infine la diretta conseguenza di questa nuova cultura videoludica, portando pian piano alla nascita di videogames che non sono altro che raccoglitori di fetch quest, grinding esasperato, loot ossessivo e farming compulsivo di qualsiasi cosa sia possibile raccogliere e trasportare. Come si diceva in prefazione, ognuno di noi è costretto quotidianamente da esigenze primarie ad una serie di attività ripetitive e banali: siamo proprio sicuri che sia necessario riproporre questa stessa esperienza anche all'interno di un videogioco, solo per allungarne la durata? E come si coniuga questo approccio con quello che dovrebbe essere un survival horror carico di tensione e che trae giovamento proprio dalla scarsità di risorse e di opzioni a nostra disposizione?
Intendiamoci, ci sono titoli open world che riescono ad essere meravigliosi, giusto per citarne alcuni The Witcher 3, Zelda Breath of the Wild e Red Dead Redemption 2, ma rimanere su questi standard è molto complicato ed è appannaggio di pochi con i giusti mezzi e competenze, nonostante anche questi tre capolavori prestino il fianco a quella interruzione della sospensione dell'incredulità, nel momento in cui le attività in game non collimano con quello che dovrebbe essere il reale approccio del protagonista alla storia raccontata. Ci è certamente più facile immedesimarci nelle azioni di Joel in The Last of Us, che nel momento in cui Ellie è in difficoltà non si sofferma a giocare a dadi o a scuoiare cervi leggendari, ma va dritto a salvarla. Chiaramente possiamo accettarlo, pur sapendo perfettamente che il trasporto emotivo ne risentirà, mettendosi in pausa fino al completamento della successiva missione di trama. In definitiva non esiste una risposta univoca e probabilmente l'unica sensata è che non bisogna abusare di queste dinamiche: l'utenza comincia anche un po' a valutare negativamente distese sconfinate e vuote piene solo di inutili collezionabili, o vetuste missioni in cui bisogna portare una lettera da una parte all'altra dell'universo, o ancora l'ennesimo accampamento nemico da distruggere. Forse, dopo che persino Master Chief ha iniziato a svolazzare qui e lì per la mappa in Halo Infinite (e la cosa non è stata accolta in maniera particolarmente entusiastica), è il caso di ricominciare a ragionare in termini di esperienza complessiva e magari rigiocabilità, come insegnano i validissimi remake dei titoli di qualche anno fa, quando ancora certi paradigmi non erano così predominanti, o altre esperienze tipo Hellblade: Senua's Sacrifice (preparatevi alla nostra recensione del secondo capitolo) o Alan Wake primo e secondo capitolo, che riescono a concentrare tantissimo in relativamente poche ore di gioco.
Una dei più bei compiti di ogni forma d'arte, nelle quali annovero certamente anche il videogioco, è quello di veicolare e trasmettere emozioni: l'ottava arte (mi si conceda questa convinzione) ha in più il pregio di poterci far vivere in maniera interattiva una storia immersiva e nuova, in modi preclusi al cinema ed alla scrittura, portandoci in mondi fantastici o distopici, comunque lontani dalla quotidianità con cui tutti noi dobbiamo necessariamente convivere. In teoria prolungare la fruizione di qualcosa di bello è un aspetto positivo, ma proviamo a pensare ad un magnifico quadro: se anziché poterlo direttamente apprezzare nella sua interezza questo ci venisse mostrato a pezzi, come un puzzle da comporre molto lentamente ed intervallando questa attività con altre più banali, riuscirebbe ad emozionarci allo stesso modo? Avrete capito il concetto: uno dei problemi fondamentali dei titoli open world è proprio la diluizione dell'esperienza secondo tempistiche che non possono essere definite a priori, proprio perché dipendono dal giocatore (salvo precise - e spesso controverse - scelte di gameplay, come la presenza di un tempo limite per il completamento di alcune quest) e che quasi sempre fanno perdere il fulcro della storia, fanno venir meno l'urgenza dei protagonisti, costringono ad una importante dissonanza ludonarrativa quando un personaggio con un compito di un'urgenza critica si sofferma ad allevare pennuti colorati per vincere una gara.
L'altro compito, forse il principale anche se tendiamo a dimenticarcene spesso, è quello di fornirci un divertimento pratico pad o tastiera alla mano, di essere divertente, sfidante, gratificante e di fare tutto questo seguendo una curva di apprendimento stabilita dai suoi creatori, studiata a tavolino per trasportarci verso una crescita costante, con sbarramenti più o meno ostici a seconda delle loro volontà. In Dark Souls se non si trovava il modo di far fuori il demone toro su quel ponte appena fuori dal Borgo dei non morti, non c'era verso di proseguire. Elden Ring dà invece la possibilità di cavalcare via ed evitare qualsiasi scontro, andare dalla parte opposta del mondo di gioco e fare tutt'altro, anche accumulare tantissimi livelli per overkillare quel boss ostico. E se ancora la community non ci riesce lo nerfiamo pure (poor Radahn). Tutto questo non vuole essere un elogio alla difficoltà gratuita, quanto piuttosto stimolare una riflessione su quanto in un open world diventi molto più complesso creare un avanzamento organico e razionale sia della trama che della curva di difficoltà, al punto che molti sviluppatori alla fine decidono di rinunciarci, andando a sacrificare queste due fondamentali caratteristiche del medium sull'altare del parametro noto come "ore di gioco".
C'è stato un preciso momento in cui moltissimi scrittori hanno smesso di concentrarsi sullo storytelling, sul lasciare qualcosa a livello emotivo, per focalizzarsi quasi esclusivamente sulla grafica e sul tenere i videogiocatori incollati al loro titolo il più a lungo possibile. Educare gli stessi a misurare la qualità di un titolo in base a quanto dichiarato dal sito HowLongToBeat è stata infine la diretta conseguenza di questa nuova cultura videoludica, portando pian piano alla nascita di videogames che non sono altro che raccoglitori di fetch quest, grinding esasperato, loot ossessivo e farming compulsivo di qualsiasi cosa sia possibile raccogliere e trasportare. Come si diceva in prefazione, ognuno di noi è costretto quotidianamente da esigenze primarie ad una serie di attività ripetitive e banali: siamo proprio sicuri che sia necessario riproporre questa stessa esperienza anche all'interno di un videogioco, solo per allungarne la durata? E come si coniuga questo approccio con quello che dovrebbe essere un survival horror carico di tensione e che trae giovamento proprio dalla scarsità di risorse e di opzioni a nostra disposizione?
Intendiamoci, ci sono titoli open world che riescono ad essere meravigliosi, giusto per citarne alcuni The Witcher 3, Zelda Breath of the Wild e Red Dead Redemption 2, ma rimanere su questi standard è molto complicato ed è appannaggio di pochi con i giusti mezzi e competenze, nonostante anche questi tre capolavori prestino il fianco a quella interruzione della sospensione dell'incredulità, nel momento in cui le attività in game non collimano con quello che dovrebbe essere il reale approccio del protagonista alla storia raccontata. Ci è certamente più facile immedesimarci nelle azioni di Joel in The Last of Us, che nel momento in cui Ellie è in difficoltà non si sofferma a giocare a dadi o a scuoiare cervi leggendari, ma va dritto a salvarla. Chiaramente possiamo accettarlo, pur sapendo perfettamente che il trasporto emotivo ne risentirà, mettendosi in pausa fino al completamento della successiva missione di trama. In definitiva non esiste una risposta univoca e probabilmente l'unica sensata è che non bisogna abusare di queste dinamiche: l'utenza comincia anche un po' a valutare negativamente distese sconfinate e vuote piene solo di inutili collezionabili, o vetuste missioni in cui bisogna portare una lettera da una parte all'altra dell'universo, o ancora l'ennesimo accampamento nemico da distruggere. Forse, dopo che persino Master Chief ha iniziato a svolazzare qui e lì per la mappa in Halo Infinite (e la cosa non è stata accolta in maniera particolarmente entusiastica), è il caso di ricominciare a ragionare in termini di esperienza complessiva e magari rigiocabilità, come insegnano i validissimi remake dei titoli di qualche anno fa, quando ancora certi paradigmi non erano così predominanti, o altre esperienze tipo Hellblade: Senua's Sacrifice (preparatevi alla nostra recensione del secondo capitolo) o Alan Wake primo e secondo capitolo, che riescono a concentrare tantissimo in relativamente poche ore di gioco.
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Prossima domanda.
Anche tra i giochi che citate, gli open world sono quelli di maggior successo, mentre alcuni di quelli lineari sono stati addirittura dei fallimenti commerciali
Non commettiamo l'errore di confondere fatturato con qualità. Noi non siamo produttori e sviluppatori, siamo videogiocatori, non ci interessa (o se lo fa, lo fa relativamente) quanto guadagnano. Quello che volevo analizzare è se l'esperienza offerta sia oggettivamente migliore.
PS solo per rimanere in tema di articolo, gli ultimi Resident Evil, capitoli principali e remake, hanno fatto letteralmente il botto. Nonostante ciò pare che Capcom stia lavorando ad un open world per il prossimo. Quindi non credo sia (solo) quello il motivo.
Ma che c'entra la qualità? Fanno tutti gli open world perché quelli portano i soldi, anche fossero tutti di merda comunque continuerebbero a farli.
Tutti i generi non remunerativi vengono rilegati al mercato degli indie
Superato i vecchi Single Player che si finivano in una 20 di ore si sono concentrati nell'espansione della mappa. All'inizio era semplicemente per farti perdere più tempo, poi hanno dato la possibilità di affrontare le sfide/quest come si preferiva lasciando la possibilità di dedicarsi a esplorazione e contenuti secondari.
In seguito si sono messi a pompare la Grafica e poi ad aprire il tutto all'esperienza Multigiocatore.
Anche l'aspetto del Housing era emerso in certo periodo.
Ora siamo nell'epoca dei Vestiti o degli Aspetti.
Paghi per avere il personaggio vestito solo con le Mutande.
Comunque tutte le mappe grandi solitamente superato un certo punto inseriscono qualcosa per agevolare gli spostamenti. Perchè è giusto perdere tempo ma non negli spostamenti della mappa.
L'esplorazione effettivamente ha giocato una vera e propria rivoluzione nei contenuti.
Ci sono stati giochi come quelli citati in cui ne è valsa la pena.
La Fog of War in The Witcher 3 era anche molto utile a capire dove si era stati in esplorazione.
Anche l'intelligenza di segnalare il grado si sfida dei nemici. Se si hanno due occhi per vedere si hanno anche per capire che l'avversario non è alla portata. In alcuni casi per la mole di contenuto hanno dovuto anche inserire la possibilità di scrivere delle Note per tenere a memoria qualche informazione utile. La libertà di affrontare quello che si vuole quando si vuole non l'ho mai vista come qualcosa di brutto. Io su Skyrim non ho mai giocato la Storia principale.
Ne abbiamo bisogno?
Non ho idea per Residen Evil (non l'ho conosco così bene per potermi esprimere).
In ogni caso bisogna vedere il risultato finale.
Se viene fuori qualcosa di buono io giustifico tutto...(anche il seguire le mode)
Comunque è abbastanza difficile che possa interessarmi come titolo.
Se intendiamo questo per "open world" voglio solo evitarli, per me in questo non c'è alcun fascino, ma forse è solo il mio modo di giocare che non è più in linea con il "trend" moderno.
Ché il sistema di Genshin Impact ha rotto le palle, sinceramente.
Il problema degli OW è che finisco per passare tantissimo tempo a girarli piuttosto che andare avanti con la trama principale, quindi per me sono molto pericolosi ^^' Giocando ad esempio ad AC Odyssey ho passato un infinità di tempo a girare quel mondo solo per il piacere di farlo. Le prime ore anche in Elder Ring le ho passate a morire male girando il posto.
Biohazard per me e' quello.
Per quanto riguarda gli open, non mi fanno uscire pazzo, preferiro' sempre roba come The last of us, ma dipende anche dai giochi: Red redemption 2 e' un capolavoro assoluto, ho impiegsto 6 mesi per finirlo. E' stata un'esperienza. Ci vuole tempo, bisogna dargli tempo, entrare in quel mondo, non avere fretta. Non e' il mio genere preferito, perche' io arrivo dai tempi delle 100 lire. Il videogioco era altro. L'evoluzione l'ho seguita. C'e' ststo il tempo dei platform, che amo. Poi quelli in prima persona, che non amo, adesso e' l'epoca degli open world. Spero non colonizzi il mercato...ma passera'.
Finché abbiamo un'ambientazione fantasy/fantascientifica, con una lore abbastanza "complessa" vedi: Skyrim, Elden Ring, The Witcher, Fallout e altri, parlando solo di single-player, comprimere questi in 30 ore, su un percorso lineare, sarebbe un grandissimo spreco (cosa che in alcuni, saltando tutto, si può benissimo fare).
Di certo non vedremo mai un Fifa OW (e ci mancherebbe xD), ma un Resident Evil futuro, dove i capitoli passati ci hanno abituati sì ad ambienti più grandi e con più possibilità di manovra, ma per poi passare a stanze e corridoi con poche vie di fuga e con una telecamera che non aiuta a sentirsi meno "costretto" e con i nemici che spuntano dal nostro "punto ceco", tenendo salda la tensione, dove l'unico luogo "sicuro" erano le aree di riposo dove potevi tirare un sospiro di sollievo.
Lo ammetto, il capitolo 7 con la prima persona è stato un ottimo "esperimento" per la saga, ma non ha aggiunto niente di nuovo che altri horror prima di questo non abbiano già fatto.
Mentre Resident Evil Village, l'ho trovato noioso, ripetitivo e scontato, voleva essere un rifacimento del 4, ma per me, ha toppato su tutti i fronti ed Ethan è il peggior protagonista di RE, persino quelli di Outbreak hanno una caratterizzazione più profonda rispetto a lui.
Quindi, un nuovo RE open world?
Sinceramente? Non vedo molto bene l'idea, ma visto gli ultimi remake fatti da Capcom, tra cui RE2 e RE4 (anche se storia/personaggi/eventi erano già fatti), potrei dargli il beneficio del dubbio...
Quindi sono d'accordo nel fare open world a tutti i costi?
Nì.
Serve per spiegare o vivere al meglio il gioco stesso?
Sarà denso di cose da fare, senza cadere nella ripetizione?
Si avrà la possibilità di affrontare zone difficili senza dover sbloccare prima zone di mappa con eventi legati alla trama?
Si avranno eventi casuali ripetibili anche se non da subito?
Si avranno modi di attraversare la mappa alternativi oltre al teletrasporto?
Queste sono le primissime domande che bisognerebbe porsi prima di inoltrarsi nella creazione di questo "genere".
Non sono particolarmente interessato ad un open world fantasy, mentre invece uno in un'ambientazione più realistica, o magari ispirato a qualche manga che può permetterselo avendo centinaia di personaggi e ambientazioni differenti (ad esempio, sarebbe bellissimo vederne uno su One Piece, se non c'è già) mi invoglierebbe di più.
Concordo, è bellissimo il non sapere cosa sta per accadere, ogni singolo passo è un'avventura, esplorazione nel vero senso della parola.
Il problema è che qualunque cosa stia per accadere non puoi in nessun modo riviverlo.
Es. registro che sto di fronte a un campo di criminali, carico, quel campo sparisce, mi cambi il presente, non il futuro. (Spero di essere stato più chiaro).
Come dicevo sono approcci diversi, a me non piace la singola esperienza di gioco, irripetibile come fosse una simulazione, piace il ripetere ogni scena inventandomi modi di affrontarla sempre diversi, anche folli, quello è il mio divertimento, che non ho trovato in questo gioco, eppure mancava poco.
Per fare qualche esempio, di recente ho giocato a Lego Star Wars: The Skywalker Saga, remake/reboot del vecchio Lego SW. In questa nuova versione del gioco è possibile girare liberamente per la galassia, fare minigiochi, usare personaggi diversi con abilità diverse per raccogliere tutti i mattoncini speciali... ed è orribilmente dispersivo, ripetitivo e addirittura noioso. Non ce n'era per niente bisogno. Le parti di missioni limitate ad un certo ambiente e a una certa parte della storia sono fatte molto bene, ma il resto? Non c'era proprio bisogno di renderlo un open world. E' un gioco che segue la storia dei nove film, non ho bisogno di girare per la galassia a cercare quel singolo mattoncino che brilla per completare la mia collezione di mattoncini che brillano.
Invece i giochi divisi in livelli ben delineati mi risultano più creativi e vari, con meno bug (perché il rendering di un singolo livello è meno pesante di quello di un intero mondo con ambienti troppo ampi) e più attenzione ai dettagli. Ho giocato open world meravigliosi e fatti benissimo, per esempio The Witcher 3 o Ookami, e giochi in capitoli fatti altrettanto bene, come i già citati Hellblade o Alan Wake oppure i Devil May Cry e via dicendo.
Quindi, abbiamo davvero bisogno di tutti questi giochi open world? Solo se sono fatti bene e se l'open world ha un senso pratico nella storia. Geralt viaggia ed esplora, ha senso che possa andare dove vuole; ma un gioco story-driven non ha necessità di essere open world.
Sto incominciando ad apprezzare giochi su scala minore ma che mi offrono un'esperienza completa piuttosto che dovermi fare km a cavallo per poi ritrovare lo stesso "libera l'accampamento" per la 50esima volta.
Anche Elden Ring per quanto bello, a rivedere per la 30esima volta il medesimo dungeon o mob normale riciclato e fatto diventare boss mi ha un po' stuccato.
"Resident Evil" open world... secondo me potrebbe funzionare.
Pienamente d'accordo, come era Village d'altronde...
Ero così focalizzato sul completare gli obiettivi e avanzare che il discorso esplorazione si andava a perdere. Se si ragione nell'ottica del "via di teleport per risparmiare tempo e dritti spediti verso obiettivo X" penso che gli open world non siano il genere adatto.
Crescendo mi sono dato una calmata e ho inziato a guardarmi più intorno fino ad apprezzare la "tranquillità" che giochi così esplorativi offrono. Non è questione di avere missioni sempre diverse, ma è il bello di calarsi in un mondo con le sue regole - Dragon's Dogma 1 (perché il 2 non l'ho ancora giocato XD) non è che avesse tutte queste situazioni diversificate ma conquistava lo stesso proprio perché riusciva a motivare il giocatore ad esplorare ogni angolo.
Se si riducesse Ghost Wire Tokyo alle sue sole meccaniche/missioni sarebbe un gioco bruttino perché limitato e farcito di millemila collezionabili eppure è un'esperienza davvero gradevole perché svolazzare per una Tokyo deserta di notte è magico e cercare il talismano nascosto sotto una panchina a caso di un parco qualsiasi è solo una scusa per potersi godere delle viste bellissime. Un altro esempio potrebbe essere Death Stranding, tanti lo hanno deriso come "Bartolini Simulator" ma di fatto è un gioco che pone il viaggio al centro del gameplay in un modo davvero elegante con una storia che si sposa alla perfezione nel contesto sia per ritmi che per tempistiche.
Quelle degli open world sono esperienze di gioco diametralmente opposte agli arcade e penso che il loro essere mainstream sia dettato più dall'effetto grafico che non dai contenuti perché in un mondo dove la gente preferisce micro-sessioni di gioco da 10 minuti per completare la missione del gatcha o i 30 del match online fa strano pensare che si possano godere le bellissime città dei primi Assassin's Creed.
Non per fare il pignolo, ma veramente è possibile finire l'intero gioco lasciando il demone toro sul ponte a marcire di solitudine. Non credo sia manco necessaria la chiave universale per fare ciò.
Motivo per cui ho abbandonato il gioco XD Sapevo che era un gioco molto difficile, ma ho voluto cmq provarlo e dopo aver speso un'infinità di tempo per tentare di sconfiggere il boss ho deciso di rinunciare. Se ci fosse stato un punto di teletrasporto vicino al boss forse avrei insistito di più, ma il fatto di dover ripercorrere tutta la mappa ogni volta e recuperare le rune mi ha davvero fatto passare la voglia.
Io continuo ad adorare gli open world per via della libertà che danno al giocatore, tuttavia, noto che stanno effettivamente spuntando come funghi e purtroppo non tutti sono godibili. Penso per esempio all'appena uscito Wuthering Waves, gioco che veniva pubblicizzato come un open world in grado di fare concorrenza a Genshin, quando in realtà dopo averlo provato era chiaro che WW impallidisse in confronto. Non nascondo che non appena ho potuto scappare dalla storia pallosissima, ho subito iniziato ad esplorare la mappa sperando che almeno quella fosse decente, anche se alla fine pure quella mi ha annoiata visto quanto anonima e riciclata era. Penso sia l'esempio di scopiazzatura fatta male più evidente che abbia mai visto.
Spero che questa diffusione degli open world non inizi a diventare una scusa per trascurare tutto gli altri elementi del gioco perchè "tanto i giocatori sapranno intrattenersi in qualche modo".
Zelda BOTW aveva un bellissimo open world e nonostante metà della mappa sia stata riutilizzata per il secondo gioco, si è cmq mantenuto intessante grazie alle nuove meccaniche di gioco. L'unico difetto che gli riconosco è che è diventato davvero troppo farmoso rispetto al precedente. Non so se sono io, ma mi sembra di non avere mai abbastanza materiali per craftare gli oggetti che vorrei.
Il "sapore" di reskin in WW è davvero forte. E' un clone (fatto male, concordo con te).
Io arriverò alla fine del primo mese credo, visto che ho comprato il pass da 5€ e visto che in Genshin al momento ho tutta la mappa al 100% e sto facendo solo achievements. Ma scaduti i 30 giorni dubito continuerò a giocarlo.
Oltretutto bisogna avere anche le carte in regola per produrli, il che non è affatto uno scherzo, se no viene fuori una roba come l'ultimo Pkmn ma anche Hogwarts Legacy ambientazioni bellissime ma manca la sostanza, troppo lineare per essere un rpg...
Lo so perfettamente, ma quanti novizi alla prima run in blind lo hanno fatto davvero? Si tratta di finezze, alla terza run aravo tutti anche io con la zwei presa appena fuori dalla tomba dei giganti nella prima mezz'ora di gioco
la domanda è rivolta al singolo, quindi tu Rick1111 hai veramente bisogno di tutti questi open world? lascia stare le vendite...altrimenti che fai se non vendono non ne hai bisogno se vendono ne hai bisogno, non hai un tuo pensiero
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