CYBERPUNK IN PILLOLE
Il cyberpunk è una corrente fantascientifica che si sviluppò, e di cui furono definite le linee guida che ne inquadrarono il movimento, nel corso degli anni ’80. Il termine fu coniato da Bruce Bethke nel 1980, durante la ricerca di un titolo che suonasse bene per un suo racconto, ed è un blend delle parole cybernetics e punk, ovvero le impostazioni fondanti la corrente.
Essa pone infatti grande attenzione all’aspetto tecnologico/informatico ed è contraddistinta da un atteggiamento anarchico e di controcultura nei confronti della fantascienza classica e della società mainstream in genere.
Una definizione che riassume incisivamente cosa trattino le opere cyberpunk è la seguente:
«Cyberpunk is about expressing (often dark) ideas about human nature, technology and their respective combination in the near future.»
(Il cyberpunk si occupa dell’espressione [spesso buia] di idee che trattano l’uomo, la tecnologia e la loro rispettiva combinazione nel prossimo futuro).
Tale espressione è caratterizzata da alcuni elementi che, presenti singolarmente o connessi tra loro, formano l’immaginario tipo del cyberpunk, che tuttavia non è canonizzato in una forma assoluta, ma varia molto da opera a opera, sia per gli elementi stessi che per il modo in cui vengono mescolati. Fra questi importantissimo è il ruolo, e come forma morbosa d’intrattenimento e come nuovo medium, della realtà virtuale, che veniva posta alla base del primo racconto consapevolmente cyberpunk, Fragments of a Hologram Rose (Frammenti di una rosa olografica), uscito nel 1977 sulla rivista di fantascienza UnEarth 3, opera prima dell’allora sconosciuto William Gibson, il quale all’interno della stessa delineò anche una futura condizione politica-sociale americana allo sbando.
Lo stesso Gibson, nel 1982, pubblicava, sulla rivista Omni, il racconto Burning Chrome (La notte che bruciammo Chrome), in cui introdusse per la prima volta le figure dei cowboy da console (i futuri hacker, ipotizzati prima ancora che nascesse tale figura) e soprattutto il concetto di matrice, poi diventato un must che assunse anche il nome di cyberspazio e di net, prefigurazione ante litteram dell’odierno internet, un sistema informatico all’interno del quale muoversi liberamente interfacciandosi tramite elettrodi e console oppure impianti.
Come si evince già da questi prodromi, l’avanzamento tecnologico e scientifico rappresenta la chiave fondamentale delle opere cyberpunk; in esse quest’aspetto è curato minuziosamente e la sua invadenza all’interno degli scenari prefigurati giunge fino agli stessi corpi umani, con la relativa possibilità di renderli simili ad hardware organici (cyborg) i cui componenti artificiali (impianti) vengono installati nei tessuti e collegati al sistema nervoso attraverso CPU. Tale avanzamento in alcuni casi si spinge fino alla completa riconversione in corpi totalmente cibernetici e alla proliferazioni di robot e androidi dalle perfette sembianze umane, come i replicanti Nexus 6 del film culto Blade Runner, di Ridley Scott, liberamente tratto dal romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?), uscito sempre nell’ottantadue e ambientato in una distopica Los Angeles del 2019, fra grattacieli e quartieri degradati. Difatti l’ambientazione urbana avveniristica, opprimente e stratificata, localizzata geograficamente sulla Terra o comunque geo-orbitante, situata cronologicamente nel primo cinquantennio degli anni 2000, non è accidentale, e anzi, con tutte le sfumature del caso, rappresenta uno dei topoi del cyberpunk, assieme all’ossessione per le deviazioni cui potrebbe sfociare il sistema socio-culturale e mediatico del domani (emblematico in tal senso il film Videodrome, di David Cronenberg, del 1983, che in aggiunta tratta anche della modificazione della carne e degli effetti allucinogeni indotti con l’ausilio della tecnologia).
Cyberpunk che trovò il suo paradigma e la sua massima espressione nel 1984, quando Gibson pubblicò quello che viene riconosciuto come il libro manifesto della corrente e l’opera che la impose all’attenzione del grande pubblico: Neuromante, vincitore nello stesso anno dei premi Hugo, Nebula e Philip K. Dick. In quest’opera infatti Gibson incorporò non solo tutti gli elementi precedentemente citati, aggiungendone anche di nuovi, ma attraverso lo studio accurato della sua attualità (quella degli anni ’80) e delle sue probabili derive, ricreò un contesto sociale, politico e culturale mondiale organico, permeato dalla globalizzazione e derivato da previsioni ipotetiche di avvenimenti prossimi venturi, quali ad esempio tendenze e movimenti, fenomeni di costume e mediatici, guerre. (Nel 1984 la Apple tra l’altro lanciava sul mercato il primo Macintosh, introducendo così l’interfaccia grafica user-friendly che segnò la svolta nell’approccio ai computer e che permise di allargarne la fruibilità a un’utenza vastissima – computer che divennero “la droga del nuovo millennio”*).
A Neuromante si ispirarono una generazione di scrittori e non solo, perché se da una parte molto dell’immaginario gibsoniano trovò eco dell’antologia di racconti Mirrorshades (occhiali a specchio), pubblicata nel 1986 e nella cui prefazione Bruce Sterling definì gli indirizzi e la sensibilità comuni a tutti gli autori appartenenti alla corrente, dall’altra la sua influenza raggiunse anche il mangaka e regista Katsuhiro Otomo, creatore del manga Akira e successivamente, nel 1988, dell’omonimo film, ambientati nel 2030, in una Tokyo post III guerra mondiale (guerra prefigurata appunto nel libro di Gibson), tra bande motociclistiche e strane ricerche militari.
Il movimento ebbe formalmente termine nel 1991, quando, nell’articolo "Il cyberpunk negli anni ’90" redatto per la rivista Interzone, Sterling sancì la “morte” del cyberpunk.
Forse di quello americano, c’è da notare col senno di poi. In Giappone, nell’arco di quindici anni, doveva ancora prendere vita l’universo Ghost in the Shell.
* Frase citata dall’articolo La rivoluzione dei 100 anni, in Cybercultura di Terre di confine #3
SHIROW E GHOST IN THE SHELL, PEOPLE LOVE MACHINE IN 2029 A.D.
Il nome Masanori Ota probabilmente non dirà niente ai più; ciò nonostante stiamo parlando di uno fra i mangaka più famosi a livello internazionale, creatore dell’opera originale dalla quale derivò l’universo anime/manga cyberpunk Koukaku Kidoutai (squadra mobile corazzata, o squadra mobile del guscio), meglio noto nel mondo come Ghost in the Shell. Quanto appena detto potrebbe sembrare una contraddizione, ma l’incongruenza è presto spiegata: Masanori Ota è in realtà il vero nome di Masamune Shirow.
A partire dal 1989, su Young Magazine Kaizokuban dell’editore Kodansha, venivano serializzati gli undici capitoli che compongono appunto il manga Ghost in the Shell, che nell’Ottobre del 1991 venne edito in volume unico sempre da Kodansha. Nella postilla che apre il volume, Shirow, oltre a evidenziare i meriti del cyberpunk nello svecchiamento dell’ambiente fantascientifico, introduce l’elemento che a suo avviso potrebbe dare la svolta radicale all’avanzamento tecnologico: la nanotechnology, che è difatti l’elemento onnipresente nell’aspetto scientifico pur vasto del manga, ambientato nella città di New Port City, Giappone 2029, nel quale l’avvento massiccio di questo ramo della scienza ha portato alla totale ibridazione fra essere umano e macchina. Nel mondo ipotizzato, tra robot e androidi impiegati in ogni settore produttivo, amministrativo e privato, non solo impianti artificiali e arti meccanici sono divenuti di uso comune, ma la conversione in corpi e soprattutto cervelli totalmente cibernetici è diventata la prassi indispensabile per l’integrazione sociale e per usufruire delle risorse messe a disposizione dai nuovi mezzi informatici (il net, o cyberspazio) e tecnologici (connessione diretta a dispositivi di memoria esterna e fra cervelli stessi). In tale scenario l’unica differenza che intercorre (fino a un determinato punto della trama) tra uomo e macchina è il Ghost. Ma cosa si intende con Ghost?
Con il termine Ghost viene identificata l’anima, lo spirito, vista non nel senso religioso usualmente attribuitole, bensì in un’accezione scientifico-informatica, cioè la volontà, la coscienza e i processi neurali tipici di ogni singolo essere umano o di un sistema con un certo livello di complessità; tuttavia, in alcuni passaggi Shirow lascia intendere, del Ghost, anche un’altra sfumatura, ovvero quella di sesto senso e di voce che sussurri dall’interno dell’Io (una sorta di demone socratico). Il Ghost è il punto chiave a partire dal quale si sviluppa gran parte della riflessione filosofica dell’opera: se il corpo può essere interamente convertito in una macchina (Shell, solo un guscio), che cosa definisce realmente il concetto di esistenza, che cosa è realmente la vita?
Dentro il contesto sopraesposto si muove la Sezione 9 Pubblica Sicurezza, squadra speciale della Polizia che si occupa della risoluzione di crimini e terrorismo informatici. Fra i sette membri operativi il ruolo più rilevante e ricoperto dalla figura del maggiore Motoko Kusanagi, una donna cyborg con corpo e cervello completamente cibernetici (tranne che per alcuni tessuti neurali), protagonista dell’intera opera. La Sezione 9, oltre agli agenti ordinari e a diversi androidi, si avvale anche di sette carri armati senzienti – cioè dotati di IA avanzate prive di alcune limitazioni di programma presenti per motivi di sicurezza nelle IA canoniche – dalla forma aracnoide, denominati Fuchikoma, i quali fungono da supporto operativo ai membri della squadra.Le vicende del manga si dipanano tra diverse indagini che svelano più dettagliatamente la situazione socio-politica del Giappone, gli intrighi di potere, gli interessi privati ed economici, in certi casi internazionali, presenti anche nel futuro ipotizzato da Shirow; tuttavia la storia principale si sviluppa attorno all’investigazione relativa al nome in codice “Signore dei Pupazzi” (il Marionettista), hacker di classe A e autore di diversi crimini informatici, che si introduce in profondità nella mente delle sue vittime superandone le barriere difensive, arrivando alla zona Ghost dei cervelli cibernetici e “riprogrammandone” memoria e volontà per i propri fini – procedura definita “Ghost hacking”.
Ghost in the Shell, benché possa sembrare un manga piuttosto impegnativo per i temi trattati, per la complessità di alcuni passaggi polizieschi e per certe riflessioni, alterna a questi lati più maturi gag e scene più comiche realizzate in deformed, cioè alterando volontariamente la fisionomia e le proporzioni dei personaggi per accentuarne particolari reazioni emotive. Ciò rinfresca molto la lettura e contribuisce a dare quel senso di cyberpunk leggero con il quale lo stesso Shirow inquadra la sua opera. Inoltre, le tavole abbondano di sue note a margine, le quali descrivono dettagliatamente tipologia e funzionamento di armi e macchinari, procedure tecniche avanzate, teorie scientifiche e sottintesi di trama, cercando così di descrivere e legittimare un contesto più organico e credibile, oltre che aumentarne la comprensione anche a chi non abbia una conoscenza fantascientifica o tecnica approfondita. Tuttavia, nonostante i lati più scanzonati appena citati, l’opera, per la violenza e le scene di sesso esplicite, è però riservato a un pubblico maturo, come riservate a un pubblico adulto sono i due volumi successivi e le trasposizioni animate.
GHOST IN THE SHELL
Nel 1995, al Festival del Cinema di Venezia veniva proiettato per la prima volta un film d’animazione giapponese. Era Ghost in the Shell, di Mamoru Oshii, uscito in contemporanea in Giappone, Stati Uniti e Regno Unito successivamente alla presentazione mondiale di Bandai Visual e Manga Entertaiment, vincitore del Best Theatrical Film Award al 1st Animation Kobe 1996, nominato Best Theatrical Feature Film al The World Animation Celebration 1997, Menzione Speciale della Giuria Internazionale al 17th Festival Internazionale del Cinema di Oporto - Fantasporto 1997, primo nella classifica Billboard Top Video Sales nell’Agosto del ’96. Quanto appena illustrato basterebbe da solo a definire il ruolo che ha avuto e che continua ad avere Ghost in the Shell nella storia dell’animazione fantascientifica e non, oltre a far comprendere quale possa essere il suo valore qualitativo intrinseco.
Il film, basato sui capitoli uno, tre, nove e undici del manga di Shirow, è realizzato dalla Production I.G, diretto da Mamoru Oshii (realizzatore anche dello storyboard: il prospetto che contiene le inquadrature e la scaletta della loro sequenza), che esordì nel 1985 con Tenshi no Tamago e divenne poi celebre con le due serie OAV e i due film sul progetto Patlabor, sceneggiato da Kazunori Ito (Magical Angel Creamy Mami, Nausicaä della valle del vento, Maison Ikkoku, Patlabor), e vanta tra gli altri il character design di Hiroyuki Okiura (Akira, Kanojo no Omoide), il background design di Takashi Watabe (Nausicaä della valle del vento, Akira, Silent Mobius, Patlabor 2 the movie), la fotografia di Hisao Shirai (Armitage III), la direzione delle animazioni 3D in computer graphic di Seichi Tanaka e le musiche di Kenji Kawai (Maison Ikkoku, Ranma ½, Patlabor).
La trama, nei suoi 82 minuti di durata, segue l’unico filo conduttore della caccia al “Signore dei pupazzi”, riadattando i capitoli sopracitati a questo fine. Nel film, dei membri della Sezione 9, sono assenti i Fuchikoma, Saito, Paz e Borma. Oltre a ciò sono assenti l’ilarità e il deformed di alcune scene. Viene mantenuta l’ambientazione, ma non è seguita la sequenza temporale del manga (che si dilaziona nel corso di un anno), inoltre la stessa New Port City fu ridisegnata in molte parti basandosi su alcuni quartieri di Hong Kong. Queste scelte hanno uno scopo ben preciso: il tono della pellicola è molto più serio, atmosfericamente più freddo, oscuro e onirico di quello del manga; Oshii detta ritmi molto più lenti, concentrandosi essenzialmente sulla figura di Motoko Kusanagi e sulle sue riflessioni esistenziali, utilizzando spesso, volutamente, fermi immagine prolungati e ambigui e sequenze dai forti contenuti simbolici attraverso i quali il regista si avvicina in modo subliminale all’esposizione della teoria portata avanti dall’intera pellicola. Difatti, se il manga abbonda di spiegazioni e note accessorie, Oshii predilige un’impostazione inversa, con dialoghi introspettivi e complessi (in certi frammenti citazioni bibliche) e silenzi in cui è l’immagine a parlare e a contenere il significato sottinteso. Questo aspetto molto adulto venne unito a una colonna sonora ricercata ed evocativa, basata su cori in giapponese antico e accompagnamento musicale che sposa armonie bulgare, nipponiche ed effetti elettronici, e a una realizzazione tecnica d’avanguardia, nella quale all’animazione tradizionale fu mescolata la 3D computer graphic, non solo utilizzata per riprodurre se stessa (ovvero schermate dati e ologrammi), ma anche per rieditare con “effetti lente” le scannerizzazioni dei fondali e dei cel (i fogli di acetato su cui sono disegnate le figure), per realizzare i layout degli ambienti e per elaborare la parallasse prospettica differenziale, i movimenti di macchina prolungati e la profondità di campo. Il risultato finale fu qualcosa di mai visto fino ad allora, e rese Ghost in the Shell l’opera che aprì le porte dei festival e di una diversa critica internazionale all’animazione giapponese, che ispirò innumerevoli produzioni successive, e che fu definita dal famoso regista James Cameron “First truly adult animation film to reach a level of literary and visual excellence” (Il primo film d’animazione realmente adulto arrivato a un livello d’eccellenza visuale e letteraria).
Il film però, causa l’iniziale incomprensione del pubblico nipponico, non ottenne, in patria, la risonanza enorme che poi ebbe a posteriori, e anche il trattamento riservatogli nelle versioni internazionali è quanto meno discutibile: l’edizione americana della pellicola presentò un cambio nel brano dei titoli di coda, “Chant 3 – Reincarnation”, che fu sostituito da “One Minute Warning”, e che costò la cancellazione del tema originale da tutte le edizioni adattate a partire da quella americana, come quella italiana, che tra l’altro commutò i dialoghi del film direttamente dalla lingua inglese (con traduzione erronea ad esempio dei termini “Marionettista” e “Ghost”, divenuti “Signore dei pupazzi” e “Spirito”).
IL RESTYLE DELLA CONCHIGLIA E LO STAND ALONE COMPLEX
Nell’Ottobre del 2002, sette anni dopo il film di Oshii, in Giappone andò in onda una nuova serie di 26 episodi adattata al manga di Shirow: Ghost in the Shell: Stand Alone Complex; realizzata dalla Production I.G, con il più alto budget mai destinato a un anime, prodotta dalla stessa Production I.G in collaborazione con Bandai Entertaiment e altre case di produzione riunite sotto l’unico denominativo di Ghost in the Shell Stand Alone Complex Committee, con Kenji Kamiyama (Silent Mobius, Hakkeden, Jin Roh, Blood the Last Vampire) nel ruolo di capo regista e capo dello staff di sceneggiatori e, tra gli altri, il character design di Makoto e Hajime Shimomura (Blood+), la direzione delle animazioni 3D di Makoto Endo (Blood+)e le musiche di Yoko Kanno (Macross Plus e Macross 7, Kanojo no Omoide, Cowboy Bebop, Jin Roh, Turn A Gundam, Escaflowne, Arjuna).
La serie non segue nessuna delle storie del manga, ma ne sfrutta solo il contesto e i protagonisti (mutando il nome dei carri armati senzienti in Tachikoma) per imbastire la trama che si svolge sempre a New Port City, nel 2030, in un universo alternativo rispetto sia al manga che al lungometraggio. Inoltre gli stessi episodi sono suddivisibili in due categorie: gli episodi “Stand Alone”, e gli episodi “Complex”. Mentre i primi s’incentrano su investigazioni autoconclusive e hanno la funzione di approfondire vari aspetti dell’attualità socio-politica presentata, i secondi formano il corpus centrale della trama relativa al caso “Uomo che ride” e al fenomeno sociale da esso derivato, lo “Stand Alone Complex”. Quest’ultimo termine è anticipato nell’introduzione dell’anime dove si spiega che, a fronte di un net che ha mutato le coscienze in impulsi elettromagnetici condivisi, tuttavia lo Stand Alone (singolo isolato) non è ancora divenuto parte di un composto formato da più soggetti uniti tra loro, un Complex. Il processo che guida la combinazione di questi due elementi è analizzato in parallelo all’indagine sull’“Uomo che ride”, un caso di rapimento (ispirato al reale caso Glico-Morinaga del 1984) e terrorismo informatico mai risolto dalla Polizia e che si ripresenta dopo anni di silenzio con il suo marchio, una faccia stilizzata con logo rotante, portando alla riapertura delle investigazioni sopite.
Il nome “Uomo che ride” è ripreso dall’omonimo racconto, “The Laughing Man”, di J. D. Salinger, incluso nella raccolta “Nove racconti” dell’autore. Anche il testo del logo è in realtà una frase pronunciata da Holden Caulfield, e in generale durante la serie sono disparate le citazioni esplicite e i riferimenti più o meno velati, sia nel linguaggio di alcuni personaggi che in oggetti e situazioni, a “The catcher in the rye” (Il giovane Holden) sempre dello stesso Salinger.
Visivamente, il design dell’opera, rispetto al manga e al film che già differivano notevolmente tra loro, subì un restyling completo, sia dal punto di vista della fisionomia e delle caratteristiche estetiche dei personaggi sia nel mecha, realizzato quasi totalmente in 3D e integrato all’animazione convenzionale grazie al cell shading, un tipo di renderizzazione grafica che permette di ottenere un effetto 2D assimilabile a quello dell’animazione tradizionale partendo da un modello poligonale. Lo staff si avvalse dell’ausilio delle nuove tecnologie anche per i disegni e gli sfondi, che furono colorati interamente con tavolozze digitali, e per alcuni scenari, che vennero interamente realizzati al computer.
Tra le particolarità, ogni episodio, dopo i titoli di coda, si conclude con “Un tipico giorno da Tachikoma”, scenette di un minuto o poco più che vedono per protagonisti i carrarmati aracnoidi in gag e situazioni più leggere rispetto all’anime – Tachikoma che tra l’altro, rispetto al manga, assumo un ruolo ben più rilevante, sia ai fini della trama che soprattutto sul lato della riflessione su tematiche ontologico-metafisiche e sulla differenza labile fra software e Ghost, riflessioni delle quali loro stessi si fanno portavoce in diversi spezzoni di episodio, evidenziando il loro metodo di ragionamento e di apprendimento differente da quello delle comuni IA e assimilabile invece a quello di un bambino.
La serie ha ricevuto il Notable Entry Award al Tokyo International Anime Fair 2003, e il premio eccellenza nella categoria animazione al Japan Media Arts Festival 2002.
2.0 E 1.5, SEGUITO DEL MANGA
Fra il 1991 e il 1997, per Young Magazine della Kodansha, Masamune Shirow scriveva e disegnava altri diciotto capitoli come prosecuzione diretta della conclusione di Ghost in the Shell. Sette pubblicati fra il novantuno e il novantasei, undici nel novantasette; questi ultimi furono riuniti in volume unico nel 2001, con il nome di Ghost in the Shell 2.0: ManMachine Interface. I quattro racconti dei sette capitoli realizzati precedentemente venivano esclusi dalla raccolta, e benché prequel delle vicende narrate nel 2.0, furono editi in volume unico solo due anni dopo, e il titolo Ghost in the Shell 1.5: Human-Error Processor chiarisce la giusta cronologia in cui situare gli eventi narrati.
I quattro racconti di Human-Error Processor sono autoconclusivi, ambientati immediatamente dopo l’epilogo del caso del “Signore dei pupazzi”, e Motoko Kusanagi appare, sotto le sembianze del suo avatar, solo nel secondo dei racconti. I restanti tre sono incentrati su delle indagini poliziesche in cui trovano più spazio gli altri membri della Sezione 9 e alcune nuove reclute appena entrate a far parte della squadra. Il manga funge pertanto solo da intermezzo fra la trama del primo Ghost in the Shell e la sua reale prosecuzione nel volume 2.0.
ManMachine Interface in realtà era disponibile in edizione limitata SOLIT BOX, contenete variazioni significative alle pagine dei capitoli serializzati, già dal 2000, ma l’edizione economica per il grande pubblico, che conteneva ulteriori variazioni rispetto alla limited, fu disponibile solo nel 2001. I cambiamenti fra le due risiedono nell’abbondanza di scene dal contenuto erotico molto spinto che Shirow addolcì nella seconda edizione, mentre in entrambe aggiunse numerose pagine a colori assenti nella serializzazione originale.
Nelle tavole, realizzate con un utilizzo massiccio della computer graphic per sfondi, ambientazioni ed effetti luminosi, Shirow amplia la riflessione filosofica sul Ghost, sulle possibilità della conoscenza umana, sul concetto di coscienza e sull’identità dell’essere, già al centro del primo manga. Tali temi, in ManMachine Interface sono ripresi e rianalizzati in parallelo all’esplorazione del “nuovo stato esistenziale” di Motoko Kusanagi, la quale, evolutasi in un personaggio profondamente diverso dopo l’evento chiave alla fine del primo film, da protagonista assoluta della trama (la Sezione 9 non compare nel manga) si muove fluidamente tra net e diversi corpi artificiali assumendo sempre nuove identità.
Le meditazioni e i ragionamenti portati avanti da Shirow in ManMachine Interface raggiungono un alto livello di complessità, e alla loro articolazione l’autore dedica la gran parte dello spazio del manga, facendo passare in secondo piano l’azione poliziesca del prequel.
IL NUOVO STAND ALONE COMPLEX
Passarono due anni dalla prima serie, e lo stesso tempo trascorse fra gli eventi in essa narrati e l’incipit di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex 2nd Gig, il cui primo dei ventisei episodi andò in onda il 1° Gennaio 2004 sul canale tematico pay-per-view Animax. La visione della serie fu possibile sulla tv pubblica soltanto dopo più di un anno, quando venne trasmessa da Nippon TV a partire dall’Aprile 2005. Il cast che si occupò della realizzazione del primo S.A.C. rimase fondamentalmente invariato nei suoi ruoli più rilevanti, tuttavia ciò che distingue questa seconda serie è la presenza di Mamoru Oshii come ideatore della storia.
Fonte indiscussa dell’ispirazione di Kamiyama, insieme a quest’ultimo Oshii decise di focalizzare la trama su un intreccio di più ampio respiro, sviluppando questioni politico-sociali che potessero trascendere i confini periferici di New Port City e interessare non solo l’intera nazione giapponese (sotto la guida, dopo gli sconvolgimenti della serie precedente, del nuovo primo ministro donna Kayabuki), ma coinvolgere anche la prefigurata rete di rapporti extranazionali del 2032. Il 2nd Gig di conseguenza approfondisce in modo mirato lo studio dei meccanismi più interni di tale contesto nippo-asiatico, e soprattutto ne segue dettagliatamente l’evoluzione verso cui precipitano le vicende, chiarendo per la prima volta gli eventi storici che avevano portato allo status quo internazionale, risultato di altre 2 guerre mondiali: la III atomica (durante la quale fu realizzato il “miracolo giapponese”, cioè nanomacchine in grado di eliminare le radiazioni nucleari), e la IV non atomica, che si risolse negli equilibri – e nelle conseguenze – internazionali ipotizzati nella serie.
A questi conflitti erano seguite diverse guerre satellite che avevano creato un numero enorme di rifugiati, i quali, respinti dalla Cina, trovarono asilo in Giappone, dove però furono confinati nell’isola/ghetto artificiale di Dejima. Nel 2nd Gig tale situazione diventa incandescente a causa dell’afflusso continuo di profughi, e soprattutto a causa della nascita contemporanea di un movimento terroristico per l’indipendenza dell’isola e del gruppo terroristico nazionalista degli “Undici Individuali”.
Proprio gli “Undici Individuali”, e fra questi Hideo Kuze, sono l’oggetto d’indagine della Sezione 9, che oltre a tale caso si ritrova a dover partecipare, forzatamente, ad alcune missioni dirette dal capo del neonato Servizio Informazioni, Kazundo Gouda.
In aggiunta a ciò, Kamiyama e Oshii ritagliano, nel quadro già così fitto di temi, lo spazio per far luce anche sul passato e sull’interiorità del maggiore Kusanagi, per approfondire le personalità dei membri della squadra (Saito, Paz, Borma, Ishikawa) che avevano trovato poco spazio nella prima serie, e per calarsi in alcune condizioni di realtà umane più drammatiche e delicate.
Difatti, nell’intervista presente sul sito della Production I.G, lo stesso Kamiyama sottolinea come in questa seconda serie, nell’affresco socio-politico sopraesposto, grande attenzione venga dedicata all’aspetto umano e all’interazione fra i personaggi che si muovono dentro il mare degli eventi di 2nd Gig: fatti ormai suoi dopo la lunga esperienza del primo S.A.C., egli appunto, durante il concept, decise di concentrare la storia solo su un numero ristretto di protagonisti (fra storici e nuovi) evitando di divagare con altre comparse in molti episodi autoconclusivi. Il regista rivela come la sua intenzione questa volta non fosse quella di far muovere in modo credibile i personaggi in uno scenario da lui creato, perché in qualche modo ormai i personaggi dettavano la propria azione in base alla loro sola volontà. In particolare, Kamiyama ammette di non aver capito bene, ai tempi della prima serie, le caratteristiche antitetiche (cinismo e altruismo) di Motoko, rimanendo poco soddisfatto del risultato finale. In questa seconda pertanto decise di creare da zero l’episodio sul suo passato anche per riuscire a comprendere un personaggio (la cui paternità non è di Kamiyama) tanto sfuggente e controverso; solo attraverso questo processo egli riuscì finalmente a capire la vera umanità insita in Motoko e fu in grado di renderla il centro reale della storia come era sempre stato nelle sue intenzioni.
Oltre all’aspetto umano, anche la Storia e l’analisi di diversi fenomeni legati alle sue grandi svolte in 2nd Gig trovano risalto in modo non indifferente (con riferimenti a eventi realmente accaduti, come l’Incidente del 15 Maggio 1932, e ispirazioni a saggisti e personaggi storici); soprattutto la condizione post 11 Settembre influì non poco sulla decisione di Oshii e Kamiyama di trattare le tensioni precedenti ai conflitti e sfocianti nella guerra. Nella serie, dentro tali tensioni sono integrati i ruoli oscuri che possono assumere i giochi di potere, i media e chi li manipola, e questo meccanismo e le interrelazioni fra tutti gli elementi già evidenziati della trama fanno un tutt’uno con l’indagine più accurata sul processo che porta al fenomeno Stand Alone Complex e alla parallelizzazione dei cervelli cibernetici conseguente alla connessione diretta delle coscienze alla rete.
La tipologia degli episodi, in questo nuovo S.A.C., è tripartita: essi si suddividono in Individual, concernenti il caso "Undici Individuali", Dividual, che sono il corrispettivo degli Stand Alone della serie precedente, e Dual, che seguono la story line relativa alle macchinazioni effettuate da Gouda attraverso il suo Servizio Informazioni. Come nella prima serie, e in modo di gran lunga più importante e decisivo in questa, i Tachikoma accompagnano le azioni operative della Sezione 9 – guadagnandosi in alcuni frangenti addirittura il ruolo centrale – e chiudono con i consueti siparietti ogni episodio.
Kenji Kamiyama, per aver creato delle storie, nelle due serie S.A.C., che facessero i conti con la realtà, e attraverso esse aver esternato le sue posizioni critiche su questioni politico-economiche attuali, vinse l’Individual Award al 9th Animation Kobe 2004.
LA FILOSOFIA, LA VITA, IL CINEMA; OSHII
La vita e la morte vanno e vengono
come marionette che danzano in un tavolo
Quando i loro fili vengono tagliati
loro crollano facilmente.
Nel 2004, nello stesso anno di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex 2nd Gig, la Production I.G presentava il seguito del primo lungometraggio, che era diventato uno degli anime più acclamati di tutti i tempi, del 1995: Ghost in the Shell 2: Innocence.
Diretto, e questa volta anche sceneggiato, sempre da Mamoru Oshii, con lo stesso character design di Hiroyuki Okiura e le conferme di Kenji Kawai alle musiche, di Atsushi Takeuchi al mecha design e Takashi Watabe al background design, il lungometraggio presenta, fra i nuovi membri dello staff, alla fotografia Miki Sakuma (The End of Evangelion, Jin Roh, Blood the Last Vampire, FLCL, Kill Bill vol 1, Blood+) e agli effetti visivi Hisashi Ezura (New Dominion Tank Police, Blood the Last Vampire).
La storia prende spunto, in minima parte, dal sesto capitolo, Robot Rondo, del manga di Shirow. Da questo, Oshii trae spunto solo per alcune scene e per l’idea della ribellione, ai loro proprietari, di alcune ginoidi (androidi femminili), che successivamente ai loro gesti si autodistruggono. Incaricati dal caposezione Aramaki di occuparsi dell’indagine, Batou e Togusa iniziano a muoversi dentro il rompicapo labirintico della trama di Innocence, che si sviluppa nell’anno 2032, dopo la scomparsa di Motoko Kusanagi a seguito dell’epilogo del caso del “Signore dei pupazzi”.
In realtà Oshii rivela come le premesse del film non siano state quelle di creare un seguito al lungometraggio del 1995, ma la sua intenzione è stata invece esternare la propria filosofia e la propria visione della vita attraverso le nuove possibilità offerte dall’animazione. Difatti, il budget messo a disposizione dalla Production I.G toccava i venti milioni di dollari (molto più alto di quello di Ghost in the Shell), e ciò, assieme al molto tempo concesso per la preparazione dell’opera, permise a Oshii di dar vita forse all’esempio più mirabile di bellezza visiva in un anime.
L’utilizzo della 3D computer graphic in Innocence è smodato e messo volutamente in rilievo, e quest’aspetto fa parte dei propositi di sperimentazione del regista, il quale ha chiarito più volte di non essere interessato al 3D in sé, ma alla sua manipolazione e fusione con i disegni tradizionali attraverso le numerose strade aperte dalle nuove tecniche digitali. Ciò sfocia nella sovrabbondanza di animazioni, elementi poligonali e particolari che riempie ogni sequenza del film, come ad esempio quella del “festival”, accompagnata dal secondo brano del tema della colonna sonora: sequenza che da sola ha richiesto un anno di realizzazione (Kawai nella colonna sonora riprende e ingigantisce le sonorità del tema del primo film, riproponendone lo schema trino e aggiungendo alla OST due brani cantati in inglese).
Alla ridondanza visiva fa il paio quella puramente concettuale: rispetto al primo lungometraggio, in Innocence Oshii, mantenendo la sua peculiare regia, dilata la parte riflessiva e di analisi sopra i concetti, già al centro di Ghost in the Shell, cardine dell’opera: la vita e l’essere. I dialoghi si muovono sui fili della speculazione di pensiero del regista, sulle domande che egli pone e sulla ricerca delle risposte che tenta di dare in modo sia esplicito che ermetico, e che spesso prendono la via dell’aforisma e della citazione (queste ultime, abbondantissime, spaziano per innumerevoli opere e autori sia occidentali che orientali), e associati all’immagine/simbolo ricreano quella ricchezza cinematografica ricercata da Oshii per sua stessa ammissione.
L’altezza del risultato finale e del valore raggiunto dal film sono testimoniati chiaramente dai riconoscimenti internazionali da esso conseguiti: Miglior Film nel concorso e Miglior Compositore Musicale (Kenji Kawai) al 10th Anniversary AMD Award: Digital Contents of the Year 2004, Hit Content Division nel concorso al 19th Digital Content Grand Prix 2004; vincitore dell’ Oriental Express Casa Asia Award al 37th Sitges International Film Festival 2004 e del Best Theatrical Film Award al 9th Animation Kobe 2004; Menzione Speciale della Giuria per l’Eccezionale Risultato Artistico al Puchon International Fantastic Film Festival 2004; infine, unico film d’animazione giapponese nella storia a concorre per la Palma D’Oro al 57th Festival de Cannes 2004.
LAST RUN
Ultima opera originale che conclude le due serie televisive, Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Solid State Society, film special di 105 minuti, andò in onda il 1° Settembre 2006 su SKYPerfect TV! Giappone e dal Novembre dello stesso anno fu disponibile in DVD. La Production I.G confermò in toto il cast delle due precedenti serie, e mise a disposizione di Kamiyama la cifra senza precedenti, per una produzione di questo tipo, di 360 milioni di yen (3,20 milioni di dollari).
La trama è un compendio fra il plot originale elaborato da Kamiyama per il film, i due lungometraggi di Oshii e il primo e il secondo volume di Ghost in the Shell di Shirow. Cronologicamente, il setting della storia, come avvenuto anche nella circostanza di 2nd Gig, rispecchia la pausa che separa realmente le due realizzazioni, ed è quindi collocato nel 2034, due anni dopo la conclusione degli eventi della seconda serie. In tale lasso di tempo la Sezione 9 si è espansa e al suo comando, sostituendo Motoko Kusanagi, che ha abbandonato la squadra per motivi inizialmente ignoti, è subentrato Togusa. Alla testa dei membri storici e delle reclute conosciute già in 2nd Gig, sotto la consueta supervisione del caposezione Aramaki, egli investiga su tre casi paralleli e che sembrano poter convergere in un’unica direzione: il caso del “Marionettista”, quello di un rapimento di decine di migliaia di bambini e il mistero dell’assistenza sanitaria della Solid State Society. In tale intreccio si sospetta possa essere implicata addirittura la figura del maggiore, che inizialmente assente dalle vicende vere e proprie, col proseguo acquista una parte sempre più attiva e fondamentale.
Anche per quest’ultimo capitolo della saga Stand Alone Complex è stato creato un OAV di cinque minuti, Uchikomatic Days, incluso all’interno del DVD del film, che vede per protagonisti questa volta gli Uchikoma, i nuovi carri armati a disposizione della Sezione 9.
Solid State Society ha vinto il Premio della Giuria al 21st Digital Content Grand Prix, il Packaged Work Award al 12th Animation Kobe, è stato nominato Jury Recommended Work nella sezione animazione al 10th Japan Media Arts Festival ed è stato selezionato con altri sette titoli per la sezione International Feature Film Competition agli Anima 2008.
DÉJÀ VU
Nel 2005 andava in onda lo special tv di 159 minuti Ghost in the Shell: Stand Alone Complex - The Laughing Man, che poi fu pubblicato in DVD e che tratta il caso principale della prima serie con un nuovo montaggio, con l’aggiunta di alcune scene inedite e con la rimasterizzazione del video originale, portato in alta definizione. Stessa operazione veniva effettuata nel 2006 con Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Individual Eleven, anch’esso uscito poi in DVD.
Nel 2008, nell’occasione del lancio del suo ultimo, ad ora, film da regista, The Sky Crawlers, Mamoru Oshii invece riprese il film originale del 1995, Ghost in the Shell, riadattando le animazioni e i colori con le più recenti tecnologie digitali e ricreando in 3D alcuni elementi e alcune sequenze dell’opera. Kenji Kawai inoltre si occupò del nuovo mixaggio, in audio a sei canali, dei brani della colonna sonora. Venne anche cambiato il doppiaggio del “Signore dei pupazzi”, passato da Iemasa Kayumi (presidente Chuujou Shizuo in Giant Robo, Ernst Von Bähbem in RahXephon) a Yoshiko Sakakibara (Dottoressa Haraway in Ghost in the Shell 2: Innocence, primo ministro Kayabuki in Ghost in the Shell: Stand Alone Complex 2nd Gig). Il film è uscito in sala solo in Giappone, e successivamente è stato distribuito sia in versione DVD che Blu-Ray Disc, col titolo Ghost in the Shell 2.0.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
www.wikipedia.org (sezioni italiana e inglese)
Production I.G
The Cyberpunk Project
Intercom – science fiction station e-zine
In the shell
www.cyberpunkreview.com
AnimeNewsNetwork
www.animeita.net
www.alfonsomartone.itb.it
www.manga.it
www.animazione3d.com
Masamune Shirow, Ghost in the Shell - STAR COMICS, 2004
Making of Ghost in the Shell
Giovanni De Matteo, William Gibson: nessuna mappa per questi territori - www.fantascienza.com
Terre di Confine – fantascienza, fantasy, anime #3
NOTA DELL'AUTORE
Nel primo paragrafo di questa scheda ho inserito solo le opere di maggiore rilevanza (per l’inedicità dei temi, per la risonanza internazionale, per il contributo nella definizione e nella concretizzazione del movimento), consapevole di tralasciare, per motivi di spazio, altre opere di alto valore.
Ora, dopo aver tentato di eclissarmi durante tutto questo malloppone alla cui fine – che sarebbe questa – avete avuto la voglia (?), il piacere (ho ancora più dubbi) o la sopportazione (questo forse è più probabile) di arrivare, mi lascio almeno quattro righe più personali, per ringraziare chi devo ringraziare e tutto il resto.
Perciò grazie a tutta la gente dei siti dai quali ho rubacchiato un bel po’ di roba; grazie a Slanzard per avermi evitato una figuraccia epica; grazie ad Aduskiev per la pazienza, per le dritte e per la proposta; grazie soprattutto a Oshii, a Shirow, a Kamiyama, alla Production I.G e a tutte le persone che hanno reso possibile che l’universo Ghost in the Shell potesse esistere, perché senza l’animazione avrebbe perso tanto, troppo, e non sarebbe quella che è adesso; e io mi sarei sentito ancora più un orfano del cyberpunk.
Sperando che altri possano appassionarvisi anche solo la metà di quanto io mi ci sono appassionato.
Ultimo aggiornamento: 08/12/2009
Il cyberpunk è una corrente fantascientifica che si sviluppò, e di cui furono definite le linee guida che ne inquadrarono il movimento, nel corso degli anni ’80. Il termine fu coniato da Bruce Bethke nel 1980, durante la ricerca di un titolo che suonasse bene per un suo racconto, ed è un blend delle parole cybernetics e punk, ovvero le impostazioni fondanti la corrente.
Essa pone infatti grande attenzione all’aspetto tecnologico/informatico ed è contraddistinta da un atteggiamento anarchico e di controcultura nei confronti della fantascienza classica e della società mainstream in genere.
Una definizione che riassume incisivamente cosa trattino le opere cyberpunk è la seguente:
(Il cyberpunk si occupa dell’espressione [spesso buia] di idee che trattano l’uomo, la tecnologia e la loro rispettiva combinazione nel prossimo futuro).
Illusivemind
Tale espressione è caratterizzata da alcuni elementi che, presenti singolarmente o connessi tra loro, formano l’immaginario tipo del cyberpunk, che tuttavia non è canonizzato in una forma assoluta, ma varia molto da opera a opera, sia per gli elementi stessi che per il modo in cui vengono mescolati. Fra questi importantissimo è il ruolo, e come forma morbosa d’intrattenimento e come nuovo medium, della realtà virtuale, che veniva posta alla base del primo racconto consapevolmente cyberpunk, Fragments of a Hologram Rose (Frammenti di una rosa olografica), uscito nel 1977 sulla rivista di fantascienza UnEarth 3, opera prima dell’allora sconosciuto William Gibson, il quale all’interno della stessa delineò anche una futura condizione politica-sociale americana allo sbando.
Lo stesso Gibson, nel 1982, pubblicava, sulla rivista Omni, il racconto Burning Chrome (La notte che bruciammo Chrome), in cui introdusse per la prima volta le figure dei cowboy da console (i futuri hacker, ipotizzati prima ancora che nascesse tale figura) e soprattutto il concetto di matrice, poi diventato un must che assunse anche il nome di cyberspazio e di net, prefigurazione ante litteram dell’odierno internet, un sistema informatico all’interno del quale muoversi liberamente interfacciandosi tramite elettrodi e console oppure impianti.
Come si evince già da questi prodromi, l’avanzamento tecnologico e scientifico rappresenta la chiave fondamentale delle opere cyberpunk; in esse quest’aspetto è curato minuziosamente e la sua invadenza all’interno degli scenari prefigurati giunge fino agli stessi corpi umani, con la relativa possibilità di renderli simili ad hardware organici (cyborg) i cui componenti artificiali (impianti) vengono installati nei tessuti e collegati al sistema nervoso attraverso CPU. Tale avanzamento in alcuni casi si spinge fino alla completa riconversione in corpi totalmente cibernetici e alla proliferazioni di robot e androidi dalle perfette sembianze umane, come i replicanti Nexus 6 del film culto Blade Runner, di Ridley Scott, liberamente tratto dal romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?), uscito sempre nell’ottantadue e ambientato in una distopica Los Angeles del 2019, fra grattacieli e quartieri degradati. Difatti l’ambientazione urbana avveniristica, opprimente e stratificata, localizzata geograficamente sulla Terra o comunque geo-orbitante, situata cronologicamente nel primo cinquantennio degli anni 2000, non è accidentale, e anzi, con tutte le sfumature del caso, rappresenta uno dei topoi del cyberpunk, assieme all’ossessione per le deviazioni cui potrebbe sfociare il sistema socio-culturale e mediatico del domani (emblematico in tal senso il film Videodrome, di David Cronenberg, del 1983, che in aggiunta tratta anche della modificazione della carne e degli effetti allucinogeni indotti con l’ausilio della tecnologia).
Cyberpunk che trovò il suo paradigma e la sua massima espressione nel 1984, quando Gibson pubblicò quello che viene riconosciuto come il libro manifesto della corrente e l’opera che la impose all’attenzione del grande pubblico: Neuromante, vincitore nello stesso anno dei premi Hugo, Nebula e Philip K. Dick. In quest’opera infatti Gibson incorporò non solo tutti gli elementi precedentemente citati, aggiungendone anche di nuovi, ma attraverso lo studio accurato della sua attualità (quella degli anni ’80) e delle sue probabili derive, ricreò un contesto sociale, politico e culturale mondiale organico, permeato dalla globalizzazione e derivato da previsioni ipotetiche di avvenimenti prossimi venturi, quali ad esempio tendenze e movimenti, fenomeni di costume e mediatici, guerre. (Nel 1984 la Apple tra l’altro lanciava sul mercato il primo Macintosh, introducendo così l’interfaccia grafica user-friendly che segnò la svolta nell’approccio ai computer e che permise di allargarne la fruibilità a un’utenza vastissima – computer che divennero “la droga del nuovo millennio”*).
A Neuromante si ispirarono una generazione di scrittori e non solo, perché se da una parte molto dell’immaginario gibsoniano trovò eco dell’antologia di racconti Mirrorshades (occhiali a specchio), pubblicata nel 1986 e nella cui prefazione Bruce Sterling definì gli indirizzi e la sensibilità comuni a tutti gli autori appartenenti alla corrente, dall’altra la sua influenza raggiunse anche il mangaka e regista Katsuhiro Otomo, creatore del manga Akira e successivamente, nel 1988, dell’omonimo film, ambientati nel 2030, in una Tokyo post III guerra mondiale (guerra prefigurata appunto nel libro di Gibson), tra bande motociclistiche e strane ricerche militari.
Il movimento ebbe formalmente termine nel 1991, quando, nell’articolo "Il cyberpunk negli anni ’90" redatto per la rivista Interzone, Sterling sancì la “morte” del cyberpunk.
Forse di quello americano, c’è da notare col senno di poi. In Giappone, nell’arco di quindici anni, doveva ancora prendere vita l’universo Ghost in the Shell.
* Frase citata dall’articolo La rivoluzione dei 100 anni, in Cybercultura di Terre di confine #3
SHIROW E GHOST IN THE SHELL, PEOPLE LOVE MACHINE IN 2029 A.D.
Il nome Masanori Ota probabilmente non dirà niente ai più; ciò nonostante stiamo parlando di uno fra i mangaka più famosi a livello internazionale, creatore dell’opera originale dalla quale derivò l’universo anime/manga cyberpunk Koukaku Kidoutai (squadra mobile corazzata, o squadra mobile del guscio), meglio noto nel mondo come Ghost in the Shell. Quanto appena detto potrebbe sembrare una contraddizione, ma l’incongruenza è presto spiegata: Masanori Ota è in realtà il vero nome di Masamune Shirow.
A partire dal 1989, su Young Magazine Kaizokuban dell’editore Kodansha, venivano serializzati gli undici capitoli che compongono appunto il manga Ghost in the Shell, che nell’Ottobre del 1991 venne edito in volume unico sempre da Kodansha. Nella postilla che apre il volume, Shirow, oltre a evidenziare i meriti del cyberpunk nello svecchiamento dell’ambiente fantascientifico, introduce l’elemento che a suo avviso potrebbe dare la svolta radicale all’avanzamento tecnologico: la nanotechnology, che è difatti l’elemento onnipresente nell’aspetto scientifico pur vasto del manga, ambientato nella città di New Port City, Giappone 2029, nel quale l’avvento massiccio di questo ramo della scienza ha portato alla totale ibridazione fra essere umano e macchina. Nel mondo ipotizzato, tra robot e androidi impiegati in ogni settore produttivo, amministrativo e privato, non solo impianti artificiali e arti meccanici sono divenuti di uso comune, ma la conversione in corpi e soprattutto cervelli totalmente cibernetici è diventata la prassi indispensabile per l’integrazione sociale e per usufruire delle risorse messe a disposizione dai nuovi mezzi informatici (il net, o cyberspazio) e tecnologici (connessione diretta a dispositivi di memoria esterna e fra cervelli stessi). In tale scenario l’unica differenza che intercorre (fino a un determinato punto della trama) tra uomo e macchina è il Ghost. Ma cosa si intende con Ghost?
Con il termine Ghost viene identificata l’anima, lo spirito, vista non nel senso religioso usualmente attribuitole, bensì in un’accezione scientifico-informatica, cioè la volontà, la coscienza e i processi neurali tipici di ogni singolo essere umano o di un sistema con un certo livello di complessità; tuttavia, in alcuni passaggi Shirow lascia intendere, del Ghost, anche un’altra sfumatura, ovvero quella di sesto senso e di voce che sussurri dall’interno dell’Io (una sorta di demone socratico). Il Ghost è il punto chiave a partire dal quale si sviluppa gran parte della riflessione filosofica dell’opera: se il corpo può essere interamente convertito in una macchina (Shell, solo un guscio), che cosa definisce realmente il concetto di esistenza, che cosa è realmente la vita?
Dentro il contesto sopraesposto si muove la Sezione 9 Pubblica Sicurezza, squadra speciale della Polizia che si occupa della risoluzione di crimini e terrorismo informatici. Fra i sette membri operativi il ruolo più rilevante e ricoperto dalla figura del maggiore Motoko Kusanagi, una donna cyborg con corpo e cervello completamente cibernetici (tranne che per alcuni tessuti neurali), protagonista dell’intera opera. La Sezione 9, oltre agli agenti ordinari e a diversi androidi, si avvale anche di sette carri armati senzienti – cioè dotati di IA avanzate prive di alcune limitazioni di programma presenti per motivi di sicurezza nelle IA canoniche – dalla forma aracnoide, denominati Fuchikoma, i quali fungono da supporto operativo ai membri della squadra.Le vicende del manga si dipanano tra diverse indagini che svelano più dettagliatamente la situazione socio-politica del Giappone, gli intrighi di potere, gli interessi privati ed economici, in certi casi internazionali, presenti anche nel futuro ipotizzato da Shirow; tuttavia la storia principale si sviluppa attorno all’investigazione relativa al nome in codice “Signore dei Pupazzi” (il Marionettista), hacker di classe A e autore di diversi crimini informatici, che si introduce in profondità nella mente delle sue vittime superandone le barriere difensive, arrivando alla zona Ghost dei cervelli cibernetici e “riprogrammandone” memoria e volontà per i propri fini – procedura definita “Ghost hacking”.
Ghost in the Shell, benché possa sembrare un manga piuttosto impegnativo per i temi trattati, per la complessità di alcuni passaggi polizieschi e per certe riflessioni, alterna a questi lati più maturi gag e scene più comiche realizzate in deformed, cioè alterando volontariamente la fisionomia e le proporzioni dei personaggi per accentuarne particolari reazioni emotive. Ciò rinfresca molto la lettura e contribuisce a dare quel senso di cyberpunk leggero con il quale lo stesso Shirow inquadra la sua opera. Inoltre, le tavole abbondano di sue note a margine, le quali descrivono dettagliatamente tipologia e funzionamento di armi e macchinari, procedure tecniche avanzate, teorie scientifiche e sottintesi di trama, cercando così di descrivere e legittimare un contesto più organico e credibile, oltre che aumentarne la comprensione anche a chi non abbia una conoscenza fantascientifica o tecnica approfondita. Tuttavia, nonostante i lati più scanzonati appena citati, l’opera, per la violenza e le scene di sesso esplicite, è però riservato a un pubblico maturo, come riservate a un pubblico adulto sono i due volumi successivi e le trasposizioni animate.
GHOST IN THE SHELL
Nel 1995, al Festival del Cinema di Venezia veniva proiettato per la prima volta un film d’animazione giapponese. Era Ghost in the Shell, di Mamoru Oshii, uscito in contemporanea in Giappone, Stati Uniti e Regno Unito successivamente alla presentazione mondiale di Bandai Visual e Manga Entertaiment, vincitore del Best Theatrical Film Award al 1st Animation Kobe 1996, nominato Best Theatrical Feature Film al The World Animation Celebration 1997, Menzione Speciale della Giuria Internazionale al 17th Festival Internazionale del Cinema di Oporto - Fantasporto 1997, primo nella classifica Billboard Top Video Sales nell’Agosto del ’96. Quanto appena illustrato basterebbe da solo a definire il ruolo che ha avuto e che continua ad avere Ghost in the Shell nella storia dell’animazione fantascientifica e non, oltre a far comprendere quale possa essere il suo valore qualitativo intrinseco.
Il film, basato sui capitoli uno, tre, nove e undici del manga di Shirow, è realizzato dalla Production I.G, diretto da Mamoru Oshii (realizzatore anche dello storyboard: il prospetto che contiene le inquadrature e la scaletta della loro sequenza), che esordì nel 1985 con Tenshi no Tamago e divenne poi celebre con le due serie OAV e i due film sul progetto Patlabor, sceneggiato da Kazunori Ito (Magical Angel Creamy Mami, Nausicaä della valle del vento, Maison Ikkoku, Patlabor), e vanta tra gli altri il character design di Hiroyuki Okiura (Akira, Kanojo no Omoide), il background design di Takashi Watabe (Nausicaä della valle del vento, Akira, Silent Mobius, Patlabor 2 the movie), la fotografia di Hisao Shirai (Armitage III), la direzione delle animazioni 3D in computer graphic di Seichi Tanaka e le musiche di Kenji Kawai (Maison Ikkoku, Ranma ½, Patlabor).
La trama, nei suoi 82 minuti di durata, segue l’unico filo conduttore della caccia al “Signore dei pupazzi”, riadattando i capitoli sopracitati a questo fine. Nel film, dei membri della Sezione 9, sono assenti i Fuchikoma, Saito, Paz e Borma. Oltre a ciò sono assenti l’ilarità e il deformed di alcune scene. Viene mantenuta l’ambientazione, ma non è seguita la sequenza temporale del manga (che si dilaziona nel corso di un anno), inoltre la stessa New Port City fu ridisegnata in molte parti basandosi su alcuni quartieri di Hong Kong. Queste scelte hanno uno scopo ben preciso: il tono della pellicola è molto più serio, atmosfericamente più freddo, oscuro e onirico di quello del manga; Oshii detta ritmi molto più lenti, concentrandosi essenzialmente sulla figura di Motoko Kusanagi e sulle sue riflessioni esistenziali, utilizzando spesso, volutamente, fermi immagine prolungati e ambigui e sequenze dai forti contenuti simbolici attraverso i quali il regista si avvicina in modo subliminale all’esposizione della teoria portata avanti dall’intera pellicola. Difatti, se il manga abbonda di spiegazioni e note accessorie, Oshii predilige un’impostazione inversa, con dialoghi introspettivi e complessi (in certi frammenti citazioni bibliche) e silenzi in cui è l’immagine a parlare e a contenere il significato sottinteso. Questo aspetto molto adulto venne unito a una colonna sonora ricercata ed evocativa, basata su cori in giapponese antico e accompagnamento musicale che sposa armonie bulgare, nipponiche ed effetti elettronici, e a una realizzazione tecnica d’avanguardia, nella quale all’animazione tradizionale fu mescolata la 3D computer graphic, non solo utilizzata per riprodurre se stessa (ovvero schermate dati e ologrammi), ma anche per rieditare con “effetti lente” le scannerizzazioni dei fondali e dei cel (i fogli di acetato su cui sono disegnate le figure), per realizzare i layout degli ambienti e per elaborare la parallasse prospettica differenziale, i movimenti di macchina prolungati e la profondità di campo. Il risultato finale fu qualcosa di mai visto fino ad allora, e rese Ghost in the Shell l’opera che aprì le porte dei festival e di una diversa critica internazionale all’animazione giapponese, che ispirò innumerevoli produzioni successive, e che fu definita dal famoso regista James Cameron “First truly adult animation film to reach a level of literary and visual excellence” (Il primo film d’animazione realmente adulto arrivato a un livello d’eccellenza visuale e letteraria).
Il film però, causa l’iniziale incomprensione del pubblico nipponico, non ottenne, in patria, la risonanza enorme che poi ebbe a posteriori, e anche il trattamento riservatogli nelle versioni internazionali è quanto meno discutibile: l’edizione americana della pellicola presentò un cambio nel brano dei titoli di coda, “Chant 3 – Reincarnation”, che fu sostituito da “One Minute Warning”, e che costò la cancellazione del tema originale da tutte le edizioni adattate a partire da quella americana, come quella italiana, che tra l’altro commutò i dialoghi del film direttamente dalla lingua inglese (con traduzione erronea ad esempio dei termini “Marionettista” e “Ghost”, divenuti “Signore dei pupazzi” e “Spirito”).
IL RESTYLE DELLA CONCHIGLIA E LO STAND ALONE COMPLEX
Nell’Ottobre del 2002, sette anni dopo il film di Oshii, in Giappone andò in onda una nuova serie di 26 episodi adattata al manga di Shirow: Ghost in the Shell: Stand Alone Complex; realizzata dalla Production I.G, con il più alto budget mai destinato a un anime, prodotta dalla stessa Production I.G in collaborazione con Bandai Entertaiment e altre case di produzione riunite sotto l’unico denominativo di Ghost in the Shell Stand Alone Complex Committee, con Kenji Kamiyama (Silent Mobius, Hakkeden, Jin Roh, Blood the Last Vampire) nel ruolo di capo regista e capo dello staff di sceneggiatori e, tra gli altri, il character design di Makoto e Hajime Shimomura (Blood+), la direzione delle animazioni 3D di Makoto Endo (Blood+)e le musiche di Yoko Kanno (Macross Plus e Macross 7, Kanojo no Omoide, Cowboy Bebop, Jin Roh, Turn A Gundam, Escaflowne, Arjuna).
La serie non segue nessuna delle storie del manga, ma ne sfrutta solo il contesto e i protagonisti (mutando il nome dei carri armati senzienti in Tachikoma) per imbastire la trama che si svolge sempre a New Port City, nel 2030, in un universo alternativo rispetto sia al manga che al lungometraggio. Inoltre gli stessi episodi sono suddivisibili in due categorie: gli episodi “Stand Alone”, e gli episodi “Complex”. Mentre i primi s’incentrano su investigazioni autoconclusive e hanno la funzione di approfondire vari aspetti dell’attualità socio-politica presentata, i secondi formano il corpus centrale della trama relativa al caso “Uomo che ride” e al fenomeno sociale da esso derivato, lo “Stand Alone Complex”. Quest’ultimo termine è anticipato nell’introduzione dell’anime dove si spiega che, a fronte di un net che ha mutato le coscienze in impulsi elettromagnetici condivisi, tuttavia lo Stand Alone (singolo isolato) non è ancora divenuto parte di un composto formato da più soggetti uniti tra loro, un Complex. Il processo che guida la combinazione di questi due elementi è analizzato in parallelo all’indagine sull’“Uomo che ride”, un caso di rapimento (ispirato al reale caso Glico-Morinaga del 1984) e terrorismo informatico mai risolto dalla Polizia e che si ripresenta dopo anni di silenzio con il suo marchio, una faccia stilizzata con logo rotante, portando alla riapertura delle investigazioni sopite.
Il nome “Uomo che ride” è ripreso dall’omonimo racconto, “The Laughing Man”, di J. D. Salinger, incluso nella raccolta “Nove racconti” dell’autore. Anche il testo del logo è in realtà una frase pronunciata da Holden Caulfield, e in generale durante la serie sono disparate le citazioni esplicite e i riferimenti più o meno velati, sia nel linguaggio di alcuni personaggi che in oggetti e situazioni, a “The catcher in the rye” (Il giovane Holden) sempre dello stesso Salinger.
Visivamente, il design dell’opera, rispetto al manga e al film che già differivano notevolmente tra loro, subì un restyling completo, sia dal punto di vista della fisionomia e delle caratteristiche estetiche dei personaggi sia nel mecha, realizzato quasi totalmente in 3D e integrato all’animazione convenzionale grazie al cell shading, un tipo di renderizzazione grafica che permette di ottenere un effetto 2D assimilabile a quello dell’animazione tradizionale partendo da un modello poligonale. Lo staff si avvalse dell’ausilio delle nuove tecnologie anche per i disegni e gli sfondi, che furono colorati interamente con tavolozze digitali, e per alcuni scenari, che vennero interamente realizzati al computer.
Tra le particolarità, ogni episodio, dopo i titoli di coda, si conclude con “Un tipico giorno da Tachikoma”, scenette di un minuto o poco più che vedono per protagonisti i carrarmati aracnoidi in gag e situazioni più leggere rispetto all’anime – Tachikoma che tra l’altro, rispetto al manga, assumo un ruolo ben più rilevante, sia ai fini della trama che soprattutto sul lato della riflessione su tematiche ontologico-metafisiche e sulla differenza labile fra software e Ghost, riflessioni delle quali loro stessi si fanno portavoce in diversi spezzoni di episodio, evidenziando il loro metodo di ragionamento e di apprendimento differente da quello delle comuni IA e assimilabile invece a quello di un bambino.
La serie ha ricevuto il Notable Entry Award al Tokyo International Anime Fair 2003, e il premio eccellenza nella categoria animazione al Japan Media Arts Festival 2002.
2.0 E 1.5, SEGUITO DEL MANGA
Fra il 1991 e il 1997, per Young Magazine della Kodansha, Masamune Shirow scriveva e disegnava altri diciotto capitoli come prosecuzione diretta della conclusione di Ghost in the Shell. Sette pubblicati fra il novantuno e il novantasei, undici nel novantasette; questi ultimi furono riuniti in volume unico nel 2001, con il nome di Ghost in the Shell 2.0: ManMachine Interface. I quattro racconti dei sette capitoli realizzati precedentemente venivano esclusi dalla raccolta, e benché prequel delle vicende narrate nel 2.0, furono editi in volume unico solo due anni dopo, e il titolo Ghost in the Shell 1.5: Human-Error Processor chiarisce la giusta cronologia in cui situare gli eventi narrati.
I quattro racconti di Human-Error Processor sono autoconclusivi, ambientati immediatamente dopo l’epilogo del caso del “Signore dei pupazzi”, e Motoko Kusanagi appare, sotto le sembianze del suo avatar, solo nel secondo dei racconti. I restanti tre sono incentrati su delle indagini poliziesche in cui trovano più spazio gli altri membri della Sezione 9 e alcune nuove reclute appena entrate a far parte della squadra. Il manga funge pertanto solo da intermezzo fra la trama del primo Ghost in the Shell e la sua reale prosecuzione nel volume 2.0.
ManMachine Interface in realtà era disponibile in edizione limitata SOLIT BOX, contenete variazioni significative alle pagine dei capitoli serializzati, già dal 2000, ma l’edizione economica per il grande pubblico, che conteneva ulteriori variazioni rispetto alla limited, fu disponibile solo nel 2001. I cambiamenti fra le due risiedono nell’abbondanza di scene dal contenuto erotico molto spinto che Shirow addolcì nella seconda edizione, mentre in entrambe aggiunse numerose pagine a colori assenti nella serializzazione originale.
Nelle tavole, realizzate con un utilizzo massiccio della computer graphic per sfondi, ambientazioni ed effetti luminosi, Shirow amplia la riflessione filosofica sul Ghost, sulle possibilità della conoscenza umana, sul concetto di coscienza e sull’identità dell’essere, già al centro del primo manga. Tali temi, in ManMachine Interface sono ripresi e rianalizzati in parallelo all’esplorazione del “nuovo stato esistenziale” di Motoko Kusanagi, la quale, evolutasi in un personaggio profondamente diverso dopo l’evento chiave alla fine del primo film, da protagonista assoluta della trama (la Sezione 9 non compare nel manga) si muove fluidamente tra net e diversi corpi artificiali assumendo sempre nuove identità.
Le meditazioni e i ragionamenti portati avanti da Shirow in ManMachine Interface raggiungono un alto livello di complessità, e alla loro articolazione l’autore dedica la gran parte dello spazio del manga, facendo passare in secondo piano l’azione poliziesca del prequel.
IL NUOVO STAND ALONE COMPLEX
Passarono due anni dalla prima serie, e lo stesso tempo trascorse fra gli eventi in essa narrati e l’incipit di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex 2nd Gig, il cui primo dei ventisei episodi andò in onda il 1° Gennaio 2004 sul canale tematico pay-per-view Animax. La visione della serie fu possibile sulla tv pubblica soltanto dopo più di un anno, quando venne trasmessa da Nippon TV a partire dall’Aprile 2005. Il cast che si occupò della realizzazione del primo S.A.C. rimase fondamentalmente invariato nei suoi ruoli più rilevanti, tuttavia ciò che distingue questa seconda serie è la presenza di Mamoru Oshii come ideatore della storia.
Fonte indiscussa dell’ispirazione di Kamiyama, insieme a quest’ultimo Oshii decise di focalizzare la trama su un intreccio di più ampio respiro, sviluppando questioni politico-sociali che potessero trascendere i confini periferici di New Port City e interessare non solo l’intera nazione giapponese (sotto la guida, dopo gli sconvolgimenti della serie precedente, del nuovo primo ministro donna Kayabuki), ma coinvolgere anche la prefigurata rete di rapporti extranazionali del 2032. Il 2nd Gig di conseguenza approfondisce in modo mirato lo studio dei meccanismi più interni di tale contesto nippo-asiatico, e soprattutto ne segue dettagliatamente l’evoluzione verso cui precipitano le vicende, chiarendo per la prima volta gli eventi storici che avevano portato allo status quo internazionale, risultato di altre 2 guerre mondiali: la III atomica (durante la quale fu realizzato il “miracolo giapponese”, cioè nanomacchine in grado di eliminare le radiazioni nucleari), e la IV non atomica, che si risolse negli equilibri – e nelle conseguenze – internazionali ipotizzati nella serie.
A questi conflitti erano seguite diverse guerre satellite che avevano creato un numero enorme di rifugiati, i quali, respinti dalla Cina, trovarono asilo in Giappone, dove però furono confinati nell’isola/ghetto artificiale di Dejima. Nel 2nd Gig tale situazione diventa incandescente a causa dell’afflusso continuo di profughi, e soprattutto a causa della nascita contemporanea di un movimento terroristico per l’indipendenza dell’isola e del gruppo terroristico nazionalista degli “Undici Individuali”.
Proprio gli “Undici Individuali”, e fra questi Hideo Kuze, sono l’oggetto d’indagine della Sezione 9, che oltre a tale caso si ritrova a dover partecipare, forzatamente, ad alcune missioni dirette dal capo del neonato Servizio Informazioni, Kazundo Gouda.
In aggiunta a ciò, Kamiyama e Oshii ritagliano, nel quadro già così fitto di temi, lo spazio per far luce anche sul passato e sull’interiorità del maggiore Kusanagi, per approfondire le personalità dei membri della squadra (Saito, Paz, Borma, Ishikawa) che avevano trovato poco spazio nella prima serie, e per calarsi in alcune condizioni di realtà umane più drammatiche e delicate.
Difatti, nell’intervista presente sul sito della Production I.G, lo stesso Kamiyama sottolinea come in questa seconda serie, nell’affresco socio-politico sopraesposto, grande attenzione venga dedicata all’aspetto umano e all’interazione fra i personaggi che si muovono dentro il mare degli eventi di 2nd Gig: fatti ormai suoi dopo la lunga esperienza del primo S.A.C., egli appunto, durante il concept, decise di concentrare la storia solo su un numero ristretto di protagonisti (fra storici e nuovi) evitando di divagare con altre comparse in molti episodi autoconclusivi. Il regista rivela come la sua intenzione questa volta non fosse quella di far muovere in modo credibile i personaggi in uno scenario da lui creato, perché in qualche modo ormai i personaggi dettavano la propria azione in base alla loro sola volontà. In particolare, Kamiyama ammette di non aver capito bene, ai tempi della prima serie, le caratteristiche antitetiche (cinismo e altruismo) di Motoko, rimanendo poco soddisfatto del risultato finale. In questa seconda pertanto decise di creare da zero l’episodio sul suo passato anche per riuscire a comprendere un personaggio (la cui paternità non è di Kamiyama) tanto sfuggente e controverso; solo attraverso questo processo egli riuscì finalmente a capire la vera umanità insita in Motoko e fu in grado di renderla il centro reale della storia come era sempre stato nelle sue intenzioni.
Oltre all’aspetto umano, anche la Storia e l’analisi di diversi fenomeni legati alle sue grandi svolte in 2nd Gig trovano risalto in modo non indifferente (con riferimenti a eventi realmente accaduti, come l’Incidente del 15 Maggio 1932, e ispirazioni a saggisti e personaggi storici); soprattutto la condizione post 11 Settembre influì non poco sulla decisione di Oshii e Kamiyama di trattare le tensioni precedenti ai conflitti e sfocianti nella guerra. Nella serie, dentro tali tensioni sono integrati i ruoli oscuri che possono assumere i giochi di potere, i media e chi li manipola, e questo meccanismo e le interrelazioni fra tutti gli elementi già evidenziati della trama fanno un tutt’uno con l’indagine più accurata sul processo che porta al fenomeno Stand Alone Complex e alla parallelizzazione dei cervelli cibernetici conseguente alla connessione diretta delle coscienze alla rete.
La tipologia degli episodi, in questo nuovo S.A.C., è tripartita: essi si suddividono in Individual, concernenti il caso "Undici Individuali", Dividual, che sono il corrispettivo degli Stand Alone della serie precedente, e Dual, che seguono la story line relativa alle macchinazioni effettuate da Gouda attraverso il suo Servizio Informazioni. Come nella prima serie, e in modo di gran lunga più importante e decisivo in questa, i Tachikoma accompagnano le azioni operative della Sezione 9 – guadagnandosi in alcuni frangenti addirittura il ruolo centrale – e chiudono con i consueti siparietti ogni episodio.
Kenji Kamiyama, per aver creato delle storie, nelle due serie S.A.C., che facessero i conti con la realtà, e attraverso esse aver esternato le sue posizioni critiche su questioni politico-economiche attuali, vinse l’Individual Award al 9th Animation Kobe 2004.
LA FILOSOFIA, LA VITA, IL CINEMA; OSHII
come marionette che danzano in un tavolo
Quando i loro fili vengono tagliati
loro crollano facilmente.
Nel 2004, nello stesso anno di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex 2nd Gig, la Production I.G presentava il seguito del primo lungometraggio, che era diventato uno degli anime più acclamati di tutti i tempi, del 1995: Ghost in the Shell 2: Innocence.
Diretto, e questa volta anche sceneggiato, sempre da Mamoru Oshii, con lo stesso character design di Hiroyuki Okiura e le conferme di Kenji Kawai alle musiche, di Atsushi Takeuchi al mecha design e Takashi Watabe al background design, il lungometraggio presenta, fra i nuovi membri dello staff, alla fotografia Miki Sakuma (The End of Evangelion, Jin Roh, Blood the Last Vampire, FLCL, Kill Bill vol 1, Blood+) e agli effetti visivi Hisashi Ezura (New Dominion Tank Police, Blood the Last Vampire).
La storia prende spunto, in minima parte, dal sesto capitolo, Robot Rondo, del manga di Shirow. Da questo, Oshii trae spunto solo per alcune scene e per l’idea della ribellione, ai loro proprietari, di alcune ginoidi (androidi femminili), che successivamente ai loro gesti si autodistruggono. Incaricati dal caposezione Aramaki di occuparsi dell’indagine, Batou e Togusa iniziano a muoversi dentro il rompicapo labirintico della trama di Innocence, che si sviluppa nell’anno 2032, dopo la scomparsa di Motoko Kusanagi a seguito dell’epilogo del caso del “Signore dei pupazzi”.
In realtà Oshii rivela come le premesse del film non siano state quelle di creare un seguito al lungometraggio del 1995, ma la sua intenzione è stata invece esternare la propria filosofia e la propria visione della vita attraverso le nuove possibilità offerte dall’animazione. Difatti, il budget messo a disposizione dalla Production I.G toccava i venti milioni di dollari (molto più alto di quello di Ghost in the Shell), e ciò, assieme al molto tempo concesso per la preparazione dell’opera, permise a Oshii di dar vita forse all’esempio più mirabile di bellezza visiva in un anime.
L’utilizzo della 3D computer graphic in Innocence è smodato e messo volutamente in rilievo, e quest’aspetto fa parte dei propositi di sperimentazione del regista, il quale ha chiarito più volte di non essere interessato al 3D in sé, ma alla sua manipolazione e fusione con i disegni tradizionali attraverso le numerose strade aperte dalle nuove tecniche digitali. Ciò sfocia nella sovrabbondanza di animazioni, elementi poligonali e particolari che riempie ogni sequenza del film, come ad esempio quella del “festival”, accompagnata dal secondo brano del tema della colonna sonora: sequenza che da sola ha richiesto un anno di realizzazione (Kawai nella colonna sonora riprende e ingigantisce le sonorità del tema del primo film, riproponendone lo schema trino e aggiungendo alla OST due brani cantati in inglese).
Alla ridondanza visiva fa il paio quella puramente concettuale: rispetto al primo lungometraggio, in Innocence Oshii, mantenendo la sua peculiare regia, dilata la parte riflessiva e di analisi sopra i concetti, già al centro di Ghost in the Shell, cardine dell’opera: la vita e l’essere. I dialoghi si muovono sui fili della speculazione di pensiero del regista, sulle domande che egli pone e sulla ricerca delle risposte che tenta di dare in modo sia esplicito che ermetico, e che spesso prendono la via dell’aforisma e della citazione (queste ultime, abbondantissime, spaziano per innumerevoli opere e autori sia occidentali che orientali), e associati all’immagine/simbolo ricreano quella ricchezza cinematografica ricercata da Oshii per sua stessa ammissione.
L’altezza del risultato finale e del valore raggiunto dal film sono testimoniati chiaramente dai riconoscimenti internazionali da esso conseguiti: Miglior Film nel concorso e Miglior Compositore Musicale (Kenji Kawai) al 10th Anniversary AMD Award: Digital Contents of the Year 2004, Hit Content Division nel concorso al 19th Digital Content Grand Prix 2004; vincitore dell’ Oriental Express Casa Asia Award al 37th Sitges International Film Festival 2004 e del Best Theatrical Film Award al 9th Animation Kobe 2004; Menzione Speciale della Giuria per l’Eccezionale Risultato Artistico al Puchon International Fantastic Film Festival 2004; infine, unico film d’animazione giapponese nella storia a concorre per la Palma D’Oro al 57th Festival de Cannes 2004.
LAST RUN
Ultima opera originale che conclude le due serie televisive, Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Solid State Society, film special di 105 minuti, andò in onda il 1° Settembre 2006 su SKYPerfect TV! Giappone e dal Novembre dello stesso anno fu disponibile in DVD. La Production I.G confermò in toto il cast delle due precedenti serie, e mise a disposizione di Kamiyama la cifra senza precedenti, per una produzione di questo tipo, di 360 milioni di yen (3,20 milioni di dollari).
La trama è un compendio fra il plot originale elaborato da Kamiyama per il film, i due lungometraggi di Oshii e il primo e il secondo volume di Ghost in the Shell di Shirow. Cronologicamente, il setting della storia, come avvenuto anche nella circostanza di 2nd Gig, rispecchia la pausa che separa realmente le due realizzazioni, ed è quindi collocato nel 2034, due anni dopo la conclusione degli eventi della seconda serie. In tale lasso di tempo la Sezione 9 si è espansa e al suo comando, sostituendo Motoko Kusanagi, che ha abbandonato la squadra per motivi inizialmente ignoti, è subentrato Togusa. Alla testa dei membri storici e delle reclute conosciute già in 2nd Gig, sotto la consueta supervisione del caposezione Aramaki, egli investiga su tre casi paralleli e che sembrano poter convergere in un’unica direzione: il caso del “Marionettista”, quello di un rapimento di decine di migliaia di bambini e il mistero dell’assistenza sanitaria della Solid State Society. In tale intreccio si sospetta possa essere implicata addirittura la figura del maggiore, che inizialmente assente dalle vicende vere e proprie, col proseguo acquista una parte sempre più attiva e fondamentale.
Anche per quest’ultimo capitolo della saga Stand Alone Complex è stato creato un OAV di cinque minuti, Uchikomatic Days, incluso all’interno del DVD del film, che vede per protagonisti questa volta gli Uchikoma, i nuovi carri armati a disposizione della Sezione 9.
Solid State Society ha vinto il Premio della Giuria al 21st Digital Content Grand Prix, il Packaged Work Award al 12th Animation Kobe, è stato nominato Jury Recommended Work nella sezione animazione al 10th Japan Media Arts Festival ed è stato selezionato con altri sette titoli per la sezione International Feature Film Competition agli Anima 2008.
DÉJÀ VU
Nel 2005 andava in onda lo special tv di 159 minuti Ghost in the Shell: Stand Alone Complex - The Laughing Man, che poi fu pubblicato in DVD e che tratta il caso principale della prima serie con un nuovo montaggio, con l’aggiunta di alcune scene inedite e con la rimasterizzazione del video originale, portato in alta definizione. Stessa operazione veniva effettuata nel 2006 con Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Individual Eleven, anch’esso uscito poi in DVD.
Nel 2008, nell’occasione del lancio del suo ultimo, ad ora, film da regista, The Sky Crawlers, Mamoru Oshii invece riprese il film originale del 1995, Ghost in the Shell, riadattando le animazioni e i colori con le più recenti tecnologie digitali e ricreando in 3D alcuni elementi e alcune sequenze dell’opera. Kenji Kawai inoltre si occupò del nuovo mixaggio, in audio a sei canali, dei brani della colonna sonora. Venne anche cambiato il doppiaggio del “Signore dei pupazzi”, passato da Iemasa Kayumi (presidente Chuujou Shizuo in Giant Robo, Ernst Von Bähbem in RahXephon) a Yoshiko Sakakibara (Dottoressa Haraway in Ghost in the Shell 2: Innocence, primo ministro Kayabuki in Ghost in the Shell: Stand Alone Complex 2nd Gig). Il film è uscito in sala solo in Giappone, e successivamente è stato distribuito sia in versione DVD che Blu-Ray Disc, col titolo Ghost in the Shell 2.0.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
www.wikipedia.org (sezioni italiana e inglese)
Production I.G
The Cyberpunk Project
Intercom – science fiction station e-zine
In the shell
www.cyberpunkreview.com
AnimeNewsNetwork
www.animeita.net
www.alfonsomartone.itb.it
www.manga.it
www.animazione3d.com
Masamune Shirow, Ghost in the Shell - STAR COMICS, 2004
Making of Ghost in the Shell
Giovanni De Matteo, William Gibson: nessuna mappa per questi territori - www.fantascienza.com
Terre di Confine – fantascienza, fantasy, anime #3
NOTA DELL'AUTORE
Nel primo paragrafo di questa scheda ho inserito solo le opere di maggiore rilevanza (per l’inedicità dei temi, per la risonanza internazionale, per il contributo nella definizione e nella concretizzazione del movimento), consapevole di tralasciare, per motivi di spazio, altre opere di alto valore.
Ora, dopo aver tentato di eclissarmi durante tutto questo malloppone alla cui fine – che sarebbe questa – avete avuto la voglia (?), il piacere (ho ancora più dubbi) o la sopportazione (questo forse è più probabile) di arrivare, mi lascio almeno quattro righe più personali, per ringraziare chi devo ringraziare e tutto il resto.
Perciò grazie a tutta la gente dei siti dai quali ho rubacchiato un bel po’ di roba; grazie a Slanzard per avermi evitato una figuraccia epica; grazie ad Aduskiev per la pazienza, per le dritte e per la proposta; grazie soprattutto a Oshii, a Shirow, a Kamiyama, alla Production I.G e a tutte le persone che hanno reso possibile che l’universo Ghost in the Shell potesse esistere, perché senza l’animazione avrebbe perso tanto, troppo, e non sarebbe quella che è adesso; e io mi sarei sentito ancora più un orfano del cyberpunk.
Sperando che altri possano appassionarvisi anche solo la metà di quanto io mi ci sono appassionato.
Ultimo aggiornamento: 08/12/2009
Autore: Limbes