È cominciata questo mese in Giappone Kaiba, serie televisiva dal numero d’episodi ancora ignoto (probabilmente dodici), la piú recente regia di Yuasa Masaaki.
Per l’occasione, proponiamo qui alcune veloci righe sull’autore, e una recensione-approfondimento su Kemonozume, il lavoro di Yuasa che precede Kaiba.

Yuasa, che la critica internazionale giudica uno dei piú interessanti nuovi talenti dell’animazione giapponese, è ancora poco conosciuto dal grande pubblico, e forse destinato a non esserlo mai, vista la natura molto particolare delle sue opere e della sua estetica, spesso assai distante dagli sterotipi in cui di solito (a torto o a ragione, nel bene e nel male) si incasellano gli anime.
Soprattutto, nessun suo titolo ha ancora avuto il pregio di un’edizione in lingua italiana, e pare che al momento non ci siano editori nostrani intenzionati a rimediare. È anche per questo che, forse, vale la pena spendere due parole e un po’ d’attenzione su un autore che sicuramente li merita, al di là del giudizio che se ne vuole dare.

Yuasa Masaaki

Nasce il 16 marzo 1965.
Dopo un breve periodo di lavoro per la Ajiadō (dove cura le animazioni di Chibi Maruko-chan tra gli altri), diventa free lance.
yuasa Lavora come character design, animatore e direttore delle animazioni in diversi film di Crayon Shin-chan (attività che prosegue tuttora), ma si fa notare soprattutto come animatore in uno degli episodi di Hakkenden, ambiziosa trasposizione di una celebre opera letteraria giapponese del XIX secolo.
Nel 2001 collabora a un singolare e semi-sconosciuto cortometraggio, Nekojiru-sō. Ispirato all’opera di Neko Jiru, fumettista morto suicida all’età di 31 anni, Nekojiru-sō mette in scena il viaggio piacevolmente insensato di due fratelli felini attraverso paesaggi surrealisti e stranianti. La regia è di un insospettabile Satō Tatsuo, noto per prodotti ben piú di consumo, su tutti Nadesico. Ma forte è il sospetto che molto sia dovuto proprio a Yuasa, che in Nekojiru-sō si occupa di sceneggiatura e direzione delle animazioni...
Nel 2004 giunge sui grandi schermi giapponesi Mind Game. Tratto da un fumetto di Robin Nishi, animato dallo Studio 4°C, è il primo film in cui Yuasa può lasciare la sua decisa impronta: ne firma sceneggiatura e regia, creando un lungometraggio psichedelico, debordante, sperimentale, in cui far precipitare in tutta libertà gli stili visivi piú disparati.
Due anni piú tardi, Yuasa torna al piccolo schermo con Kemonozume: tredici episodi interamente suoi per soggetto, regia e coordinazione della serie.
Nel 2008, infine, come già detto, ha inizio Kaiba, dove Yuasa ricopre gli stessi ruoli che in Kemonozume.

Kemonozume

(la seguente recensione è una rielaborazione di un pezzo già pubblicato verso la fine del 2006 sul blog 'Mag Mell')

C'era una volta (tempi antichissimi) un uomo, che all'ultimo momento aveva salvato una ragazza destinata a un sacrificio divino. Sacrilegio! Ed entrambi furono così mutati in bestie mostruose, condannate a nutrirsi di carne umana, loro e la loro discendenza. Chiamati shokujinki, le creature giungono fino ai nostri giorni dove, normali esseri umani all'aspetto, nell'ombra di vicoli e grattacieli continuano a consumare i loro feroci pasti...
kemonozume001 C'era una volta (tempi antichi, ma forse meno) una nobile tradizione, di uomini votati a combattere gli shokujinki, uomini che dedicavano la loro vita alla spada, e all'arduo apprendimento di tecniche per abbattere i mostruosi avversarî e proteggere l'umanità dalla minaccia primeva. Giunti sino ai giorni nostri, il nome sotto cui combattono è Kifūken...
Ma lungo i secoli le cose si fanno complicati (o forse erano tali fin dall’inizio, là dove il mito non ce lo racconta), e ambigue e difficili da distinguere di quanto si potesse sperare. È così che c'erano e ci sono ancora uomini (maschi) e mostri (donne) in grado di innamorarsi tra loro, tanto da tentare (invano?) di superare l'insuperabile barriera, il terribile tabù, il confine inviolabile che separa prede e cacciatori. Confini comunque già troppo labili, perché (poteva essere altrimenti?) anche tra gli esseri umani, volti alla difesa dei deboli, alligna ed è necessaria, nello spirito e soprattutto nella carne, una natura mostruosa, feroce e cannibalistica. E forse anche gli stessi mostri non sono altro che ulteriori vittime in fuga da un mondo che non li riconosce, in fuga persino da se stessi.
Toshihiko, giovane umano che brandisce la spada nel nome della Kifūken e Yūka, sotto una maschera dai tratti fini (capelli biondi & corti), una divoratrice di carne umana: Romeo & Giulietta in fuga sullo sfondo di un Giappone multiforme, ora dipinto con tratti trancianti e iperrealisti, ora fotografato con filtri deforma(n)ti e visionarî. Romeo & Giulietta, dunque, ma nemmeno troppo. Perché il vero conflitto non è quello tra mostri e umani da una parte, e dall’altra i due eroi puri nel loro sogno d'amore senza pregiudizî che tentano di non farsi stritolare dalla lotta in corso. No, ci sono altre crepe, altri conflitti, estremamente ambigui e imprevedibili, nascosti, trasversali e dai bordi frastagliati, che attraversano e scompongono entrambe le fazioni dall'interno, cancellando ogni illusoria dicotomia. Tutti contro tutti. Specie nel campo umano: perché sotto le parole e i simboli di tradizione nobile e disinteressata (ma quanto retorica?), c'è chi vuole innanzi tutto risanare le proprie ambizioni frustrate: Kazuma, il fratello minore di Toshihiko, che vede la fuga di quest'ultimo anche come un'occasione per assumere il controllo della Kifūken (e non solo...) grazie all'uso di nuove tecnologie. Ma soprattutto, c'è anche chi trama nell'ombra, cinico e spietato, per concretizzare con ogni mezzo un proprio folle sogno di catastrofe & dominio. Riusciranno i nostri (anti?)eroi eccetera eccetera? Nel frattempo è Yuasa Masaaki che riesce a dimostrarsi, e per la seconda volta, come il regista d'animazione più innovativo e interessante di tutto il panorama televisivo & cinematografico giapponese. Persino nel percorso: kemonozume002ribaltando l'ordine classico della carriera in animazione, dopo Mind Game (di due anni fa) ora Yuasa «scende» dallo scranno del direttore di lungometraggi e ci ammannisce, dall'aprile al novembre del 2006, Kemonozume («Artigli di bestia»), tredici episodi in onda sul canale satellitare WOWOW. E forse la formula della serie televisiva, fatta di episodi, con la sua narrazione diluita e le sue scansioni ben definite di venti minuti a settimana, è quel che più si adatta al talento di Yuasa, che si nutre di digressioni e sottotrame e tempi lunghi per dipanare tutti i suoi nodi. Eppure, curiosamente: Kemonozume risulta comunque alquanto simile a Mind Game, entrambi rapsodici e frastagliati; ma ora, forse anche grazie proprio alla struttura episodica e dinamica tipica del piccolo schermo, Yuasa ci sorprende disvelando, puntata dopo puntata, un intreccio molto piú robusto e calcolato rispetto a Mind Game, un intreccio costruito nel dettaglio tra passato e presente, dove i diversi fili si perdono solo momentaneamente per poi ritrovarsi ordinatamente annodati nel finale.
La variazione stilistica è incessante, proteiforme, attraversa tutto lo spettro offerto dall'immagine disegnata: realismo cupo e cinico, caricature appena tratteggiate, inaspettate divagazioni cartoonesche, scenarî e personaggi grotteschi e deformi, stilizzazioni ora delicate ora quasi iconiche, e così via. Ma soprattutto, ciò che conta: la volontà e la capacità di svolgere una storia dotata di spessore, tra espliciti e impliciti, di alternare e spesso fondere in maniera sorprendente il drammatico, il tragico, il comico e il grottesco. E Kemonozume riesce a tenersi molto e felicemente lontano da quasi tutto il resto dell'animazione giapponese contemporanea, troppo spesso prigioniera dell'idea che tutto (o gran parte) si risolva in un perfezionismo visivo, a volte manieristico se non patinato. Gli stereotipi vecchi e attuali dell'animazione giapponese sono spesso solo sfiorati, o comunque ripresi in senso ironico e resi irriconoscibili dallo stile corrosivo di Yuasa; a partire dall'immaginario marzialista che in Kemonozume è quasi onnipresente.
E tutto, alla fine, tutti i possibili calcoli del regista, dei personaggi, degli spettatori, cadono impotenti di fronte a una piccola scimmietta stilizzata. Privo di nome, abilissimo nella lotta, il quadrumane attraversa imperturbabile gli episodi di Kemonozume, dal primo all’ultimo, sovranamente indifferente a tutte le tragedie che lo circondano e in cui pure, per curiosità o semplice spirito di gioco, interviene attivamente. Tanto che c'è chi lo prega addirittura, con scarsi risultati, di fargli da «maestro» di spada; ma la scimmietta (in realtà un «scimmietto», essendo maschio), indecifrabile, sembra rispondere poco a tutte le umane sollecitazioni, quasi un simbolo del potere del caso e di quelle coincidenze ingovernabili e a volte tragicamente buffe che per Yuasa, in Kemonozume come in già Mind Game, costituiscono un motore narrativo potente, se non forse l'unico.

- Sito ufficiale di Kemonozume

Fonti:
作画@wiki
Wikipedia giapponese
Mag Mell.