In un discorso tenuto ad inizio anno, Yukio Hatoyama, attuale Primo Ministro del Giappone, aveva indicato fra gli obiettivi prioritari del suo governo «... proteggere la vita della gente, di quelli che sono nati, di quelli che crescono e di quelli che diventano adulti», sollevando il velo su uno dei più gravi problemi del Giappone, circondato da un riserbo forse più che naturale ma che, a causa delle sue dimensioni, è oramai diventato un vero e proprio dramma sociale: i suicidi.
Silvio Piersanti, giornalista italiano di grande esperienza internazionale che vive a Tokyo ed è sposato con una scrittrice giapponese, ha realizzato un'interessante inchiesta pubblicata lo scorso 2 aprile su Il Venerdì di Repubblica, inserto settimanale del quotidiano La Repubblica.
Giappone: il Governo va alla Guerra dei Suicidi nel Paese che divora i suoi figli
di Silvio Piersanti
I Giapponesi pensavano di vivere nell'Eden. Ora è stato detto loro che vivono nell'inferno. Secondo dati statistici resi noti dall'autorita centrale di polizia, da dodici anni, ogni anno, si suicidano oltre 30 mila giapponesi. Ma autorevoli fonti, tra cui il vescovo cattolico di Tokyo Paul Kazuhiro, affermano che quei numeri, già di per sé agghiaccianti, danno un quadro parziale della disperazione che pervade larghi strati della società giapponese.
In realtà, sostengono, i suicidi sono oltre 60 mila ogni anno.
Dunque, ogni otto minuti almeno un giapponese si toglie la vita. E bisognerebbe aggiungere i tentativi di suicidio, dodici volte tanti, e quelli di coloro che ci stanno pensando.
Per il Paese è stato uno shock, un colpo che ha scosso le fondamenta dell'orgoglio nazionale, lasciando tutti increduli e incapaci di darsi una risposta, una spiegazione plausibile. Dov'è finito il popolo che ha stupefatto il mondo con la sua ripresa economica e sociale, con il suo irrefrenabile ottimismo, con la sua inesauribile energia, ripartendo da zero dopo la sconfitta sancita dalle bombe atomiche americane?
Il primo ministro Yukio Hatoyama, il capo della coalizione di centro-sinistra subentrata al governo dopo decenni di monopolio del centro-destra, ha dato al problema la massima priorità: ha creato una task force per combattere il fenomeno, ha stanziato fondi per assegnare alle agenzie di collocamento migliaia di psicologi specializzati nell'affrontare depressioni causate da disoccupazione e fallimenti, ha portato da 800 a 230 mila gli alloggi e la distribuzione temporanea di cibo per i senzatetto nelle due settimane di festività di fine anno, quando si registrano i picchi massimi di suicidi, ha istituito un telefono amico, ha predisposto tirocini psicologici per associazioni di volontari.
Ma in questi primi mesi non si sono ottenuti risultati confortanti: il numero di persone che rinuncia alla vita continua a crescere. Quanto il problema sia impellente lo si è capito dalle parole con cui Hatoyama ha aperto il suo discorso di inizio anno alla nazione: «Voglio proteggere la vita della gente, di quelli che sono nati, di quelli che crescono e di quelli che diventano adulti».
Gli adulti sono i più numerosi a dire "basta": un terzo dei suicidi è nella fascia di eta tra i 20 e i 49 anni, uomini e donne (più i primi, però) nel pieno della vita che non vedono più nel presente e nel futuro una ragione per continuare a viverla.
Poi vengono "quelli che crescono", gli studenti: nel 2009, ogni giorno dell'anno scolastico almeno due alunni delle elementari o medie si sono uccisi, stroncati da un sistema che seleziona i migliori in base a una spietata competitività, creando un terreno fertile per varie forme di bullismo.
In Giappone, se non frequenti le scuole giuste sin dall'inizio sei condannato a un futuro di cittadino di serie B. Molte famiglie si indebitano per pagare i corsi di ammissione agli istituti scolastici e alle università più ambite. I migliori insegnanti lavorano a tempo pieno in quei corsi. Le lezioni possono costare l'equivalente di centinaia di euro l'ora. Una bocciatura, in questo contesto, si trasforma in una tragedia familiare e lo studente se ne sente responsabile, «con sensi di colpa che possono sfociare in depressione e suicidio», afferma una professoressa di Osaka. «Se non si può includere nel curriculum un percorso scolastico che testimoni la frequentazione di scuole e Università prestigiose» - spiega - «è inutile mirare a posti di responsabilità. Sono stata spesso in Europa. Conosco lo spensierato disordine in cui vivete. Da voi la vita è scomoda ma allegra. Da noi è l'opposto. In Giappone i cani non abbaiano, i bambini non frignano, i genitori non litigano, gli automobilisti non insultano, i negozi non chiudono mai,treni e aerei sono puntuali, i servizi funzionano alla perfezione. Questo meccanismo oliato è il risultato di un sistema educativo rigidissimo, che forma cittadini ligi al dovere sino alla paranoia. Ora ci presentano il conto da pagare per vivere nell'ordine: il numero dei suicidi».
In un recente dibattito televisivo con tre giovani donne che negli anni del liceo avevano tentato di togliersi la vita, la 26enne Shinohara Eiji ha raccontato di essere arrivata a quella decisione esasperata dopo aver subito per anni umilianti commenti circa il suo sovrappeso da parte di alcuni compagni di classe. Rivelatore l'incontro con il padre, al ritorno dall'ospedale. «Mi ha accolto a braccia aperte. Mi ha stretto a sé. Ha poggiato il capo sul suo petto. Non ci siamo detti una parola. Era la prima volta in tutta la mia vita che ricevevo un abbraccio da mio padre».
Le tre giovani donne hanno poi aggiunto che per resistere alla vertigine del suicidio sarebbe stato sufficiente sentire un po' di calore umano in famiglia.
Al primo Ministro Hatoyama va comunque il merito di aver fatto capire al Paese che i suicidi sono una piaga con cui governo e popolo devono confrontarsi. È la prima volta nella storia millenaria del Giappone.
Fino ad ora il suicidio era una disgrazia privata su cui la dignità imponeva di tacere. Ora il bubbone è scoppiato e la piaga è al centro di accesi e preoccupati dibattiti. Si cerca di capire non tanto le ragioni che spingono tanti individui a rinunciare alla vita: delusioni d'amore, depressioni, fallimenti commerciali, malattie, ma perché tanti giapponesi, davanti alle difficoltà della vita, giungono con apparente facilità alla decisione di togliersi la vita.
Sociologi e storici rilevano che il suicidio è sempre stato un elemento importante della cultura giapponese, fin dai tempi del mondo dei Samurai...
Per i Samurai il seppuku o harakiri (come è più noto in Occidente), il suicidio compiuto affondando la lama nel ventre con un movimento da sinistra a destra e poi in alto, era l'unico modo per cancellare un'umiliazione.
Lo si compiva con solennità rituale, indossando un kimono da cerimonia e stando in ginocchio, seduti sui talloni, con gli alluci sovrapposti, perché il corpo senza vita potesse riversarsi solo in avanti, come un guerriero cade solo in combattimento. Il più abile aiutante del samurai aveva il compito di completare il rito, decapitandolo con un deciso colpo di katana per impedire che il dolore deformasse il volto del samurai.
Anche nel suicidio, come in ogni atto della vita dei giapponesi, dai riti religiosi alla disposizione dei fiori (ikebana), alla cerimonia del tè, l'aspetto estetico ha valenza almeno quanto l'atto in sé.
Questo spirito di stoicismo estremo è stato ereditato dai giovani piloti kamikaze apparsi nell'ultimo conflitto mondiale. Fra i più spettacolari seppuku moderni quello dello scrittore Yukio Mishima, scrittore e drammaturgo che, con il suo fedele seguace Murakatzu Morita, il 25 novembre 1970, davanti centinaia di telecamere e migliaia di soldati inviati dal Governo per fermarlo, si è suicidato nel Ministero dell'Interno nipponico che Mishima e un gruppo di suoi fedeli avevano occupato per protesta contro la decisione del Governo stesso di rinunciare al proprio esercito e affidare la difesa della nazione alle forze armate USA.
Il vescovo Mori, il nunzio apostolico in Giappone arcivescovo Alberto Bottari de Castello e il pastore protestante di Tokyo, Rev. Samuel Koji Arai, non hanno dubbi: la pulsione suicida è dovuta alla mancanza di un dio unico con cui dialogare, a cui chiedere perdono e amore.
I suicidi sono il risultato di una società atea che non vede traguardi oltre il benessere materiale. Quando questo viene a mancare, non resta che il buio della disperazione.
Il Giapponese non ha la cultura individuale che è al centro della civilta occidentale. Si identifica con la scuola che frequenta, con la famiglia, con la ditta in cui lavora, con il suo lavoro, con il suo popolo. Se sbaglia è davanti a loro che deve giustificarsi. Nessun dio viene chiamato in causa. Togliersi la vita non è peccato. È forse il modo più nobile per uscire da una situazione umiliante.
Agli uomini di chiesa occidentali ribatte la scrittrice Kyoko Asada: «Non capirete mai l'anima giapponese finché continuerete a volerla colonizzare. Da Millenni vi arrogate il diritto di stabilire quale sia il vero dio e quale sia il falso, cosa sia il bello e il brutto, cosa sia giusto o sbagliato. Vivere senza il senso del peccato è meglio che tormentarsi nei rimorsi, temendo il fuoco eterno dell'inferno. Lasciateci fare della nostra vita quel che vogliamo».
«Per molti» - afferma infine la traduttrice di narrativa italiana Hiroko Nakamura - «il passo estremo è reso più facile dalla fede nel principio buddista della reincarnazione, che concede una possibilità di riscatto per riprendere il cammino esistenza dopo esistenza, sino al Nirvana o eterna beatitudine divina». Per i buddisti, individui straordinari come Buddha, Cristo, Francesco D'Assisi, Gandhi, madre Teresa sono conosciuti nella loro ultima esistenza, prima di abbandonare l'ormai inutile involucro corporeo e divenire puro spirito.
Per l'occidentale che vive in Giappone, l'impressione è che i giapponesi - che hanno due religioni ufficiali, buddismo e scintoismo, templi meravigliosi, una filosofia spirituale che spazia da Confucio allo Zen, milioni di dei - più che di un dio manchino di concetti umani come il perdono, la tolleranza, la compassione, in una parola l'amore. Qui chi sbaglia sa che deve pagare e nulla potrà evitargli il duro castigo. Per questo accade spesso che qualcuno all'alba lasci un biglietto di congedo, faccia un inchino verso la famiglia dormiente ed esca in silenzio, avviandosi verso la metropolitana da cui scenderà per l'ultima volta. Pochi minuti dopo,nelle stazioni di quella linea apparirà un segnale luminoso che annuncia un ritardo a causa di un ginshinjico, un "incidente con una persona", l'eufemistica formula che indica il suicidio di qualcuno che si è lanciato sui binari.
Il ritardo non sarà lungo: il corpo viene rapidamente portato via, i moduli della polizia velocemente riempiti. E la circolazione riprende, frenetica ed efficiente, come sempre.
*Nota: la foto ad inizio notizia raffigura un cartello ad Aokigahara, foresta alle pendici del Monte Fuji conosciuta anche per via dei numerosi suicidi.
Sul cartello sono presenti scritte atte a convincere gli aspiranti suicidi a riconsiderare la propria decisione ed a contattare la polizia.
Silvio Piersanti, giornalista italiano di grande esperienza internazionale che vive a Tokyo ed è sposato con una scrittrice giapponese, ha realizzato un'interessante inchiesta pubblicata lo scorso 2 aprile su Il Venerdì di Repubblica, inserto settimanale del quotidiano La Repubblica.
Giappone: il Governo va alla Guerra dei Suicidi nel Paese che divora i suoi figli
di Silvio Piersanti
I Giapponesi pensavano di vivere nell'Eden. Ora è stato detto loro che vivono nell'inferno. Secondo dati statistici resi noti dall'autorita centrale di polizia, da dodici anni, ogni anno, si suicidano oltre 30 mila giapponesi. Ma autorevoli fonti, tra cui il vescovo cattolico di Tokyo Paul Kazuhiro, affermano che quei numeri, già di per sé agghiaccianti, danno un quadro parziale della disperazione che pervade larghi strati della società giapponese.
In realtà, sostengono, i suicidi sono oltre 60 mila ogni anno.
Dunque, ogni otto minuti almeno un giapponese si toglie la vita. E bisognerebbe aggiungere i tentativi di suicidio, dodici volte tanti, e quelli di coloro che ci stanno pensando.
Per il Paese è stato uno shock, un colpo che ha scosso le fondamenta dell'orgoglio nazionale, lasciando tutti increduli e incapaci di darsi una risposta, una spiegazione plausibile. Dov'è finito il popolo che ha stupefatto il mondo con la sua ripresa economica e sociale, con il suo irrefrenabile ottimismo, con la sua inesauribile energia, ripartendo da zero dopo la sconfitta sancita dalle bombe atomiche americane?
Il primo ministro Yukio Hatoyama, il capo della coalizione di centro-sinistra subentrata al governo dopo decenni di monopolio del centro-destra, ha dato al problema la massima priorità: ha creato una task force per combattere il fenomeno, ha stanziato fondi per assegnare alle agenzie di collocamento migliaia di psicologi specializzati nell'affrontare depressioni causate da disoccupazione e fallimenti, ha portato da 800 a 230 mila gli alloggi e la distribuzione temporanea di cibo per i senzatetto nelle due settimane di festività di fine anno, quando si registrano i picchi massimi di suicidi, ha istituito un telefono amico, ha predisposto tirocini psicologici per associazioni di volontari.
Ma in questi primi mesi non si sono ottenuti risultati confortanti: il numero di persone che rinuncia alla vita continua a crescere. Quanto il problema sia impellente lo si è capito dalle parole con cui Hatoyama ha aperto il suo discorso di inizio anno alla nazione: «Voglio proteggere la vita della gente, di quelli che sono nati, di quelli che crescono e di quelli che diventano adulti».
Gli adulti sono i più numerosi a dire "basta": un terzo dei suicidi è nella fascia di eta tra i 20 e i 49 anni, uomini e donne (più i primi, però) nel pieno della vita che non vedono più nel presente e nel futuro una ragione per continuare a viverla.
Poi vengono "quelli che crescono", gli studenti: nel 2009, ogni giorno dell'anno scolastico almeno due alunni delle elementari o medie si sono uccisi, stroncati da un sistema che seleziona i migliori in base a una spietata competitività, creando un terreno fertile per varie forme di bullismo.
In Giappone, se non frequenti le scuole giuste sin dall'inizio sei condannato a un futuro di cittadino di serie B. Molte famiglie si indebitano per pagare i corsi di ammissione agli istituti scolastici e alle università più ambite. I migliori insegnanti lavorano a tempo pieno in quei corsi. Le lezioni possono costare l'equivalente di centinaia di euro l'ora. Una bocciatura, in questo contesto, si trasforma in una tragedia familiare e lo studente se ne sente responsabile, «con sensi di colpa che possono sfociare in depressione e suicidio», afferma una professoressa di Osaka. «Se non si può includere nel curriculum un percorso scolastico che testimoni la frequentazione di scuole e Università prestigiose» - spiega - «è inutile mirare a posti di responsabilità. Sono stata spesso in Europa. Conosco lo spensierato disordine in cui vivete. Da voi la vita è scomoda ma allegra. Da noi è l'opposto. In Giappone i cani non abbaiano, i bambini non frignano, i genitori non litigano, gli automobilisti non insultano, i negozi non chiudono mai,treni e aerei sono puntuali, i servizi funzionano alla perfezione. Questo meccanismo oliato è il risultato di un sistema educativo rigidissimo, che forma cittadini ligi al dovere sino alla paranoia. Ora ci presentano il conto da pagare per vivere nell'ordine: il numero dei suicidi».
In un recente dibattito televisivo con tre giovani donne che negli anni del liceo avevano tentato di togliersi la vita, la 26enne Shinohara Eiji ha raccontato di essere arrivata a quella decisione esasperata dopo aver subito per anni umilianti commenti circa il suo sovrappeso da parte di alcuni compagni di classe. Rivelatore l'incontro con il padre, al ritorno dall'ospedale. «Mi ha accolto a braccia aperte. Mi ha stretto a sé. Ha poggiato il capo sul suo petto. Non ci siamo detti una parola. Era la prima volta in tutta la mia vita che ricevevo un abbraccio da mio padre».
Le tre giovani donne hanno poi aggiunto che per resistere alla vertigine del suicidio sarebbe stato sufficiente sentire un po' di calore umano in famiglia.
Al primo Ministro Hatoyama va comunque il merito di aver fatto capire al Paese che i suicidi sono una piaga con cui governo e popolo devono confrontarsi. È la prima volta nella storia millenaria del Giappone.
Fino ad ora il suicidio era una disgrazia privata su cui la dignità imponeva di tacere. Ora il bubbone è scoppiato e la piaga è al centro di accesi e preoccupati dibattiti. Si cerca di capire non tanto le ragioni che spingono tanti individui a rinunciare alla vita: delusioni d'amore, depressioni, fallimenti commerciali, malattie, ma perché tanti giapponesi, davanti alle difficoltà della vita, giungono con apparente facilità alla decisione di togliersi la vita.
Sociologi e storici rilevano che il suicidio è sempre stato un elemento importante della cultura giapponese, fin dai tempi del mondo dei Samurai...
Per i Samurai il seppuku o harakiri (come è più noto in Occidente), il suicidio compiuto affondando la lama nel ventre con un movimento da sinistra a destra e poi in alto, era l'unico modo per cancellare un'umiliazione.
Lo si compiva con solennità rituale, indossando un kimono da cerimonia e stando in ginocchio, seduti sui talloni, con gli alluci sovrapposti, perché il corpo senza vita potesse riversarsi solo in avanti, come un guerriero cade solo in combattimento. Il più abile aiutante del samurai aveva il compito di completare il rito, decapitandolo con un deciso colpo di katana per impedire che il dolore deformasse il volto del samurai.
Anche nel suicidio, come in ogni atto della vita dei giapponesi, dai riti religiosi alla disposizione dei fiori (ikebana), alla cerimonia del tè, l'aspetto estetico ha valenza almeno quanto l'atto in sé.
Questo spirito di stoicismo estremo è stato ereditato dai giovani piloti kamikaze apparsi nell'ultimo conflitto mondiale. Fra i più spettacolari seppuku moderni quello dello scrittore Yukio Mishima, scrittore e drammaturgo che, con il suo fedele seguace Murakatzu Morita, il 25 novembre 1970, davanti centinaia di telecamere e migliaia di soldati inviati dal Governo per fermarlo, si è suicidato nel Ministero dell'Interno nipponico che Mishima e un gruppo di suoi fedeli avevano occupato per protesta contro la decisione del Governo stesso di rinunciare al proprio esercito e affidare la difesa della nazione alle forze armate USA.
Il vescovo Mori, il nunzio apostolico in Giappone arcivescovo Alberto Bottari de Castello e il pastore protestante di Tokyo, Rev. Samuel Koji Arai, non hanno dubbi: la pulsione suicida è dovuta alla mancanza di un dio unico con cui dialogare, a cui chiedere perdono e amore.
I suicidi sono il risultato di una società atea che non vede traguardi oltre il benessere materiale. Quando questo viene a mancare, non resta che il buio della disperazione.
Il Giapponese non ha la cultura individuale che è al centro della civilta occidentale. Si identifica con la scuola che frequenta, con la famiglia, con la ditta in cui lavora, con il suo lavoro, con il suo popolo. Se sbaglia è davanti a loro che deve giustificarsi. Nessun dio viene chiamato in causa. Togliersi la vita non è peccato. È forse il modo più nobile per uscire da una situazione umiliante.
Agli uomini di chiesa occidentali ribatte la scrittrice Kyoko Asada: «Non capirete mai l'anima giapponese finché continuerete a volerla colonizzare. Da Millenni vi arrogate il diritto di stabilire quale sia il vero dio e quale sia il falso, cosa sia il bello e il brutto, cosa sia giusto o sbagliato. Vivere senza il senso del peccato è meglio che tormentarsi nei rimorsi, temendo il fuoco eterno dell'inferno. Lasciateci fare della nostra vita quel che vogliamo».
«Per molti» - afferma infine la traduttrice di narrativa italiana Hiroko Nakamura - «il passo estremo è reso più facile dalla fede nel principio buddista della reincarnazione, che concede una possibilità di riscatto per riprendere il cammino esistenza dopo esistenza, sino al Nirvana o eterna beatitudine divina». Per i buddisti, individui straordinari come Buddha, Cristo, Francesco D'Assisi, Gandhi, madre Teresa sono conosciuti nella loro ultima esistenza, prima di abbandonare l'ormai inutile involucro corporeo e divenire puro spirito.
Per l'occidentale che vive in Giappone, l'impressione è che i giapponesi - che hanno due religioni ufficiali, buddismo e scintoismo, templi meravigliosi, una filosofia spirituale che spazia da Confucio allo Zen, milioni di dei - più che di un dio manchino di concetti umani come il perdono, la tolleranza, la compassione, in una parola l'amore. Qui chi sbaglia sa che deve pagare e nulla potrà evitargli il duro castigo. Per questo accade spesso che qualcuno all'alba lasci un biglietto di congedo, faccia un inchino verso la famiglia dormiente ed esca in silenzio, avviandosi verso la metropolitana da cui scenderà per l'ultima volta. Pochi minuti dopo,nelle stazioni di quella linea apparirà un segnale luminoso che annuncia un ritardo a causa di un ginshinjico, un "incidente con una persona", l'eufemistica formula che indica il suicidio di qualcuno che si è lanciato sui binari.
Il ritardo non sarà lungo: il corpo viene rapidamente portato via, i moduli della polizia velocemente riempiti. E la circolazione riprende, frenetica ed efficiente, come sempre.
*Nota: la foto ad inizio notizia raffigura un cartello ad Aokigahara, foresta alle pendici del Monte Fuji conosciuta anche per via dei numerosi suicidi.
Sul cartello sono presenti scritte atte a convincere gli aspiranti suicidi a riconsiderare la propria decisione ed a contattare la polizia.
Non credo che dipenda dalle religioni, anche se numerosi sociologi classici, hanno cercato di dimostrare proprio il contrario, nei loro studi.
Alla base di tutto c'è l'insoddisfazione, e la rassegnazione. E' più facile rinunciare che lottare per cambiare le cose. Quest'ultima è fose una frase fatta, ma è la pura verità.
Il Giappone, come sempre, fa le cose in grande.
Io sono Atea, e con la prospettiva del nulla dopo la morte vi assicuro che non farei mai nulla per correrci in contro.
I Giapponesi devono allentare la presa, i test d'ingresso e il destino degnato sin dalle elementari, che prospettive di felicità ha un giovane, che sbagliando un esame si segna la vita intera?
tranquilli ci stiamo avviando alla stessa fine ma dal lato opposto...
La religione non centra...
Il suicidio esiste da secoli in Giappone...e "quell'atto"
non è possibile decifrarlo da un'occidentale, con tutta
la buona volontà...
Certo, il concetto vita-morte è diverso da noi...
Ma credo che alla base ci sia un malessere che dipende
dal loro carattere ormai completamente andato...
Troppo diversi da chi abitava quelle terre 100 anni fa,
obbligati e rincorrere stili occidentali e ritmi vertiginosi.
Possessivi, pieni di rancore, testardi, ma il non poter e volere esprimere i loro sentimenti è il colpo finale...
Il suicidio esisterà sempre secondo me, in Giappone come altrove...
Che poi, una religione, il Giappone ce l'ha..anzi, più di una..il materialismo?? Beh, non è un problema solo giapponese, credo, e invece solo lì il numero dei suicidi è così marcato.
Le interviste IMHO rendono bene i termini del problema:
-competività e rigore esasperati
-mancanza di affetto e sostegno famigliare(anzi..aspre critiche se vieni bocciato)
Forse sono questi i termini da migliorare, più che pensare di arginare il problema con pasti caldi e cartelli di dissuasione, che fanno solo da pezze momentanee.
La frase dell'articolo che mi ha colpito di più è:
[Sono stata spesso in Europa. Conosco lo spensierato disordine in cui vivete. Da voi la vita è scomoda ma allegra. Da noi è l'opposto. In Giappone i cani non abbaiano, i bambini non frignano, i genitori non litigano, gli automobilisti non insultano, i negozi non chiudono mai,treni e aerei sono puntuali, i servizi funzionano alla perfezione. Questo meccanismo oliato è il risultato di un sistema educativo rigidissimo, che forma cittadini ligi al dovere sino alla paranoia. Ora ci presentano il conto da pagare per vivere nell'ordine: il numero dei suicidi».]
Contenta di sentire abbaiare i cani e aspettare 2 ore un treno in ritardo, insomma..
ma una via di mezzo non esiste??
Bah.
Ed onestamente alla fine chi si suicida riuscendoci è perchè, come Leopardi, l'unico pensiero ricorrente è un "Non posso, non posso più della vita" (Cit. "Ad Arimane")...
Una scuola per tutti, questo è il mio motto..
La dignità per loro è tutto, viene prima di ogni cosa e perdere il lavoro (causa principale dei suicidi) o non essere ammessi nelle migliori scuole equivale ad un affronto che non possono tollerare nei confronti dei propri familiari.
E' qualcosa che comunque non condividerò mai, spesso chi compie questi gesti estremi non pensa al dolore che causano ai propri cari che non credo affatto preferiscano intascare un assicurazione piuttosto che riabbracciare il proprio affetto.....ma d'altra parte come dice Kyoko Asada noi siamo occidentali e non possiamo capire la loro mentalità...
Inoltre trovo assurdo dire che l'intero sistema di perfezione è un meccanismo ben oliato, allora si può essere rigidi si nell'educazione e fare in modo che milioni di persone siano ligie, però una cosa è educazre ad essere "civili" (cosa che in italia nessuno sa fare) un'altra cosa è mettere un ragazzo con le spalle al muro
Mah...tanta gente sputa sull'Italia ma da noi non s idevono spendere centinaia di migliaia di $ o € per fare un'università che poi ti dia un futuro radioso, per cui sotto questo aspetto preferisco nettamente il mio paese
Credo che bisognerebbe partire dal basso e cambiare un pò il sistema scolastico.. in italia fa schifo per tante cose, ma li (anche se in altre cose) non stanno messi meglio! Alla fine l'età scolare è quella in cui la persona è maggiormente sensibile e permeabile all'mbiente esterno, se arrivi a 18 anni con tanta pressione addosso, un destino già segnato e un'adolescenza non-vissuta, ovvio che a 40 anni ti suicidi! Si nota come il Giappone (ma anche il resto dell'asia) abbia una tradizione pedagogica pressochè nulla, al contrario di Europa e Stati Uniti! E' vero che non devono essere "colonizzati", ma a quel che di buono proviene dal resto del mondo, potrebbero pure interessarsi! Non dico di assimilare interamente la tradizione pedagogica occidentale (la differenza di cultura non si evita così facilmente), ma un'apertura sarebbe caldamente consigliata!
Anche io ho avuto i miei problemi ma non penso neanche lontanamente ad una cosa del genere.certo poi qui si parla del giappone, paese molto diverso per mentalità da noi italiani.
L'italia fa schifo in un modo, il giappone in un altro.
Se il numero dei suicidi è cosi alto deve esserci qualcosa radicato in profondità,nelle fondamenta stesse della loro mentalità,certamente il governo e lo stato deve fare qualcosa per cambiare il paese.Dipende da loro.Come possiamo vedere anche negli anime e nei manga i ragazzi giapponesi sentono una forte pressione su di loro,perchè devono frequentare una buona scuola, accedere all'università,trovare un buonlavoro, non tutti ce la fanno.
Qui in italia ad esempio non è visto come un problema se un ragazzo di vent'anni non lavora (o meglio è un problema) ma è cosi quasi per tutti non c'è questa gran mortificazione, mentre da loro è tutta un altra cosa
Solo così noi possiamo permetterci un certo tenore di vita (auto,smartphone,vacanze,aperitivi nei locali fighi) pur avendo stipendi molto più bassi della media dei paesi sviluppati.
In USA i ragazzi li mandano fuori di casa a 18 anni...e per fare questo si indebitano a morte per casa,auto,college, mentre in Giappone la famiglia è presente si ma fino ad un certo punto e anzi è forse deleterea perchè è la prima a creare pressioni eccessive ed inutili, si inutili perchè alla fine dopo tanti anni passati a tornare alle 22 da scuola e dopo non essere realmente cresciuti e maturati alla fine c'è un popolo di lavoratori marionette senza creatività e senza spirito critico,che sono le uniche due cose che la scuola dovrebbe per lo meno "stimolare"
Ogni paese ha i suoi grossi problemi...diciamo per sdrammatizzare che se proprio piace il giappone forse è meglio completare gli studi da noi e trasferirsi là dopo ^^
Che poi, tanto per fare i debiti confronti, perchè dovrei scandalizzarmi dei 60mila suicidi giapponesi, quando questo bel sistema mondiale "meritocratico" figlio del dollaro (dell'euro no, visto che stanno certificandone la morte cerebrale) lascia morire di fame 15mila bimbi al giorno? Chi si suicida una possibilità di scelta l'ha avuta, chi muore di fame, di sete, di morbillo, no.
Addirittura persone così giovani... certe notizie mi sconcertano, è strano pensare per me che in un paese così organizzato così efficinete ci sia un lato oscuro del genere, di solito il Giappone viene disegnato come un paese perfetto, senza la minima sbavatura ma questo è solo ciò che può sembrare a quanto pare...
Sarà forse che è un paese troppo disciplinato, cioè troppo severo dove c'è solamente una possibilità per alcune persone.
(si trova nei siti di scanlation)
Addirittura elementari? E' agghiacciante! Che motivo plausibile può avere un bambino delle elementari per spingersi a questo, e soprattutto a quell'età che visione si può avere del suicidio, di quello che significa? Sotto questo aspetto la società giapponese è indietro, e fanno bene a darsi da fare.
Il modo più nobile per affrontare una situazione umiliante è quello rialzarsi e ricominciare, non importa quante volte si cade, non importa quante ferite ci si provoca, anche se non me la sento di condannare chi, in una situazione
disperata e tragica, si suicida. Ma nemmeno mi sento di definirlo coraggioso per tale gesto.
Ovviamente non penso che chi sia ateo sia più incline al suicidio. Ma mi rendo conto che molte persone, che fanno del materialismo e il successo la loro ragione di vita, alla fine si ritrovano con un pugno di mosche, vedendo tutto ciò in cui credevano crollare come un mazzo di carte, e nella totale disperazione si suicidano.
Comunque il fattore religioso non c'entra, lo dico da agnostico. Come già scritto nell'articolo, ciò che manca veramente sono valori umani... ma ci può essere conforto e calore in una società che dà solo una possibilità?
Questo articolo mi fa pensare subito all'anime ''Welcome to N.H.K.'' dove hanno descritto come vi siete informati voi, la società (in particolare i problemi) e la cultura giapponese in modo divertente ma rifflessivo però neanche pesante il problema del suicidio , della famiglia, della religione e altri fenomeni legati alla società giapponese.
Questa cultura del suicidio mi ha sempre spaventato ma purtroppo difficilmente puo' essere sradicata dal Giappone,almeno in tempi brevi,considerato che e' un suo retaggio culturale molto antico,radicato nella sua storia.
@Ghibli92:"Il modo più nobile per affrontare una situazione umiliante è quello rialzarsi e ricominciare"
Quanto hai ragione.E parlo per esperienza diretta.
"Da voi la vita è scomoda ma allegra."
Come lo chiamava Aldous Huxley nel Brave New World?Ah si',il "diritto a essere infelici".E ancora una volta aveva ragione.
Non è così semplice, non si può ridurre la questione del credere o non credere a una divinità ad un fatto di superstizione o ignoranza, di ignoranza si può parlare fino a un certo punto, nel medioevo sicuramente ma ricorda che viviamo nell'età dell'informazione nella quale è estremamente facile accedere a conoscenze di vario genere; la gente crede nelle divinità perchè credere è un bisogno innato dell'uomo quanto formare delle società, è opinione comune che il mondo faccia schifo (io dissento): si prova dolore, si muore, gli umani si fanno male l'un l'altro, per poter mangiare bisogna lavorare e si odia in maniera atroce chi riesce ad eludere questa regola, Dio è soltanto una maniera di dare una spiegazione a tutto questo dolore ed ha inoltre lo scopo di "riequilibrare l'universo" attraverso un aldilà che spesso è l'opposto del mondo terreno (in uno non c'è giustizia, nell'altro si viene spediti o in paradiso o all'inferno). Secondo me è una totale assurdità il sogno di stampo illuministico del popolo che si sveglia dalle superstizioni, prende a calci i preti, conquista il vaticano esiliandone gli abitanti e costruisce una nuova società fondata sulla Ragione, molta gente crede anche di fronte a qualunque genere di argomento contro la fede e questo dovrebbe farti pensare, se invece si trovasse una specie di "argomento imbattibile" sulla non-esistenza di Dio talmente evidente e semplice da costringerti ad accettarlo, allora i 30000 suicidi l'anno dei giapponesi sarebbero soltanto un felice lontano ricordo perchè la prospettiva di vita per molti diventerebbe "vivi in un mondo schifoso dove sei costretto a romperti le ossa e a sputare sangue e non ci puoi far nulla".
Come ho sempre detto: non sono i credenti ad essere degli allocchi, sono gli atei ad essere persone "speciali" che sono capaci di vivere senza Dio come batteria psicologica.
In parte la questione religiosa è vera se la si guarda da un punto di vista culturale: in occidente credenti o non credenti siamo comunque cresciuti in un substrato culturale di matrice cristiana che dice "il suicidio è peccato e si va all'inferno", non si può negare che il Giappone che conosce anche la pratica del seppuku è meno frenato da questo punto di vista. Ovviamente non sto facendo pubblicità cristianesimo, non fraintendete.
Infine, questa è una delle volte in cui sono contento di vivere in un paese in cui si fanno le cose alla carlona e si è tanto menefreghisti ma anche tanto spensierati: in fondo in Hetalia è il rappresentante della nostra nazione IMHO a vivere nella maniera migliore pensando solo alla pasta e a divertirsi mentre gli altri si riempiono di problemi.
Perchè non pubblicizziamo il nostro modo di vivere nel mondo spiegando che, accettando un po' di caos e di scomodità nella società, si ha in cambio la leggerezza del vivere?
Sfido io che dopo un po' la gente si stufi e scelga la via più facile per porre fine alle difficoltà!
La scorsa settimana, invece, leggendo un dialogo riguardo le ferrovie, il nostro prof. se ne esce con una battuta: "Perchè se i treni fanno ritardo, i macchinisti si suicidano." Noi abbiamo riso, sapendo quanto siano fissati col lavoro, e sapendo che ne sarbbero capaci, di un'azione simile...
Poi ci accorgiamo che, stranamente (perchè lui è un burlone XD), aveva un'espressione seria... "Davvero! Si sentono così in colpa per aver fatto arrivare in ritardo sul posto di lavoro tutte le persone che trasportavano (perchè per loro è sacrosanta la puntualità), che alla fine si suicidano."
D'altronde è vero ciò che dice la Asada, che dall'esterno, e con la presunzione di non voler approfondire una cultura differente, non la capiremo mai, ma ritengo sbagliate alcune sua parole: Ok che non è giusto imporre, ma non possiamo nemmeno rinunciare ad affrontare problemi e a discutere.
Di contro la Nakamura dice che il buddhismo ha influenza nel fattore siucidio. Non ha importanza essere atei o religiosi, questi fattori religiosi fanno comunque parte della società e nella stragrande maggioranza dei casi ciascuno li assorbe quasi automaticamente.
E se la religione può aiutare a superare questa piaga, ben venga.
Ma siamo seri?????? Spero che sia stato scritto male qualcosa,vorrebbero dire che se si è Atei si dovrebbe avere una maggiore inclinazione al suicidio O_o !!!!
Ho almeno 2 cose con le quali non sono daccordo:
1)Normalmente una persona atea non crede che ci sia nulla oltre la morte indi per cui dovrebbe puntare ad avere il massimo dall'unica vita che ha.
2)Non trovo neanche il proprio senso logico a tutta la frase se una persona si vuole suicidare non pensa prima:"Mah forse vado a parlare con Dio che mi risolve tutti i problemi",certo non dico che una persona non possa trovare nella fede una cura ma sinceramente credo siano una netta minoranza.
Spero di non aver offeso nessuno.
Secondo me non c'entra la religione e in cosa uno crede o non crede, se uno non trova un motivo per vivere è stufo della vita che ha vissuto, anche se non ci sono scusanti del suicidio...
Se fosse davvero come dicono i tuoi prof la popolazione giapponese dovrebbe essere almeno 1/3 dell'attuale
Inoltre so bene che diverse aziende giapponesi hanno iniziato da un paio di anni alcune politiche anti-stress e familiari (sulla spinta del governo) introducendo orari ridotti per i dipendenti e facendo vere e proprie campagne pubblicitarie per andare in vacanza o comunque guardare la vita da un'altra prospettiva, questo perchè anche loro si sono accorti che oltre ad un certo punto essere perfetti non porta poi tanti vantaggi, così come è inutile lavorare 18h al giorno in un mondo che non soffre più si sottoproduzione (come negli anni'80 e '90) ma addirittura di sovraproduzione.
L'unico tallone d'Achille oggi come oggi è la scuola che per la sua natura e per le sue tradizione non risce a cambiare e mutare così rapidamente come può invece fare un'azienda privata
Il ritardo non sarà lungo: il corpo viene rapidamente portato via, i moduli della polizia velocemente riempiti. E la circolazione riprende, frenetica ed efficiente, come sempre.
Sentite un pò, ma vi ricordate certi posti in italia dove è accaduto la stessa cosa ?? Mi riferisco certe spiagge dove la gente si è ammazzata e intorno allegramente si giocava...( va bhè c'è un impulso alla vita
Quantomeno, viva la faccia, in Giappone si sono cominciati a porre un problema: non è che correndo troppo dietro all'idea di essere più bravi, più belli dei "barbari" che ci avevano invaso e dominato - e ci dominano - abbiam fatto una solenne scemenza ??
Forse davvero dovremmo applicare quei principi che tanto predichiamo di pace e serenita...calma e saggezza, e che noi tanto invidiamo all'oriente...certo oriente.
E no ncredo che tutto si possa risolvere con il problema dell'essere o non essere credenti (perché, mi chiedo, tutti i problemi devono avere questa soluzione, o meglio questa scusante?). Conosco credenti che hanno un mucchio di problemi e atei che vivono tranquilli e felici, come d'altronde ci sono credenti che vivono tranquilli e felici e atei che hanno un mucchio di problemi.
Il problema non è qualcosa che può risultare molto lontano come la religione, ma è molto più vicino di quanto si possa immaginare: il problema è dentro di noi.
Espongo solo il mio pensiero, personalmente non riesco a concepire il suicidio,però comprendo che per la cultura nipponica, fin dai tempi dei samurai ha avuto un valore importante, la cos agrave è che chi si suicida non lo fa per l'onore della casata dei samurai, ma per motivi molto meno importanti (sempre secondo me) è questo il problem ada risolvere..
Verissimo.
In una società, quella moderna, dove le persone sono perennemente alla ricerca del piacere, dove i media e il consumismo incitano le persone ad arricchire il proprio bagaglio materialistico, ma non se stessi, succede che quando ai ragazzi mancano i requisiti per essere felici, seguendo i canoni moderni di felicità, a loro, non resta che il suicidio.
«Lasciateci fare della nostra vita quel che vogliamo».
Liberi di suicidiarvi.
Se non sapete cogliere il dono di Dio, colpa vostra.
@Armisael: i Cristiani non credono nella reincarnazione. Studia un po', prima di sparare sentenze.
Eccoli gli anti-Cristiani, che attaccano e sputtanano la religione senza conoscere un H di essa.
Ah, la moda..
(tazebao)"Eh già, i preti cattolici sono indignati dei suicidi. Ateismo? Ma magari vivessimo in una società che si è liberata di superstizioni nate quando vivevamo in caverne e avevamo paura dei tuoni, dei leoni, della siccità o delle alluvioni."
Ed infatti si vedono i risultati moderni di una società atea e materialista.
Ognuno fa ciò che ca**o vuole, senza considerare eventuali conseguenze future (post-morte).
E' la morte delle responsabilità personali.
(Darth Vader)"Come ho sempre detto: non sono i credenti ad essere degli allocchi, sono gli atei ad essere persone "speciali" che sono capaci di vivere senza Dio come batteria psicologica."
Esseri atei, sopratutti oggi, è più una moda, una necessità per essere accettati dagli altri, che una vera e propria scelta.
In tempi bui e difficili come quelli moderni, credere in Dio, e sopratutto essere Cristiani, è un atto di Coraggio.
Checché tu ne dica, non è per via della "società atea e materialista" che in Giappone ci sono più suicidi: il problema dei suicidi in Giappone è annoso, quasi "secolare", a causa sì di una mentalità diversa da quella cristiana (che non vede nel suicidio un "peccato" come invece la mentalità cristiana) ma anche di vari fattori, tra cui la elevata pressione sociale. La religione non c'entra proprio nulla, a mio parere: e del resto, i suicidi ci sono (e pure tanti) anche nei Paesi cristiani. Inoltre, non credo proprio che avere fede o essere cristiani sia un atto di coraggio: è semplicemente un'inclinazione del proprio animo, a volte anche condizionata da una società (come quella italiana) che ancor oggi tende a vedere con diffidenza i non cristiani/cattolici.
Mi sembra che sia TU a sputare sentenze e ad attaccare gli atei, così come attualmente fanno molti rappresentanti della Chiesa cattolica. Ragionando su questi termini, non mi stupisco che sempre più gente si allontani dalla religione cattolica: io stessa, regolarmente battezzata, comunicata e cresimata, nutro per ora una forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica (pur continuando a credere in Dio).
Scusate lo sfogo, sono andata un po' OT: ma quando sento discorsi come quelli di Sheran mi indigno parecchio.
Dissento completamente, io sono ateo e altro che esserlo per essere accettato, son visto male da chi crede e rompe con i finti moralismi... innanzitutto dovresti chiederti perché uno diventa ateo, prima di criticare gli atei a prescindere... come al solito si fa di tutta l'erba un fascio...
"In tempi bui e difficili come quelli moderni, credere in Dio, e sopratutto essere Cristiani, è un atto di Coraggio."
Punti di vista. Per me chi crede è solo chi è troppo debole per accettare che non ci sarà alcuna giusta che punirà i soprusi che vivono, per accettare che tutto quel che viviamo scompaia alla morte...
e chi non crede è spesso colui che non vuole accettare il fatto di dover rendere conto a qualcun'altro che sia più grande e potente di lui...questo è ciò che si potrebbe rispondere. Punti di vista no?
precisando che non credo al concetto di inferno e paradiso.
e chi non crede è spesso colui che non vuole accettare il fatto di dover rendere conto a qualcun'altro che sia più grande e potente di lui...questo è ciò che si potrebbe rispondere. Punti di vista no?"
Decisamente sì, chi non crede può essere qualcuno spaventato da un giudizio divino, ma può essere anche qualcuno che non può ne accettare ne credere nell'idea che esista un dio con una volontà simile a quella umana, con un fine, se un dio esiste, ed ha creato l'universo, allora esso (questa è una mia idea personale, liberi di condividerla o no, come dice Kant discutere di religione e metafisica è inutile, poiché non vi sono modi in cui si può negare un qualcosa che non poggi sull'esperienza umana) deve essere un qualcosa di superiore, che non ha bisogno di un fine, dal momento che essendo perfetto ha già tutto di per se.
Penso di aver condiviso e molto le conclusioni finali di Piersanti, è quella Nipponica una societa iper competitiva ma dove manchino parole ( e quindi i concetti che li definiscono ) quali il perdono, la tolleranza, la compassione, in una parola l'amore... La Comunitas Japan si definisce nei risultati e basta.
Noi italiani nella nostra cultura...nel nostro casinismo, anche, nel nostro pessimismo congenito, nella Chiesa mater et matrigna, nella Nazionale di Calcio... Li alle elementari c'è l'asticella del voto per accedere alla scuola media poi l'asticella del voto per le superiori e poi l'Università..( sempre avanti con esami di tipo nozionistico )
Nelle scuole i vari club sono non momenti di espressione della personalità - ecco il punto - ma ambiti dove "far blla figura - a spingere alla "bella figura" al bel voto, è l'intero comune sentire...L'aria che si respira...
Sono situazioni, però che non sono solo del "lontano Cipangu" le viviamo anche noi...comunemente...Quante volte ho visto la depressione su piccoli campioncini che non superano le selezioni ma per che cosa ?? Per la selezione o per il padre incavolato ?? e nelle partitelle chi è più assatanato ?? I giocatori banbini o i genitori ?
Il Cosplay èla valvola di sfogo dei giovani nipponici, certa vitalità nipponica che si esprime nell'animazione, alcune sranezze si spiegano anche in questo modo. Sfuggire a questo meccanismo coercitivo.
L'unica soluzione che hanno è quella di abbandonare il loro sistema, cosa non facile certo, perdere magari anche un po' di efficienza perché il prezzo che si deve pagare è troppo alto... un bambino devevivere la sua infazia felice e spensierato, non assilato da problemi che possono addirittura portarlo al suicidio, il ritardo di 15 minuti di un treno non è poi la fine del mondo...
io sto studiando la lingua e la cultura giapponese, e posso affermare una cosa:
la religione non c'entra.
non voglio impelagarmi in un discorso sulla religione, perchè sarebbe lungo e forse anche irrispettoso per chi ci crede; in ogni caso non sarebbe attinente.
quello che mi sento di condannare invece è il nostro tipico atteggiamento da OCCIDENTALI.
secondo me nella mentalità dell'OCCIDENTALE c'è ancora qualcosa di quel sentimento di superbia, superiorità nei confronti degli altri, che lo ha portato nell'800 a colonizzare tutto il colonizzabile.
l'OCCIDENTALE caga le sue sentenze osservando da fuori, restando immerso nei suoi pregiudizi, convinto di avere sempre e comunque la verità in tasca, alto dov'è sul suo piedistallo da cui domina tutto il resto del mondo.
l'OCCIDENTALE ha la spiegazione per tutto, finanche per le cose che non conosce. e la cosa grottesca è che ci crede davvero.
INVECE secondo me, la vera conoscenza, in special modo dell'altro, consiste in un INCONTRO, non in un'osservazione di lontano.
so che è difficile, ma per conoscere correttamente una cultura diversa dalla tua, bisogna che tu ti lasci alle spalle la maggior quantità possibile di istanze dogmi e pregiudizi della tua, per incamminarti verso l'altro e incontrarti con lui a metà, unico modo in cui un rapporto può essere fertile.
non ha senso giudicare una cultura così diversa con il tuo metro di giudizio. non avrebbe senso.
sarebbe come inserire la nona di Beethoven in una classifica di musica rock: sebbene la sinfonia sia una delle espressioni più felici della musica di tutti i tempi, se analizzata in un'ottica rock, probabilmente non avrebbe affatto successo.
la cultura giapponese, in questo caso, va analizzata antropologicamente secondo criteri giapponesi.
il suicidio di un giapponese è quanto di più lontano dal suicidio di un occidentale (e qui ovviamente sto facendo una generalizzazione, ma del resto perdonatemi, è impossibile non generalizzare se si vuole intavolare un discorso culturale di questo tipo).
il suicidio per un giapponese ha (o dovrebbe avere) tutta una serie di significati, che sono qualcosa di mai visto nel mondo occidentale.
certo, è vero che stando ai numeri la cosa è preoccupante, ma non credo che in europa si suicidi meno gente.
quella della statistica sui suicidi è un tipico luogo comune dell'occidentale che quando pensa alla terra del sol levante pensa al sushi, ai samurai, ai suicidi e ai manga.
un po' come quando altri occidentali che si ritengono migliori di noi (gli americani su tutti) pensano all'italia come mafia pizza pasta mandolino arte.
ben si capisce che Italia non è solo questo.
quindi: è vero che quella dei suicidi è una piaga non trascurabile in giappone, ma è proprio questo il punto, NON SONO SICURO CHE SIA UN PROBLEMA SOLO GIAPPONESE.
perchè per contro, non realizzare una statistica sui suicidi in U.S.A. o in Europa, fare un rapporto tra le densità di popolazione e trarre qualche conclusione? sarebbe perlomeno più imparziale no?
infine proprio non capisco una cosa:
"più che di un dio manchino di concetti umani come il perdono, la tolleranza, la compassione, in una parola l'amore"
ora...
PERCHE'?
questo è un tipico esempio di idiota occidentale.
laddove non capisce qualcosa, necessariamente quel qualcosa che non capisce non dipende dalla sua ignoranza, ma dal fatto che è ontologicamente sbagliato.
i Giapponesi mancano di compassione e amore perchè si suicidano.
direi che il sillogismo non fa una piega (ironicamente, va da sè).
qui siamo noi a sbagliare: abbiamo criminali al governo, usurai, evasori fiscali, mafiosi che girano liberi per la strada, fascisti dichiarati, papponi, pedofili ecc. e nessuno di questi chiede mai scusa.
e noi tolleriamo.
tutti fanno dei gran crimini e mai nessuno paga.
un Valentino Rossi in giappone dopo le megaevasioni fiscali che ha fatto, di sicuro come minimo non correrebbe più.
uno Scajola, un Bertolaso, un psiconano, in giappone non sarebbero sopravvissuti indenni alle loro malefatte.
certo, ci sarà corruzione anche in giappone, ma se è manifesta come la è qui in italia, di sicuro non resta così impunita. i giapponesi non avranno mai un premier con così tanti capi di imputazione.
loro semplicemente non lasciano scappare le cose, e di fronte a un evento, hanno imparato a fronteggiare le responsabilità.
e vero però che il suicidio è esagerato nella quasi totalità dei casi, ma credo non si debba sindacare sulle decisioni più intime degli individui: questo da sempre è stato il cancro della mentalità occidentale, L'ILLUSIONE DI POTER DECIDERE IL GIUSTO PER GLI ALTRI (dall'eutanasia di Eluana alla democrazia in Iraq per esempio...).
in ogni caso qui opterei per una giusta via di mezzo: non morire come le mosche, ma nemmeno arrivare a una situazione come quella italiana, di SPENSIERATO DISORDINE (per citare la professoressa di Osaka, della quale stimo grandemente l'intervento!!!)
'il suicidio per un giapponese ha (o dovrebbe avere) tutta una serie di significati, che sono qualcosa di mai visto nel mondo occidentale.
certo, è vero che stando ai numeri la cosa è preoccupante, ma non credo che in europa si suicidi meno gente.'
Secondo me, dire che il suicidio per un giapponese dovrebbe avere qualche significato oscuro agli occidentali, è un concetto piuttosto semplicistico. Non penso che per il fatto di essere nati in Giappone, i suoi abitanti considerino il suicidio un concetto pieno di significati, quasi ' nobile'. Penso che invece, come gli occidentali, come qualsiasi essere umano, sia la disperazione, sia l'essere senza via di scampo da una situazione (personalmente, socialmente ritenuta) orrenda il vero motivo di questa scelta.
(Scusa, forse è una risposta un pò pretenziosa e semplicistica, ma secondo me è questa la vera causa, al di là di tutto)
Dovresti essere più "elastico" e rispettoso degli altri, caro mio
Con tutto il rispetto che provo per ogni credenza, non credo che un essere così perfetto abbia fatto affidamento su una serie di testi sacri, ma avrà lasciato sicuramente una traccia della sua presenza nel nostro cuore, che noi chiamiamo coscienza.
"Ma il cuore è spesso ingannevole, quindi avete bisogno di una guida spirituale"... no grazie, potrei ritrovarmi peggio e senza poter nemmeno dire che è colpa mia se ho seguito degli imbecilli.
mi riesce sempre più difficile non parlare di religione e mi impongo di non farlo per rispettare chi crede e le sue opinioni.
detto questo, fino a prova contraria, non c'è nessun precetto dello shintoismo che imponga il suicidio.
sappiatelo.
bene.
molti affermano che i giapponesi siano un popolo ateo e materialista. nulla di più sbagliato.
se mai sono un popolo POLIRELIGIOSO, il che, mi sembra l'affermazione contraria.
in giappone si sono concentrate tre religioni che possiamo dire maggioritarie: il buddismo, importato dalla cina, che l'ha mutuato dall'india; lo shinto, unica religione completamente autoctona dell'arcipelago; e il confucianesimo, anch'esso cinese.
analizziamole una per una, per quanto la sede non mi permetta altro che un'analisi per sommi capi necessariamente incompleta:
il buddismo giapponese non ha niente a che vedere con i monaci tibetani d'arancione vestiti. al momento in cui è comparso in giappone infatti nel VI secolo, si diffuse solo ed esclusivamente all'interno della corte Yamato, e solo in epoca Kamakura (tra 1100 e 1300) venne esteso al popolo. nel momento in cui però si divulgò la notizia di questo nuovo culto, esso venne modificato in modo da essere esteso a più gente possibile: ne venne fuori qualcosa di simile al cristianesimo e da pessimista e ascetica che era, divenne una religione imperniata sulla devozione per tanti dei, utile per accedere al nirvana, che non era più uno stato di illuminazione ma una specie di paradiso simile al nostro. tutto ciò per dare una speranza di vita dopo la morte agli strati più umili della società.
lo shinto invece si basa sulla teoria che tutte le cose del mondo abbiano un'anima e che quest'anima sia divina (panteismo naturalistico): ogni cosa è abitata da un "kami" cioè un dio e tutti questi sono neutrali; lo shinto è quella serie di dottrine che forniscono all'uomo quel ritualismo e quel codice di comportamento tali per cui si possano attirare le energie di un kami in proprio favore piuttosto che a proprio svantaggio. quindi niente di escatologico, niente di pessimistico, ma soprattutto nessuna istigazione al suicidio.
ah, e proprio questa religione dovrebbe fornire una risposta a tutti quelli che considerano il giappone una nazione atea: questi hanno un pantheon di migliaia di dei, hanno uno spiritualismo senza pari, tale che venerano addirittura la natura (ricordiamoci che siamo stati noi europei a partire dalla rivoluzione industriale a sfruttare l'ambiente circostante tanto da modificarlo, e siamo sempre noi che abbiamo avviato il mondo verso il tracollo non essendoci mai curati della natura in cui vivevamo).
e poi non voglio offendere, ma non riesco a non dirlo:
ALMENO I GIAPPONESI IL LORO DIO L'HANNO VISTO.
il confucianesimo infine fornisce un curioso modello di giustizia, ovvero non egualitaria, ma gerarchica: la giustizia è stare al proprio posto. su questo si potrebbe discutere molto ma è quella di cui sono meno esperto e non me la sentirei.
insomma, mi pare che nessuna di queste tre conservi tra i suoi precetti, qualche consiglio di suicidarsi in determinati casi.
ultima cosa: qualcuno potrebbe dirmi che i giapponesi di oggi nella maggior parte dei casi non vivono con spiritualità molto accesa le loro religioni ma magari le vedono solo come sterili riti e superstizioni folkloristiche.
forse è vero.
ma ricordiamoci che vale lo stesso anche per i cristiani di oggi, e per qualsiasi altro religioso.
ecco, lo sapevo. non volevo parlare di religione e ho finito per parlarne lo stesso. in ogni caso adesso il capitolo lo ritengo chiuso.
la faccenda dei suicidi ha poco di religioso, dicevamo.
già da ieri infatto volevo rispondere ad _em_ che ha identificato il punto più oscuro del mio precedente ragionamento -tra l'altro mi scuso per non averlo fatto prima, ma incombono ostacoli all'orizzonte per cui devo studiare parecchio-.
quindi^^
@_em_
non mi piacciono molto i discorsi in cui si devono fare delle generalizzazioni partendo da una serie di casi, e questo è perchè sono assolutamente attaccabili (i discorsi intendo).
purtroppo in questo caso però mi vedo costretto a fare un'operazione del genere:
partiamo da una frase topica.
IL SUICIDIO GIAPPONESE NON E' DETTATO DA DISPERAZIONE.
o almeno, mi sento di precisare, le radici culturali del suicidio giapponese sono altre, non certo la leopardiana infelicità del vivere.
(non escludo comunque che ora i giapponesi lo facciano anche per disperazione, ma in ogni caso la cosa è pur sempre investita di significati più profondi che un occidentale poco attento non potrebbe cogliere).
il suicidio giapponese, e così sfatiamo anche quest'altro mito, DERIVA DALL'ETICA DEI SAMURAI, E NON E' NULLA DI RELIGIOSO.
la stessa parola "samurai" vuol dire "colui che serve, che si mette a lato".
questo in sostanza è il suolo che storicamente hanno avuto i samurai: FACEVANO I SERVI.
e l'etica dei samurai, che attingeva a istanze zen e talvolta confuciane, prevedeva di servire il proprio signore con la più totale abnegazione, fino ad annullare se stessi e la propria personalità in favore del fare bene al superiore.
sono concetti che gli occidentali non tollererebbero e non tollereranno mai... d'altra parte li abbiamo inventati noi i sindacati^^
dicevo.
se il samurai faceva qualcosa di male che comportava dei fastidi al proprio superiore, la cosa era a tal punto ritenuta un fallimento, che per riscattarsi si doveva morire.
il SEPPUKU è visto come un'occasione di riscatto, di estrema fedeltà al padrone e ai valori in cui il samurai ha creduto e dei quali si è nutrito.
condivisibile o meno come concetto, comunque questo era.
c'è un mito in giappone, ad esempio, che racconta questo:
un giorno a un feudatario giunse voce che il più fedele dei suoi samurai aveva compiuto una malefatta. la voce chiaramente non era veritiera, ma questo il feudatario non lo sapeva, e mandò a chiamare il suo samurai, in modo da chiedere spiegazioni.
venuto a parte della cosa, il samurai pur essendo innocente decise di suicidarsi ugualmente e anzi, fece una scommessa con il suo padrone: se fosse riuscito a sventrarsi e poi correre per dieci metri con le viscere in mano fino a inginocchiarsi ai piedi del padrone, questo avrebbe dovuto riconoscere la sua innocenza e riabilitare la sua memoria.
così fu.
il samurai riuscì nell'impresa e tutti lo ricordarono eroicamente.
per l'occidentale la cosa non ha senso, ma per il giapponese si. anche solo una leggera ombra che possa infangare il buon nome del signore, incrina del tutto i valori e l'integrità morale di una persona, e questa persona deve pagare. i samurai scelsero di farlo con la morte: si paragonavano ai fiori di ciliegio, BELLI QUANTO CADUCHI.
e se ci si pensa, secondo me avevano ragione: noi non facciamo altro che tentare di fuggire dalla morte, che comunque come diceva Orazio, è "un'onda che tutti prima o poi dobbiamo navigare". tutti ci ostiniamo a cercare di rimanere vivi il più possibile, anche se assomigliamo più a vegetali che a esseri umani. cerchiamo tutti i rimedi medico-scientifici per arrivare più vicini alla vita eterna...
a me personalmente (e ripeto, A ME PERSONALMENTE) sembra più seria la posizione di un samurai che vede la morte, se ne fa una ragione, metabolizza la cosa e pensa che se proprio si deve morire, che si muoia bene, per una causa in cui si crede.
ci sono inoltre samurai che si uccisero e col loro seppuku cambiarono la sorte di una battaglia, facendo innalzare l'umore delle truppe che in quel modo combattevano per qualcosa da difendere (ad esempio leggete Keiji di Ryu e Hara e subito nel primo numero si vede una situazione del genere).
e ci furono anche degli IDOLI come MISHIMA YUKIO che ancora nel 1970 commettevano seppuku. nel caso di Mishima, la cosa fu plateale: lo scrittore, cultore del glorioso passato della sua nazione, occupò il ministero della difesa profondamente INCA**ATO (passatemi il termine^^) nei confronti del provvedimento che imponeva ai giapponesi di rinunciare al proprio esercito e di essere difesi dagli U.S.A. e dopo aver tenuto in ostaggio il ministro e il suo entourage, tenne un discorso davanti a una gran folla, e commise seppuku praticamente in diretta televisiva.
non era disperato.
Mishima sama credeva in qualcosa, e ha messo in gioco la sua vita pur di ottenere un fine.
una psicologia diversissima dalla nostra, che siamo così poco inclini al sacrificio.
comunque sappi, caro _em_, e sappiate un po' tutti, che i suicidi in giappone hanno tutto questo background culturale:
quando un giapponese delude qualcuno, è un fallimento e un disonore molto grosso, talvolta anche abbastanza grosso da portare alla morte.
che ora poi ci sia una progressiva perdita di senso in tutti gli ambiti della vita umana, questo non lo posso affermare con sicurezza, come non posso affermare con non esistano giapponesi che si suicidano per disperazione.
anzi, sicuramente ce ne saranno tanti.
ma il giapponese quando pensa al suicidio ha ben presente tutta la serie di cose che ho detto, e tante altre che per ignoranza non conosco, o per poca attenzione ho dimenticato.
il suicidio per disperazione è un atto alquanto passivo.
il tradizionale suicidio giapponese è invece un atto decisamente ATTIVO.
chiudo ringraziando mitl^^
sono contentissimo che troviamo un punto di incontro su questa questione^^
tranquillo, sono un samurai non belligerante XD
La gente fa ciò che vuole senza curarsi di eventuali conseguenze (post-morte).
Giusto per fare un esempio, conosci il karma?
Se la gente seguisse ed accettasse questo stile di vita religioso, vivremmo in un mondo certamente migliore.
Riguardo i suicidi, dissi che la mancanza di beni materiali e di realizzazione personale nella moderna società (seguendo i canoni attuali) porta ad una esasperazione eccessiva (depressione), cosa che ha la sua rilevanza tra le tante cause che producono i suicidi, in Giappone ed in tutto il mondo.
Il tutto, condito da una mancata importanza della vita umana, sopratutto in estremo oriente, e da un vuoto interiore che a volte colpisce i giovani.
E inutile dirti che anche in questo caso, l'ateismo ha le sue colpe.
Hai ragione, infatti la religiosissima società cristiana medievale produceva ottimi risultati, con vescovi e papi che erano dei veri e propri monarchi, vero?
"Riguardo i suicidi, dissi che la mancanza di beni materiali e di realizzazione personale nella moderna società (seguendo i canoni attuali) porta ad una esasperazione eccessiva (depressione), cosa che ha la sua rilevanza tra le tante cause che producono i suicidi, in Giappone ed in tutto il mondo. [...]
Concludendo, i suicidi sono il risultato della mancanza di Dio nel cuore degli uomini."
Signori, abbiamo il nuovo Freud; ha scavato così a fondo nel cuore degli esseri umani da esser riuscito a cogliere tutti i problemi dell'umanità, ed aver trovato il motivo...
Patetico, veramente patetico...
Ma come al solito la gente ama parlare a vanvera...
Poi che io sia anticattolico, non anti cristiano attenzione, è vero, ma chiunque abbia un minimo di capacità critica è in grado di capire che tale istituzione è ormai solo un enorme cancro che per il proprio sostentamento consuma più del 75% delle entrate economiche nonostante i vergognosi ed ingiustificati privilegi di cui beneficia.
Pertanto vorrei fare a meno di sentire a ruota continua le cavolate che codesti spacciatori di miti persistono nel proferire.
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