Riportiamo un estratto dell'intervista realizzata dal sito METALROBOT a Flashbook Edizioni, nella persona del Direttore Editoriale Cristian Posocco; l'intervista integrale è disponibile sul sito METALROBOT.
METALROBOT: Come è cambiato il mercato fumettistico nostrano da quando la Flashbook è nata sino ad oggi?
FlashBook Edizioni: È cambiato profondamente. Allora c’erano moltissimi spazi e una grande domanda, ben superiore all’offerta; oggi, al contrario, c’è una grandissima offerta, non adeguatamente supportata da una domanda che invece è andata, proporzionalmente, in calando. Il sistema delle fumetterie è entrato in crisi, e, con esso, l’attuale sistema distributivo, che ha cominciato da un bel po’ a dimostrare tutti i suoi anni, e, soprattutto, l’essere stato concepito in un periodo e in un mercato radicalmente diversi da quelli attuali – e con esigenze, conseguentemente, diverse.
METALROBOT: Si parla di un mercato fumettistico nostrano saturo di serie e di case editrici. Quale è il Suo parere a tali affermazioni? Vere o false affermazioni?
FlashBook Edizioni: La saturazione c’è, eccome. Le case editrici si sono moltiplicate, e, con esse, il numero delle pubblicazioni mensili; ma, parallelamente, non sono aumentati di pari passo né il bacino d’utenza né il “patrimonio” che esso riversa in questo settore. La conseguenza è che gli spazi si fanno sempre più chiusi… e ciò nonostante quasi tutti tendono a inondare il mercato con quantità impressionanti di uscite mensili. Com’è possibile, si chiedono in molti, che si predichi la crisi e poi nascano continuamente nuovi editori, e si faccia a gara a chi immette più testate nel mercato? La questione è semplice: dal momento che non c’è abbastanza spazio per tutti, c’è chi sgomita il più possibile per occupare da solo o quasi tutto questo spazio, così da costringere la concorrenza a levare i tacchi. È una strategia economica, dirà il tempo se è stata valida o meno. Quel che per il momento succede, è che le fumetterie non riescono a reggere l’impatto delle troppe uscite, e diverse sono costrette a chiudere: al sovraffollamento del mercato si unisce, infatti, la crisi economica generale, che impone tagli sia da parte delle fumetterie stesse, che non sono in grado di “assorbire” tutta la produzione, sia da parte degli utenti, che non hanno più risorse da investire nell’entertainment. A ciò possiamo aggiungere l’abbandono di molti lettori di vecchia data, stanchi e annoiati a causa della ripetitività estrema del mare magnum delle pubblicazioni; mentre, di contro, difficilmente ai nuovi lettori viene data l’opportunità di crescere con pubblicazioni “verticali”. Il fatto è che non esiste una vera e propria “cultura popolare” del manga in Italia. Esiste, semmai, una cultura “settoriale”, elitaria e ristretta. Per fare numeri di vendita importanti non si può puntare su un interesse culturale, profondo, e quindi “reale” e potenzialmente duraturo nel pubblico; bisogna puntare, viceversa, sul “brand”, sulla cultura effimera dell’immagine e dell’oggetto alla moda. Su un pubblico giovane che fagocita tutto quello che “tira” al momento, ma che non si farà alcun problema, domani, a dirottare la propria attenzione su un prodotto totalmente diverso. Un orto destinato a morire, perché sfruttato in maniera intensiva e non fertilizzato. Poi, leggo in giro che c’è anche chi sembra pensarla diversamente, e afferma che la crisi non c’è, gli spazi ci sono, e chi dice che c’è crisi è un disfattista, l’importante sapersi muovere, eccetera eccetera. Be’, se è per questo, leggo anche che c’è chi afferma che l’Italia è uscita dalla crisi, che l’economia è già ripartita, che va tutto bene… eccetera eccetera. Chiunque può dire quello che vuole. Tanto i conti, a fine mese, li fanno le famiglie.
Tornando in topic, ritengo bizzarro, d’altronde, pensare che la cultura del manga in Italia possa realmente diventare “popolare”. Per questo Flashbook preferisce concentrarsi al ristretto pubblico degli appassionati, l’unico, al momento, che si possa pensare di coltivare con un occhio anche al domani. Citando una conversazione privata avuta con Gualtiero Cannarsi, “non sarebbe più saggio puntare a coltivarsi una solida nicchia”?
METALROBOT: Flashbook nasce nel 2001, e nel 2003 iniziò la distribuzione dei manhwa in Italia. Ci potrebbe spiegare come mai puntare su questo genere poco comune in Italia?
FlashBook Edizioni: Flashbook nasce per mettere a frutto la grande esperienza accumulata da Saetti Fotolito grazie alle sue collaborazioni con editori storici del manga in Italia come Granata Press, Dynamic Italia, e, per diversi anni, anche Panini Comics. Di conseguenza, la scelta di pubblicare manga era quasi “obbligata”. Gli editori giapponesi, però, sono restii a trattare con una realtà editoriali appena nate e che, ai loro occhi, non possono offrire determinate garanzie non avendo uno “storico” da presentare come biglietto da visita. Il suggerimento di puntare inizialmente sui manhwa giunse da tal Stewart Levi, al tempo amministratore di Tokyopop. In effetti, il panorama coreano, ai tempi, scalpitava per trovare sbocchi nei mercati internazionali, e gli editori si sono dimostrati fin da subito entusiasti di collaborare con noi. La prima reazione del mercato italiano è stata buona risposta positivissima a questa novità, e titoli come Chonchu, Ragnarok, Rebirth, Gung, I.N.V.U. si sono rivelati dei successi superiori a ogni aspettativa. Oggi, purtroppo, le cose sono cambiate, e le prospettive di vendita per un nuovo manhwa sono diventate assai scoraggianti. Ma tanto, come dicono alcuni, non c’è nessuna crisi.
METALROBOT: Riguardo sempre i manhwa. Quali sono le differenze che vi sono fra questi ultimi (i manhwa) ed i manga?
FlashBook Edizioni: Una definizione che ho sempre dato del mercato del fumetto coreano (ma valida un po’ per tutti i mercati asiatici) è quella di “emanazione” del mercato giapponese. E non perché gli autori coreani non abbiano una propria dignità, identità, riconoscibilità. Il discorso è meramente mediatico-commerciale. Dalla sua evoluzione e incredibile espansione dagli anni cinquanta fino a oggi, il manga si è imposto come modello assolutamente dominante in tutta l’Asia, diventando, volenti o nolenti, un inevitabile punto di riferimento e di confronto per chiunque si trovi a fare fumetto in quell’area geografica. Non c’è da stupirsi, dunque, se ci sono diverse caratteristiche in comune fra manhwa coreani e manga giapponesi (sia a livello grafico-semiotico che di meccanismo industriale). Allo stesso tempo, però, i manhwa recano una serie di elementi distintivi e caratteristici che li rendono unici, originali e riconoscibili. L’apprendimento dei codici grafici ed estetici provenienti dal Sol Levante da parte degli autori coreani, infatti, non è stato pedissequo e indiscriminato, ma è andato a fondersi con le tendenze e i dettami delle tradizioni illustrativa e pittorica autoctone. Inoltre, molti lettori hanno la percezione che i manhwa abbiano, nei disegni, un che di “maggiormente realistico”. Questa “sensazione” deriva dalla differenza sostanziale fra Giappone e Corea nel rapporto fra fumetti e televisione. Al riguardo, mi permetto di “pescare” da un articolo che scrissi tempo fa per il portale mangaforever, ma che mi pare non sia più consultabile in seguito al loro cambio di grafica.
In Giappone, il rapporto manga-anime è un rapporto decennale, strettissimo e in continua evoluzione. Se, all’inizio, i manga erano l’origine e gli anime una loro evoluzione, oggi non è più possibile definire un percorso unidirezionale, in quanto nel corso degli anni ha inevitabilmente avuto atto una contaminazione reciproca, un interscambio continuo di codici e simboli, un’evoluzione dell’uno seguendo gli sviluppi dell’altro e viceversa. Il risultato di ciò è che un disegnatore di manga, oggi, non basa più la grafica dei suoi personaggi su una riproduzione riletta e stilizzata di esseri umani (perlomeno non nella maggioranza dei casi), ma pesca direttamente in un linguaggio simbolico già formato che ha come referenti i suoi stessi segni e simboli, senza necessità né interesse di rifarsi al mondo quadridimensionale.
In Corea, invece, è molto più comune che dai fumetti di successo non vengano tratti degli anime, bensì dei drama, fiction con attori in carne e ossa. Ecco che, quindi, quell’interscambio di codici e simboli avvenuto in Giappone non è tecnicamente possibile, ed è quindi nato una sorta di sistema “ibrido”, che utilizza una grafica basata sul sistema di “simboli” sviluppatosi in Giappone applicata a un tentativo di riproduzione della realtà coreana o comunque di un mondo quadridimensionale, con l’intento. mettere in scena l’equivalente disegnato di persone in carne e ossa, e non icone autoreferenziali.
METALROBOT: In poco tempo il parco manga/manhwa ha annoverato titoli e autori importanti (ad esempio Mitsuru Adachi, Yukinobu Hoshino e molti altri) in futuro vedremo altre opere di questi autori o le prossime uscite saranno un mix di autori/titoli affermati ed emergenti del sol levante?
FlashBook Edizioni: Molto onestamente, sarà difficile vedere ancora Hoshino sotto il nostro marchio, purtroppo. 2001 Nights è stato un successone, gli altri suoi titoli hanno incontrato numerose resistenze. Il fatto è che 2001 Nights è quello che in gergo si definisce, scherzosamente, una “girella”: un titolo già noto e famoso perché uscito in un “meraviglioso passato”. Questo basta a farlo ordinare e consigliare dai fumettari e cercare e richiedere dai lettori. Ma da lì, il passo all’autore non viene fatto. Molti che hanno venduto o letto 2001 Nights probabilmente non sanno nemmeno come si chiami il suo autore.
Discorso inverso per Adachi: è un autore che in Italia può vantare un seguito appassionato, competente e fedele. Da parte nostra, ci sarà sempre l’interesse e l’intenzione di pubblicare le opere di questo autore.
Saremo costretti a pensarci molte volte anche quando si tratterà di proporre autori emergenti. Questo perché, come detto prima, nel sovraffollamento dei titoli le fumetterie sono costrette a tagliare, e di solito i primi a essere tagliati sono titoli e autori che non hanno mai sentito nominare. Al momento attuale, lanciare autori sconosciuti è un lusso che solo gli editori più visibile ed “esposti” si possono permettere. E lo dico con molta tristezza, perché scoprire nuovi talenti sarebbe la parte più bella del mio lavoro.
Ricordiamo che potete trovare l'intervista integrale a Flashbook Edizioni sul sito METALROBOT.
METALROBOT: Come è cambiato il mercato fumettistico nostrano da quando la Flashbook è nata sino ad oggi?
FlashBook Edizioni: È cambiato profondamente. Allora c’erano moltissimi spazi e una grande domanda, ben superiore all’offerta; oggi, al contrario, c’è una grandissima offerta, non adeguatamente supportata da una domanda che invece è andata, proporzionalmente, in calando. Il sistema delle fumetterie è entrato in crisi, e, con esso, l’attuale sistema distributivo, che ha cominciato da un bel po’ a dimostrare tutti i suoi anni, e, soprattutto, l’essere stato concepito in un periodo e in un mercato radicalmente diversi da quelli attuali – e con esigenze, conseguentemente, diverse.
METALROBOT: Si parla di un mercato fumettistico nostrano saturo di serie e di case editrici. Quale è il Suo parere a tali affermazioni? Vere o false affermazioni?
FlashBook Edizioni: La saturazione c’è, eccome. Le case editrici si sono moltiplicate, e, con esse, il numero delle pubblicazioni mensili; ma, parallelamente, non sono aumentati di pari passo né il bacino d’utenza né il “patrimonio” che esso riversa in questo settore. La conseguenza è che gli spazi si fanno sempre più chiusi… e ciò nonostante quasi tutti tendono a inondare il mercato con quantità impressionanti di uscite mensili. Com’è possibile, si chiedono in molti, che si predichi la crisi e poi nascano continuamente nuovi editori, e si faccia a gara a chi immette più testate nel mercato? La questione è semplice: dal momento che non c’è abbastanza spazio per tutti, c’è chi sgomita il più possibile per occupare da solo o quasi tutto questo spazio, così da costringere la concorrenza a levare i tacchi. È una strategia economica, dirà il tempo se è stata valida o meno. Quel che per il momento succede, è che le fumetterie non riescono a reggere l’impatto delle troppe uscite, e diverse sono costrette a chiudere: al sovraffollamento del mercato si unisce, infatti, la crisi economica generale, che impone tagli sia da parte delle fumetterie stesse, che non sono in grado di “assorbire” tutta la produzione, sia da parte degli utenti, che non hanno più risorse da investire nell’entertainment. A ciò possiamo aggiungere l’abbandono di molti lettori di vecchia data, stanchi e annoiati a causa della ripetitività estrema del mare magnum delle pubblicazioni; mentre, di contro, difficilmente ai nuovi lettori viene data l’opportunità di crescere con pubblicazioni “verticali”. Il fatto è che non esiste una vera e propria “cultura popolare” del manga in Italia. Esiste, semmai, una cultura “settoriale”, elitaria e ristretta. Per fare numeri di vendita importanti non si può puntare su un interesse culturale, profondo, e quindi “reale” e potenzialmente duraturo nel pubblico; bisogna puntare, viceversa, sul “brand”, sulla cultura effimera dell’immagine e dell’oggetto alla moda. Su un pubblico giovane che fagocita tutto quello che “tira” al momento, ma che non si farà alcun problema, domani, a dirottare la propria attenzione su un prodotto totalmente diverso. Un orto destinato a morire, perché sfruttato in maniera intensiva e non fertilizzato. Poi, leggo in giro che c’è anche chi sembra pensarla diversamente, e afferma che la crisi non c’è, gli spazi ci sono, e chi dice che c’è crisi è un disfattista, l’importante sapersi muovere, eccetera eccetera. Be’, se è per questo, leggo anche che c’è chi afferma che l’Italia è uscita dalla crisi, che l’economia è già ripartita, che va tutto bene… eccetera eccetera. Chiunque può dire quello che vuole. Tanto i conti, a fine mese, li fanno le famiglie.
Tornando in topic, ritengo bizzarro, d’altronde, pensare che la cultura del manga in Italia possa realmente diventare “popolare”. Per questo Flashbook preferisce concentrarsi al ristretto pubblico degli appassionati, l’unico, al momento, che si possa pensare di coltivare con un occhio anche al domani. Citando una conversazione privata avuta con Gualtiero Cannarsi, “non sarebbe più saggio puntare a coltivarsi una solida nicchia”?
METALROBOT: Flashbook nasce nel 2001, e nel 2003 iniziò la distribuzione dei manhwa in Italia. Ci potrebbe spiegare come mai puntare su questo genere poco comune in Italia?
FlashBook Edizioni: Flashbook nasce per mettere a frutto la grande esperienza accumulata da Saetti Fotolito grazie alle sue collaborazioni con editori storici del manga in Italia come Granata Press, Dynamic Italia, e, per diversi anni, anche Panini Comics. Di conseguenza, la scelta di pubblicare manga era quasi “obbligata”. Gli editori giapponesi, però, sono restii a trattare con una realtà editoriali appena nate e che, ai loro occhi, non possono offrire determinate garanzie non avendo uno “storico” da presentare come biglietto da visita. Il suggerimento di puntare inizialmente sui manhwa giunse da tal Stewart Levi, al tempo amministratore di Tokyopop. In effetti, il panorama coreano, ai tempi, scalpitava per trovare sbocchi nei mercati internazionali, e gli editori si sono dimostrati fin da subito entusiasti di collaborare con noi. La prima reazione del mercato italiano è stata buona risposta positivissima a questa novità, e titoli come Chonchu, Ragnarok, Rebirth, Gung, I.N.V.U. si sono rivelati dei successi superiori a ogni aspettativa. Oggi, purtroppo, le cose sono cambiate, e le prospettive di vendita per un nuovo manhwa sono diventate assai scoraggianti. Ma tanto, come dicono alcuni, non c’è nessuna crisi.
METALROBOT: Riguardo sempre i manhwa. Quali sono le differenze che vi sono fra questi ultimi (i manhwa) ed i manga?
FlashBook Edizioni: Una definizione che ho sempre dato del mercato del fumetto coreano (ma valida un po’ per tutti i mercati asiatici) è quella di “emanazione” del mercato giapponese. E non perché gli autori coreani non abbiano una propria dignità, identità, riconoscibilità. Il discorso è meramente mediatico-commerciale. Dalla sua evoluzione e incredibile espansione dagli anni cinquanta fino a oggi, il manga si è imposto come modello assolutamente dominante in tutta l’Asia, diventando, volenti o nolenti, un inevitabile punto di riferimento e di confronto per chiunque si trovi a fare fumetto in quell’area geografica. Non c’è da stupirsi, dunque, se ci sono diverse caratteristiche in comune fra manhwa coreani e manga giapponesi (sia a livello grafico-semiotico che di meccanismo industriale). Allo stesso tempo, però, i manhwa recano una serie di elementi distintivi e caratteristici che li rendono unici, originali e riconoscibili. L’apprendimento dei codici grafici ed estetici provenienti dal Sol Levante da parte degli autori coreani, infatti, non è stato pedissequo e indiscriminato, ma è andato a fondersi con le tendenze e i dettami delle tradizioni illustrativa e pittorica autoctone. Inoltre, molti lettori hanno la percezione che i manhwa abbiano, nei disegni, un che di “maggiormente realistico”. Questa “sensazione” deriva dalla differenza sostanziale fra Giappone e Corea nel rapporto fra fumetti e televisione. Al riguardo, mi permetto di “pescare” da un articolo che scrissi tempo fa per il portale mangaforever, ma che mi pare non sia più consultabile in seguito al loro cambio di grafica.
In Giappone, il rapporto manga-anime è un rapporto decennale, strettissimo e in continua evoluzione. Se, all’inizio, i manga erano l’origine e gli anime una loro evoluzione, oggi non è più possibile definire un percorso unidirezionale, in quanto nel corso degli anni ha inevitabilmente avuto atto una contaminazione reciproca, un interscambio continuo di codici e simboli, un’evoluzione dell’uno seguendo gli sviluppi dell’altro e viceversa. Il risultato di ciò è che un disegnatore di manga, oggi, non basa più la grafica dei suoi personaggi su una riproduzione riletta e stilizzata di esseri umani (perlomeno non nella maggioranza dei casi), ma pesca direttamente in un linguaggio simbolico già formato che ha come referenti i suoi stessi segni e simboli, senza necessità né interesse di rifarsi al mondo quadridimensionale.
In Corea, invece, è molto più comune che dai fumetti di successo non vengano tratti degli anime, bensì dei drama, fiction con attori in carne e ossa. Ecco che, quindi, quell’interscambio di codici e simboli avvenuto in Giappone non è tecnicamente possibile, ed è quindi nato una sorta di sistema “ibrido”, che utilizza una grafica basata sul sistema di “simboli” sviluppatosi in Giappone applicata a un tentativo di riproduzione della realtà coreana o comunque di un mondo quadridimensionale, con l’intento. mettere in scena l’equivalente disegnato di persone in carne e ossa, e non icone autoreferenziali.
METALROBOT: In poco tempo il parco manga/manhwa ha annoverato titoli e autori importanti (ad esempio Mitsuru Adachi, Yukinobu Hoshino e molti altri) in futuro vedremo altre opere di questi autori o le prossime uscite saranno un mix di autori/titoli affermati ed emergenti del sol levante?
FlashBook Edizioni: Molto onestamente, sarà difficile vedere ancora Hoshino sotto il nostro marchio, purtroppo. 2001 Nights è stato un successone, gli altri suoi titoli hanno incontrato numerose resistenze. Il fatto è che 2001 Nights è quello che in gergo si definisce, scherzosamente, una “girella”: un titolo già noto e famoso perché uscito in un “meraviglioso passato”. Questo basta a farlo ordinare e consigliare dai fumettari e cercare e richiedere dai lettori. Ma da lì, il passo all’autore non viene fatto. Molti che hanno venduto o letto 2001 Nights probabilmente non sanno nemmeno come si chiami il suo autore.
Discorso inverso per Adachi: è un autore che in Italia può vantare un seguito appassionato, competente e fedele. Da parte nostra, ci sarà sempre l’interesse e l’intenzione di pubblicare le opere di questo autore.
Saremo costretti a pensarci molte volte anche quando si tratterà di proporre autori emergenti. Questo perché, come detto prima, nel sovraffollamento dei titoli le fumetterie sono costrette a tagliare, e di solito i primi a essere tagliati sono titoli e autori che non hanno mai sentito nominare. Al momento attuale, lanciare autori sconosciuti è un lusso che solo gli editori più visibile ed “esposti” si possono permettere. E lo dico con molta tristezza, perché scoprire nuovi talenti sarebbe la parte più bella del mio lavoro.
Ricordiamo che potete trovare l'intervista integrale a Flashbook Edizioni sul sito METALROBOT.
Incredibile, per una volta condivido un pensiero di shito! O_O
Solo su pchan accadono certe discussioni...
Però con tutto quel giallo mi fanno male gli occhi.
Comunque voi che dite:c'è questa crisi del settore?
Lui che ci lavora, dice di si, e intanto continuano a proporre nuovi titoli, verò che ogni mese non pubbliacano tanto, la colpa è sempre della malefica Planet. Ed escono pure nuovi editori che però per la maggior parte pubblicano fuffa. Non si staranno affossando da soli?
Non loro, in generale i manga in Italia
Infatti >.< sono un pò delusa che una di queste 2 case, non abbia comprato 'Uraboku' oppure 'Kuroshitsuji'. Peccato!
le manga hanno vissuto da noi un periodo storico, nel quale, grazie alla super richiesta, c'era stata la possibilità di pubblicare anche critica fumettistica.
Tutti attualmente sappiamo che Devilman era un'ottima opera, conosciamo Five Stars Stories per la sua qualità di cui ampiamente se ne è parlato nei lustri passati, ecc... Insomma, tra morti e feriti si è riuscita a fatica a costruire una certa critica, anche diffusa, sulle manga.
Tuttavia ora è diverso, ci ritroviamo da qualche anno con questo prodotto, tale manwha, di cui non si sa praticamente nulla, di cui nessuno (da quel che ho visto) di realmente competente parla e ne costruisce una linea storica in grado di discernere le opere maggiori, innovatrici, di alta qualità contenutistica, rispetto alle opere più prettamente di riempimento.
Attualmente è opinione diffusa che le manwha siano delle manga più commerciali disegnate in modo più realistico, so che è un'assurdità (anche il solo pensare che le manga non siano commerciali) ma questo è quello che ho sentito in giro.
Prego perché qualcuno possa far capire a noi italiani, così vergini all'argomento, la manwha e le sue opere in modo più approfondito.
Distinti saluti.
Certo poi Flashbook pur annoverando ottimi titoli e neanche troppo di nicchia credo che abbia poco "potere" con i distributori...certo è che sempre IMHO Posocco non può pretendere di fare i numeri di Panini/Sta/J-pop avendo si ottimi titoli ma per niente commerciali perchè sono tutti di nicchia,toh giusto Adachi ma se me lo fai uscire ogni 3 mesi (Cross Game) non fari mai grandi numeri.
Manwha?Sono tanto quanto il K-pop, uno scimmiottamento coreano (e anche cinese) di prodotti nipponici (manga e j-pop) che sono stati sdoganati in tutto in mondo.Certo non basta qualche Idol e qualche disegnetto fatto in Photoshop per conquistarsi fama e soldi, non per niente i giapponesi sono famosi per essere un popolo fiero ed innovatore, gli altri sono da sempre considerati dei copioni ed effettivamente....
Comunque la Flashbook è una casa editrice di tutto rispetto. Pubblica buone cose, e appena avrò un po' di soldi mi recupero le opere di Adachi...
Per la crisi... bè, è naturale che ci sia, però il fumetto in sè è una cosa a cui non si rinuncia, di solito. Magari si possono diminuire gli acquisti ma è raro che si dica "Per risparmiare non compro più fumetti"...
nemmeno io la vedo così nera...
Un po' come sta facendo la Dynit con i DVD. Ultimamente sta comprando un sacco di serie interessanti, e coloro che le comprano sono i "veri" appassionati.
Quindi secondo me c'è prima un problema di qualità nelle uscite. Possibile che il 95% di quello che c'è siano "shonen" di combattimenti o "shoujo" tutti uguali?
La star comics ultimanente ha portato in italia un capolavoro come "mushishi", non potrebbero continuare così? Oppure perchè non portare "Hayate no Gotoku"? "sayonara zetsubou sensei"?
Ero admin di un forum d'informazione sul jrock praticamente in tempo reale, quindi un'infarinatura su ciò che viene pubblicato in Giappone negli ultimi anni ce l'ho (seppur ami più la scena pre X Japan), e mi è capitato più volte di ascoltare il krock e kpop... e sono giunto alle mie conclusioni.
La scena musicale giappa è vastissima, comprende davvero ottimi musicisti di ogni genere musicale, ma mi voglio soffermare su ciò che vende di più secondo le classifiche televisive (escludendo le opere occidentali)... Togli il testo alle canzoni giapponesi, avranno sempre qualcosa di "particolare" nella loro musica che difficilmente potrebbe essere apprezzato di massa da noi, parlo di Arashi, Greeeen, D'espairs Ray, Gackt, Angela Aki, ecc... Poi ripeto, ci sono sempre i casi come FACT, Aural Vampire, Zeebra e molti altri che invece hanno un suono perfettamente compatibile con la nostra musica.
Con la musica kpop che ho ascoltato invece, almeno riguardo sempre alle classifiche TV, togli il testo e la musica resta perfettamente compatibile ai canoni occidentali.
Anche nei fumetti noto questa cosa, e voglio arrivare al dunque, la Corea è stata colonia inglese, e ha assorbito più cultura occidentale rispetto a un Giappone che sì era una spugna culturale grandiosa, ma con un gusto fermamente rimasto ancorato ai loro canoni, cosa che in Corea non è accaduta causa colonizzazione prolungata fino a poco tempo fa.
Riguardo alla Cina, è così vasta che hanno una scena musicale impressionante, capace di coprire entrambi i pubblici.
E invece oggi colossi del passato come Sony sono in crisi nera di idee e di soldi e altri colossi (Toyota) crescono poco e crescono con molto difficoltà rispetto alle controparti coreane.
I Giappo hanno SEMPRE sbagliato a isolarsi e voler vivere del loro mercato interno (parliamo sia di fumetti sia di tutto il resto) e non volendo mai adattare i loro prodotti al resto del mondo, i coreani invece hanno avuto uno spirito molto più "worldwide" e ora in certi ambiti dettano legge e in altri stanno aumentando il loro peso.
Ciò non toglie che negli anni'80/'90 il Giappone era per la Corea quello che per noi erano gli USA: un paese da imitare il più possibile
Invito comunque a provare qualsiasi cosa di Hoshino, della Flashbook o no
Intanto portiamoli 'sti nuovi talenti in Italia: poi ci pensiamo noi a spammare
Ma solo io ci vedo una grossa contraddizione in questa frase? Comprare licenze di opere realizzate da autori conosciuti è senza dubbio più costoso che comprarne di autori emergenti dunque una casa come la Flashbook dovrebbe puntare proprio a queste ultime, soprattutto visto e considerato che, per ammissione dello stesso Posocco, tendono a rivolgersi ad un pubblico di appassionati che si presuppone sia in grado di distinguere un opera valida da una ciofeca.
Fosse anche vero che è meno costoso (ma di quanto?) puntare su autori sconosciuti, bisogna considerare però che se poi non vendi perchè la gente non va dietro le vere novità, allora ti servono a poco queste "licenze a basso costo" :-/
E' questo il sacrosanto e giustificatissimo timore di un editore coi piedi per terra.
Certo io qualche tentativo continuerei a farlo; in fondo anche Yuji Iwahara era un quasi sconosciuto in Italia (di suo abbiam visto solo Koudelka un decennio orsono) eppure il suo King of Thorn sembra abbia venduto magnificamente, no?
Sì....dicusssioni da nerds. LOL.
@Ryogo: "Solo su pchan accadono certe discussioni..."
Sì....dicusssioni da nerds. LOL.</i>
Epic Quote.
<i>sorcio (anonimo) - 14/10/2010 - 05:31:
@ Ryogo: giusto per curiosità...la Corea quand'è che sarebbe stata colonia inglese?</i>
Quindi mi hanno insegnato male alle medie? Può darsi...
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