Riportiamo dal sito J-Pop un approfondimento su Binbogami!, in vista della imminente pubblicazione del manga:
Ci siamo! Il mitico manga di Yoshiaki Sukeno sta per sbarcare in Italia! La dea della povertà Momiji è qui per voi... per tormentarvi un po'. Dodici volumi in corso, un anime in fase di produzione e una schiera di fan sempre più numerosa, un prodotto JUMP SQUARE, sono tutti ingredienti che rendono Binbogami un manga davvero imperdibile. J-POP lo propone in formato 11X17 a 5,50, con pagine a colori e con cadenza mensile.
Ma chi sono i Binbogami? Cosa rappresenta per la tradizione e per la cutlura giapponese il kami della povertà?
Lo Shintoismo, le cui origini si perdono nel lontano periodo Jomon (10000 a.C. – 300 a.C.), costituisce un tutt’uno con la storia e con i miti delle origini del paese del Sol Levante; parla di dei ma non ha una teologia, segue dei riti (centrale è il ruolo delle feste, matsuri, che talvolta si incontrano in alcune storie di manga o anime) ma manca di prescrizioni precise né possiede un clero organizzato. Senza addentrarci in questo caso in un’analisi più dettagliata dell’avvincente mondo della religione nativa del Giappone, ci basta sottolineare qui come il concetto di divinità espresso dallo Shintoismo (letteralmente, “via degli dei”) sia assai distante da quello proprio delle tradizioni occidentali. Semplificando, non si tratta tanto di una concezione politeista contrapposta ad una monoteista, quanto piuttosto di un’idea diversa del “divino”: gli dei shintoisti (kami) sono forze che si trovano in ogni “cosa” del creato animandola (non a caso si può parlare di animismo) secondo una concezione dell’universo né antropocentrica né teocentrica.
I kami nascono dunque come espressione delle forze della natura nel mondo e solo in un lungo processo di raffinamento e contaminazione con altre tradizioni religiose assumono poi caratteristiche antropomorfe; in questa magnifica concezione vitalistica della natura i kami possono essere gli uomini stessi, magari i defunti, ma anche gli alberi, gli animali, una cascata o una montagna. Come in molte antiche religioni anche qui troviamo la “divinità” del Sole, o quella dei mari e delle tempeste, quella della fertilità e quelle della morte, ma in questo caso il divino permea ogni manifestazione insolita della natura o della vita, si tratti di un albero maestoso e solitario o di un tifone, di un’epidemia o di una sventura che conduce alla povertà.
Proprio quest’ultimo caso ci introduce alla figura che qui intendiamo approfondire: quella del Binbogami. Stiamo parlando del kami portatore di povertà e sfortuna, quello che nessuno vorrebbe trovarsi per casa o, peggio ancora, ad abitare il proprio corpo, attirando su di noi eventi funesti e malasorte.
Sebbene nel manga Binbogami! di Yoshiaki Sukeno venga ritratto con fattezze femminili, la rappresentazione tradizionale vuole il Binbogami come un vecchio uomo barbuto dal volto raggrinzito, vestito di stracci e con in mano un ventaglio, una figura che trae origine dalla tradizione religiosa cinese e che conobbe il suo maggior sviluppo nel corso del periodo Edo (o Tokugawa, 1600-1868) entrando a pieno titolo nell’affollato pantheon delle divinità giapponesi e nella cultura del Sol Levante. Da qui ai successivi riferimenti introdotti in opere di fiction il passo è stato breve: pensiamo non solo alla centralità nell’opera di Sukeno già citata, ma anche all’apparizione ad esempio in episodi di serie televisive Super Sentai (Ninja Sentai Kakuranger), in videogiochi di ruolo (Megami Tensei) e in serie animate (Kamichu!).
Per quanto parzialmente sovrapponibile, il Binbogami non va confuso con il “più generico” Magatsukami, il kami portatore di sfortuna dell’antico Shintoismo cui si oppone il Fukunokami, il dio della buona sorte, anche se proprio a quest’ultimo si lega uno dei modi ancora oggi utilizzati per scacciare il Binbogami dalla propria casa: accendendo un focolare (irori) nel corso dell’ultimo giorno dell’anno infatti si attira proprio il Fukunokami che dovrebbe contribuire all’allontanamento del dio della povertà dalla propria abitazione. In alcune storie pare addirittura che invece proprio saper accogliere il Binbogami nella propria casa possa trasformare questi in un Fukunokami, secondo una concezione circolare ed equilibrata degli opposti che ritroviamo in qualche modo esplicitata nel fumetto di Sukeno: qui infatti Momiji, la protagonista Binbogami, dice che il compito dei kami della povertà sarebbe quello di mantenere l’equilibrio tra felicità e infelicità, attribuendo al suo ruolo un significato meno negativo e più neutro.
Altri metodi per allontanare il kami della sfortuna consistono nel lanciargli contro dei fagioli secchi, nel tentarlo con l’odore del miso (pare lo adori…) o ancora nel soffiare sul fuoco attraverso il bambù, inserire poi una moneta nella canna e gettarla in un fiume nella speranza che il vegliardo dio straccione la voglia seguire.
Il metodo più seguito e che si considera di maggior successo consiste però nel recarsi presso uno dei tanti templi dedicati ai Binbogami sparsi in molti centri del Giappone (ad esempio a Tokyo, ad Osaka o ad Iida, Nagano). Qui i visitatori del tempio, perseguitati dal dio della povertà, possono seguire un antico rituale che prevede di battere tre volte una mazza contro la statua lignea del kami, nel prenderlo poi a calci per altre tre volte per poi finire lanciandogli un po’ di fagioli secchi. Ecco, se anche questa strada non funzionasse forse sarebbe il caso di cominciare a preoccuparsi sul serio!
Qui trovi la pagina di DIRECT dedicata a BINBOGAMI!
Qui trovi il link al sito dedicato alla serie animata!
Francesco Calderone
Ci siamo! Il mitico manga di Yoshiaki Sukeno sta per sbarcare in Italia! La dea della povertà Momiji è qui per voi... per tormentarvi un po'. Dodici volumi in corso, un anime in fase di produzione e una schiera di fan sempre più numerosa, un prodotto JUMP SQUARE, sono tutti ingredienti che rendono Binbogami un manga davvero imperdibile. J-POP lo propone in formato 11X17 a 5,50, con pagine a colori e con cadenza mensile.
Ma chi sono i Binbogami? Cosa rappresenta per la tradizione e per la cutlura giapponese il kami della povertà?
Lo Shintoismo, le cui origini si perdono nel lontano periodo Jomon (10000 a.C. – 300 a.C.), costituisce un tutt’uno con la storia e con i miti delle origini del paese del Sol Levante; parla di dei ma non ha una teologia, segue dei riti (centrale è il ruolo delle feste, matsuri, che talvolta si incontrano in alcune storie di manga o anime) ma manca di prescrizioni precise né possiede un clero organizzato. Senza addentrarci in questo caso in un’analisi più dettagliata dell’avvincente mondo della religione nativa del Giappone, ci basta sottolineare qui come il concetto di divinità espresso dallo Shintoismo (letteralmente, “via degli dei”) sia assai distante da quello proprio delle tradizioni occidentali. Semplificando, non si tratta tanto di una concezione politeista contrapposta ad una monoteista, quanto piuttosto di un’idea diversa del “divino”: gli dei shintoisti (kami) sono forze che si trovano in ogni “cosa” del creato animandola (non a caso si può parlare di animismo) secondo una concezione dell’universo né antropocentrica né teocentrica.
I kami nascono dunque come espressione delle forze della natura nel mondo e solo in un lungo processo di raffinamento e contaminazione con altre tradizioni religiose assumono poi caratteristiche antropomorfe; in questa magnifica concezione vitalistica della natura i kami possono essere gli uomini stessi, magari i defunti, ma anche gli alberi, gli animali, una cascata o una montagna. Come in molte antiche religioni anche qui troviamo la “divinità” del Sole, o quella dei mari e delle tempeste, quella della fertilità e quelle della morte, ma in questo caso il divino permea ogni manifestazione insolita della natura o della vita, si tratti di un albero maestoso e solitario o di un tifone, di un’epidemia o di una sventura che conduce alla povertà.
Proprio quest’ultimo caso ci introduce alla figura che qui intendiamo approfondire: quella del Binbogami. Stiamo parlando del kami portatore di povertà e sfortuna, quello che nessuno vorrebbe trovarsi per casa o, peggio ancora, ad abitare il proprio corpo, attirando su di noi eventi funesti e malasorte.
Sebbene nel manga Binbogami! di Yoshiaki Sukeno venga ritratto con fattezze femminili, la rappresentazione tradizionale vuole il Binbogami come un vecchio uomo barbuto dal volto raggrinzito, vestito di stracci e con in mano un ventaglio, una figura che trae origine dalla tradizione religiosa cinese e che conobbe il suo maggior sviluppo nel corso del periodo Edo (o Tokugawa, 1600-1868) entrando a pieno titolo nell’affollato pantheon delle divinità giapponesi e nella cultura del Sol Levante. Da qui ai successivi riferimenti introdotti in opere di fiction il passo è stato breve: pensiamo non solo alla centralità nell’opera di Sukeno già citata, ma anche all’apparizione ad esempio in episodi di serie televisive Super Sentai (Ninja Sentai Kakuranger), in videogiochi di ruolo (Megami Tensei) e in serie animate (Kamichu!).
Per quanto parzialmente sovrapponibile, il Binbogami non va confuso con il “più generico” Magatsukami, il kami portatore di sfortuna dell’antico Shintoismo cui si oppone il Fukunokami, il dio della buona sorte, anche se proprio a quest’ultimo si lega uno dei modi ancora oggi utilizzati per scacciare il Binbogami dalla propria casa: accendendo un focolare (irori) nel corso dell’ultimo giorno dell’anno infatti si attira proprio il Fukunokami che dovrebbe contribuire all’allontanamento del dio della povertà dalla propria abitazione. In alcune storie pare addirittura che invece proprio saper accogliere il Binbogami nella propria casa possa trasformare questi in un Fukunokami, secondo una concezione circolare ed equilibrata degli opposti che ritroviamo in qualche modo esplicitata nel fumetto di Sukeno: qui infatti Momiji, la protagonista Binbogami, dice che il compito dei kami della povertà sarebbe quello di mantenere l’equilibrio tra felicità e infelicità, attribuendo al suo ruolo un significato meno negativo e più neutro.
Altri metodi per allontanare il kami della sfortuna consistono nel lanciargli contro dei fagioli secchi, nel tentarlo con l’odore del miso (pare lo adori…) o ancora nel soffiare sul fuoco attraverso il bambù, inserire poi una moneta nella canna e gettarla in un fiume nella speranza che il vegliardo dio straccione la voglia seguire.
Il metodo più seguito e che si considera di maggior successo consiste però nel recarsi presso uno dei tanti templi dedicati ai Binbogami sparsi in molti centri del Giappone (ad esempio a Tokyo, ad Osaka o ad Iida, Nagano). Qui i visitatori del tempio, perseguitati dal dio della povertà, possono seguire un antico rituale che prevede di battere tre volte una mazza contro la statua lignea del kami, nel prenderlo poi a calci per altre tre volte per poi finire lanciandogli un po’ di fagioli secchi. Ecco, se anche questa strada non funzionasse forse sarebbe il caso di cominciare a preoccuparsi sul serio!
Qui trovi la pagina di DIRECT dedicata a BINBOGAMI!
Qui trovi il link al sito dedicato alla serie animata!
Francesco Calderone
Ho già Toradora! della J-POP fermo, in attesa del Giappone.
Però in un futuro, potrei pure farci un bel pensierino non è detta l'ultima parola.
Per stavolta passo, vediamo qualche nuovo titolo
per qunto riguarda il manga mi piacerebbe molto comprarlo, appena ne ho la possibilità
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