Prosegue la rubrica a cadenza mensile in cui andare a presentare i manga più apprezzati dalle recensioni della nostra utenza. Per ovvi motivi, la maggior parte dei titoli qui presentati sarà una selezione di quanto pubblicato ufficialmente dagli editori italiani, con ben poco spazio per gli inediti.
In questo secondo appuntamento, ritardato di una settimana per lasciar spazio a Lucca, si andranno a prendere in esami i seinen anni 1990-1999: dopo una classifica dei primi 70 posti si darà spazio ad una serie di recensioni utente su alcuni dei titoli della classifica meno noti al grande pubblico – oltre, ovviamente, al podio.

Buona lettura!

P.S. Specifichiamo per chi ancora non lo sapesse che shounen, shoujo, seinen, josei sono categorie create per le riviste contenitore e poi di riflesso applicate anche ai manga ivi contenuti; come confermato anche da tutti gli studiosi, professori ed esperti sull'argomento, quindi, la rivista di pubblicazione originale sarà l'unico ed il solo parametro con cui catalogare i manga. Per cui, lamentele come “questo manga è troppo maturo per essere uno shounen” o simili sono da ritenersi irrilevanti e verranno pertanto ignorate.

P.P.S. I manga di Evangelion e MPD Psycho sono un caso particolare, in quanto pubblicati inizialmente su una rivista shounen ma successivamente migrati su una rivista seinen. Si è scelto in questo caso di adattarsi a quella che è l'opinione comune sui titoli, sebbene si tratti in ogni caso di una scelta arbitraria.

1 Monster 9,457
2 In una lontana città 8,900
3 Hojo World 3 - L'estate della adolescenza 8,800
4 Al tempo di papà 8,786
5 Real 8,765
6 L'immortale 8,733
7 Eden - It's an Endless World 8,697
8 20th Century Boys 8,667
9 Blame! 8,659
10 Ichi The Killer 8,636
11 Family Compo 8,600
11 Vagabond 8,600
13 Mushishi 8,571
14 Ali d'argento 8,556
15 Evangelion 8,467
16 Gon - Jurassic Pest 8,417
17 MPD Psycho 8,381
18 Jiraishin 8,286
19 L'olmo e altri racconti 8,200
20 Kamikaze 8,125
21 Cestus 8,000
21 Sanctuary 8,000
21 Heat 8,000
21 The Legend of Mother Sarah 8,000
21 L'avventuroso 8,000
26 Ghost in the Shell 7,889
26 Excel Saga 7,889
28 Il vampiro che ride 7,875
29 Alive 7,846
30 Yokohama kaidashi kikou 7,833


>>Tutti i seinen manga degli anni '90<<



8.0/10
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Ad essere del tutto sincero mi risulta alquanto difficile recensire Monster, non tanto perché non abbia un'idea ben precisa a riguardo, bensì perché prima di leggerlo mi aspettavo un "qualcosa" e il fumetto mi ha dato tutt'altro. Il fatto è che questo "altro" è comunque un "qualcosa" di molto positivo sebbene non proprio ciò per cui, spesso, questo titolo viene esaltato e apprezzato.
Monster gode di una incredibile popolarità come opera sul genere giallo-poliziesco, ma a mio avviso tale veste gli sta piuttosto strettina, anzi, scomoda. Personalmente trovo che la giusta prospettiva con cui guardare a questo fumetto sia quella di un manga psicologico con delle venature tipiche di un racconto del mistero e della fiaba, e non un giallo che si basi su una ferrea logica.

Ma esaminiamo più a fondo la questione "Monster" andando a partire da ciò che più comunemente suscita venerazione: la storia. Questa non è veramente complessa (come potrebbe esserlo ad esempio quella di un'opera di Shirow), ma semplicemente molto ben organizzata e sfaccettata, ricca di innumerevoli particolari, di personaggi e di avvenimenti incastrati con abilità. I tempi per le rivelazioni e colpi di scena sono ponderati e ottimamente gestiti; si distribuiscono ed alternano in modo efficace anche i momenti in cui incalza una narrazione rapida e quelli di distensione. Il "problema", tuttavia, è che questa enorme macchina narrativa, sebbene riesca a tenere una notevole coerenza, procede fin troppo spesso per coincidenze e forzature spazio-temporali non indifferenti, per fare un esempio: in ogni città in cui un personaggio arriva questi magicamente incontra un personaggio chiave che gli permetterà di percorrere la retta via, o rimane coinvolto in determinate esperienze che si ricollegano alla storia principale e che guardacaso spesso poi si rivelano importanti per far emergere un ulteriore tassello di questo elefantiaco puzzle. Ogni progresso verso la conclusione è un passo guidato dalla mano del destino, e Dio più che giocare a dadi sembra usare righello e squadretta. Di certo questo non è un buon presupposto per un giallo investigativo, specialmente per come si palesa tale caratteristica nel finale dove, per un miracolo incredibile, tutti i personaggi si riuniranno "casualmente" nello stesso posto e nello stesso giorno, sfidando ogni legge probabilistica e ogni possibile verosimiglianza. Un altro elemento che a mio avviso stona se si guarda a Monster nell'ottica del giallo sono le numerose e corpose storie parallele, le quali non fanno altro che allungare e complicare una matassa di avvenimenti davvero mastodontica. Impossibile non riconoscere l'abilità dell'autore nell'intrecciare tutti questi fili paralleli senza troppe contraddizioni e riuscendo a mantenere una coerenza di fondo, ma il continuo distogliere l'attenzione dalla storia principale risulta a mio avviso controproducente. Un altro appunto che mi sento di fare riguarda proprio una peculiarità di Urasawa: il mondo che lui costruisce gira del tutto, e solamente, attorno ai suoi personaggi, ma questo (e anche gli altri già citati) in realtà è un ottimo aspetto se vogliamo considerare Monster come dovrebbe essere considerato, dicevamo prima, da un punto di vista psicologico.

L'elemento maggiormente affascinante dell'intero fumetto sta proprio nei suoi personaggi, mediante l'inserimento di continue deviazioni Urasawa è in grado di delinearne con estrema accuratezza la caratterizzazione, riesce nella titanica impresa di rendere interessanti quasi tutte le figure che fanno la loro comparsa nella storia, anche quelle secondarie la cui scena è poi destinata a venire velocemente esautorata da quella dei primari e comprimari senza per questo però esserne sminuita o banalizzata. Molti avranno un'evoluzione notevole, come lo stesso Tenma o anche Eva e l'ispettore Lunge, matureranno come persone in seguito alle continue vicende che turberanno le loro esistenze e che li porteranno inevitabilmente a compiere scelte, mettendo in crisi il loro senso di giustizia e convinzioni, e appunto sulla scelta e sulle possibilità gioca l'intero fumetto. Il viaggio nell'animo umano in cui ci porta Monster è incredibile e le varie riflessioni che vengono sparpagliate per l'intero intreccio tra cui, ricordiamolo, le bellissime favole di Franz Bonaparta, si riconducono fondamentalmente all'introspezione e al considerare il "mostro" che ognuno di noi può diventare, uno spietato scontro tra io e super io, moralità e amoralità, ma anche un conflitto tra idealismo e materialismo: donde viene la certezza di una mia decisione o convinzione? Cosa giustifica una scelta? Cosa la rende più giusta di un'altra? Anche quella che apparentemente si rivela l'unica via sensata da percorrere, perseguendo i più condivisibili ed innocenti ideali, potrebbe portare a conseguenze disastrose di cui ci si può rendere conto solo ex-post, ed intanto il destino ci sorride sempre, malizioso, nella sua crudeltà, quasi a volerci schernire. Il personaggio di Johan è l'elemento disturbatore, una sorta di anticristo, il portatore del male e del risentimento, il conturbante araldo del dubbio e delle alternative, più un simbolo che un vero e proprio personaggio, ma egli è genialmente quel motore immobile che non compare mai e di cui si arriva persino a dubitarne l'esistenza, ma a cui tutto tende, l'epicentro di tutte le azioni e motivazioni dei personaggi, loro ultima meta, li induce ad un continuo inseguimento che permette alla fine di capire il loro vero ed ultimo nemico: loro stessi.

Non era Johan a muovere tutti, ma erano tutti a muoversi per Johan, le loro azioni erano dettate dalla loro volontà di inseguire tale mostro e chimera, una loro responsabilità, mentre coloro che dovevano affrontare fin dal principio erano le loro paure, errori e false sicurezze. Lo capisce Tenma, costretto a misurasi con il suo idealismo e saldo intento a fermare Johan per riparare alla sua scelta e ledere il suo rimorso (era stato veramente giusto salvarlo?), lo capisce Nina che, trovandosi a rivangare il passato scopre di possedere memorie che non avrebbe mai voluto riportare a galla, così come loro anche gli altri personaggi si misurano con il caso di Johan per in realtà ritrovare, alla fine, loro stessi, anche Lunge, Grimmer, ma anche l'avvocato e il giovane ispettore di polizia. Peccato per il finale, a mio avviso se si fosse optato per un regime meno lieto sarebbe scaturito di certo qualcosa di meno banale, ma non posso affermare di non averlo apprezzato. Per me è un 8 pieno.


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Com’è la vita di un quattordicenne nel Giappone degli anni ’60?
Molto dura, senza dubbio! Una vita quasi completamente assorbita dalla scuola, dove compito principale del ragazzo è studiare e prepararsi duramente alle scuole superiori e all’ingresso nel mondo del lavoro, dove non gli è permesso fumare, bere, andare a mangiare nei ristoranti da solo, dove il ragazzo è completamente soggetto alla patria potestà e dove non gli è permesso esprimere pienamente se stesso e sentirsi veramente felice.
Hiroshi Nakahara forse tutto questo lo ha dimenticato. In fondo lui ormai è il classico uomo in carriera a cui Jiro Taniguchi ci ha abituati nei suoi manga: grande e grosso, con gli occhiali, con perennemente addosso camicia, giacca e cravatta, completamente assorbito dal lavoro, a tal punto da non potersi dedicare alla propria moglie e alle proprie figlie, sempre in viaggio per lavoro da un capo all’altro del Giappone.
C’è davvero qualcosa che renda felice quest’uomo? Se fossimo in “L’uomo che cammina” Hiroshi sfogherebbe la monotonia della sua vita cercando in lungo e in largo tutto ciò che di buono gli può offrire il mondo, se fossimo in “Gourmet” lo farebbe affogando i suoi dispiaceri nel cibo e se fossimo in “Benkei a New York”, ahimè, uccidendo persone su commissione.
Invece, se a prima vista, l’attacco di “In una lontana città” può ricordare quello di altre opere dell'autore, la storia prende totalmente un’altra piega.
Quello che per Hiroshi inizialmente era un semplice viaggio di lavoro a Kyoto, si trasformerà ben presto in un viaggio nel passato, alla ricerca della felicità perduta, molto più complesso di quanto potesse immaginare.
Intontito dai postumi della sbornia della sera precedente, infatti, l’uomo sbaglia treno e finisce a Kurayoshi, città in cui ha vissuto la sua adolescenza e che ormai non ha proprio più nulla di quel tempo, anche se continua ad essere piena di ricordi.
Complici i fantasmi del passato, Hiroshi comincia a pensare alla sua famiglia, al padre che lo ha abbandonato quando frequentava la seconda media, alla madre morta recentemente, e decide di andare a fare una visita alla tomba di famiglia.
Una visita molto particolare. Infatti l’uomo finisce per addormentarsi davanti alla tomba, ma al suo risveglio il suo corpo si è fatto più leggero, è guarito dalla miopia, ha addosso un’uniforme scolastica, e intorno a lui si respira un’atmosfera diversa… è tornato inspiegabilmente indietro nel tempo, agli anni ’60, quando aveva 14 anni e frequentava la seconda media!
(Ri)comincia così l’avventura di Hiroshi Nakahara, quattordicenne degli anni ’60 con la mente di un quarantottenne degli anni ’90, costretto a ripetere le proprie esperienze del passato. Tutto lo lascia sorpreso: il vedere la sua famiglia ancora unita, il rivedere i compagni di scuola, come il patito di motociclismo Masao Harada (la cui visione inquieta molto il protagonista, visto che egli è morto durante il liceo!), il futuro mangaka Takashi Hamada e l’aspirante scrittore Daisuke Shimada.
Ma la storia non si ripete mai in maniera ciclica, e il nostro Hiroshi lo capirà ben presto, quando la sua mente da adulto lo porterà ad fare cose che nel reale tempo dei suoi quattordici anni non sarebbero mai successe: fumare, ubriacarsi, essere bravissimo nello studio e nello sport, praticare il catch, conoscere avvenimenti del futuro, inimicarsi quelli che erano suoi amici e, viceversa, diventare amico di quelli che gli erano nemici, avere una relazione con la bellissima e irraggiungibile Tomoko Nagase, bellona della scuola con la quale Hiroshi non aveva mai scambiato una parola.
Forse, pensa Hiroshi, se riesce a cambiare la storia in queste piccole cose, allora il suo ritorno al passato può portarlo a realizzare quello che da piccolo ha fatto molto soffrire lui e la sua famiglia: impedire a suo padre di andarsene.
Con la mente di un adulto nel corpo di un adolescente, Hiroshi si rende conto di quanto la società giapponese tolga ingiustamente ai ragazzi di quell’età, ma si trova anche a lodare quell’età spensierata, senza problemi e scocciature di lavoro, apprezzando quanto di più buono può offrirgli.

L'adolescenza secondo Taniguchi. L'adolesenza fatta seinen e raccontata agli adulti.
Non è un caso, infatti, che Taniguchi scelga di ambientare la sua storia negli anni '60 e non al giorno d'oggi, per calarci nei ricordi dell'adolescenza come l'ha vissuta lui, in maniera sicuramente diversa da come la vivono i ragazzi di oggi, ma non per questo meno intensa.
Un'adolescenza forse meno romanzata, con meno rossori, meno ragazzine innamorate del fascinoso senpai, meno club sportivi, mano eclatanti storie d'amore, ma più calata nel quotidiano, nei malinconici ricordi di un tempo che non c'è più, e che riesce ad affascinare i suoi lettori, siano essi adolescenti o meno, con la sua narrazione realistica e le sue atmosfere poetiche.
Ritornano i temi quotidiani tanto cari al bravo Taniguchi, per una storia che è forse uno dei massimi capolavori della sua produzione, in cui l'elemento fantastico del viaggio nel tempo viene sfruttato come deus ex machina per dare il via ad una vicenda che non mancherà di commuovere e toccare le corde dell'animo del lettore grazie al suo realismo, alle sue atmosfere malinconiche, ai suoi disegni curatissimi sin nei minimi dettagli.
Recentemente ristampato da Rizzoli in un'edizione che condensa i due volumi che compongono la serie in uno solo, quasi a voler formare un lungo, autoriale, romanzo a fumetti, In una lontana città è senza dubbio un'opera più che meritevole, capace di mostrare ai detrattori del fumetto giapponese la sua faccia più autoriale e poetica. Consiglio di approfittare della recente ristampa e calarsi nella lettura, non ve ne pentirete.


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<b>[Attenzione, questa recensione contiene spoiler.]</b>

Hojo World 3, come lo stesso titolo vi avrà già suggerito, è il terzo e ultimo volumetto contenente tutte le opere brevi di Tsukasa Hojo, pubblicate in Giappone in varie riviste e poi accorpate all’interno di questa collana. Anche questi tre albi sono stati importati qui in Italia grazie alla Star Comics che li ha pubblicati all’interno della collana Point Break nei primi mesi del 2000, stessa collana su cui sono state poi pubblicate le altre storie brevi di Hojo, Tra i Raggi del Sole composta da tre albi e Rash, serializzata in soli 2 volumetti. L’edizione è quella classica dell’editore perugino, edizione economica che comunque si attesta su un ottimo livello qualità-prezzo. Buona la carta così come la copertina, inchiostro che non lascia tracce sulla punta delle dita, pagine che non lasciano trasparire cosa c’è oltre. Mancano editoriali di spessore e tavole illustrate a colori che avrebbero impreziosito un’opera di spessore come questa. Il prezzo di copertina puntava sulle 6000 lire, che dovrebbero attestarsi sui 3 euro circa attuali. Mettendoci l’inflazione della moneta direi che come edizione si attesta sulla classica edizione attuale Star Comics da 4,20 euro.

L’intera collana rappresenta a mio giudizio una piccola perla che non può assolutamente mancare nella collezione personale di qualsiasi appassionato di manga, ma che consiglierei anche a qualsiasi fruitore abituale di letteratura in genere. Le opere scritte e ideate da Tsukasa Hojo puntano in alto, riescono a trasmettere molto al lettore con tematiche che variano di volta in volta, da storia a storia, ma che mantengono sempre una linea di drammaticità sentita fortemente.

È sicuramente questo terzo e ultimo volume a rappresentare il livello più alto raggiunto dall’autore del Kyushu. Hojo all’interno di questo albo racchiude tre storie legate da un filo comune, l’ambientazione nella prima metà del ventesimo secolo. Ma non sarà la sola ambientazione cronologica a legare questi tre racconti, ma anche la drammaticità da cui queste tre storie sono pervase. Bisogna anche dire che queste tre storie, che concludono la collana “Hojo World”, sono state scritte da un altro autore, e Hojo si è occupato unicamente del disegno. La differenza si vede, ma non eccessivamente, in quanto penso, viste le opere a cui Hojo ci ha abituati, che avrebbe potuto partorire anche da solo queste tre piccole perle.

“Fino alla fine del cielo: la guerra dei ragazzi” è probabilmente la più bella opera presente in questo volume. Una storia che parla della guerra, del sacrificio, della lotta per un ideale in cui si crede, che forse è la patria ma che più celatamente è la famiglia. È la storia di un giovane ragazzo, oberato dall’epoca in cui è nato, un’epoca caratterizzata da ideologie folli in cui a farne le spese sono sempre i migliori. Il giovane protagonista della storia ha un sogno, un sogno che più o meno hanno in tanti, quello di volare. Ovvio che se però ti trovi a vivere in un Giappone degli anni quaranta in pieno conflitto mondiale questo sogno possa realizzarsi per un'unica via. Con questa storia dal finale apertamente drammatico possiamo capire molte cose, capiamo come prima cosa che in una guerra non ci sono i buoni o i cattivi, ci sono persone costrette a combattere. Costrette a combattere a volte da un mentalità chiusa che non accetta il disonore, altre da ordini che vengono dall’alto, altre ancora per la famiglia e volte, come quella rappresentata in questo racconto, in cui queste tre motivazioni si sommano in un’unica strada. Ma da questa lettura capiamo anche che i Giapponesi non sono malvagi omuncoli dagli occhi a mandorla come una sessantennale produzione cinematografica ci ha costretto a pensare. Ma si sa, la storia la fanno i vincitori. Il nostro giovane protagonista, che difficilmente non potrete amare, sceglierà consapevolmente di sacrificare se stesso, forse per la patria, ma con un’ottica più ampia direi per la sua famiglia e per quella mentalità che oggi le nuove generazioni del Sol Levante sembrano aver perso - per sfortuna o forse per fortuna - dell’onore. Insomma un ragazzo schiacciato dalla società e dall’epoca in cui si è trovato a vivere.

La seconda storia presente, intitolata “L’estate dell’adolescenza: Melody of Jenny”, è anch’essa un racconto che viene ambientato nel Giappone degli anni '40, per l’esattezza nel marzo del 1945, quindi a pochi mesi dalla conclusione della Guerra nel Pacifico. Differentemente dalla prima storia che aveva un lasso temporale che partiva dal 1943 per concludersi negli ultimi mesi di guerra nel '45, “L’estate dell’adolescenza” si sviluppa su un arco temporale di pochi giorni. Protagonisti della vicenda sono quattro ragazzini costretti a vivere in dormitori nelle campagne, lontani quindi dai loro genitori, per sfuggire agli incessanti bombardamenti dell’aviazione americana sulle città. Ben presto però le condizioni disumane a cui sono costretti li portano a fuggire per far ritorno alla loro casa e dai loro genitori. Da qui partirà un sofferto viaggio fra le montagne in direzione di Tokyo. Ed è durante il tragitto che si unirà, piuttosto rocambolescamente, un giovane uomo americano sfuggito alla morte in uno dei campi di prigionia sparsi nell’entroterra giapponese. Da una momentanea diffidenza e odio ideologico che soprattutto uno dei quattro ragazzini proverà per il “nemico straniero” comincerà una vera amicizia che non verrà dimenticata col passare degli anni ma che troverà una tragica, odiosa e prematura fine proprio in quel tragico 1945.

“American Dream” è l’ultima storia che chiude il volumetto monografico. Ambientata non nel periodo bellico ma bensì all’inizio del decennio precedente, esattamente nel 1932, trova un’ambientazione spaziale differente dalle due precedenti opere. Se infatti le prime due storie erano ambientate in Giappone, quest’ultima, pur avendo in parte protagonisti del Sol Levante è ambientata, come il titolo vi avrà suggerito, negli USA. E il titolo dell’opera è molto esemplificativo dell’opera stessa: American Dream, ovvero il Sogno Americano, che è proprio quello che il giovane protagonista vuole scoprire e in un certo modo raggiungere, ma che, frenato da sciocchi ideologismi razzistici che preannunciano l’evolversi del conflitto fra Giappone e Stati Uniti scoppiato nel dicembre del 1941, sarà costretto a rinunciare e far ritorno nel Sol Levante. Il protagonista infatti è un brillante lanciatore della Lega Nipponica di Baseball, giunto insieme alla Nazionale Nipponica in America per una tournee di lunga durata. Viste le eccezionali doti del giovane lanciatore ben presto sarà notato dal procuratore dei San Francisco Giants (sempre che siano loro i Giants) che come lui crede in un sogno che però non può più raggiungere. A questa coppia si unirà un’ulteriore coppia formata da un rude ma bonario giornalista assistito in questa tournee da una giovane ragazza giapponese, ma ormai americanizzata, che gli fa da traduttrice. Il finale pur non essendo tragico è soffuso da una componente nettamente drammatica e lo stesso Hojo, nell’ultima pagina del racconto, ci svela il destino a cui i quattro protagonisti sono destinati negli anni futuri. Finale quest’ultimo, purtroppo tragico, e che si lega alla Seconda Guerra Mondiale. Hojo con quest’opera ci fa conoscere un epoca ancora lontana dalla Guerra ma che ne preannuncia già la nascita. Un'America in piena crisi economica che, pur nella sua proclamata democraticità, guarda con cattivo occhio i “diversi”. In questo caso tali individui sono la comunità filo-giapponese, ampiamente diffusa soprattutto sulla costa Occidentale degli States, su cui cominciarono a emigrare già dal diciannovesimo secolo. Odio che si manifesta e ci è messo davanti agli occhi soprattutto attraverso l’unico personaggio femminile della vicenda che lo vive in prima persona. Odio che poi dovrà provare anche il protagonista, che non potrà – ma attenzione, perché sarà lui stesso a compiere questa scelta di maturità e di attaccamento a un ideale che non può tradire – realizzare il suo sogno per il colore della sua pelle.

Inutile dire che si tratta di tre capolavori, di una caratura tale che se esistesse un Oscar o un Nobel per i Manga li avrebbero vinti entrambi. Bisogna anche dire che purché ne consigli la lettura a tutti, senza distinzione alcuna, servirebbe, per meglio comprendere la situazione in cui sono narrate le vicende avere una buona conoscenza storica e sociale dell’epoca in cui sono ambientate le tre vicende. Cosa che forse ai più giovani dei lettori, per ovvi motivi anagrafici, può mancare. Ciò comunque non attenua la bellezza di queste tre storie che rimarranno sempre fra le migliori che abbia mai letto.
In definitiva un dieci secondo me meritato sia per la bellezza dei disegni, di cui forse ho tralasciato il commento ma trattandosi di Hojo non penso ci sia bisogno di analisi di sorta, e per la poesia che le storie riescono a trasmettere. Tre storie “adulte” in cui si può parlare a tutti gli effetti del fumetto come nona arte.

Problematica attuale è reperire l’opera che è fuori catalogo e non è più acquistabile dal servizio arretrati Star Comics. Unica possibilità di acquisto è riferirsi ad una fumetteria che magari ancora tiene qualche copia dimenticata in magazzino o sugli scaffali o puntare, un po’ tristemente a mio dire, sul mercato dell’usato. Situazione che vorrei veder ben presto sbloccata perché sicuramente una collana del genere merita di essere sempre reperibile e meriterebbe anche un’edizione degna delle storie che contiene. Non nego quindi il mio desiderio che presto qualche editore italiano decida di riproporre quest’opera, magari pubblicata all’interno di soli 2 volumetti come mi sembra sia stato fatto in Giappone, in una bella edizione di qualità con sovracopertina, così come tutte le altre opere, minori o meno, di Hojo.


10.0/10
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“Ichi The Killer” è pulp.
E’ un manga pulp come ve ne sono pochi.
Un concentrato di efferatezze, di situazioni macabre, di crimini e di vendette.
Un’opera che colpisce dritto dritto allo stomaco del lettore, che lo disgusta, lo nausea. Un’opera che gli propone vicende dai contenuti forti, come forte è il disegno, come forte è la psicologia dei personaggi, come forte è l’incipit iniziale.

La storia è semplice: si perdono le tracce del boss del clan Anjo: è vivo o morto? E se è morto, chi l’ha ucciso? Perché?
E’ questa la miccia che farà scoppiare la bomba, una bomba carica di morte, di torture, di cacce all'uomo, di flash back. Ogni pagina sfogliata rende i protagonisti più umani, ogni vignetta è necessaria, ogni inquadratura è il risultato d’uno studio approfondito della psicologia dei protagonisti: Hideo Yamamoto vuole rappresentare un mondo veritiero, un “Kabukichou” (quartiere a luci rosse in cui sono ambientate le vicende) reale, non fasullo. Le pagine del manga diventano così fotografie, fotografie di luoghi e di gente… di gente complicata; di gente che soffre, che conosce la paura, la parola “morte”; di gente particolare, stramba se vogliamo, ma non abbandonata a sé stessa nel corso della storia, ma seguita fino alla fine. Se devo essere sincero è questo che m’ha affascinato di più in tutta la lettura: i protagonisti, nella loro “pazzia” sono estremamente coerenti: il timoroso piange, il sadico ammazza, il saggio medita, e così via. Non leggerete le gesta di superuomini né di antagonisti spietati.

Parliamo dei protagonisti principali: Ichi e Kakihara.
Chi è Ichi? E' un ragazzo instabile psicologicamente, un ragazzo debole, timoroso, dalla grande sensibilità, una "vittima"... fatelo piangere e vi ridurrà in pezzettini.
Chi è Kakihara? E' un sadico, un masochista, sempre sull’orlo del dolore estremo, sempre alla ricerca di qualcuno che lo possa accontentare sotto questo punto di vista.
La trama richiede necessariamente, come avrete letto, d’una preda e di un predatore: ma… chi è la preda e chi il predatore? Chi insegue chi?
Davanti agli occhi del lettore si svolgerà uno dei più grandi inseguimenti mai disegnati nella storia del fumetto orientale. Yamamoto li lega dallo <i>stesso feeling che lega il topolino Jerry al gatto Tom</i>.
Solo verso il finale, esplosivo, inatteso, secco e grandioso, si capirà realmente chi fosse l’antagonista e chi il protagonista.

Il character design è perfetto. Graficamente Ichi è l’unico personaggio d’una certa bellezza ed infantilità esteriore, per il resto tra yakuza e prostitute si presenta come un’opera certamente non per ragazzini: le cicatrici, le bruciature di sigarette, i denti spaccati, i tagli deformano i visi e i corpi, non li rendono più graziosi.
Ma non stiamo parlando di puro splatter, termine che indica sangue e carne viva senza un suo perché, qua ogni azione violenta ha uno scopo... a volte più, a volte meno chiaro.
Hideo Yamamoto non è partito con l’idea di raffigurare dolore, sofferenza e brutalità senza senso, ma di presentare una società che non può farne a meno.

L'epilogo mozzafiato e poetico del manga, riassume tutta la bravura e la grandezza narrativa di questo autore… imperdibile.
Consigliato a chiunque ritenga di avere abbastanza coraggio per leggerlo.


8.0/10
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Family Compo è più famoso per essere il manga di minore successo di Tsukasa Hojo, l'autore di best seller come City Hunter e Cat's Eye, che per le sue qualità intrinseche. Per me è veramente un peccato che non abbia incontrato i favori del pubblico in patria, ma sicuramente la svolta radicale di tematiche che ha qui intrapreso Hojo ha fatto storcere il naso ai suoi aficionados, più avvezzi ai canoni narrativi tipici dei suoi manga più famosi, come le atmosfere poliziesche e metropolitane, l'azione e l'umorismo grossolano. Family Compo però è un manga intelligente, divertente e poetico al punto giusto, oltre che coraggioso.

E' la storia di Masahiko, un adolescente rimasto orfano dopo la morte improvvisa del padre, un uomo perennemente impegnato con il lavoro che si è sempre poco curato dell'unico figlio. Alla notizia della morte, verrà a fargli visita una donna mai vista prima da Masahiko, la zia Yukari, la quale gli propone di andare a stare da lei. Masahiko accetta, ma è perplesso: lui ricordava di avere uno zio, non una zia. Giunto a casa degli zii, si trova a stare in una famiglia meravigliosa: Yukari e Sora, il marito, vivono una bella villa in completa armonia, in più hanno una figlia da loro adorata, la cugina Shion, che è una bellissima ragazza. Cosa chiedere di più? Peccato che subito dopo Masahiko scoprirà che quella famiglia perfetta ha un piccolo difetto: Yukari, la zia, è effettivamente lo zio del protagonista! Semplicemente vive vestito da donna e lo stesso fa Sora, che in realtà si chiama Haruka, vivendo nei panni di un uomo. A complicare il tutto poi c'è Shion, la stupenda cugina, che rivela ben presto anche lei il "vizietto" di andare in giro una volta vestita da maschio, un'altra da donna... Ma alla fine è maschio o femmina Shion? Sarà il povero Masahiko a doverlo scoprire. Da qui partirà tutto il tourbillon di avventure tragicomiche che il protagonista dovrà vivere.

La morale di questo manga è palese: una famiglia fuori da qualsiasi canone di normalità è molto più sana e affettuosa di quella moralmente accettabile da cui proviene Masahiko. Nonostante ciò, la velata satira di costume di Family Compo non si traduce mai in un intreccio didascalico o politicamente corretto. Per quanto praticamente tutti i personaggi siano omosessuali o transessuali, non vedremo mai delle lesbiche forti e valorose, dei gay svenevoli e frivoli o dei transessuali intenti a lavorare in qualche localaccio a Shinjuku. Tutti i personaggi rifuggono ogni tipo di stereotipo, sono caratteri tutti a sé stanti, cosa che permette al lettore una facile immedesimazione e quindi, una più facile e credibile comprensione delle loro problematiche, rendendo il messaggio di Family Compo efficace e mai ridondante o perbenista.
A tutto questo poi si unisce un umorismo completamente diverso rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere nei manga di Hojo. Il mangaka qui abbandona infatti l'umorismo slapstick di City Hunter e Cat's Eye, creando invece una commedia molto più sofisticata e dai tratti molto meno frenetici, tutta incentrata su eventi di vita quotidiana più o meno paradossali. Nonostante il cambio repentino di stile, non si rimpiange assolutamente il glorioso passato dell'autore, anzi, questa narrazione più rilassata e riflessiva non manca di divertire il lettore visto che gli spunti comici sono ottimamente gestiti e godibilissimi; inoltre questo tipo di umorismo è il migliore apripista per i momenti di maggiore malinconia o romanticismo, elementi che non sono mai mancati nei manga di Tsukasa Hojo. Solo che se per esempio in City Hunter certe volte lo stacco tra i momenti di completa demenzialità e quelli più drammatici era così forte da risultare stucchevole, qui invece il meccanismo funziona impeccabilmente e alcuni episodi diventano tra i più coinvolgenti della produzione artistica del mangaka.
Il tutto poi ci viene servito su uno stile di disegno che è il punto più alto toccato da Tsukasa Hojo. Forse sono di parte, visto che considero le vignette disegnate da questo autore le più belle di tutto il panorama dei manga. Qui però si arriva a vette stratosferiche di precisione, bellezza e gamma di espressioni: penso che se Tsukasa Hojo sappia dare senza forzature ad ogni sua storia un tocco di poesia è perché sa fare assumere ai suoi personaggi tutte le sfumature del volto e gli atteggiamenti del corpo che vuole. Insomma Family Compo è una vera e propria gioia per gli occhi.

Certamente questo manga non è immune a difetti. Innanzitutto in alcuni punti la storia ha effettivamente delle forzature che non si possono proprio giustificare: basti pensare al fatto che Yukari va al mare in costume e nessuno dubita del suo vero sesso. Ora, un uomo può essere efebico quanto vuole, ma nessuno maschio può essere credibile come donna in costume da bagno, spiacente. Inoltre la vicenda sul vero sesso di Shion si presenta da subito debole e meno interessante rispetto alle altre sotto trame che si affastellano nel manga o ai singoli episodi. Penso che anche lo stesso autore se ne sia accorto, dandogli un peso non così rilevante nell'economia di tutta la serie. Infine, il finale, ahimè, lascia con l'amaro in bocca.
L'edizione italiana della Star Comics poi ebbe da subito una peculiarità che ricordava la prima edizione di Video Girl Ai. Se in Video Girl Ai la posta dei lettori divenne quasi subito l'alcova degli innamorati respinti che sfogavano nella casella delle lettere della Star le loro vicissitudini sentimentali, la posta di Family Compo divenne... il luogo per tanti lettori dove potere finalmente dichiararsi gay. In effetti quando venne pubblicato, nel 2000, di manga e fumetti a tematica GLBT (acronimo che sta per gay, lesbian, bisex e transex e che indica le opere che affrontano questo tipo di tematiche) praticamente non esistevano nelle fumetterie, se non di estrema nicchia. Nemmeno la questione dei diritti dei gay aveva la risonanza che ha tutt'oggi. Quindi, tutti gli utenti che scrivevano ringraziavano sentitamente i Kappa Boys di avere portato in Italia quest'opera di Hojo, perché leggendo le avventure di Masahiko molti si erano finalmente accettati, visto che avevano capito di essere come i membri di questa particolarissima famiglia: delle persone normali.
Sarà anche per questo che reputo Family Compo il manga più bello di Tsukasa Hojo assieme a L'Estate dell'Adolescenza?
Da riscoprire assolutamente.


9.0/10
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Primo frutto del felice sodalizio tra Buronson, "padre" di Hokuto No Ken, e Ryoichi Ikegami, noto al grande pubblico per opere come Crying Freeman e Mai la ragazza psichica. Adrenalinico e complesso, allegorico e multiforme, denso e commovente come pochi: tutto questo è Sanctuary, una storia di violenza, sesso, intrighi e ideali che non può assolutamente mancare nella libreria di un appassionato di seinen.

"La via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni", recita un vecchio adagio: impossibile determinare che cosa sia più spaventoso, se la facilità con cui ci si trova ad imboccarla o la difficoltà di ripercorrere in senso opposto quel cammino che in principio ci era sembrato tanto agevole. Per Akira Hojo e Chiaki Asami l'inferno è la Cambogia, che in otto anni di guerra civile li ha privati di tutto, dagli affetti all'infanzia. Non della voglia di vivere, però, a cui si sono aggrappati con tutte le loro forze nonostante la fame, gli stenti, i continui abusi e gli orrori a cui sono stati costretti ad assistere nel corso della loro prigionia.
Raggiunto il confine con la neutrale Thailandia, e con esso la salvezza, al ritorno in Giappone i due, ormai legati da un'amicizia indissolubile, trovano un paese indebolito nello spirito a causa del troppo benessere. In particolare i giovani, che non hanno mai conosciuto tempi di instabilità o incertezza, si trascinano lungo il sentiero della vita senza entusiasmo né gratitudine per tutto ciò di cui i rispettivi padri e nonni hanno fatto in modo che potessero godere. Per contro, i pochi ragazzi disposti a mettersi in gioco per il bene della nazione devono fare i conti con l'ostruzionismo di coloro che ne monopolizzano la scena politica, economica e sociale fin dai tempi del Dopoguerra, gelosi del testimone che è stato loro affidato al punto di non volersene mai più separare.
Asami e Hojo, che sanno bene cosa vuol dire lottare per vivere, rimangono disgustati da questo Giappone senza spina dorsale né ideali. Decidono quindi di provare a cambiarlo, con l'obiettivo di trasformarlo in quello che hanno ribattezzato il Santuario: un paese forte e padrone di sé, rispettato dalle altre potenze e soprattutto dai suoi stessi cittadini che ne costituiranno il cuore pulsante. Hojo lascia la scuola per entrare nella Yakuza, mentre Asami prosegue gli studi al fine di diventare un politico. Se uno di loro dovesse fallire nel suo intento anche l'altro cadrebbe assieme a lui, vanificando qualsiasi sforzo compiuto fino a quel momento. Come si sono ripartiti i compiti? È presto detto: con una partita a morra cinese, proprio come facevano ai tempi della guerra quando c'era una decisione da prendere. Tra inimicizie pericolose, alleanze provvidenziali, intrighi internazionali e qualche affare di cuore la scalata al Santuario si preannuncia molto impervia, ma nessuno dei due è il tipo che molla facilmente. Riusciranno a ridestare il Giappone dal suo venefico torpore?

A parte alcune licenze dal sapore hollywoodiano, ahimè necessarie per far sì che la storia proceda lungo i binari prestabiliti, la sceneggiatura si presenta estremamente calibrata ed incisiva, con un perfetto senso del ritmo e della simmetria. Del resto il tempo è uno dei cardini attorno a cui ruota la storia, soprattutto nei primi e negli ultimi volumi: Hojo e Asami non rimarranno giovani per sempre, e la mole di lavoro da fare è tale che non possono concedersi neppure un attimo di esitazione. Occorre agire subito e in perfetta sincronia, sfruttando al massimo le infinite opportunità offerte dalle rispettive posizioni.
Anche il fronte psicologico riserva moltissime soddisfazioni, e non solo per quanto riguarda i protagonisti: a parte qualche "clone" sacrificabile tra gli yakuza non c'è un solo personaggio a cui Buronson non abbia saputo conferire la giusta profondità, nonostante alcuni di loro compaiano meno di quanto meriterebbero. A tale proposito l'esempio più lampante è indubbiamente quello di Kyoko, vicecapo della polizia del distretto di Roppongi alle calcagna di Hojo: non passerà molto tempo prima che da Action Girl della situazione si trasformi in un soprammobile semovente, tuttavia non si può negare che il suo amore per l'aitante malavitoso, pur essendo un classico, sia stato trattato con molta sincerità e delicatezza. Del resto Hojo è talmente carismatico che qualsiasi donna faticherebbe a stargli dietro, e se c'è una cosa di cui Sanctuary non ha assolutamente bisogno è una Mary Sue.
Rimanendo in tema è probabilmente inutile sottolineare che la forza d'animo di Hojo abbia sul lettore un impatto ancora più forte in virtù del fatto che, dei due protagonisti, è quello che corre i pericoli più tangibili. Sarebbe tuttavia ingiusto affermare che Asami gli sia inferiore, o che il suo lavoro sia più facile: molto semplicemente la sua forza si manifesta in maniera diversa, il che, come fa notare lo stesso Hojo, non gli avrebbe comunque impedito di essere un ottimo yakuza qualora la sorte avesse deciso così.
Tra i comprimari meglio caratterizzati spicca senza dubbio Tokai, grande amico di Hojo, che contrappone alla sua scelleratezza una lealtà a dir poco granitica; tuttavia devo dire che quasi tutti gli yakuza mi sono parsi ben caratterizzati, in particolare i boss delle varie famiglie. Certo il manga non è molto illuminante riguardo alle leggi non scritte della "mala" del Sol Levante, e neppure ne fornisce una contestualizzazione storica o sociale particolarmente approfondita, ma per questo ci sono ben altre fonti da cui è possibile attingere.
Sul fronte degli alleati di Asami, invece, meritano una menzione speciale i parlamentari "debuttanti" Sengoku e Yoshikawa. Ma dopo i protagonisti il personaggio più intrigante è il vecchio Isaoka, machiavellico segretario del Partito Liberal Democratico, che rappresenta il più grande ostacolo alla realizzazione del Santuario: un uomo di fronte al quale persino il primo ministro è costretto ad inchinarsi, tanto è il potere che detiene a dispetto dell'età e del rango.

Il tratto di Ikegami, deliziosamente cinestetico ed impreziosito dall'inconfondibile vena di realismo che da sempre lo caratterizza, si sposa perfettamente con lo spirito dell'opera: ogni tavola è curata nei minimi dettagli e le espressioni dei vari personaggi risultano sempre molto naturali e azzeccate. Certo la faccetta pulita di Hojo, così come il suo modo di vestire da gangster dei film d'annata, fa un bel contrasto con quelle degli energumeni da cui è circondato di solito, eccezion fatta per Tashiro, il suo fido aiutante, dall'aspetto quasi troppo rassicurante per essere un mafioso. Confesso, inoltre, che la mancanza di tatuaggi sul corpo del nostro co-protagonista mi ha lasciata un po' interdetta: è vero che non sono un'esperta in materia, ma mi sembra piuttosto strano che non abbia mai dovuto sottoporsi a questa pratica. Voglio credere che sia stata una svista.
Decisamente struggenti le scene ambientate in Cambogia, che pur essendo molto brevi posseggono un'incredibile immediatezza: sull'argomento ho visto soltanto un'opera capace di impressionarmi più di così, ed è il bellissimo Urla dal silenzio di Roland Joffé.

Si pone infine una questione di carattere etico su quale sia il messaggio del manga e su come Buronson abbia deciso di dargli forma. Asami e Hojo non sono dei santi, questo è chiaro a tutti, né si può certo dire che la Yakuza venga santificata, e neppure che l'ago della bilancia penda smaccatamente dalla parte della politica giapponese, di cui viene offerto un quadro tutt'altro che confortante. Anche in questo caso bisognerebbe saperne di più per poterne giudicare la resa in formato cartaceo, ma in linea di massima direi che tutto il mondo è paese. In mezzo a questo mare di violenza e menzogne, tuttavia, vi sono anche concetti molto positivi quali l'importanza dell'amicizia e di lottare per ciò in cui si crede: da questo punto di vista che i due protagonisti vogliano trovare le Sfere del Drago, diventare mangaka o cambiare il destino del loro paese è del tutto ininfluente, perché si tratta di valori applicabili a qualsiasi aspetto della vita di un essere umano. Ecco quindi che, volendo, si può considerare Sanctuary come un manga di formazione. Qualunque accezione si voglia gli si voglia conferire, comunque, l'intrattenimento è assicurato, il coinvolgimento emotivo anche, e questo è più che sufficiente per venire incontro alle aspettative di qualsiasi lettore.


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Nel 1990 dal desiderio di due autori nasce la voglia di creare un’opera fantascientifica. Si tratta di Katsuhiro Otomo, già acclamato autore di opere quali Akira, e Takumi Nagayasu. Quest’ultimo è l’artefice principale della nascita di questa immensa opera che ha richiesto numerosi anni per essere scritta, soprattutto per colpa dei numerosi impegni di Otomo, perché in un periodo nel quale amava particolarmente la fantascienza si disse desideroso di disegnare una storia del genere, e la fortuna volle che tale desiderio arrivasse alle orecchie di Otomo che iniziò subito a gettare su carta le sue idee. Così Nagayasu emerge dalle torbide acque dell’anonimato disegnando con superba maestria, nonostante si lamenti della sua “incapacità” nel curare design futuristici, un lavoro durato circa quindici anni e destinato a rimanere negli annali dei manga.

Dopo una devastante guerra nucleare il mondo è sconvolto da terribili cambiamenti e l’umanità è costretta ad evacuare il pianeta su colonie spaziali. Per far tornare la Terra vivibile il governo decide di lanciare un ultimo epocale ordigno nucleare, ma la resistenza incontrata da buona parte del popolo è più numerosa del previsto. Nascono così due fazioni divise, gli Epoch e i Mother Earth, che cominciano una guerra intestina alle colonie. Ed è proprio per queste rivolte che Sarah vede la sua famiglia sconvolta: il marito viene inseguito perché un membro di ME e un’esplosione costringe alla fuga i coloni che si preparavano allo sbarco e nella ressa Sarah vede separarsi da lei anche i tre figli, rimanendo sola con il neonato. Dopo anni ritroviamo così sulla Terra desertificata una Sarah più vecchia e dai lineamenti del viso adombrati dalle pesanti sofferenze vissute, ma nello sguardo si percepisce la forza vitale e l’orgoglio della madre che cerca i suoi figli, senza mai perdere la speranza. Dopo aver visto questo volto ricco di sentimenti per il lettore sarà impossibile staccarsi dalla lettura, è già iniziato l’incredibile viaggio in compagnia di Sarah.

La storia è strutturata in maniera molto semplice ma incredibilmente intrigante; nei primi volumi il viaggio di Sarah porta il lettore attraverso paesi in sviluppo che arrancano a sopravvivere ma mostrano i più venali peccati umani, dalla sete di oro e soldi a ben più intricati problemi riguardo alla prostituzione minorile e alla religione. Si tratta di argomenti pesanti e maturi che vengono intrecciati in modo intelligente, creando così più di un’occasione nel quale riflettere. Non mancheranno situazioni dure anche a livello psicologico che, anche se prive di particolari argomenti, potrebbero disturbare non poco il lettore più sensibile.
Il viaggio di Sarah sembra destinato a concludersi prima del previsto ed è in quel momento che nella trama trova posto in maniera decisamente più corposa anche il lato politico di questo nuovo mondo, difatti l’argomento della guerra tra Epoch e ME era solo lievemente accennato nei passati volumi. Così la tragedia personale di Sarah finisce per intrecciarsi con il destino della Terra in più occasioni e per diversi motivi, andando così a creare un intricato intreccio narrativo che valorizza ancora di più l’abilità di Otomo. Si arriva così ad un finale ricco di emozioni, colpi di scena, rivelazioni e tantissimo stupore, il cui unico difetto è forse la conclusione abbastanza aperta e dispersiva, anche se ricalca perfettamente l’ideologia dell’opera.

Le caratterizzazioni, per quanto ben fatte, risultano abbastanza semplicistiche e neanche troppo profonde, anche se risultano ottime ai fini narrativi. Il fiore all’occhiello sarà comunque Sarah, che da sola riesce a tenere in piedi l’intera opera. Una Sarah che senza dubbio si può definire un'Amazzone, in ogni senso. Tra le varie etimologie si può trovare quella che indica le Amazzoni come guerriere “senza seno” e il modo in cui venivano dipinte è congruo a questa nomea, e quando si vedrà il primo grande e sofferente segreto che porta in grembo la coraggiosa eroina sarà impossibile non definirla tale, difatti il corpo di Sarah è come una macchina scolpita dagli scontri: cicatrici, lividi, mani rovinate e soprattutto uno sguardo pesante e duro che mostra tutta la sofferenza alla quale è stata sottoposta, ma sotto quel lembo di cuoio che protegge il cuore e in fondo al profondo sguardo si evince tutta la forte personalità della donna e della madre, e basterà quello a scaldare il cuore del lettore.

I disegni del misconosciuto Takumi Nagayasu si rivelano perfetti in più di un’occasione, non solo nel profondo sguardo di Sarah. Il tratto pulito e deciso e coronato da uno stile sobrio e naturale, in se è facilmente confondibile con molti altri autori tipici della generazioni, ma riesce a donare giusta personalità all’opera. Nonostante questa scarsa originalità riesce lo stesso a donare un character design vario e ben curato, una minuziosa cura che va dai singoli ciuffi di capelli a una scarmigliata barba troppo cresciuta, passando anche per l’abbigliamento di fortuna perennemente macchiato da sabbia e sangue, rovinato dalle intemperie e dagli scontri.
Le scene d’azione sono dinamiche e ricche di movimento, ma senza dubbio la parte più riuscita sono gli sfondi e le cittadine distrutte e diroccate. Gli edifici, come i rari automezzi, sono formati perlopiù da detriti e da pezzi di fortuna ricavati dalle rovine precedenti, creando così un’atmosfera unica che ben incarna il mondo alla deriva che cerca una rinascita, ma il fiore all’occhiello sono senza dubbio le panoramiche e le prospettive su vasta scala, i lunghi deserti che si perdono fino all’orizzonte spesso richiedono due pagine per incredibili illustrazioni che lasceranno a bocca aperta.
In ogni situazione l’illustratore si fa notare per il sapiente uso dei neri e dei toni grigi che vengono dosati con cura senza mai eccedere, aumentando così al profondità delle immagini e soprattutto arricchendo le tavole con ombreggiature e sfumature che mai una volta risultano pesanti o invasive.

L’edizione italiana della Panini offre alti e bassi. I materiali sono discreti, offrono sovraccoperte con effetto lucido, pagine a colori su carta satinata, una rilegatura resistente e flessibile, mentre la stampa, pulita e incredibilmente perfetta senza il minimo difetto, è effettuata su carta dall’elevata grammatura dai toni giallastri che magari ben incornicia il sapore retrò e malinconico dell’opera, quasi fosse una leggenda antica, però rischia di far perdere l’effetto di alcuni leggeri retini.
Il prezzo, anche se leggermente elevato, si rivela congruo al numero di pagine: nei volumi più sottili se ne contano almeno 230, arrivando persino a volumi da 350 pagine, lasciando il prezzo invariato.

Una fiaba, una leggenda, una storia di un mondo che cerca nuova vita sottolineando la stupidità umana e una dramma tragico di una famiglia divisa che cerca nuovamente la serenità, il tutto rappresentato da una sola donna che entrerà nel cuore del lettore e non lo lascerà più. Un’opera unica, avvincente ed emozionante che si farà ricordare a lungo, da tramandare ai posteri, come monito e come classico del fumetto mondiale.


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E' difficile descrivere un capolavoro (e YKK è un capolavoro), perché mancano i termini di paragone. Si può parlare di ciò che raffigura, dello stile con cui lo fa, ma, in definitiva, come si può descrivere la "Pietà" di Michelangelo? Dicendo che è scolpita bene?

Il genere "iyashikei" è considerato un sottogenere dello Slice-of-life. In comune con questo ha l'attenzione centrata sui personaggi più che sulle situazioni, l'assenza di una vera trama e, spesso, di una conclusione. C'è più una generale direzione degli avvenimenti (a volte i cambiamenti causati dal semplice scorrere del tempo), che lega delle storie di natura episodica, che mostrano la vita quotidiana dei personaggi, senza veri drammi o suspense.
Ciò che caratterizza maggiormente lo Iyashikei (che ha avuto il suo esempio di maggiore successo nelle varie incarnazioni di "Aria") è il ricorso a pochi personaggi, generalmente in buoni rapporti tra loro; pochi dialoghi; relazioni strette che si evolvono con lentezza, senza conflitti; un apprezzamento per la natura, per i panorami, e per le "piccole cose belle della vita"; un'attenzione zen per lo svolgimento delle azioni più semplici, la predilezione per gli incontri casuali, e per il modo in cui le une e gli altri cambiano l'umore dei protagonisti.
Gli iyashikei sono inoltre spesso ambientati in un altro mondo rispetto al nostro, lontano nello spazio e/o nel tempo, dove le bassezze e lo stress della nostra vita quotidiana non possono giungere, e dove, quindi, i sentimenti e gli stati d'animo dei protagonisti possano essere sublimati (fanno eccezione le opere con protagonisti bambini, dato che l'ambiente dell'asilo, o delle elementari, è già di per se "separato" dal mondo "reale" degli adulti).
Queste opere sono destinate ad avere sul pubblico un effetto rilassante, purificante, che può protrarsi oltre il tempo della lettura/visione ("iyashi" infatti sta per "curativo").

Yokohama kaidashi kikou è probabilmente il primo e, come spesso accade, il più estremo degli iyashikei. E' ambientato in un futuro in cui il livello dei mari si sta lentamente ed inesorabilmente alzando e il clima è dolce, con poca differenza tra le stagioni. L'umanità, per cause ignote, si è avviata verso un tranquillo e pacifico declino. Entro pochi decenni, solo le formazioni naturali che scimmiottano le creazioni umane (alberi/lampione che segnano il percorso delle vecchie strade ormai interrate, grandi funghi dall'aspetto squadrato di edifici, e altri funghi, dal volto umano, che guardano il mare), e i "figli" dell'umanità (pochi robot androidi, per loro natura immortali), testimonieranno il suo passaggio su questo pianeta.
Nel frattempo però, gli umani rimasti possono ancora gestire associazioni di vicinato, riunirsi per il capodanno, viaggiare per lavoro o per turismo, riparare o creare oggetti, pescare, incontrare creature misteriose, fermarsi in locande o caffè e, nel caso della protagonista, l'androide Alpha Hatsuseno, conduttrice dello sperduto "Cafè Alpha" imparare a capire i propri stessi sentimenti, e relazionarsi meglio con gli altri.
Il tempo dell'opera è tremendamente dilatato. Incontri e avvenimenti che sembrano importanti, lungamente preparati dalla "trama", vengono poi mancati dai protagonisti, o scorrono senza che nulla ne nasca. YKK, più che l'avvicinamento dei personaggi, ne descrive l'allontanamento. Quello di Alpha Hatsuseno, o della Misago, dai loro amici umani, perché il loro tempo di immortali scorre differentemente dal loro. Quello degli umani gli uni dagli altri, perché le loro età e i loro interessi divergono. Quello della Direttrice Alpha, androide che decide di rimanere sul suo aereo in perenne volo stratosferico attorno al pianeta, ad osservare dall'alto i cambiamenti del mondo senza poterne cogliere i particolari, dal resto dell'umanità.
Il tutto è reso con un disegno perfetto per la storia. Morbido e delicato (molte tavole non si direbbero neanche passate a china), magistrale nel descrivere i panorami.

Se l'opera ha un difetto, è solo l'eccessiva accelerazione del tempo negli ultimi capitoli, dove troppi anni passano in poche tavole, quasi si avesse fretta di dare alla storia una "conclusione" che, in opere di questo genere, non è neanche necessaria.