Se si vuol conoscere davvero un paese, non ci si può fermare alle prime impressioni o ai luoghi comuni. Se l'Italia, come tutti ben sappiamo, non è solo "pizza, moda e mafia", così il Giappone non è solo "sushi, geisha e yakuza".
Bisogna cercare, leggere moltissimo e affrontare anche gli aspetti meno luccicanti, i taboo, le pagine più scomode o buie della sua storia. Questa volta voglio raccontarvi un fenomeno che resiste ancora oggi, cioè la discriminazione che colpisce i Burakumin.
Ma chi sono i Burakumin? Qual è la loro origine? Tutto nasce nel Giappone feudale dell’epoca Edo (1603-1868), durante il quale il governo Tokugawa attuò il blocco della mobilità sociale; in pratica fu istituita una suddivisione della società in quattro caste (shinokosho): samurai, contadini, artigiani e mercanti.
In questo modo il clan dei Tokugawa voleva assicurarsi un maggior controllo dell’ordine sociale e il rispetto dei limiti stabiliti per ogni classe.
Al di sotto di esse si ponevano i cosiddetti fuori casta, detti anche eta (letteralmente pieno di sporcizia) o hinin (non-uomo), tutti appellativi carichi di disprezzo. Questo perché essi si occupavano di svolgere tutti quei lavori essenziali ad una comunità ma considerati impuri sia dal credo buddhista (in cui l’uccisione degli animali è considerata immorale) che shintoista (secondo il quale sono impure tutte le attività che hanno a che fare col sangue e la morte): conciatori di pelli, becchini, boia, macellai.
Ciò produsse la loro emarginazione totale e radicata: per tenere lontano dalle persone "normali" il pericolo di contaminazione, erano infatti costretti a vivere in ghetti lontani dalle città. Non essendo considerati umani, non erano presenti nemmeno nei censimenti, ma si sa che la popolazione di questi villaggi aumentò così tanto da dar vita intorno alla metà del diciannovesimo secolo a comunità autonome ben organizzate con tanto di templi e scuole, i cosiddetti "Buraku", termine che significa appunto "villaggio, paesino".
Al loro interno finirono anche per rientrare assassini e criminali, ma anche mendicanti e attori e perfino intere compagnie teatrali. In alcuni casi i fuori casta erano chiamati anche "kawaramono", perché vivevano lungo i margini dei fiumi, sui quali raramente erano costruiti dei ponti, proprio per indicare la loro condizione di emarginati.
Si sa però che l'uomo ha la capacità di adattarsi quasi a qualsiasi cosa: il fatto di restare isolati dal resto della comunità permise loro di mantenere il monopolio sui loro commerci; alcuni riuscirono ad avere anche un tenore di vita piuttosto elevato, tanto da potersi permettere il passaggio, mediante matrimonio o acquisto dei diritti, alla categoria dei samurai. Agli eta inoltre era vietato possedere riso, ma anche questo si rivelò alla fine un vantaggio: essendo il riso alla base del sistema tributario, erano esentati dal pagare le tasse.
Tutto questo sistema gerarchico crollò con l'avvento dell'era Meiji (1868-1912), epoca di rinnovamento e modernizzazione. Nel 1869 venne definitivamente abolito il sistema delle caste e nel 1871 fu emanato il Kaihorei, un editto di emancipazione che aboliva gli han e i privilegi feudali, così come l’obbligo occupazionale legato alla classe d’appartenenza; inoltre equiparava lo status dei buraku a quello degli altri cittadini.
Questo però non portò ad un effettivo miglioramento delle condizioni dei burakumin (letteralmente gli abitanti dei buraku, come iniziarono ad essere chiamati gli appartenenti alla casta degli intoccabili).
I privilegi che avevano durante il periodo Tokugawa, come un'amministrazione autonoma e l’esenzione dal pagamento delle tasse, furono eliminati. Persero l'esclusiva sui loro commerci ma la discriminazione da parte della società non sparì e così la qualità di vita peggiorò sempre di più. Per i burakumin era impossibile aprire una nuova impresa e nessuno voleva sposarli o assumerli come impiegati; i villaggi Eta si trasformarono ben presto in insediamenti degradati.
Questo però invogliò molti a riunirsi per discutere delle nuove idee liberali proposte dal Jiyu minken undo (Movimento per i diritti civili e la libertà); nel 1903 ad Osaka si tenne la prima conferenza nazionale dei burakumin, la Dai Nippon doho yuwakai (Società per la conciliazione fraterna del Grande Giappone) a cui parteciparono circa 300 persone. A questo seguì nel 1922 la fondazione della prima associazione nazionale per la liberazione dei Burakumin, la Suiheisha (Associazione nazionale dei livellatori), formalmente apartitica ma influenzata dalle teorie marxiste, il cui manifesto si apriva con l’esortazione “Burakumin di tutto il paese, unitevi!”; essa denunciava e condannava pubblicamente tutti quelli che compivano atti discriminatori verso i buraku.
Durante la Seconda Guerra Mondiale tutte le associazioni di orientamento comunista furono abolite e solo dopo la fine del conflitto, nel 1946, Matsumoto Jichiro, Asada Zennosuke e altri ex leader della Suiheisha crearono il Comitato nazionale per la liberazione dei burakumin con l’appoggio della maggior parte dei partiti di centro e di sinistra. Nel 1955 il Comitato nazionale cambiò nome in Lega per la liberazione dei burakumin (Buraku kaiho domei o Buraku Liberation League o BLL) e con il boom economico, il movimento riuscì, lavorando fianco a fianco delle amministrazioni locali, a migliorare le condizioni di vita dei burakumin attraverso finanziamenti e progetti urbanistici.
Infatti negli anni 1957/1958 si iniziò a discutere seriamente del burakumin mondai, cioè della questione burakumin alla radio e in televisione e l'11 marzo 1958 il primo ministro dell'epoca Kishi Nobusuke, in un suo discorso espresse pubblicamente il desiderio che le discriminazioni cessassero.
Nello stesso anno, grazie ad una petizione promossa dal BLL, fu fondato il Comitato per le politiche di assimilazione (dowa) e iniziarono ad essere elargiti fondi governativi a comunità modello. Nel 1960 fu infine creata una commissione speciale d’inchiesta che pubblicò i suoi risultati cinque anni dopo, divisi in due parti: nella prima si esponeva una breve storia del burakumin mondai, in cui si sottolineava come i burakumin non fossero etnicamente distinti dal resto della popolazione giapponese.
Nella seconda parte invece erano messi in evidenza i numerosi problemi della comunità, dall'assenza di un sistema fognario adeguato e di illuminazione stradale, al fatto che i villaggi sorgessero su terreni soggetti spesso ad allagamenti, dal basso livello di scolarizzazione dei bambini (al di sotto della media nazionale) all'alto tasso di disoccupazione e precarietà che rendeva la comunità di fatto dipendente dalle sovvenzioni governative.
A seguito di ciò si promulgò la Dowa taisaku tokubetsu sochiho (Legge sulle misure speciali per i progetti di assimilazione) che prevedeva un piano decennale, per migliorare l’ambiente fisico, creare un welfare, incentivare pesca, agricoltura, piccole e medie imprese e il lavoro, promuovere la scolarizzazione e difendere i diritti umani delle comunità burakumin.
Questo programma fu rinnovato nel 1973 e in seguito ogni cinque anni fino al 2002. Nel 2004 la Zenkoku buraku kaiho undo rengokai o Zenkairen, altra importante organizzazione istituita nel 1964, cessò ogni attività sostenendo che "il problema buraku è stato sostanzialmente risolto".
Ma è davvero così? Anche se in vari sondaggi governativi la maggior parte degli intervistati dichiara di non aver subito discriminazioni, le organizzazioni per i diritti umani denunciano una situazione ben diversa, spesso favorita da un'immagine distorta diffusa dai media e da una sempre crescente disuguaglianza fra ricchi e poveri causata dalla crisi economica. Grazie ad Internet, la discriminazione sia in ambito lavorativo che matrimoniale è resa più semplice dalla circolazione di liste clandestine delle famiglie burakumin.
Ma la tecnologia non ha fatto che amplificare qualcosa che avveniva anche in tempi passati: nel 1975 infatti un grosso scandalo scosse tutto il paese e le sue principali aziende. Si scoprì l'esistenza di un libro scritto a mano, il "Tokushu buraku chimei sokan" (cioè la Lista comprensiva dei nomi delle aree buraku) che altro non era che un registro di 330 pagine in cui erano riportati tutti i nomi dei discendenti dei burakumin. La prefazione conteneva il seguente messaggio:
"In questo momento, abbiamo deciso di andare contro l'opinione pubblica e creare questo libro per i responsabili del personale alle prese con problemi di lavoro e per le famiglie addolorate dai problemi che hanno con i matrimoni dei loro figli".
Venduto per corrispondenza da una ditta con sede ad Osaka, pare che sia stato usato anche da grandi aziende, come Toyota, Honda, Daihatsu e Nissan, per decidere se assumere o meno un dipendente. La produzione e la vendita del testo furono ovviamente proibiti.L'argomento burakumin è stato poi affrontato sia in letteratura che al cinema. Fra le opere letterarie si può citare il romanzo "Hakai" scritto nel 1906 da Shimazaki Toson e tradotto in italiano con il titolo "La promessa infranta", quella fatta al padre dal protagonista Segawa Ushimatsu, giovane insegnante, di non rivelare mai le sue origini di fuoricasta.
Famoso è poi lo scrittore Nakagami Kenji (1946-1992), che non ha mai nascosto di essere un fuoricasta, anzi: nato in un buraku della città di Shingu, nella penisola di Kii, si è fatto portavoce della sua comunità, trascrivendone usi e costumi.
Tra i film invece da segnalare "Hashi no nai kawa" del 1992 del regista Higashi Yoichi, l'ultima trasposizione in ordine di tempo dell’omonimo romanzo di Sumii Sue, ambientato nel Giappone feudale; ma anche "Sennen no yuraku" presentato alla 69° Mostra del cinema di Venezia e diretto da Koji Wakamatsu in cui si narrano le storie degli uomini del clan Nakamoto narrate dalla levatrice Oryu.
Infine merita una citazione lo splendido "Okuribito", conosciuto in Italia con il titolo "Departures", vincitore dell'Oscar nel 2008, in cui Daigo, il protagonista, trova lavoro come tanato esteta, cioè colui che si occupa di vestire e truccare i morti prima del funerale, ma questo lo porterà a scontrarsi con i pregiudizi delle altre persone che vivono attorno a lui.
Fonti consultate:
TradurreilGiappone
WikipediaItalia
WikipediaInglese
TuttoGiappone
GiapponeinItalia
Conoscevo qualcosa dei burakumin: il fatto che erano gli unici ad occuparsi dei mestieri considerati impuri come pellettieri e macellai, che erano discriminati come gli Ainu negli Omiai e che nel sistema delle caste poteva anche capitare che un samurai indegno venisse retrocesso a "fuori casta"; non immaginavo invece che nel 1975 - praticamente un secolo dopo l'abolizione "ufficiale" delle caste - esistesse il "libro nero" dei discendenti dei burakamin. Raccapricciante l'introduzione del libro: "abbiamo deciso di [...] creare questo libro per i responsabili del personale alle prese con problemi di lavoro e per le famiglie addolorate dai problemi che hanno con i matrimoni dei loro figli"
Articolo molto interessante penso che la cosa più allucinante sia la lista nera dei discendenti.
discriminazioni nel mondo, continua ancora a trascinarsi avanti.
Molto interessante, grazie Hachi!
Già solo per aver cominciato questo articolo con questa frase meriteresti che ti venisse eretto un monumento, Hachi194, e credimi che te lo dico con tutto il cuore!
Queste parole se le dovrebbero stampare bene nella mente tutti i giappominkia, dopo smetterebbero di esserlo! Per il resto devo dire che come al solito hai fatto un ottimo articolo che ci regala ancora un'altro aspetto assai poco conosciuto, e sicuramente inquietante della società nipponica.
I burakumin, eta o hinin mi erano già noti perché in Kamui den, di Sanpei Shirato, il protagonista ha avuto proprio la sventura di nascere da una famiglia di fuori casta, e questo ne ha poi condizionato le scelte ed il destino sin dalla più tenera età. Purtroppo Kamui den rappresenta solo la prima parte, e ahinoi ancora totalmente inedita in Italia, della saga del celebre nukenin (ninja disertore); dove vengono spiegate le ragioni per le quali poi finisce per farsi adottare da un clan di shinobi nella speranza di rompere quella barriera sociale che relegava tutti quelli come lui ad una vita di miserie, stenti e disprezzo da parte del resto della società. Purtroppo per lui, una volta divenuto adulto e perfettamente addestrato come guerriero ninja, scopre di essere caduto dalla padella nella brace, in quanto mero strumento nelle mani del suo capo clan, il quale a sua volta era poi sotto il controllo dei grandi possidenti terrieri, cioè di quei feudatari che opprimevano senza ritegno la popolazione. A quel punto Kamui, disgustato da quella situazione, e ansioso di essere un uomo libero, decide di disertare, ben sapendo che contro di lui si sarebbe scatenata una colossale caccia all'uomo da parte di tutto il resto del clan di cui aveva fatto parte, e che la cosa sarebbe finita solo o con la sua morte, o con quella di tutti i suoi inseguitori in una lotta disperata e senza esclusione di colpi. Ed è proprio qui che inizia la seconda parte della saga, Kamui gaiden, che è l'unica ad essere nota nel nostro paese grazie alla serie animata della TCJ, prodotta nel 1969, e trasmessa dalle nostre emittenti locali sin dalla tarda primavera del 1982, oltre che per un frammento (corrispondente alla narrazione degli ultimi sei episodi TV) del manga, apparso a puntate sulla rivista MangaZine edita dalla Granata Press a partire dal 1991. Nella versione italiana si faceva intendere che le origini di Kamui fossero inserite nel contesto della casta dei contadini, in condizioni economiche certamente molto disagiate, ma nulla invece che facesse capire che invece si trattava di autentici "intoccabili" e quindi in una situazione ancor più tragica. E leggendo questo articolo, capisco ancor di più il motivo per cui Shirato, da sempre simpatizzante delle idee socialiste e marxiste, e fortemente critico verso la società e la politica giapponese degli anni '50 e '60, abbia scelto per il suo eroe più famoso un'origine di burakumin, di sicuro condivideva le idee delle associazioni che lottavano per i diritti dei fuori casta.
@BradipoLento: In effetti è una cosa del tutto scandalosa ed inqualificabile che più di un secolo dopo dall'abolizione delle caste, qualcuno si sia permesso di violare così spudoratamente la legge dello stato giapponese pubblicando quel libro, e ancor di più è da condannare chi lo ha comprato ed usato. Questo, purtroppo dimostra che ancora alla fine del 20° secolo, ma probabilmente ancora oggi, in un paese che vuol dare di sé l'immagine di avanguardia della moderna civiltà e del benessere, sopravvivono ancora stupidi pregiudizi basati su mentalità retrograde e antiche superstizioni religiose, nei confronti di persone che non hanno nulla di diverso (né etnia, né credo religioso, o altro) dal resto della società, se non quella di essere discendenti di persone che facevano mestieri (impuri) ma comunque indispensabili per la comunità! So quanto sia difficile sradicare certe brutte abitudini radicate da secoli nella storia e nella tradizione di un paese, ma spero solo che questa gentaglia che continua a perpetrare questa marcia mentalità sia sia sempre di meno, fino a che un giorno, che auguro arrivi il più presto possibile, sparirà del tutto!
Complimenti.
Grazie per questo spunto davvero interessante.
Il fatto che esistano ancora pregiudizi nei confronti di coloro che discendono dai burakumin fa capire che, nonostante l'industrializzazione, la mente di alcuni non ha fatto un solo passo avanti rispetto a centinaia di anni fa.
Brava Hachi ottimo approfondimento.
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