Il dibattito che contesta la costituzionalità dell'articolo 733 del Codice Civile nipponico, che proibisce alle donne giapponesi di risposarsi nei sei mesi successivi a un divorzio, esisteva già da un po'; è ri-emerso però da qualche tempo con la causa portata avanti da una giovane coppia sulla ventina, e un figlio nato da cinque mesi.
Alla coppia originaria della prefettura di Shizuoka è stata segnalata la mancanza di autorizzazione a registrare il matrimonio lo scorso luglio, dal momento che erano trascorsi soltanto un paio di mesi dal divorzio di lei. Ma cosa ancora più grave è stato il rifiuto da parte delle istituzioni di riconoscerne il figlio.
I due si erano conosciuti nel 2013, quando la donna già viveva separata dall'ex-marito. Il loro bimbo è nato in maggio, appena poco prima che venisse ufficialmente dichiarato il divorzio: ebbene, il diritto civile considera che in questo caso il padre del bambino sia proprio il marito frattanto divenuto ex.
La coppia ha così avviato una causa richiedendo una cifra pari a 3 milioni di Yen (circa 24'300 euro) per danni morali e interessi legati all'impossibilità di sposarsi secondo la legge.
Non è la prima volta che una controversia del genere emerge in merito, ecco perché la Corte Suprema è chiamata a verificare l'effettiva costituzionalità del contestato articolo 733, oltre che del 750 che obbliga le coppie sposate a scegliere un "cognome per la famiglia".
Si intende con questo che una coppia sposata debba utilizzare un solo cognome, indifferentemente quello della moglie o del marito. Nel 1996, un parere proveniente dal Ministero della Giustizia aveva proposto la creazione di un sistema nel quale ambo i coniugi potessero conservare i rispettivi cognomi da sposai, ma l'idea non ha più avuto corso.
Quanto alla legge "preistorica" sul divorzio, invece, già due anni fa un'altra ventenne aveva depositato una causa alla Corte del distretto di Okayama e alla Corte suprema contestando i due succitati punti del Codice Civile: entrambi i tribunali avevano all'epoca rifiutato di accogliere la supposta violazione della costituzione, affermando che la legislazione si poneva un intento sensato e contribuiva ad evitare che nascessero annose questioni di riconoscimento della paternità. Per la medesima ragione, l'esame della costituzionalità non si era reso necessario.
Se ripercorriamo tuttavia le vicende della giovane, appare chiaro che non si è tutto risolto come la magistratura ha inteso far credere.
La sola eccezione di matrimonio alla regola vigente si avrebbe infatti nel caso in cui la donna sia già incinta prima del divorzio, in qual caso potrebbe risposarsi dopo la nascita del piccolo. Eppure la legge con l'obiettivo di ridurre la frequenza delle liti di paternità è stata fortemente criticata per i vincoli che impone in pratica solo alle donne, risolvendo un problema ma creandone di converso molti altri nel coinvolgere l'intero nucleo familiare di lei.
Con un divorzio avvenuto a marzo 2008, questa seconda donna era stata costretta ad attendere sino ad ottobre dello stesso anno per risposarsi; in più, essa aveva avuto una figlia dal marito attuale, ma la sua città di Soja non ha riconosciuto la bimba come erede del nuovo compagno, poiché la donna aveva partorito durante il "famigerato" periodo dei sei mesi post-divorzio.
In conformità all'articolo 772 del Codice Civile, la bimba era stata anche in quel caso considerata figlia legittima dell'ex marito e la coppia non ha potuto dichiararne l'effettivo riconoscimento.
Pur avendo sporto denuncia, il mancato accoglimento della richiesta della donna di un indennizzo pari a 1.65 milioni di Yen (13'300 euro circa) per la discriminazione subita non fa quindi stupire, ma forse un po' indignare sì.
Come si accennava in precedenza, i suddetti articoli del Codice Civile non sono applicabili agli uomini, benché i figli siano di norma generati da una coppia e non riconducibili, come qui sembra, ad una soltanto delle due parti. E le conseguenze della legge finiscono per ricadere, com'è facile intuire, sia sui compagni che sulla prole delle donne coinvolte.
Fonte consultata:
Nippon Connection
Alla coppia originaria della prefettura di Shizuoka è stata segnalata la mancanza di autorizzazione a registrare il matrimonio lo scorso luglio, dal momento che erano trascorsi soltanto un paio di mesi dal divorzio di lei. Ma cosa ancora più grave è stato il rifiuto da parte delle istituzioni di riconoscerne il figlio.
I due si erano conosciuti nel 2013, quando la donna già viveva separata dall'ex-marito. Il loro bimbo è nato in maggio, appena poco prima che venisse ufficialmente dichiarato il divorzio: ebbene, il diritto civile considera che in questo caso il padre del bambino sia proprio il marito frattanto divenuto ex.
La coppia ha così avviato una causa richiedendo una cifra pari a 3 milioni di Yen (circa 24'300 euro) per danni morali e interessi legati all'impossibilità di sposarsi secondo la legge.
Non è la prima volta che una controversia del genere emerge in merito, ecco perché la Corte Suprema è chiamata a verificare l'effettiva costituzionalità del contestato articolo 733, oltre che del 750 che obbliga le coppie sposate a scegliere un "cognome per la famiglia".
Si intende con questo che una coppia sposata debba utilizzare un solo cognome, indifferentemente quello della moglie o del marito. Nel 1996, un parere proveniente dal Ministero della Giustizia aveva proposto la creazione di un sistema nel quale ambo i coniugi potessero conservare i rispettivi cognomi da sposai, ma l'idea non ha più avuto corso.
Quanto alla legge "preistorica" sul divorzio, invece, già due anni fa un'altra ventenne aveva depositato una causa alla Corte del distretto di Okayama e alla Corte suprema contestando i due succitati punti del Codice Civile: entrambi i tribunali avevano all'epoca rifiutato di accogliere la supposta violazione della costituzione, affermando che la legislazione si poneva un intento sensato e contribuiva ad evitare che nascessero annose questioni di riconoscimento della paternità. Per la medesima ragione, l'esame della costituzionalità non si era reso necessario.
Se ripercorriamo tuttavia le vicende della giovane, appare chiaro che non si è tutto risolto come la magistratura ha inteso far credere.
La sola eccezione di matrimonio alla regola vigente si avrebbe infatti nel caso in cui la donna sia già incinta prima del divorzio, in qual caso potrebbe risposarsi dopo la nascita del piccolo. Eppure la legge con l'obiettivo di ridurre la frequenza delle liti di paternità è stata fortemente criticata per i vincoli che impone in pratica solo alle donne, risolvendo un problema ma creandone di converso molti altri nel coinvolgere l'intero nucleo familiare di lei.
Con un divorzio avvenuto a marzo 2008, questa seconda donna era stata costretta ad attendere sino ad ottobre dello stesso anno per risposarsi; in più, essa aveva avuto una figlia dal marito attuale, ma la sua città di Soja non ha riconosciuto la bimba come erede del nuovo compagno, poiché la donna aveva partorito durante il "famigerato" periodo dei sei mesi post-divorzio.
In conformità all'articolo 772 del Codice Civile, la bimba era stata anche in quel caso considerata figlia legittima dell'ex marito e la coppia non ha potuto dichiararne l'effettivo riconoscimento.
Pur avendo sporto denuncia, il mancato accoglimento della richiesta della donna di un indennizzo pari a 1.65 milioni di Yen (13'300 euro circa) per la discriminazione subita non fa quindi stupire, ma forse un po' indignare sì.
Come si accennava in precedenza, i suddetti articoli del Codice Civile non sono applicabili agli uomini, benché i figli siano di norma generati da una coppia e non riconducibili, come qui sembra, ad una soltanto delle due parti. E le conseguenze della legge finiscono per ricadere, com'è facile intuire, sia sui compagni che sulla prole delle donne coinvolte.
Fonte consultata:
Nippon Connection
Per quale recondito motivo non possono utilizzare i mezzi scentifici come qualsiasi paese (dna) per la paternità, per quale motivo viene demandata ad un pezzo di carta che attesta il nome del marito?
Quale ragionamento ha portato ad affermare che se un bambino nasce durante un matrimonio è figlio del marito?
Non riesco a seguire proprio il concetto base della normativa.
In Italia ha diritto ad un risarcimento monstre, in Giappone deve pregare che la pena stabilità non sia la morte. Non salire in cattedra ma neanche paragonarsi a Paesi che come diritto civile sono lontani anni luce.
Parlando limitatamente al fatto di risposarsi, mettessero il limite anche ai maschi e via, così non c'è disciminazione sessuale e mantengono la limitazione delle nascite.
Alla fine sono sei mesi, mica mille anni.
Il resto è un casino e pur avendolo quasi capito non mi ci addentro.
Ho l'impressione che il Corpo della Donna, il suo controllo, sia la preoccupazione maggiore del legislatore originale, non la "filiazione" in se.
Malgrado alcune di esse abbiano anche goduto di ruoli e privilegi riservati agli uomini, alla fine si è trattato per lo più di eccezioni che prima dell'era Meiji riguardavano solo le donne appartenenti alle classi nobili e aristocratiche...
A dispetto di ciò la loro posizione fino a oggi non è mutata molto se non dal mero punto di vista esteriore e formale...
La verità è che in Giappone i cambiamenti sono più formali che reali...
il cuore del vecchio Giappone difficilmente sarà scalfito...
@Amakusa-san, temo di doverti dare ragione, guardando alcune cose anche attualmente l'evoluzione dei costumi è solo formale..
Basti solo ricordarsi che un tempo lo Shogun, pur essendo formalmente "suddito" e vicario militare dell'imperatore, nella realtà dei fatti era il primo a comandare sull'ultimo...
E questo dualismo tra formale e reale esiste a ogni livello... infatti in Giappone devi sempre leggere tra le righe perchè tra quello che un giapponese pensa d'avvero e quello che dice può esserci l'intero oceano pacifico...
Anche questo concetto in Giappone è molto sentito ed' è un'altra tradizione radicata e come hai detto tu legato a doppio filo con la situazione della donna in giappone...
Giusto che hai citato il periodo Kamakura, tra i personaggi di rilievo vissuti in quel periodo vi fu anche Hojo Masako, la moglie e vedova dello shogun Minamoto, che pur essendo una donna e avendo preso i voti (era infatti nota come la "monaca shogun") era lei il vero potere dietro al Giappone di cui di fatto ne fu la governante per anni e anni...
Ennesimo esempio del dualismo che regna in Giappone tra il formale e reale...
"Ragionamento"? Ma semplice buon senso piuttosto. Sarebbe grave considerare normale che una donna non solo tradisca il marito ma rimanga anche incinta con l'amante. In Italia (o negli USA, non ricordo) solo (ma è anche troppo) il 10% dei figli sono illeggittimi.
Di fatto, si può criticare il Giappone quanto si vuole su molte cose, ma se tirate in ballo il ciclo mestruale cadete proprio male.
E' uno dei pochi Paesi al mondo a riconoscere il Congedo Mestruale, e questo avviene fin dal 1947:
http://www.robadadonne.it/44579/congedo-mestruale-pagato-un-benefit-che-e-gia-legge-in-oriente/
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2016-03-02/arriva-congedo-mestruale-ma-non-italia-163647.shtml?uuid=ACqYA5fC
In Italia il riconoscimento di questo diritto ce lo sogniamo, quando la dismenorrea può avere effetti invalidanti per alcune donne, precludendo completamente la possibilità di lavorare. Spesso è infatti associata a patologie terribili come l'endometriosi, per la cui cura in Giappone sono da sempre all'avanguardia (solo da pochi anni abbiamo finalmente importato anche in Italia la risonanza magnetica con mezzo di contrasto ideata da Hiroyuki Takeuchi nel 2005 per la diagnosi della malattia, permettendo di evitare la ben più invasiva laparoscopia).
Diamo a Cesare quel che è di Cesare, per favore.
Eh già, ce lo sognamo
http://www.intrage.it/Lavoro/assenza_dal_lavoro_per_malattia
E tutto questo con un certificato medico. La dismenorrea rientra perfettamente tra le condizioni che rientrano nel congedo ( anche l'influenza quindi fai un pò te quanto è estesa la legge ) pagato e con cure a carico dell'Inps e che non intacca minimamente le ferie che spettano al lavoratore ( come invece accade a qualcuno (http://www.seta.it/code/unica/index.php?mod=news&opmod=read&id=it/1193729180). L'unica palla per una condizione mensile come il mestruo è dover fare ogni volta un certificato medico ed effettivamente sarebbe comoda una legge in merito ma alludere alla totale mancanza di copertura beh, questo è un altro paio di maniche. E si parla di legge, non " alcune aziende". Diamo a Cesare quel che è di Cesare.
Non mi puoi paragonare un problema GRAVISSIMO MENSILE con uno stato di malattia occasionale. TI STO PARLANDO DI DISMENORREA che nei casi gravi è praticamente sempre collegata all'endometriosi. La maggioranza delle donne affette da questa malattia PERDONO IL LAVORO IN QUANTO NON POSSONO METTERSI IN MALATTIA TUTTI I MESI.
Credimi non sai di cosa stai parlando, e di quanto sia grave il fatto che finora in Italia non si sia mai valutato questo problema. Ora parlano di fare rientrare l'endometriosi nella lista delle malattie invalidanti ma li voglio proprio vedere a farlo, quando in Giappone dal 1947 una donna durante quei giorni può starsene a casa. Sì, a Cesare quel che è di Cesare e riguardo a questo problema il Giappone ci s*erda.
Tu non sai di cosa sto parlando abbi pazienza.
Io conosco persone dalla VITA ROVINATA PERCHE' HANNO PERSO RIPETUTAMENTE IL LAVORO OKAY? Non farmi arrabbiare perchè qua mi incavolo di brutto.
A proposito di questo quando le chiacchiere si saranno tradotte nella PRATICA (e lo vedrò coi miei occhi se succede, nella VITA PRATICA DI CHI MI STA A CUORE) mi metterò un po' calma, ma intanto non credo più a nulla.
Solo promesse mai mantenute, farabutti.
Non ho detto che il fattore della purezza è il cardine su cui in Giappone si fonda la discriminazione sulla donna o una sua peculiarita, ma ho solo concordato sul fatto che esso abbia avuto la sua parte in questo...
lo so che la discriminazione della donna in Giappone e un fattore molto piu complesso che non si ferma a questo che tira in ballo anche altre questioni, alcune delle quali proprio sorte sulle modalità con la quale la donna ottenne gradualmente l'emancipazione dopo la guerra...
Una emancipazione che ricordiamo, fu in buona parte forzata dalle autorità d'occupazione e forse per questo tollerata ma mai del tutto accettata...
ma credo che questo andrebbe a toccare un tema decisamente più intricato e complesso che esula dall' argomento principale in quanto tirerebbe in ballo l'influenza avuta dalle potenze vincitrici sui cambiamenti sociali imposti al Giappone sconfitto...
Si può parlare della discriminazione della donna in Giappone quanto si vuole, sotto molti punti di vista (ce ne sono altrettanti in Italia, non è che siamo i Paesi Scandinavi). Ho precisato soltanto un punto specifico, dato che si tirava in ballo arcaiche credenze sul ciclo, ed è il fatto che riguardo a come la donna viene trattata in relazione alla dismenorrea, il Giappone è più emancipato rispetto a noi. Dato di fatto che non c'entra nulla con la normativa più generale sul congedo di malattia, in quanto ripeto, una persona non può mettersi in malattia tutti i mesi per TOT giorni, perde il lavoro, e non parlo a caso, parlo perchè conosco persone la cui vita è stata un calvario, costrette ad andare a lavorare senza riuscire a reggersi in piedi per non perdere il lavoro, con le lacrime agli occhi. Prova a guardare cos'è l'endometriosi, malattia di cui non si parla mai solo in quanto prettamente femminile, e che i nostri politici hanno sempre ignorato in quanto preferiscono riconoscere come invalidanti dipendenze come quella dal gioco d'azzardo piuttosto che una malattia gravissima che porta a ripetuti interventi chirurgici e alla completa distruzione della vita sociale e lavorativa di una donna.
http://www.lastampa.it/2016/01/14/scienza/benessere/il-calvario-delle-donne-con-endometriosi-vita-a-pezzi-e-costi-altissimi-83glDeC8Mf4pCDEL2MNtkJ/pagina.html
Non perderebbero il lavoro se fosse garantito loro di poter stare a casa "in quei giorni". Che poi non hanno male solo in quei giorni, ma in quei giorni il dolore si amplifica, diventa proprio invalidante, impossibile da essere sostenuto.
Oh ma certo, portiamo casi specifici quando c'è una legge in cui c'è scritto nero su bianco al di là di ogni interpretazione. Ci sarà SEMPRE l'eccezione il "la mia amica " Ma non rientrano mai statisticamente e idealmente nella regola "Eh,la mia amica è morta di parto, la sanità in Italia fa schifo " e poi statistiche alla mano è la prima al mondo (scambiandosi il posto saltuariamente con la Francia). Con le dovute certificazioni in Italia puoi metterti in congedo anche due anni (con retribuzione) dal lavoro e se poi vieni licenziato hai la dissociazione. Giappone più emancipato (termine tra l'altro sbagliato in questo caso) sulla dismenorrea?No semplicemente più efficiente (in quanto esiste una legge specifica che taglia molta burocrazia). Legge (giapponese) che poi non si sa neanche (perché il tuo link è una frase buttata lì facente parte di un articolo più ampio) se lo è effettivamente o è una concessione PRIVATA di alcune ditte e, dulcis in fondo, in Giappone la malattia scala sulle ferie (massimo venti l'anno dopo anni di lavoro ) quindi, mettendo un ciclo minimo di 3 giorni al mese si hanno 36 giorni di ferie l'anno, andando fuori quota."Non so di cosa sto parlando "? No, semplicemente "verbat volant script manent " ed invece di tirare fuori "la mia amica " ho postato uno stralcio della nostra legge, aggirabile, a volte non applicata (facendo reato) ma esistente, non una frase estrapolata da un discorso più ampio (è una legge?,Se sì come si implementa con quella dei permessi di malattia scalabili dalle ferie ?Scalano e poi si passa alla malattia non retribuita? Sì, no, non si sa) o dalle tante parole sull'esperienza personale (che possono testimoniare tutto il contrario di tutto fintanto che non parlano esperti del settore, che però anche loro non parlano per titolo personale ma per confronto con altri esperti ).
Informazioni che di sicuro non mancherò di consultare... grazie
Ti sei spiegata benissimo in merito a ciò...
Già queste anticipazioni mi lasciano allibito ma non sorpreso...
Stiamo parlando di norme, non di etica e morale. Stiamo parlando di Codice Civile e anche di Costituzione.
La società, per quanto possa esser epresa in considerazione, non prevale su di esse e se nel tempo non sono state modificate ne dal legislatore ne dalla giurisprudenza, la dottrina avrà un ragionamento sull'interpretazione.
Non viene spiegato nulla di tutto ciò, stiamo solo 'dialogando' su una vicenda di cui sappiamo solo la punta dell'iceberg...
Ripeto, qui parliamo 'per sentimento' su una vicenda, non di certo sulla società, perchè io personalmente non so come sia il loro diritto.
Qui i diritti, da quello che si legge dall'articolo, non li ha ne la donna, ne il bambino ne il padre biologico. Per quanto sia triste la situazione della donna in Giappone, nello specifico, qui, è degradante per la 'famiglia' non per il singolo. Cosa accade al bambino se non può essere ragistrato? in questi 6 mesi come viene iscritto all'anagrafe? e dopo?
Io vorrei guardare ad ampio raggio, non soffermarsi solo al diritto della donna di risposarsi, per quanto degradante.
I figli illegittimi in italia sono equiparati ai figli leggittimi, hanno tutti pari diritti... cosa c'entra...
Ognuno nella prorpria vita può farsi mettere incinta da chi le pare, andare a letto con chi la pare. Qui, ripeto, non si parla di morale piuttosto di diritti mancanti.
In effetti anche io non ho capito questa cosa: c'è la scienza che dimostra chi è figlio di chi, non certo il periodo in cui un figlio è stato concepito/venuto al mondo.
Mi fa piacere poter sensibilizzare su un problema tanto grave. Ovviamente chi non ne sa niente si appella alla parola degli esperti (?) non avendo capito che tutte le persone affette da questa patologia vanno incontro allo stesso iter, e di esperti ne hanno visti a bizzeffe. Il problema che non sono sostenute in alcun modo dallo Stato è un dato di fatto. Purtroppo il ritardo nella diagnosi è legato proprio ad un'ignoranza culturale di fondo che considera il dolore mestruale come una cosa normale, quando oltre certi limiti non lo è assolutamente. Ben venga quindi la sensibilità dimostrata da alcuni Stati Asiatici nei confronti di un malessere che il più delle volte, quando grave, è patologico.
Ho letto l'articolo e in effetti hai ragione... è un vero e proprio calvario...
E' brutto trovarsi di fronte a tale sofferenza e non poter far nulla...
Me ne ha parlato pure mia nonna, che pur avendo il diploma di quinta pare saperla più lunga lei di molti... vecchia esperienza contadina...
Noi non saremmo di sicuro alla loro altezza...
quindi, prima di criticare a casa altrui...
https://it.wikipedia.org/wiki/Impedimenti_matrimoniali#Divieto_temporaneo_di_nuove_nozze_o_lutto_vedovile
300 giorni sono ( più o meno ) dieci mesi, tempo massimo che il bambino nasce e gli si fa un test di paternità per vedere chi è l'effettivo genitore e poi la donna si può sposare. I 300 giorni scadono poi automaticamente se il bambino nasce prima della scadenza del termine. Inoltre prima del divorzio c'è la separazione tempo in cui i due coniugi non dovrebbero stare più insieme (in tutti i sensi )per svariati mesi e quindi decade questo cavillo ( ovvero se la donna durante la separazione è rimasta incinta di un altro appena divorziata può benissimo risposarsi ). Questo "impedimento" è unicamente a favore del bambino ( infatti una donna non gravida non può incappare in questo impedimento ) in quanto è sì possibile avere il DNA tramite l'amniocentesi ma questa pratica può provocare l'aborto ( seppure con percentuali molto basse ) e dunque si è preferito evitare totalmente conflitti riguardati questa pratica mettendo come termine la nascita massima possibile del bambino. Nel caso giapponese la salute/problemi anagrafici del bambino non sono minimamente calcolati in quanto il bambino è già nato e basterebbe appunto un semplice test per risolvere tutti i problemi. Prima di criticare la propria casa che si leggano le cose che si postano.
E la mia non era una critica rivolta all'Italia, anzi...
La legge giapponese discrimina la donna perché non vi è alcuna motivazione dietro questa differenza di trattamento. In Italia questa legge esiste unicamente per tutelare il bambino e si vede dal diverso "modus operandi " delle due.
A dispetto delle prime riforme di una certa importanza attuate in tal senso durante le ere Meiji e Taisho, nella successiva era Showa, in contemporanea con la progressiva influenza del militari nella politica, tali riforme si esaurirono e le azioni dei governi futuri si concentrarono su ben altre questioni, una delle quali fu senza dubbio il rafforzamento del patriottismo e dello "spirito giapponese", cosa che si poteva ottenere solo affidandosi alle grandi tradizioni antiche del paese, che, come abbiamo già avuto modo di vedere, non erano mai state particolarmente benevole nei confronti della donna.
Solo dopo la guerra le autorità di occupazione americane riaprirono unilateralmente la questione...
il compito di tali riforme era, in un quadro più ampio, la democratizzazione e smilitarizzazione del giappone.
E l'emancipazione della donna era utile a tale fine...
La maggior parte dei provvedimenti in merito alla donna risalgono infatti al periodo 1945-1952, il periodo dell'occupazione.
Indubbiamente però tali norme, così come le altre imposte dagli alleati ai giapponesi durante tale periodo, per quanto tollerate, non vennero nè allora nè oggi completamente accettate da tutti, sopratutto dalle fazioni conservatrici, che dopo la fine dell'occupazione militare esercitò ripresero in mano le redini del potere, anche grazie all'avvento della guerra fredda e alla volontà americana di arginare il partito comunista giapponese, il quale, a dispetto di tutto, fu l'unico movimento realmente votato verso una liberazione completa e totale della donna...
Naturalmente la minorità di tale movimento, la mancanza di suffiente sostegno tra la società e la persecuzione e l'ostruzionismo di cui venne fatto oggetto sia prima che dopo la guerra, gli impedì ogni futura azione in tal merito...
In verità le leggi delle autorità di occupazione a dispetto di tutto, non andarono a intaccare la mentalità e la tradizione del popolo giapponese...
ed è da questo viene il problema attuale della condizione della donna... dalla società...
che in Giappone è sempre nella sua maggioranza, molto restia ai cambiamenti...
Formalmente in Giappone la donna è libera e emancipata come quelle degli altri paesi, formalmente, come del resto lo sono molte cose nella società del Giappone...
Questo spiega l'esistenza e la permanenza di leggi in tal senso... che pur essendo platealmente viziate da tali iniquità sono completamente accettate dalla società...
La condizione della donna in Giappone è parte di una problematica ben più grande e complessa, ovvero il rapporto che intercorre in Giappone tra le sue antiche tradizioni del passato e il suo rapporto con l'occidente e il resto del mondo...
Hanno deciso la cosa nella medesima udienza a quanto pare.
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