Al Lucca Comics & Games dell'anno scorso avevamo fatto la conoscenza di Vincenzo Filosa, traduttore, autore di fumetti, ma, soprattutto, appassionato di cultura giapponese a 360°.
È da poco uscito per Canicola Edizioni il suo volume a fumetti Viaggio a Tokyo, resoconto del periodo in cui l'autore ha vissuto in Giappone.
È un racconto strano e affascinante, quello del "Viaggio a Tokyo" di Vincenzo Filosa, raccontato con uno stile che al manga giapponese offre diversi omaggi, a cominciare dall'impaginazione all'orientale, da destra verso sinistra, abbastanza insolita per un fumetto realizzato da un autore italiano.
La Tokyo del volume, esattamente come la Tokyo reale, è una città enorme, straniante, crocevia di diversi elementi che si intersecano per creare un soffocante, bizzarro, eppure affascinante connubio. Vecchi negozi, strambi locali, "love hotel" e "host club", sale giochi, affollatissime strade e piazze, negozi stracolmi di fumetti, pensioni per stranieri e caffè dove si possono leggere manga e usare i pc per collegarsi ad Internet.
Il libro di Vincenzo Filosa si concentra, però, su un aspetto del Sol Levante poco noto in occidente. Stupisce, infatti, vedere come lo stile dell'autore sia assai più particolare rispetto ai suoi colleghi italiani influenzati dallo stile "manga": gli elementi tipici dello stile di Filosa sono da ricercare nel "gekiga", in autori come Osamu Tezuka, Shigeru Mizuki, Yoshihiro Tatsumi e, soprattutto, i fratelli Tsuge Yoshiharu e Tadao.
Il viaggio di Vincenzo Filosa, che giunge in Giappone partendo da Crotone, in Calabria, comincia per caso, nell'asfissiante e meraviglioso Mandarake dove l'autore viene in contatto con le opere dei due fratelli Tsuge: Yoshiharu, il "maestro del manga sperimentale" e Tadao, meno noto e più misterioso, che a decenni di distanza ha poi lasciato il mondo dei manga per prendere in gestione un negozio di jeans.
E' l'inizio di un viaggio straniante e bellissimo, reale e onirico allo stesso tempo, in cui l'esperienza personale dell'autore, la sua crescente passione per gli autori del genere "gekiga", si trasforma poi nella base stessa del racconto. Un racconto strano, cupo e sognante al tempo stesso, che però non lascia indifferenti e in cui è inaspettatamente facile ritrovarsi, per chi ha vissuto in prima persona il Giappone e le contraddizioni che stanno alla base del suo fascino.
Al Lucca Comics & Games di quest'anno abbiamo avuto l'occasione di scambiare quattro chiacchiere con l'autore, a proposito del suo lavoro, della sua carriera e della sua opera.
Innanzitutto, presentati ai nostri amici di Animeclick.it...
Sono Vincenzo Filosa. È da poco uscito il mio libro per Canicola Edizioni. Si chiama Viaggio a Tokyo ed è una sorta di romanzo di formazione con elementi autobiografici che riguardano appunto il mio viaggio in Giappone, durato circa un anno e diviso in due viaggi, uno di nove e uno di tre mesi, fra il gennaio del 2006 e il febbraio del 2007.
Come mai hai affrontato questo viaggio? Dal libro si capisce che è un viaggio di ricerca...
Ho studiato lingua e cultura giapponese alla facoltà di Lingue e civiltà orientali alla Sapienza di Roma dal 1999 al 2005. Il mio viaggio nasce come compimento di questo percorso di studi. Sono partito con una borsa di studio della regione Calabria per gli studi all'estero e, man mano che studiavo lingua in Giappone, mi sono appassionato ai manga "alternativi" prodotti tra gli anni '60 e '80.
Mi piacciono molto anche alcuni autori contemporanei, ma il grosso dei miei interessi gravita intorno a questo tipo di produzione.
All'incontro dell'anno scorso, se non ricordo male, dicevi che avevi cominciato a leggere manga, ma poi avevi smesso per un periodo e ti ci sei riavvicinato grazie questo viaggio...
Ho cominciato a leggere manga a 11, 12 anni. Il mio primo manga è stato Le bizzarre avventure di JoJo, che trovo fantastico e che è stato di un'importanza fondamentale per me. Poi è venuta Rumiko Takahashi, con Ranma 1/2 e Maison Ikkoku, che mi influenzano tantissimo ancora adesso. Soprattutto Maison Ikkoku, lo trovo fantastico, lo sto rileggendo adesso nella nuova edizione della Star Comics e mi piace moltissimo.
In effetti nel libro si avverte un po' di Maison Ikkoku, nella parte con i coinquilini...
Sono contento che tu lo abbia notato, è voluto. Ho spostato l'attenzione su questo elemento negli ultimi mesi, proprio mentre rileggevo Maison Ikkoku.
Ho scoperto di recente che Rumiko Takahashi è anche inserita spesso tra la cerchia degli autori "gekiga". Maison Ikkoku è un fumetto di stampo quotidiano, narrato con una leggerezza pazzesca. Mi piacerebbe tantissimo raggiungere quel tipo di leggerezza con le mie opere.
Ci puoi spiegare un po' cos'è il "gekiga"? Non è un termine molto noto in Italia.
"Gekiga" letteralmente significa "immagini drammatiche".
Il termine è stato coniato da un autore recentemente scomparso, Yoshihiro Tatsumi, che è anche pubblicato in Italia da Bao e Coconino. Il "gekiga" è un fumetto che prende spunto dalla vita di tutti i giorni e si sviluppa con toni drammatici, che utilizza anche cornici storiche importanti come il periodo dell'immediato dopoguerra giapponese.
Col tempo ha cominciato a includere anche fumetti d'azione molto realistici come Lone wolf & cub o le raccolte di storie di samurai di Hiroshi Hirata.
Fondamentalmente, il "gekiga" che interessa a me è quello di autori come Tatsumi o Tsuge Yoshiharu, non sono fumetti d'azione o d'avventura ma si concentrano sulla vita di tutti i giorni.
Da lì sono partite diverse derive, ad esempio Tsuge Yoshiharu ha anche lavorato su storie oniriche, con una poetica molto "stralunata" e introspettiva.
"Gekiga" è anche un termine usato da Tezuka negli anni '60 e '70 per parlare di parte della sua produzione.
La principale rivista che ospitava gli autori gekiga era GARO. Tezuka ha creato la rivista COM come risposta a GARO. Tezuka e Tatsumi hanno avuto un dibattito sul gekiga in quel periodo.
Il cuore del fumetto gekiga è nella produzione di Tatsumi, di Tsuge Yoshiharu, di Sanpei Shirato. Quest'ultimo faceva affreschi storici, racconti di ninja e samurai, ma raccontava con i suoi fumetti le condizioni delle classi più disagiate facendone anche strumento di critica sociale. Era legato ai contesti rivoluzionari: figlio di genitori comunisti, il suo Kamui è diventato il simbolo dei movimenti studenteschi giapponesi.
I fumetti gekiga sono storie attente al reale e alla vita di tutti i giorni.
Nell'incontro dell'anno scorso io dicevo che nei fumetti giapponesi l'elemento del reale è presente anche nelle storie più di fantasia. Nel gekiga la componente realistica è molto forte. E' questa l'ispirazione che ho avuto per il mio libro.
Tornando a te, hai detto di aver finito l'università, di essere stato a Tokyo e poi sei diventato sia traduttore che autore...
Non posso ancora definirmi un autore professionista perché non vivo del mio lavoro di autore. Il mio lavoro di traduttore e grafico nasce prima del mio essere un autore. Traduco dal giapponese, i miei lavori per adesso sono stati legati ai fumetti giapponesi pubblicati da Lizard. Ho lavorato su fumetti di Jiro Taniguchi, un altro autore in cui la componente gekiga è molto forte, infatti lui stesso la cita nel volume Uno zoo d'inverno pubblicato da Lizard. Mi pare che citi proprio Tsuge Yoshiharu.
Non è vero che io apprezzo soltanto quel tipo di fumetto giapponese, ho una passione più generale per il fumetto giapponese, mi piace il loro modo di lavorare e determinati elementi che si contrappongono a quelli dei fumetti occidentali.
Spesso si dice che il fumetto giapponese non ha didascalia, che racconta tutto nei dettagli. Io trovo interessantissimi questi elementi e vorrei che anche il fumetto occidentale li inglobasse.
Tornato dal Giappone, ho pubblicato delle autoproduzioni che raccontavano il mio viaggio in forma di brevi fumettini in stile pagine di diario, ma ho sentito l'esigenza di raccontarla in maniera diversa rispetto alla forma autobiografica. Perciò, ho creato un romanzo di formazione che parte dalle mie esperienze autobiografiche. Il libro racconta cose che a me sono realmente accadute a Tokyo, che è l'unico posto che ho visitato in Giappone, a parte un breve viaggio a Kamakura.
L'influenza del gekiga è molto forte nei tuoi lavori, infatti il tuo libro ha un po' quest'atmosfera onirica che citavi. In molti passaggi, infatti, realtà e sogno si confondono creando un insieme particolare e affascinante.
Quella deriva onirica del gekiga nasce con Nejishiki di Tsuge Yoshiharu, un racconto che fonde interiorità ed esteriorità, sogno e realtà senza alcun tipo di barriera. E' il manga che dà il via al fumetto alternativo giapponese ed è forse il primo manga che ha dato il via ad un acceso dibattito culturale sul fumetto visto come arte. E' un racconto breve, non più di 24 pagine, ma è di una potenza espressiva secondo me ancora oggi ineguagliata. Per me è stata una base fortissima da cui partire. Il mio libro è un libro "gekiga" come impostazione, ma c'è anche una storia: i miei incontri, le mie scoperte. Parla di un fumettista che scopre il fumetto.
Questo particolare tipo di narrazione senza scissione fra sogno e realtà, interiorità ed esteriorità, è senza dubbio dovuta all'influenza di Tsuge Yoshiharu.
Una nota di colore sul libro è che in molte scene ci sono i dialoghi in giapponese lasciati in giapponese senza alcun tipo di traduzione, mentre invece le frasi in italiano hanno la traduzione in inglese sotto. Come mai?
La traduzione in inglese è una caratteristica dei fumetti pubblicati da Canicola, per offrire una fruibilità anche ai lettori all'estero.
La non traduzione dei termini giapponesi è invece dovuta alla mia volontà. Volevo inizialmente "confondere" il lettore facendogli vivere lo spaesamento che ho vissuto io all'inizio del mio viaggio. Volevo che il lettore cominciasse a capire quando ho cominciato a capire io, infatti per questo motivo la traduzione delle frasi compare man mano che il fumetto va avanti e anche le onomatopee inizialmente sono in giapponese e poi cambiano in onomatopee occidentali. E' un artifizio voluto, così come l'impaginazione all'orientale, per dare una sensazione di smarrimento al lettore come quella che ho vissuto io durante il mio viaggio.
Un consiglio per chi vuole intraprendere il lavoro di fumettista o traduttore?
Io ho intrapreso entrambe le carriere perché avevo una passione fortissima. Entrambi sono lavori che richiedono sacrifici pazzeschi. C'è, almeno inizialmente, pochissimo ritorno dal punto di vista economico e professionale, quindi bisogna un po' stringere i denti.
Questa è, però, anche una caratteristica dei fumetti giapponesi, no? Stringere i denti e tirare dritto.
Quello che avremo in cambio di questi sacrifici sarà bellissimo. Io sono riuscito a pubblicare un libro e credo che questa sia la cosa più bella che mi sia capitata. E' la stessa sensazione che ho provato traducendo il mio primo libro e ogni volta che mi approccio alla traduzione di un nuovo autore.
Durante la manifestazione lucchese, Filosa ha partecipato anche ad uno showcase in cui gli sono state rivolte delle domande più specifiche sulla sua professione di fumettista.
Ho vissuto in Giappone tra il 2006 e il 2007 tra i tre e i nove mesi. Ho pensato di trasformare in lavoro quella mia esperienza.
Ho prodotto alcuni volumetti sotto forma di pagine di diario, albetti.
Era un embrione di questo libro.
Io sono grafico, traduttore da giapponese e da inglese, ed è stato difficile per me affrontare il lavoro di una storia lunga.
Lavoro senza storyboard, senza schemi. È stato un libro in divenire, partito come diario di viaggio nei miei intenti.
Lentamente ha raggiunto la forma di romanzo con fortissimi spunti autobiografici; è anche un po' un romanzo di formazione. Quando ho capito che forma avrebbe avuto, ho potuto lavorarci un po' più velocemente.
Ho imparato poi un'altra cosa. La produzione di fumetti è enorme, con tantissimi generi e altrettanti rappresentanti. Il mio intento è quello di raccontare storie personali, di metterci del mio, perché credo che sia l'unico modo di creare qualcosa di originale. Senza quindi caratterizzare il libro per un lirismo eccessivo e pesante.
Quello che leggete nel libro è quello che veramente è successo, in un modo o nell'altro, dentro la mia testa o in concreto, ma cercando di allontanare lo sguardo da quelle che erano le mie emozioni e i miei sentimenti.
Ho iniziato raccontando la mia storia, poi è diventata quella di un ragazzo di 25 anni che era a Tokyo; è un pregio, è anche però un difetto non sapere cosa succederà nella pagina successiva.
E' terribile dal punto di vista di avere una scadenza di consegna per l'opera, sappiatelo!
La gestione dei tempi sfugge, dal punto di vista editoriale è un problema; ma se fossi un editore, comunque darei spazio a un autore per lavorare così, perché è una modalità interessante.
Ho scoperto infatti che non è una cosa che faccio solo io. Dal punto di vista tecnico o professionale forse non è il massimo... so che gli editor che erano con me non hanno dormito per molte notti...
E' un modo molto emotivo di lavorare.
C'è il rischio di disegnare, scansionare, retinare, inchiostrare e letterare 30 pagine per poi accorgersi che vanno rifatte, o ridisegnate, e riscoprire che non è ancora la forma giusta, e ricominciare, impazzire, e così via. Ma alla fine la forma si trova!
Tu sei di base un fan del fumetto americano. A tua percezione altri hanno un modo di scrittura simile?
Ho lavorato come standista per 10 anni qui a Lucca, sono stato uno stalker anch'io da questo punto di vista. Ma no, i professionisti seri hanno un approccio, per l'appunto, serio e professionale. D'altra parte per fare libri di 600 pagine bisogna avere un certo tipo di preparazione. Ma così come lo fa il mio collega Paolo Cattaneo. Forse è un lavoro necessario, e un giorno dovrò farci i conti.
Il mio libro è diviso in 10 capitoli, è come se fossero storie brevi alla fin fine...
Mi sono accorta comunque che certi racconti erano troppo fuorvianti rispetto al tema della storia, e per quanto quindi al lettore farebbe piacere leggere “tutto”, abbiamo deciso di tenerli fuori.
La tua passione per i manga traspare fortissima dalle tue pagine. Questo mi ha incuriosito, mi ha fatto andare alla ricerca di questo “Tsuge minore”.
In realtà cercavo il ben più famoso Tsuge Yoshiharu, suo fratello. Ecco, nel libro descrivo i Mandarake, scendi come fossi all'inferno, ci sono tre piani di scale, e quando arrivi c'è un'immensa muraglia di autoproduzioni, le doujinshi. E poi c'è tutto il resto. Ci ho messo ore per trovare questo Yoshiharu, e a volte anche i commessi non sanno che risponderti.
Io cercavo la rivista GARO, il commesso mi ha portato alla vetrinetta con il merchandising tratto dalla serie di telefilm...
Torno a casa, apro il libro, e scopro che lo stile non è quello di Yoshiharu. Ed era il fratello, che è stato pubblicato in occidente solo sei mesi fa. Ha un tratto di disegno particolare. Ma è stato un bellissimo errore, il mio!
Pensavo ad immagini di altri tuoi lavori, anche. Riesci a descriverci come ti vengono in mente? Ad esempio il tuo personaggio sotto la doccia, che sembra voler proteggere la sua lei ma in realtà in mano ha un sacco di soldi.
Beh, io non ho una grande immaginazione. Aspetto che succedano le cose per metterle in un libro. Quella che tu citi è una riflessione sulla vita in Calabria, sulle eredità, etc.
E' quello che succede o succedeva a me in quel particolare periodo. Sento il bisogno di raccontare qualcosa, non importa come. Adesso ho anche imparato che posso farci terapia.
Se ho un nodo da sciogliere, so che posso farlo disegnando.
Beh, e consenti anche ai tuoi lettori di entrare nella tua testa, scavare nella tua mente.
Se è così, e ne sarei felicissimo, è perché non ci sono passaggi intermedi tra la storia e la messa in tavola. Prendo e disegno. Se è da rifare, lo vedo solo una volta che è conclusa, non ho la forza di vedere il prodotto finito sullo storyboard. Ho bisogno di vedere le vignette, la disposizione sulle due tavole, la visione d'insieme... e così via.
Ho fatto diventare matti i miei collaboratori per questo.
Ma questo può essere paragonabile a quello che Toffolo definiva l'amore? Senti la passione, la dedizione.
Nel mio caso il discorso è molto semplice: non faccio altro dalla mattina alla sera. Io lavoro traducendo fumetti, impaginandoli, etc. Lo faccio per passione. Se non ho filtri nella produzione di una storia, è chiaro che questo traspare. Se sono fatto di passione per i fumetti, è chiaro che questo riesce ad arrivare al lettore.
Ho risolto un sacco di problemi scrivendo questo libro, comunque. Se mi avessi conosciuto un anno fa... ero tetro!
Ma ora sto istruendo anche mio figlio! E sono molto felice di questo, diventeremo una famiglia di fumettari. Io arrivo da un luogo in cui diventi avvocato, o commercialista. Io sono fortunato, questo strumento del fumetto mi consente di viverci, come posso non amarlo così tanto?
Tutto quello che faccio non l'ho studiato. Lo faccio perché ci arrivo da solo. Da piccolo mi ispiravano i supereroi, poi è scemato. Poi a 18 anni lessi una storia di Toffolo da Mondo Naif, che neppure era disegnata da lui, e che parlava di lui (Davide deve andare a un concerto ed è in ritardo etc...). Quella volta decisi che volevo fare fumetti, che mi avrebbe risolto un sacco di cose.
Che avrebbe avuto magari la forza di cambiare anche qualcun altro.
Comunque non mi sono mai trovato nella condizione di dover chiedere una pubblicazione a qualcuno, bensì di ricevere richieste, in amicizia. Non perché l'industria ne avesse bisogno, eh.
Come ti senti, nella montagna dei fumettisti?
Alla base, assolutamente. In cima c'è gente che ha prodotto centinaia di migliaia di cose spettacolari.
Un grosso ringraziamento a Vincenzo Filosa per la disponibilità. Grazie anche a Gordy e zettailara per il materiale relativo allo showcase.
È da poco uscito per Canicola Edizioni il suo volume a fumetti Viaggio a Tokyo, resoconto del periodo in cui l'autore ha vissuto in Giappone.
È un racconto strano e affascinante, quello del "Viaggio a Tokyo" di Vincenzo Filosa, raccontato con uno stile che al manga giapponese offre diversi omaggi, a cominciare dall'impaginazione all'orientale, da destra verso sinistra, abbastanza insolita per un fumetto realizzato da un autore italiano.
La Tokyo del volume, esattamente come la Tokyo reale, è una città enorme, straniante, crocevia di diversi elementi che si intersecano per creare un soffocante, bizzarro, eppure affascinante connubio. Vecchi negozi, strambi locali, "love hotel" e "host club", sale giochi, affollatissime strade e piazze, negozi stracolmi di fumetti, pensioni per stranieri e caffè dove si possono leggere manga e usare i pc per collegarsi ad Internet.
Il libro di Vincenzo Filosa si concentra, però, su un aspetto del Sol Levante poco noto in occidente. Stupisce, infatti, vedere come lo stile dell'autore sia assai più particolare rispetto ai suoi colleghi italiani influenzati dallo stile "manga": gli elementi tipici dello stile di Filosa sono da ricercare nel "gekiga", in autori come Osamu Tezuka, Shigeru Mizuki, Yoshihiro Tatsumi e, soprattutto, i fratelli Tsuge Yoshiharu e Tadao.
Il viaggio di Vincenzo Filosa, che giunge in Giappone partendo da Crotone, in Calabria, comincia per caso, nell'asfissiante e meraviglioso Mandarake dove l'autore viene in contatto con le opere dei due fratelli Tsuge: Yoshiharu, il "maestro del manga sperimentale" e Tadao, meno noto e più misterioso, che a decenni di distanza ha poi lasciato il mondo dei manga per prendere in gestione un negozio di jeans.
E' l'inizio di un viaggio straniante e bellissimo, reale e onirico allo stesso tempo, in cui l'esperienza personale dell'autore, la sua crescente passione per gli autori del genere "gekiga", si trasforma poi nella base stessa del racconto. Un racconto strano, cupo e sognante al tempo stesso, che però non lascia indifferenti e in cui è inaspettatamente facile ritrovarsi, per chi ha vissuto in prima persona il Giappone e le contraddizioni che stanno alla base del suo fascino.
Al Lucca Comics & Games di quest'anno abbiamo avuto l'occasione di scambiare quattro chiacchiere con l'autore, a proposito del suo lavoro, della sua carriera e della sua opera.
Innanzitutto, presentati ai nostri amici di Animeclick.it...
Sono Vincenzo Filosa. È da poco uscito il mio libro per Canicola Edizioni. Si chiama Viaggio a Tokyo ed è una sorta di romanzo di formazione con elementi autobiografici che riguardano appunto il mio viaggio in Giappone, durato circa un anno e diviso in due viaggi, uno di nove e uno di tre mesi, fra il gennaio del 2006 e il febbraio del 2007.
Come mai hai affrontato questo viaggio? Dal libro si capisce che è un viaggio di ricerca...
Ho studiato lingua e cultura giapponese alla facoltà di Lingue e civiltà orientali alla Sapienza di Roma dal 1999 al 2005. Il mio viaggio nasce come compimento di questo percorso di studi. Sono partito con una borsa di studio della regione Calabria per gli studi all'estero e, man mano che studiavo lingua in Giappone, mi sono appassionato ai manga "alternativi" prodotti tra gli anni '60 e '80.
Mi piacciono molto anche alcuni autori contemporanei, ma il grosso dei miei interessi gravita intorno a questo tipo di produzione.
All'incontro dell'anno scorso, se non ricordo male, dicevi che avevi cominciato a leggere manga, ma poi avevi smesso per un periodo e ti ci sei riavvicinato grazie questo viaggio...
Ho cominciato a leggere manga a 11, 12 anni. Il mio primo manga è stato Le bizzarre avventure di JoJo, che trovo fantastico e che è stato di un'importanza fondamentale per me. Poi è venuta Rumiko Takahashi, con Ranma 1/2 e Maison Ikkoku, che mi influenzano tantissimo ancora adesso. Soprattutto Maison Ikkoku, lo trovo fantastico, lo sto rileggendo adesso nella nuova edizione della Star Comics e mi piace moltissimo.
In effetti nel libro si avverte un po' di Maison Ikkoku, nella parte con i coinquilini...
Sono contento che tu lo abbia notato, è voluto. Ho spostato l'attenzione su questo elemento negli ultimi mesi, proprio mentre rileggevo Maison Ikkoku.
Ho scoperto di recente che Rumiko Takahashi è anche inserita spesso tra la cerchia degli autori "gekiga". Maison Ikkoku è un fumetto di stampo quotidiano, narrato con una leggerezza pazzesca. Mi piacerebbe tantissimo raggiungere quel tipo di leggerezza con le mie opere.
Ci puoi spiegare un po' cos'è il "gekiga"? Non è un termine molto noto in Italia.
"Gekiga" letteralmente significa "immagini drammatiche".
Il termine è stato coniato da un autore recentemente scomparso, Yoshihiro Tatsumi, che è anche pubblicato in Italia da Bao e Coconino. Il "gekiga" è un fumetto che prende spunto dalla vita di tutti i giorni e si sviluppa con toni drammatici, che utilizza anche cornici storiche importanti come il periodo dell'immediato dopoguerra giapponese.
Col tempo ha cominciato a includere anche fumetti d'azione molto realistici come Lone wolf & cub o le raccolte di storie di samurai di Hiroshi Hirata.
Fondamentalmente, il "gekiga" che interessa a me è quello di autori come Tatsumi o Tsuge Yoshiharu, non sono fumetti d'azione o d'avventura ma si concentrano sulla vita di tutti i giorni.
Da lì sono partite diverse derive, ad esempio Tsuge Yoshiharu ha anche lavorato su storie oniriche, con una poetica molto "stralunata" e introspettiva.
"Gekiga" è anche un termine usato da Tezuka negli anni '60 e '70 per parlare di parte della sua produzione.
La principale rivista che ospitava gli autori gekiga era GARO. Tezuka ha creato la rivista COM come risposta a GARO. Tezuka e Tatsumi hanno avuto un dibattito sul gekiga in quel periodo.
Il cuore del fumetto gekiga è nella produzione di Tatsumi, di Tsuge Yoshiharu, di Sanpei Shirato. Quest'ultimo faceva affreschi storici, racconti di ninja e samurai, ma raccontava con i suoi fumetti le condizioni delle classi più disagiate facendone anche strumento di critica sociale. Era legato ai contesti rivoluzionari: figlio di genitori comunisti, il suo Kamui è diventato il simbolo dei movimenti studenteschi giapponesi.
I fumetti gekiga sono storie attente al reale e alla vita di tutti i giorni.
Nell'incontro dell'anno scorso io dicevo che nei fumetti giapponesi l'elemento del reale è presente anche nelle storie più di fantasia. Nel gekiga la componente realistica è molto forte. E' questa l'ispirazione che ho avuto per il mio libro.
Tornando a te, hai detto di aver finito l'università, di essere stato a Tokyo e poi sei diventato sia traduttore che autore...
Non posso ancora definirmi un autore professionista perché non vivo del mio lavoro di autore. Il mio lavoro di traduttore e grafico nasce prima del mio essere un autore. Traduco dal giapponese, i miei lavori per adesso sono stati legati ai fumetti giapponesi pubblicati da Lizard. Ho lavorato su fumetti di Jiro Taniguchi, un altro autore in cui la componente gekiga è molto forte, infatti lui stesso la cita nel volume Uno zoo d'inverno pubblicato da Lizard. Mi pare che citi proprio Tsuge Yoshiharu.
Non è vero che io apprezzo soltanto quel tipo di fumetto giapponese, ho una passione più generale per il fumetto giapponese, mi piace il loro modo di lavorare e determinati elementi che si contrappongono a quelli dei fumetti occidentali.
Spesso si dice che il fumetto giapponese non ha didascalia, che racconta tutto nei dettagli. Io trovo interessantissimi questi elementi e vorrei che anche il fumetto occidentale li inglobasse.
Tornato dal Giappone, ho pubblicato delle autoproduzioni che raccontavano il mio viaggio in forma di brevi fumettini in stile pagine di diario, ma ho sentito l'esigenza di raccontarla in maniera diversa rispetto alla forma autobiografica. Perciò, ho creato un romanzo di formazione che parte dalle mie esperienze autobiografiche. Il libro racconta cose che a me sono realmente accadute a Tokyo, che è l'unico posto che ho visitato in Giappone, a parte un breve viaggio a Kamakura.
L'influenza del gekiga è molto forte nei tuoi lavori, infatti il tuo libro ha un po' quest'atmosfera onirica che citavi. In molti passaggi, infatti, realtà e sogno si confondono creando un insieme particolare e affascinante.
Quella deriva onirica del gekiga nasce con Nejishiki di Tsuge Yoshiharu, un racconto che fonde interiorità ed esteriorità, sogno e realtà senza alcun tipo di barriera. E' il manga che dà il via al fumetto alternativo giapponese ed è forse il primo manga che ha dato il via ad un acceso dibattito culturale sul fumetto visto come arte. E' un racconto breve, non più di 24 pagine, ma è di una potenza espressiva secondo me ancora oggi ineguagliata. Per me è stata una base fortissima da cui partire. Il mio libro è un libro "gekiga" come impostazione, ma c'è anche una storia: i miei incontri, le mie scoperte. Parla di un fumettista che scopre il fumetto.
Questo particolare tipo di narrazione senza scissione fra sogno e realtà, interiorità ed esteriorità, è senza dubbio dovuta all'influenza di Tsuge Yoshiharu.
Una nota di colore sul libro è che in molte scene ci sono i dialoghi in giapponese lasciati in giapponese senza alcun tipo di traduzione, mentre invece le frasi in italiano hanno la traduzione in inglese sotto. Come mai?
La traduzione in inglese è una caratteristica dei fumetti pubblicati da Canicola, per offrire una fruibilità anche ai lettori all'estero.
La non traduzione dei termini giapponesi è invece dovuta alla mia volontà. Volevo inizialmente "confondere" il lettore facendogli vivere lo spaesamento che ho vissuto io all'inizio del mio viaggio. Volevo che il lettore cominciasse a capire quando ho cominciato a capire io, infatti per questo motivo la traduzione delle frasi compare man mano che il fumetto va avanti e anche le onomatopee inizialmente sono in giapponese e poi cambiano in onomatopee occidentali. E' un artifizio voluto, così come l'impaginazione all'orientale, per dare una sensazione di smarrimento al lettore come quella che ho vissuto io durante il mio viaggio.
Un consiglio per chi vuole intraprendere il lavoro di fumettista o traduttore?
Io ho intrapreso entrambe le carriere perché avevo una passione fortissima. Entrambi sono lavori che richiedono sacrifici pazzeschi. C'è, almeno inizialmente, pochissimo ritorno dal punto di vista economico e professionale, quindi bisogna un po' stringere i denti.
Questa è, però, anche una caratteristica dei fumetti giapponesi, no? Stringere i denti e tirare dritto.
Quello che avremo in cambio di questi sacrifici sarà bellissimo. Io sono riuscito a pubblicare un libro e credo che questa sia la cosa più bella che mi sia capitata. E' la stessa sensazione che ho provato traducendo il mio primo libro e ogni volta che mi approccio alla traduzione di un nuovo autore.
Durante la manifestazione lucchese, Filosa ha partecipato anche ad uno showcase in cui gli sono state rivolte delle domande più specifiche sulla sua professione di fumettista.
Ho vissuto in Giappone tra il 2006 e il 2007 tra i tre e i nove mesi. Ho pensato di trasformare in lavoro quella mia esperienza.
Ho prodotto alcuni volumetti sotto forma di pagine di diario, albetti.
Era un embrione di questo libro.
Io sono grafico, traduttore da giapponese e da inglese, ed è stato difficile per me affrontare il lavoro di una storia lunga.
Lavoro senza storyboard, senza schemi. È stato un libro in divenire, partito come diario di viaggio nei miei intenti.
Lentamente ha raggiunto la forma di romanzo con fortissimi spunti autobiografici; è anche un po' un romanzo di formazione. Quando ho capito che forma avrebbe avuto, ho potuto lavorarci un po' più velocemente.
Ho imparato poi un'altra cosa. La produzione di fumetti è enorme, con tantissimi generi e altrettanti rappresentanti. Il mio intento è quello di raccontare storie personali, di metterci del mio, perché credo che sia l'unico modo di creare qualcosa di originale. Senza quindi caratterizzare il libro per un lirismo eccessivo e pesante.
Quello che leggete nel libro è quello che veramente è successo, in un modo o nell'altro, dentro la mia testa o in concreto, ma cercando di allontanare lo sguardo da quelle che erano le mie emozioni e i miei sentimenti.
Ho iniziato raccontando la mia storia, poi è diventata quella di un ragazzo di 25 anni che era a Tokyo; è un pregio, è anche però un difetto non sapere cosa succederà nella pagina successiva.
E' terribile dal punto di vista di avere una scadenza di consegna per l'opera, sappiatelo!
La gestione dei tempi sfugge, dal punto di vista editoriale è un problema; ma se fossi un editore, comunque darei spazio a un autore per lavorare così, perché è una modalità interessante.
Ho scoperto infatti che non è una cosa che faccio solo io. Dal punto di vista tecnico o professionale forse non è il massimo... so che gli editor che erano con me non hanno dormito per molte notti...
E' un modo molto emotivo di lavorare.
C'è il rischio di disegnare, scansionare, retinare, inchiostrare e letterare 30 pagine per poi accorgersi che vanno rifatte, o ridisegnate, e riscoprire che non è ancora la forma giusta, e ricominciare, impazzire, e così via. Ma alla fine la forma si trova!
Tu sei di base un fan del fumetto americano. A tua percezione altri hanno un modo di scrittura simile?
Ho lavorato come standista per 10 anni qui a Lucca, sono stato uno stalker anch'io da questo punto di vista. Ma no, i professionisti seri hanno un approccio, per l'appunto, serio e professionale. D'altra parte per fare libri di 600 pagine bisogna avere un certo tipo di preparazione. Ma così come lo fa il mio collega Paolo Cattaneo. Forse è un lavoro necessario, e un giorno dovrò farci i conti.
Il mio libro è diviso in 10 capitoli, è come se fossero storie brevi alla fin fine...
Mi sono accorta comunque che certi racconti erano troppo fuorvianti rispetto al tema della storia, e per quanto quindi al lettore farebbe piacere leggere “tutto”, abbiamo deciso di tenerli fuori.
La tua passione per i manga traspare fortissima dalle tue pagine. Questo mi ha incuriosito, mi ha fatto andare alla ricerca di questo “Tsuge minore”.
In realtà cercavo il ben più famoso Tsuge Yoshiharu, suo fratello. Ecco, nel libro descrivo i Mandarake, scendi come fossi all'inferno, ci sono tre piani di scale, e quando arrivi c'è un'immensa muraglia di autoproduzioni, le doujinshi. E poi c'è tutto il resto. Ci ho messo ore per trovare questo Yoshiharu, e a volte anche i commessi non sanno che risponderti.
Io cercavo la rivista GARO, il commesso mi ha portato alla vetrinetta con il merchandising tratto dalla serie di telefilm...
Torno a casa, apro il libro, e scopro che lo stile non è quello di Yoshiharu. Ed era il fratello, che è stato pubblicato in occidente solo sei mesi fa. Ha un tratto di disegno particolare. Ma è stato un bellissimo errore, il mio!
Pensavo ad immagini di altri tuoi lavori, anche. Riesci a descriverci come ti vengono in mente? Ad esempio il tuo personaggio sotto la doccia, che sembra voler proteggere la sua lei ma in realtà in mano ha un sacco di soldi.
Beh, io non ho una grande immaginazione. Aspetto che succedano le cose per metterle in un libro. Quella che tu citi è una riflessione sulla vita in Calabria, sulle eredità, etc.
E' quello che succede o succedeva a me in quel particolare periodo. Sento il bisogno di raccontare qualcosa, non importa come. Adesso ho anche imparato che posso farci terapia.
Se ho un nodo da sciogliere, so che posso farlo disegnando.
Beh, e consenti anche ai tuoi lettori di entrare nella tua testa, scavare nella tua mente.
Se è così, e ne sarei felicissimo, è perché non ci sono passaggi intermedi tra la storia e la messa in tavola. Prendo e disegno. Se è da rifare, lo vedo solo una volta che è conclusa, non ho la forza di vedere il prodotto finito sullo storyboard. Ho bisogno di vedere le vignette, la disposizione sulle due tavole, la visione d'insieme... e così via.
Ho fatto diventare matti i miei collaboratori per questo.
Ma questo può essere paragonabile a quello che Toffolo definiva l'amore? Senti la passione, la dedizione.
Nel mio caso il discorso è molto semplice: non faccio altro dalla mattina alla sera. Io lavoro traducendo fumetti, impaginandoli, etc. Lo faccio per passione. Se non ho filtri nella produzione di una storia, è chiaro che questo traspare. Se sono fatto di passione per i fumetti, è chiaro che questo riesce ad arrivare al lettore.
Ho risolto un sacco di problemi scrivendo questo libro, comunque. Se mi avessi conosciuto un anno fa... ero tetro!
Ma ora sto istruendo anche mio figlio! E sono molto felice di questo, diventeremo una famiglia di fumettari. Io arrivo da un luogo in cui diventi avvocato, o commercialista. Io sono fortunato, questo strumento del fumetto mi consente di viverci, come posso non amarlo così tanto?
Tutto quello che faccio non l'ho studiato. Lo faccio perché ci arrivo da solo. Da piccolo mi ispiravano i supereroi, poi è scemato. Poi a 18 anni lessi una storia di Toffolo da Mondo Naif, che neppure era disegnata da lui, e che parlava di lui (Davide deve andare a un concerto ed è in ritardo etc...). Quella volta decisi che volevo fare fumetti, che mi avrebbe risolto un sacco di cose.
Che avrebbe avuto magari la forza di cambiare anche qualcun altro.
Comunque non mi sono mai trovato nella condizione di dover chiedere una pubblicazione a qualcuno, bensì di ricevere richieste, in amicizia. Non perché l'industria ne avesse bisogno, eh.
Come ti senti, nella montagna dei fumettisti?
Alla base, assolutamente. In cima c'è gente che ha prodotto centinaia di migliaia di cose spettacolari.
Un grosso ringraziamento a Vincenzo Filosa per la disponibilità. Grazie anche a Gordy e zettailara per il materiale relativo allo showcase.
Ringrazio l'autore per la grande disponibilità, è stato bello riuscire a fare due chiacchiere del caos di Lucca.
Da neofita del genere gekiga ho particolarmente apprezzato l'intervista a questo interessante autore.
Mi è dispiaciuto non poterlo seguire a Lucca per la coincidenza con altri impegni...
La mia prof di inglese alle superiori diceva sempre (ed era una brava prof, mica una scarpa!) che un giorno era andata in Inghilterra con una collega e arrivate all'aeroporto non riuscivano a capire cosa dicessero gli addetti... Immaginiamo trovarci improvvisamente davanti un muro di "geroglifici"!
il volume devo ancora recuperarlo purtroppo.
Tormenta Nera è f a v o l o s o !
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