Continua la chiacchierata di AnimeClick con il doppiatore Massimiliano Alto, in concomitanza con l'uscita del primo album dei Public Radar, il gruppo rock di cui è esponente:
AC: Ci spiegheresti in cosa consiste il lavoro di un direttore di doppiaggio? (ndr: Max Alto ha diretto LOST, Elementary, Hawaii Five-O, The Good Wife... per citarne solo alcuni)
MA: Il direttore di doppiaggio deve innanzitutto vedere il prodotto che andrà ad affrontare: serie, cartoni o altro ancora, e conoscerlo bene, vederselo in originale, studiarsi i personaggi e poi fare una distribuzione dei ruoli, se non vengono richiesti dei provini.
Se invece il cliente decide che vuole fare i provini, si scelgono tre voci per le quali si cerca un “match voice”, ovvero una similitudine vocale. Se nessuno li chiede il direttore ha la responsabilità di distribuire su quel ruolo chi ci vede meglio, e ognuno può vedersi attori diversi, a meno che non siano attori obbligati. Su Leonardo di Caprio, c'è Pezzulli e sarebbe stupido cambiarlo, in linea di massima lo si mantiene. Con personaggi nuovi, uno si regola in autonomia.
Una volta fatta la distribuzione, si guida l'attore-doppiatore a cercare di carpire al meglio tutte le sfumature del personaggio. Magari uno può essere simile vocalmente, ma gli sfugge completamente tutto quello che è l’aspetto introspettivo del ruolo.
Noi alla fine dobbiamo sempre comunicare un’emozione, e per farlo doppiamo prima capire qual è. Molto spesso ci sono anche doppiatori ai quali sfugge questa cosa. Il direttore dovrebbe – e dico dovrebbe perché non è sempre così che funziona - dovrebbe avere il ruolo di condurli per mano verso la migliore esecuzione.
Poi c’è l’assistente di doppiaggio, col ruolo a volte anche più importante dello stesso direttore, che fa una pianificazione del lavoro vera e propria, guarda il sync – che comunque oggi come oggi potrebbe essere l’ultimo dei problemi- , ed è la psicologa della sala, perché quando al direttore gli girano le scatole, e agli attori pure, è colei che mette pace tra tutti.
E poi c’è il fonico, il quale si preoccupa del suono vero e proprio, e insieme col direttore si confronta per valutare se un anello (nd: di doppiaggio) è buono o no, a seconda anche se può aver saturato, strillato, se è un po’ sotto tono, e molto altro ancora.
Sembra facile, in realtà è un lavoro che richiede tanta tecnica, e poi ancora, se uno ha pazienza, tanta passione e tanto cuore. E tanta cultura, anche, secondo me, che oggi manca.
AC: Il direttore quindi è una sorta di maestro o insegnante nei confronti dei doppiatori di cui ha la responsabilità?
MA: Più che maestro, che ha una forma creativa su qualcosa, pensiamo che il direttore non deve creare, ma cercare di limitare i danni, perché i danni che si fanno col doppiaggio secondo me sono già tanti!
Il bravo direttore è colui che non permette al doppiatore di fare come vuole, ma di comprimere quest’arte dell’espressività in quella che può essere una sobrietà, in una recitazione più sintetica, oppure a volte più kitsch e così via. Il doppiatore, se va a briglie sciolte può essere un problema.
La figura del direttore ancora non si è capito bene ancora faccia, ma posso garantirvi che in certi film è tutto.
AC: Di tanto in tanto ti si sente interpretare qualche sparuta comparsa con poche battute in serie di cui segui la direzione del doppiaggio, ad esempio in Elementary: questi 'riempitivi' sono una pratica comune nel doppiaggio e se sì, è qualcosa di cui ti occupi volentieri?
MA: In realtà non è una cosa normale. A volte succede che si faccia un turno di piccoli ruoli, e magari non ci è piaciuto tanto com’è stata fatta quella cosa: "la ritentiamo? La rifacciamo?" Oppure qualche personaggio è sfuggito perché c’è sì una pianificazione, ma può capitare che sia saltato qualche anello e piuttosto di chiamare qualche attore che magari non è disponibile, ci sono io e m’infilo. Questo avviene in linea di massima.
Non mi metterei mai sul ruolo da protagonista così, di proposito. E’ capitato solo una volta, su Ratatouille che ho diretto e di cui ho fatto anche il protagonista, ma lì c’è stato un insieme di coincidenze. Lì vinsi il provino da protagonista, e poi doveva chiaramente dirigerlo un altro direttore che poi non ha potuto. Io sono entrato in sostituzione, quindi (ride) me la sono un po’ cantata e suonata, ma mi sembra che non sia venuto male (ride)!
AC: È mai capitato che una persona ti riconoscesse dalla voce chiamandoti con il nome di uno dei personaggi da te doppiati?
MA: No, perché se l’avesse fatto l'avrei menata! (ride della grossa)
Ma sì, forse a qualche fiera, tanto tempo fa, tipo Romics o Cartoomics, mi sentivano parlare e “ma che sei, Massimiliano Alto?” “sì”, però tutto lì, mai nessuno è venuto con un “Ah, Ranma!!”
Non è mai successo grazie a Dio, ma ripeto, allora era un altro contesto, era più facile, c’erano poche foto, uno visualizzava più facilmente. Oggi è tutto più dispersivo.
Se io oggi andassi a una fiera, non mi riconoscerebbe nessuno, e meno male! Da una parte sono anche contento, ci sono state delle fiere in cui ero un pochino preoccupato, con tutto il rispetto parlando, ma diventava pericoloso.
Io non sono uno dei Backstreet Boys, sono solo un doppiatore, e ci sono state delle manifestazioni in cui ho avuto un po' di paura in questo senso. Adesso no, ora sono invecchiato e nessuno mi riconosce, per fortuna (ride)...
AC: Però ti leggiamo sempre nei credits.
MA: Eh vabbé, quello c’è sempre (ride)!
AC: Ci racconteresti qual è stato il tuo personaggio più complesso, il più soddisfacente, il più inaspettato, ovvero quello su cui magari ti sei ricreduto interpretandolo... e per finire il personaggio che avresti voluto fare, e non hai fatto?
MA: Eh dipende da s’intende per complesso, vuol dire tante cose… Complesso tecnicamente: Kuzco nella serie A scuola con l'imperatore. Tecnicamente molto difficile. Per me era molto divertente, ma non era facile. E’ pirotecnico!
Ma complesso è anche Jeremy Davies in Millior Dollar Hotel, che è una persona disturbata, Emile Hirsh in Into the Wild, con questa parte un po’ sofferta, che non trova pace… Amadeus… ce ne sono tanti, non uno in particolare. Sono tanti i ruoli complessi. Mi ricordo la difficoltà che in quel momento potevo avere io perché tecnicamente avevo ancora delle lacune. Pur crescendo nel doppiaggio, uno non nasce imparato, tante cose si devono capire e vanno conquistate con un controllo sia vocale che di dizione e tutto. Io non sempre avevo questo. Sono sempre stato "molto cuore" ma poca tecnica. Io la mia tecnica l’ho migliorata negli anni.
Ci sono stati anzi dei momenti di panico, ad esempio quando vedevo troppe erre tutte di fila io mi dicevo “non ce la farò mai con questo!” e invece poi magari lo facevo…
Il più soddisfacente… non lo so, sono banale ma forse Aladdin. Quando lo faccio vedere a mio figlio, lui sente papà che parla ed è contento. Sì, sicuramente è quello (ride).
Il più inaspettato: Beh… non mi è dispiaciuto Killer Joe, in cui ho sempre doppiato io Emile Hirsh come in Alpha Dog etc.
Quel film era particolarmente violento, e consiglierei di vederlo, è quasi una pièce teatrale. Ma molto violenta, e lui molto bravo. Mi ha stimolato, non era niente di scontato, andando avanti l'avevo preso sottogamba e mi è piaciuto. forse il film non è riuscitissimo, ma loro sono molto bravi, e mi ha dato sicuramente soddisfazione.
Personaggi non fatti… di quelli odierni nessuno, ma all'epoca Alex di Arancia Meccanica.
AC: Ti chiediamo un altro paio di nomi: il personaggio cui ti senti più riconoscente, e quello che a livello personale per te ha segnato una svolta decisiva.
MA: Aladdin, sicuramente. L’unico che in qualche modo mi ha consacrato realmente in un mondo in cui fino a quel momento, di mio, non c’era stato più niente.
Io sono stato bambino prodigio fino a una certa età. Poi dai 12 anni a seguire, anche per crisi mie personali - avevo perso mio padre, non mi andava più di fare questo mestiere -, mi sono ritrovato a fare i brusii, quindi diciamo che da protagonista ai brusii non era proprio il massimo. E solo grazie, grazie, e ancora grazie a Renzo Stacchi che era il direttore e che non finirò mai di ringraziare ancora oggi, mi fu data un'opportunità in un ambiente in cui tutti dicevano “ma chi, quello?” “quello non è capace”, e tutta questa bella gente che mi denigrava e mi insultava, è la stessa che oggi io chiamo a lavorare. Quindi questo è il bello della rivincita personale (ride).
AC: Molti doppiatori arrivano poi a calcare le scene come attori; tu invece hai deciso di rimanere ancora una volta dietro il microfono, ma per fare anche musica. Ci racconteresti il perché di questa scelta?
MA: La musica è stata la cosa “prima di tutto” nella mia vita, sempre.
Senza voler essere semplicistico nello scaricare la colpa agli altri, io sono letteralmente cresciuto con un certo tipo di cultura musicale, ho vissuto profondamente con nel sangue il rock, il metal, qualunque cosa che fosse oltremanica e oltreoceano, e non parliamo degli anni 2000 ma del sound degli anni ‘70, io li ascoltavo nel ‘77, mio padre (il doppiatore Luciano Alto, ndr) lavorava in RAI e mi portava dei dischi straordinari per l’epoca. Io sono cresciuto con questi generi musicali e la musica è sempre stata il fulcro della mia vita. Solo che era difficile parlare di rock, di musical, di tutte queste cose meravigliose.
Io sono stato fortunato perché ho avuto modo di conoscerle di persona queste cose. Avevo l’opportunità anche grazie al mio mestiere di viaggiare e vedere. Quando tornavo qua, tornavo “in provincia”. Ma veramente in provincia.
E questo, in Italia, lo sappiamo… In Italia non si è mai azzardato granché in ambito musicale, poche cose negli anni ‘80 per poi tornare prettamente all'italiano e io questa cosa non l'ho mai sposata, sinceramente. C’è stato un momento in cui cantavamo in italiano con i WEB ma le cose non sono mai andate. Perché facevamo rock, cioè, c’è sempre stato un ostacolo.
Ma la mia vita è la musica, e io ho un po’ lavorato nel doppiaggio, perché è un mestiere sacro e sono stato molto fortunato a farne parte, ma che continuo anche a fare per mantenermi nella musica, perché questo è il mio vero obiettivo.
AC: Spostandosi sul nuovo album "A New Sunrise": il vostro primo EP è arrivato terzo nella classifica alternative di iTunes, ed è decisamente un ottimo risultato, come vi sentite? Soddisfatti o volete puntare ancora più in alto?
Cosa vi aspettate dall'uscita di questo primo album?
MA: Mah, per il nuovo album noi speriamo primi! No, diciamo che è stato già un buon risultato, perché nel pre-ordine siamo arrivati 14° nella classifica iTunes alternative italiana. Però abbiamo già avuto un piccolo traguardo, ma fondamentale, perché siamo entrati anche nella top chart americana, perché siamo stati inizialmente 50° e poi siamo risaliti! Credo ora 36°. E un conto è 36° in Italia, un conto è 36° in America. Per noi è un traguardo enorme, una cosa molto bella. Poi diciamo che un EP d’esordio erano tre tracce più due remix. Questo è un vero e proprio album. E’ anche più importante il lancio e dev’essere studiato meglio. Speriamo, speriamo che vada.
AC: Prevedete di fare un tour di promozione in giro per l'Italia? Quando e dove potremo sentirvi dal vivo?
La scelta di cantare in inglese e di inserirsi nel genere alternative, che negli ultimi anni sta godendo di un buon successo in Italia come all'estero, vi mette in un'ottima situazione per un'eventuale pubblico internazionale... avete già programmi per la "conquista del mondo"?
MA: Sicuramente entrambi gli ambiti ci interessano molto. Io non rinnego niente dell’Italia, anzi, ho sempre pensato che sarebbe bello essere motivo di esportazione, avere un gruppo d'esportazione in Italia che potrebbe essere ascoltato tranquillamente in Norvegia, vendere in America o Inghilterra. Questa è sempre stata quasi utopia perché l'Italia non ha mai creduto veramente nei propri prodotti, e quindi ha sbagliato un po’ sempre i mercati… abbiamo preferito esportare Laura Pausini, ma non si è mai saputo di tutti gli altri miliardi di gruppi fortissimi, o che dovevano solo essere un po’ aiutati e prodotti per essere messi sul mercato.
Noi abbiamo entrambe le intenzioni, cioè quella di fare innanzitutto un tour italiano, però certo puntare fuori è il sogno.
Stiamo aspettando il vero e proprio lancio del disco, uscito il 18 dicembre ma il supporto fisico il 23 dicembre per alcuni piccoli ritardi nella stampa. Il vinile è previsto per gennaio. Aspettiamo un insieme di cose… perché voi siete i primi a cui faccio l’intervista insieme a Radio24 con Pino Insegno. Ci sarà una serie di interviste in gennaio, e da lì poi capiremo, perché una buona recensione del disco porta senz'altro anche più richiamo. Speriamo quindi che possa piacere. Noi crediamo di aver fatto un prodotto buono.
AC: Nel nostro piccolo noi cercheremo di fare quel che possiamo, attraverso il nostro canale e la sua utenza. Notiamo che ogni traccia dell'album sembra prendere ispirazione da un diverso artist cult del genere. Quali sono le vostre influenze artistiche, oltre a quella già molto evidente dei Depeche Mode?
MA: Noi veniamo tutti dal mondo paradossalmente molto lontano da quello che facciamo ora. Siamo cresciuti negli anni ’80 con Iron Maiden e Metallica però c'erano anche Duran Duran e Spandau, e tanti altri artisti straordinari, i Simple Minds, i Depeche Mode che avete già citato… nessuno di questi è rinnegato. Noi abbiamo sempre avuto amore per tutta la musica buona. La musica è una sola, quella buona. Quella cattiva non va ascoltata!
Noi ci basiamo su influenze varie, quelle più moderne sono forse gli M83, forse anche qualcos'altro, d’ispirazione. È la metabolizzazione di un mondo che abbiamo fatto nostro e che oggi, all’età di 42 anni – io, gli altri all’incirca sono della stessa età - abbiamo voluto tirar fuori e comunicare. E’ proprio frutto di una bella metabolizzazione di anni in cui abbiamo deciso cosa vogliamo essere.
AC: Il misto di sonorità che unisce la musica anni '80 con la musica sintetica attuale ha tutte le carte in regola per sfondare.
MA: Io credo di sì, anche perché poi dico solo una cosa, extra: Io non penso che esista una musica che in base al vestito che viene dato possa sfondare o no. Penso ci sia la buona canzone che può sfondare, perché alla fine, se oggi mettiamo su True Blue di Madonna, è ancora oggi un disco enorme, per come suona.
Non c'è niente di datato.
La forza è sempre nella canzone in sé, i Simple Minds, i Wham. Li metti ancora adesso, suonano ancora egregiamente. Gli anni '80 hanno dato frutto a prodotti straordinari.
Poi gli anni ’90 li abbiamo rinnegati un po’, ma alla fine non è vero, quelli che hanno sfondato sono stati i figli degli anni ’80, che hanno preso il meglio di quegli anni, creando scene che sono state un po’ messe da parte ma poi riprese. Lo stesso shoegaze che noi abbiamo, le varie ambientazioni psichedeliche… è un mondo che c’era, era stato accantonato e ora è di nuovo attuale. Secondo me è un ciclo.
La musica è sempre quella. Dev’essere buona, però!
AC: Effettivamente, anche il vostro primo video oltre ad una sonorità rievocativa ha anche uno stile registico interamente anni '80, contate di ripetere la cosa anche per i video successivi o potremo aspettarci novità?
MA: Per quanto riguarda i video successivi ci stiamo pensando parecchio. Vorremmo capire… un video ha mille problematiche, anche se fosse un semplice playback, un inizio e una fine lo deve avere, bisogna in qualche modo sviluppare un'idea. Per il secondo ci stiamo ancora pensando ma penso che sarà una bella cosa.
Il primissimo video l’ha fatto Daniele Persica, il secondo per il nostro singolo attuale l’ha fatto Simone Pellegrini, ed è stato molto bravo a cogliere quello che noi volevamo comunicare, questa sorta di pellicola un po’ retrò.
Stiamo collaborando con questi ragazzi bravissimi, i VideoMatti, che hanno fatto il nostro teaser. E poi faranno sicuramente il nuovo singolo che sarà “A New Sunrise” e mi affido a loro, al loro talento.
Lo dico onestamente, sono bravi davvero: sono giovani, volenterosi, disponibili e hanno una grande meticolosità. Poi, insomma, largo ai giovani (ride)!
AC: Quanto di Massimiliano Alto come doppiatore c'è in questo gruppo, quanto ti influenza quel lavoro nella carriera come musicista e cosa apprezzi di più di questa tua nuova esperienza?
MA: Beh, tutto aiuta, sicuramente, anche perché prendere una posizione come quella di direttore di doppiaggio ti aiuta a essere – uso un termine che potrebbe essere banalotto – un po’ più smaliziato, perché non è facile dire a un attore che magari è molto più grande di te e ha anche più esperienze "no, tu ora fai così e così", bisogna essere attenti, delicati, attenti a non urtare…. ma alla fine ti da’ un’autorità, credibilità. E’ la mia credibilità. Bisogna essere convinti di quello che si sta facendo, non bisogna mai per paura ritrarsi. Questo mi ha aiutato molto.
Questo, adesso, nella musica mi ha aiutato ad essere più onesto. E questo è un disco che trovo onesto, un disco che abbiamo voluto, non è musica che abbiamo fatto perché piacesse agli altri, ma perché piace a noi. Non c’è truffa.
Molti dischi li sentiamo, sono progettati perché siano così, il ritornello "cosà"… questo no, è vero, è autentico. Siamo noi, persone che hanno preso la chitarra e si sono messe lì a comporre. Speravamo che arrivasse questo.
E il mio lavoro mi ha aiutato molto, perché, eh, un po' di fiducia bisogna averla, perché sennò anche lì si percepirebbe un’insicurezza, musicalmente parlando.
AC: Parlaci degli altri membri della band: come vi siete conosciuti e quali sono i loro ruoli all'interno del gruppo?
I testi e gli arrangiamenti li scrivete in maniera corale o è uno di voi in particolare che se ne occupa?
MA: Noi abbiamo iniziato in cinque nel gruppo, giustamente va detto: per scelte personali, due hanno preso strade diverse. In particolare, Claudio Del Proposto si occupava dei synth, è uno dei compositori di un gruppo che ora va molto bene.
L’altro è il batterista Paolo Fabbrocino, che in qualche modo ancora partecipa con noi, ma non in veste reale di quarto elemento. Tutte le batterie nel disco le ha fatte lui, diciamo che è un componente un po’ nascosto, anche perché lui è davvero un musicisista, lo fa di mestiere, è sempre più impegnato di noi.
Francesco Conte è mio compagno di tantissime avventure musicali, tra cui i WEB che è stata la mia prima band musicale davvero importante, in cui suonavo con i due componenti dei DHAMM che andavano a Sanremo nel 94 (Massimo Conti e Mauro Munzi).
Lui ha suonato sempre con me, è compositore straordinario, chitarrista eccezionale, anche di un altro gruppo molto forte che si chiama Klimt1918, e poi ha collaborato in tante situazioni musicali.
Andrew Mecoli sta ai synth ma nasce come chitarrista e cantante della scena punk hard core romana, anche lui ha suonato in diverse band tra cui i Volume e i Growing Concern, ed è un compositore fantastico, si è rivelato un grandissimo aiuto per i synth pur nascendo come chitarrista. E’ bravissimo.
Tutto questo noi l’abbiamo registrato in uno studio grazie all’aiuto di un producer che ci ha dato una mano enorme – anche sull’elettronica- ovvero Giuseppe Colavolpe, che è un DJ oltre che bravissimo producer.
La nascita di questi testi è stata veramente sofferta; non avevamo le idee chiarissime, avevamo i pezzi. Ne abbiamo provati alcuni, sviluppati un po’ in sala, e poi siamo andati in studio, in cui abbiamo cercato il vero e proprio vestito da dare al tutto.
E l’abbiamo registrato quasi sempre di notte, perché… di giorno ognuno di noi lavorava (ride)! Quindi è veramente un disco notturno come impostazione!
AC: L’abbiamo notato, in effetti! L'album ci pare essere incentrato su tematiche delusional-amorose con particolare attenzione all'ambito notturno/albeggiante che sembra essere una tematica ricorrente, tanto da dare il nome all'album e a parecchi brani contenuti al suo interno: come mai tale scelta?
MA: Ogni pezzo potrebbe essere un diario, no? In qualche modo! Ma questo per chiunque, a volte ci sono canzoni che nascono senza un motivo, perché magari quel giorno stiamo particolarmente bene, o al contrario, male.
Il filo conduttore è sempre la sofferenza della natura umana, almeno per quanto mi riguarda: l’amore conflittuale, quello non corrisposto, e quello che potrebbe finire. O anche la nascita dell’amore stesso, perché poi la felicità non è che sia una cosa che non crea dei traumi. Li genera comunque, quindi anche la felicità nell'amore potrebbe essere un trauma. Diciamo che non vivo bene niente, ecco, è colpa mia perché non è nella mia natura (ride)!
Standing on the edge of the night nasce su una base diversa, di stare così sull'orlo della notte, sulla ricerca di un incontro che non è detto che avvenga, che non può avvenire o che non è avvenuto.
Forse le più positive sono Voices e A New Sunrise, quantomeno a livello di testo, diciamo così.
AC: Concludiamo qui, e di nuovo ti ringraziamo davvero molto da parte di tutta l'utenza di AnimeClick.it per averci concesso il tuo tempo e risposto a tutte queste domande, per farci conoscere qualcosa di più del tuo mondo "dietro le quinte".
MA: Macché, figurati! Guarda, sono io a ringraziare tantissimo voi, semmai. Poi vi svelo anche una cosa: abbiamo fatto la cover di Hello di Adele per cui ora c’è anche il video. E’ venuta una cosa strana, particolare, come omaggio a una cantante che sta spopolando e con la quale noi in conclusione non c’entriamo assolutamente nulla, però abbiamo voluto provare, della serie “se viene viene, se non viene non viene”. E devo dire una cosa carina: è venuto!
Spero che veramente quest’intervista abbia un’eco anche per voi, perché siete stati molto disponibili e carini.
AC: La nostra utenza ti conosce per tantissime cose, non solo per gli anime, ma anche per i film. Pensiamo, al pari di quanto ci hai detto prima, che la tua carriera ti abbia regalato alle spalle una credibilità, e che chi ti vede ora “metterti in musica” in un certo senso comprenderà che non è una cosa che nasce dal niente, ma che questo accade su delle basi fondate, proprio sapendo chi sei e da dove provieni. Quindi speriamo di poter dare una mano in questo senso, e soprattutto ci auguriamo di sentirti cantare e lavorare al doppiaggio ancora per molto, molto tempo!
MA: E’ una bella sensibilità dire questo, ti ringrazio veramente tanto.
AC: Allora davvero, ti auguriamo buona fortuna per l’album!
MA: Grazie ancora!
Oltre che al disponibilissimo Max, un grazie particolare va a Rossella per l’ideazione e la revisione dell’intervista, quindi a Simone e Patrizia per la collaborazione.
E a Gianluca e Marco, senza i quali essa non sarebbe proprio stata possibile.
Fonti consultate:
YouTube
pagina ufficiale Facebook dei The Public Radar
AC: Ci spiegheresti in cosa consiste il lavoro di un direttore di doppiaggio? (ndr: Max Alto ha diretto LOST, Elementary, Hawaii Five-O, The Good Wife... per citarne solo alcuni)
MA: Il direttore di doppiaggio deve innanzitutto vedere il prodotto che andrà ad affrontare: serie, cartoni o altro ancora, e conoscerlo bene, vederselo in originale, studiarsi i personaggi e poi fare una distribuzione dei ruoli, se non vengono richiesti dei provini.
Se invece il cliente decide che vuole fare i provini, si scelgono tre voci per le quali si cerca un “match voice”, ovvero una similitudine vocale. Se nessuno li chiede il direttore ha la responsabilità di distribuire su quel ruolo chi ci vede meglio, e ognuno può vedersi attori diversi, a meno che non siano attori obbligati. Su Leonardo di Caprio, c'è Pezzulli e sarebbe stupido cambiarlo, in linea di massima lo si mantiene. Con personaggi nuovi, uno si regola in autonomia.
Una volta fatta la distribuzione, si guida l'attore-doppiatore a cercare di carpire al meglio tutte le sfumature del personaggio. Magari uno può essere simile vocalmente, ma gli sfugge completamente tutto quello che è l’aspetto introspettivo del ruolo.
Noi alla fine dobbiamo sempre comunicare un’emozione, e per farlo doppiamo prima capire qual è. Molto spesso ci sono anche doppiatori ai quali sfugge questa cosa. Il direttore dovrebbe – e dico dovrebbe perché non è sempre così che funziona - dovrebbe avere il ruolo di condurli per mano verso la migliore esecuzione.
Poi c’è l’assistente di doppiaggio, col ruolo a volte anche più importante dello stesso direttore, che fa una pianificazione del lavoro vera e propria, guarda il sync – che comunque oggi come oggi potrebbe essere l’ultimo dei problemi- , ed è la psicologa della sala, perché quando al direttore gli girano le scatole, e agli attori pure, è colei che mette pace tra tutti.
E poi c’è il fonico, il quale si preoccupa del suono vero e proprio, e insieme col direttore si confronta per valutare se un anello (nd: di doppiaggio) è buono o no, a seconda anche se può aver saturato, strillato, se è un po’ sotto tono, e molto altro ancora.
Sembra facile, in realtà è un lavoro che richiede tanta tecnica, e poi ancora, se uno ha pazienza, tanta passione e tanto cuore. E tanta cultura, anche, secondo me, che oggi manca.
AC: Il direttore quindi è una sorta di maestro o insegnante nei confronti dei doppiatori di cui ha la responsabilità?
MA: Più che maestro, che ha una forma creativa su qualcosa, pensiamo che il direttore non deve creare, ma cercare di limitare i danni, perché i danni che si fanno col doppiaggio secondo me sono già tanti!
Il bravo direttore è colui che non permette al doppiatore di fare come vuole, ma di comprimere quest’arte dell’espressività in quella che può essere una sobrietà, in una recitazione più sintetica, oppure a volte più kitsch e così via. Il doppiatore, se va a briglie sciolte può essere un problema.
La figura del direttore ancora non si è capito bene ancora faccia, ma posso garantirvi che in certi film è tutto.
AC: Di tanto in tanto ti si sente interpretare qualche sparuta comparsa con poche battute in serie di cui segui la direzione del doppiaggio, ad esempio in Elementary: questi 'riempitivi' sono una pratica comune nel doppiaggio e se sì, è qualcosa di cui ti occupi volentieri?
MA: In realtà non è una cosa normale. A volte succede che si faccia un turno di piccoli ruoli, e magari non ci è piaciuto tanto com’è stata fatta quella cosa: "la ritentiamo? La rifacciamo?" Oppure qualche personaggio è sfuggito perché c’è sì una pianificazione, ma può capitare che sia saltato qualche anello e piuttosto di chiamare qualche attore che magari non è disponibile, ci sono io e m’infilo. Questo avviene in linea di massima.
Non mi metterei mai sul ruolo da protagonista così, di proposito. E’ capitato solo una volta, su Ratatouille che ho diretto e di cui ho fatto anche il protagonista, ma lì c’è stato un insieme di coincidenze. Lì vinsi il provino da protagonista, e poi doveva chiaramente dirigerlo un altro direttore che poi non ha potuto. Io sono entrato in sostituzione, quindi (ride) me la sono un po’ cantata e suonata, ma mi sembra che non sia venuto male (ride)!
AC: È mai capitato che una persona ti riconoscesse dalla voce chiamandoti con il nome di uno dei personaggi da te doppiati?
MA: No, perché se l’avesse fatto l'avrei menata! (ride della grossa)
Ma sì, forse a qualche fiera, tanto tempo fa, tipo Romics o Cartoomics, mi sentivano parlare e “ma che sei, Massimiliano Alto?” “sì”, però tutto lì, mai nessuno è venuto con un “Ah, Ranma!!”
Non è mai successo grazie a Dio, ma ripeto, allora era un altro contesto, era più facile, c’erano poche foto, uno visualizzava più facilmente. Oggi è tutto più dispersivo.
Se io oggi andassi a una fiera, non mi riconoscerebbe nessuno, e meno male! Da una parte sono anche contento, ci sono state delle fiere in cui ero un pochino preoccupato, con tutto il rispetto parlando, ma diventava pericoloso.
Io non sono uno dei Backstreet Boys, sono solo un doppiatore, e ci sono state delle manifestazioni in cui ho avuto un po' di paura in questo senso. Adesso no, ora sono invecchiato e nessuno mi riconosce, per fortuna (ride)...
AC: Però ti leggiamo sempre nei credits.
MA: Eh vabbé, quello c’è sempre (ride)!
AC: Ci racconteresti qual è stato il tuo personaggio più complesso, il più soddisfacente, il più inaspettato, ovvero quello su cui magari ti sei ricreduto interpretandolo... e per finire il personaggio che avresti voluto fare, e non hai fatto?
MA: Eh dipende da s’intende per complesso, vuol dire tante cose… Complesso tecnicamente: Kuzco nella serie A scuola con l'imperatore. Tecnicamente molto difficile. Per me era molto divertente, ma non era facile. E’ pirotecnico!
Ma complesso è anche Jeremy Davies in Millior Dollar Hotel, che è una persona disturbata, Emile Hirsh in Into the Wild, con questa parte un po’ sofferta, che non trova pace… Amadeus… ce ne sono tanti, non uno in particolare. Sono tanti i ruoli complessi. Mi ricordo la difficoltà che in quel momento potevo avere io perché tecnicamente avevo ancora delle lacune. Pur crescendo nel doppiaggio, uno non nasce imparato, tante cose si devono capire e vanno conquistate con un controllo sia vocale che di dizione e tutto. Io non sempre avevo questo. Sono sempre stato "molto cuore" ma poca tecnica. Io la mia tecnica l’ho migliorata negli anni.
Ci sono stati anzi dei momenti di panico, ad esempio quando vedevo troppe erre tutte di fila io mi dicevo “non ce la farò mai con questo!” e invece poi magari lo facevo…
Il più soddisfacente… non lo so, sono banale ma forse Aladdin. Quando lo faccio vedere a mio figlio, lui sente papà che parla ed è contento. Sì, sicuramente è quello (ride).
Il più inaspettato: Beh… non mi è dispiaciuto Killer Joe, in cui ho sempre doppiato io Emile Hirsh come in Alpha Dog etc.
Quel film era particolarmente violento, e consiglierei di vederlo, è quasi una pièce teatrale. Ma molto violenta, e lui molto bravo. Mi ha stimolato, non era niente di scontato, andando avanti l'avevo preso sottogamba e mi è piaciuto. forse il film non è riuscitissimo, ma loro sono molto bravi, e mi ha dato sicuramente soddisfazione.
Personaggi non fatti… di quelli odierni nessuno, ma all'epoca Alex di Arancia Meccanica.
AC: Ti chiediamo un altro paio di nomi: il personaggio cui ti senti più riconoscente, e quello che a livello personale per te ha segnato una svolta decisiva.
MA: Aladdin, sicuramente. L’unico che in qualche modo mi ha consacrato realmente in un mondo in cui fino a quel momento, di mio, non c’era stato più niente.
Io sono stato bambino prodigio fino a una certa età. Poi dai 12 anni a seguire, anche per crisi mie personali - avevo perso mio padre, non mi andava più di fare questo mestiere -, mi sono ritrovato a fare i brusii, quindi diciamo che da protagonista ai brusii non era proprio il massimo. E solo grazie, grazie, e ancora grazie a Renzo Stacchi che era il direttore e che non finirò mai di ringraziare ancora oggi, mi fu data un'opportunità in un ambiente in cui tutti dicevano “ma chi, quello?” “quello non è capace”, e tutta questa bella gente che mi denigrava e mi insultava, è la stessa che oggi io chiamo a lavorare. Quindi questo è il bello della rivincita personale (ride).
AC: Molti doppiatori arrivano poi a calcare le scene come attori; tu invece hai deciso di rimanere ancora una volta dietro il microfono, ma per fare anche musica. Ci racconteresti il perché di questa scelta?
MA: La musica è stata la cosa “prima di tutto” nella mia vita, sempre.
Senza voler essere semplicistico nello scaricare la colpa agli altri, io sono letteralmente cresciuto con un certo tipo di cultura musicale, ho vissuto profondamente con nel sangue il rock, il metal, qualunque cosa che fosse oltremanica e oltreoceano, e non parliamo degli anni 2000 ma del sound degli anni ‘70, io li ascoltavo nel ‘77, mio padre (il doppiatore Luciano Alto, ndr) lavorava in RAI e mi portava dei dischi straordinari per l’epoca. Io sono cresciuto con questi generi musicali e la musica è sempre stata il fulcro della mia vita. Solo che era difficile parlare di rock, di musical, di tutte queste cose meravigliose.
Io sono stato fortunato perché ho avuto modo di conoscerle di persona queste cose. Avevo l’opportunità anche grazie al mio mestiere di viaggiare e vedere. Quando tornavo qua, tornavo “in provincia”. Ma veramente in provincia.
E questo, in Italia, lo sappiamo… In Italia non si è mai azzardato granché in ambito musicale, poche cose negli anni ‘80 per poi tornare prettamente all'italiano e io questa cosa non l'ho mai sposata, sinceramente. C’è stato un momento in cui cantavamo in italiano con i WEB ma le cose non sono mai andate. Perché facevamo rock, cioè, c’è sempre stato un ostacolo.
Ma la mia vita è la musica, e io ho un po’ lavorato nel doppiaggio, perché è un mestiere sacro e sono stato molto fortunato a farne parte, ma che continuo anche a fare per mantenermi nella musica, perché questo è il mio vero obiettivo.
AC: Spostandosi sul nuovo album "A New Sunrise": il vostro primo EP è arrivato terzo nella classifica alternative di iTunes, ed è decisamente un ottimo risultato, come vi sentite? Soddisfatti o volete puntare ancora più in alto?
Cosa vi aspettate dall'uscita di questo primo album?
MA: Mah, per il nuovo album noi speriamo primi! No, diciamo che è stato già un buon risultato, perché nel pre-ordine siamo arrivati 14° nella classifica iTunes alternative italiana. Però abbiamo già avuto un piccolo traguardo, ma fondamentale, perché siamo entrati anche nella top chart americana, perché siamo stati inizialmente 50° e poi siamo risaliti! Credo ora 36°. E un conto è 36° in Italia, un conto è 36° in America. Per noi è un traguardo enorme, una cosa molto bella. Poi diciamo che un EP d’esordio erano tre tracce più due remix. Questo è un vero e proprio album. E’ anche più importante il lancio e dev’essere studiato meglio. Speriamo, speriamo che vada.
AC: Prevedete di fare un tour di promozione in giro per l'Italia? Quando e dove potremo sentirvi dal vivo?
La scelta di cantare in inglese e di inserirsi nel genere alternative, che negli ultimi anni sta godendo di un buon successo in Italia come all'estero, vi mette in un'ottima situazione per un'eventuale pubblico internazionale... avete già programmi per la "conquista del mondo"?
MA: Sicuramente entrambi gli ambiti ci interessano molto. Io non rinnego niente dell’Italia, anzi, ho sempre pensato che sarebbe bello essere motivo di esportazione, avere un gruppo d'esportazione in Italia che potrebbe essere ascoltato tranquillamente in Norvegia, vendere in America o Inghilterra. Questa è sempre stata quasi utopia perché l'Italia non ha mai creduto veramente nei propri prodotti, e quindi ha sbagliato un po’ sempre i mercati… abbiamo preferito esportare Laura Pausini, ma non si è mai saputo di tutti gli altri miliardi di gruppi fortissimi, o che dovevano solo essere un po’ aiutati e prodotti per essere messi sul mercato.
Noi abbiamo entrambe le intenzioni, cioè quella di fare innanzitutto un tour italiano, però certo puntare fuori è il sogno.
Stiamo aspettando il vero e proprio lancio del disco, uscito il 18 dicembre ma il supporto fisico il 23 dicembre per alcuni piccoli ritardi nella stampa. Il vinile è previsto per gennaio. Aspettiamo un insieme di cose… perché voi siete i primi a cui faccio l’intervista insieme a Radio24 con Pino Insegno. Ci sarà una serie di interviste in gennaio, e da lì poi capiremo, perché una buona recensione del disco porta senz'altro anche più richiamo. Speriamo quindi che possa piacere. Noi crediamo di aver fatto un prodotto buono.
AC: Nel nostro piccolo noi cercheremo di fare quel che possiamo, attraverso il nostro canale e la sua utenza. Notiamo che ogni traccia dell'album sembra prendere ispirazione da un diverso artist cult del genere. Quali sono le vostre influenze artistiche, oltre a quella già molto evidente dei Depeche Mode?
MA: Noi veniamo tutti dal mondo paradossalmente molto lontano da quello che facciamo ora. Siamo cresciuti negli anni ’80 con Iron Maiden e Metallica però c'erano anche Duran Duran e Spandau, e tanti altri artisti straordinari, i Simple Minds, i Depeche Mode che avete già citato… nessuno di questi è rinnegato. Noi abbiamo sempre avuto amore per tutta la musica buona. La musica è una sola, quella buona. Quella cattiva non va ascoltata!
Noi ci basiamo su influenze varie, quelle più moderne sono forse gli M83, forse anche qualcos'altro, d’ispirazione. È la metabolizzazione di un mondo che abbiamo fatto nostro e che oggi, all’età di 42 anni – io, gli altri all’incirca sono della stessa età - abbiamo voluto tirar fuori e comunicare. E’ proprio frutto di una bella metabolizzazione di anni in cui abbiamo deciso cosa vogliamo essere.
AC: Il misto di sonorità che unisce la musica anni '80 con la musica sintetica attuale ha tutte le carte in regola per sfondare.
MA: Io credo di sì, anche perché poi dico solo una cosa, extra: Io non penso che esista una musica che in base al vestito che viene dato possa sfondare o no. Penso ci sia la buona canzone che può sfondare, perché alla fine, se oggi mettiamo su True Blue di Madonna, è ancora oggi un disco enorme, per come suona.
Non c'è niente di datato.
La forza è sempre nella canzone in sé, i Simple Minds, i Wham. Li metti ancora adesso, suonano ancora egregiamente. Gli anni '80 hanno dato frutto a prodotti straordinari.
Poi gli anni ’90 li abbiamo rinnegati un po’, ma alla fine non è vero, quelli che hanno sfondato sono stati i figli degli anni ’80, che hanno preso il meglio di quegli anni, creando scene che sono state un po’ messe da parte ma poi riprese. Lo stesso shoegaze che noi abbiamo, le varie ambientazioni psichedeliche… è un mondo che c’era, era stato accantonato e ora è di nuovo attuale. Secondo me è un ciclo.
La musica è sempre quella. Dev’essere buona, però!
Standing on the edge of the night ~ The Public Radar
AC: Effettivamente, anche il vostro primo video oltre ad una sonorità rievocativa ha anche uno stile registico interamente anni '80, contate di ripetere la cosa anche per i video successivi o potremo aspettarci novità?
MA: Per quanto riguarda i video successivi ci stiamo pensando parecchio. Vorremmo capire… un video ha mille problematiche, anche se fosse un semplice playback, un inizio e una fine lo deve avere, bisogna in qualche modo sviluppare un'idea. Per il secondo ci stiamo ancora pensando ma penso che sarà una bella cosa.
Il primissimo video l’ha fatto Daniele Persica, il secondo per il nostro singolo attuale l’ha fatto Simone Pellegrini, ed è stato molto bravo a cogliere quello che noi volevamo comunicare, questa sorta di pellicola un po’ retrò.
Stiamo collaborando con questi ragazzi bravissimi, i VideoMatti, che hanno fatto il nostro teaser. E poi faranno sicuramente il nuovo singolo che sarà “A New Sunrise” e mi affido a loro, al loro talento.
Lo dico onestamente, sono bravi davvero: sono giovani, volenterosi, disponibili e hanno una grande meticolosità. Poi, insomma, largo ai giovani (ride)!
AC: Quanto di Massimiliano Alto come doppiatore c'è in questo gruppo, quanto ti influenza quel lavoro nella carriera come musicista e cosa apprezzi di più di questa tua nuova esperienza?
MA: Beh, tutto aiuta, sicuramente, anche perché prendere una posizione come quella di direttore di doppiaggio ti aiuta a essere – uso un termine che potrebbe essere banalotto – un po’ più smaliziato, perché non è facile dire a un attore che magari è molto più grande di te e ha anche più esperienze "no, tu ora fai così e così", bisogna essere attenti, delicati, attenti a non urtare…. ma alla fine ti da’ un’autorità, credibilità. E’ la mia credibilità. Bisogna essere convinti di quello che si sta facendo, non bisogna mai per paura ritrarsi. Questo mi ha aiutato molto.
Questo, adesso, nella musica mi ha aiutato ad essere più onesto. E questo è un disco che trovo onesto, un disco che abbiamo voluto, non è musica che abbiamo fatto perché piacesse agli altri, ma perché piace a noi. Non c’è truffa.
Molti dischi li sentiamo, sono progettati perché siano così, il ritornello "cosà"… questo no, è vero, è autentico. Siamo noi, persone che hanno preso la chitarra e si sono messe lì a comporre. Speravamo che arrivasse questo.
E il mio lavoro mi ha aiutato molto, perché, eh, un po' di fiducia bisogna averla, perché sennò anche lì si percepirebbe un’insicurezza, musicalmente parlando.
I The Public Radar si esibiscono dal vivo nello storico locale Piper di Roma
AC: Parlaci degli altri membri della band: come vi siete conosciuti e quali sono i loro ruoli all'interno del gruppo?
I testi e gli arrangiamenti li scrivete in maniera corale o è uno di voi in particolare che se ne occupa?
MA: Noi abbiamo iniziato in cinque nel gruppo, giustamente va detto: per scelte personali, due hanno preso strade diverse. In particolare, Claudio Del Proposto si occupava dei synth, è uno dei compositori di un gruppo che ora va molto bene.
L’altro è il batterista Paolo Fabbrocino, che in qualche modo ancora partecipa con noi, ma non in veste reale di quarto elemento. Tutte le batterie nel disco le ha fatte lui, diciamo che è un componente un po’ nascosto, anche perché lui è davvero un musicisista, lo fa di mestiere, è sempre più impegnato di noi.
Francesco Conte è mio compagno di tantissime avventure musicali, tra cui i WEB che è stata la mia prima band musicale davvero importante, in cui suonavo con i due componenti dei DHAMM che andavano a Sanremo nel 94 (Massimo Conti e Mauro Munzi).
Lui ha suonato sempre con me, è compositore straordinario, chitarrista eccezionale, anche di un altro gruppo molto forte che si chiama Klimt1918, e poi ha collaborato in tante situazioni musicali.
Andrew Mecoli sta ai synth ma nasce come chitarrista e cantante della scena punk hard core romana, anche lui ha suonato in diverse band tra cui i Volume e i Growing Concern, ed è un compositore fantastico, si è rivelato un grandissimo aiuto per i synth pur nascendo come chitarrista. E’ bravissimo.
Tutto questo noi l’abbiamo registrato in uno studio grazie all’aiuto di un producer che ci ha dato una mano enorme – anche sull’elettronica- ovvero Giuseppe Colavolpe, che è un DJ oltre che bravissimo producer.
La nascita di questi testi è stata veramente sofferta; non avevamo le idee chiarissime, avevamo i pezzi. Ne abbiamo provati alcuni, sviluppati un po’ in sala, e poi siamo andati in studio, in cui abbiamo cercato il vero e proprio vestito da dare al tutto.
E l’abbiamo registrato quasi sempre di notte, perché… di giorno ognuno di noi lavorava (ride)! Quindi è veramente un disco notturno come impostazione!
AC: L’abbiamo notato, in effetti! L'album ci pare essere incentrato su tematiche delusional-amorose con particolare attenzione all'ambito notturno/albeggiante che sembra essere una tematica ricorrente, tanto da dare il nome all'album e a parecchi brani contenuti al suo interno: come mai tale scelta?
MA: Ogni pezzo potrebbe essere un diario, no? In qualche modo! Ma questo per chiunque, a volte ci sono canzoni che nascono senza un motivo, perché magari quel giorno stiamo particolarmente bene, o al contrario, male.
Il filo conduttore è sempre la sofferenza della natura umana, almeno per quanto mi riguarda: l’amore conflittuale, quello non corrisposto, e quello che potrebbe finire. O anche la nascita dell’amore stesso, perché poi la felicità non è che sia una cosa che non crea dei traumi. Li genera comunque, quindi anche la felicità nell'amore potrebbe essere un trauma. Diciamo che non vivo bene niente, ecco, è colpa mia perché non è nella mia natura (ride)!
Standing on the edge of the night nasce su una base diversa, di stare così sull'orlo della notte, sulla ricerca di un incontro che non è detto che avvenga, che non può avvenire o che non è avvenuto.
Forse le più positive sono Voices e A New Sunrise, quantomeno a livello di testo, diciamo così.
AC: Concludiamo qui, e di nuovo ti ringraziamo davvero molto da parte di tutta l'utenza di AnimeClick.it per averci concesso il tuo tempo e risposto a tutte queste domande, per farci conoscere qualcosa di più del tuo mondo "dietro le quinte".
MA: Macché, figurati! Guarda, sono io a ringraziare tantissimo voi, semmai. Poi vi svelo anche una cosa: abbiamo fatto la cover di Hello di Adele per cui ora c’è anche il video. E’ venuta una cosa strana, particolare, come omaggio a una cantante che sta spopolando e con la quale noi in conclusione non c’entriamo assolutamente nulla, però abbiamo voluto provare, della serie “se viene viene, se non viene non viene”. E devo dire una cosa carina: è venuto!
Spero che veramente quest’intervista abbia un’eco anche per voi, perché siete stati molto disponibili e carini.
Hello (Cover) ~ The Public Radar
Adele - Hello | The Public Radar - CoverAdele - Hello | The Public Radar - Cover
Posted by The Public Radar on Sabato 19 dicembre 2015
AC: La nostra utenza ti conosce per tantissime cose, non solo per gli anime, ma anche per i film. Pensiamo, al pari di quanto ci hai detto prima, che la tua carriera ti abbia regalato alle spalle una credibilità, e che chi ti vede ora “metterti in musica” in un certo senso comprenderà che non è una cosa che nasce dal niente, ma che questo accade su delle basi fondate, proprio sapendo chi sei e da dove provieni. Quindi speriamo di poter dare una mano in questo senso, e soprattutto ci auguriamo di sentirti cantare e lavorare al doppiaggio ancora per molto, molto tempo!
MA: E’ una bella sensibilità dire questo, ti ringrazio veramente tanto.
AC: Allora davvero, ti auguriamo buona fortuna per l’album!
MA: Grazie ancora!
Oltre che al disponibilissimo Max, un grazie particolare va a Rossella per l’ideazione e la revisione dell’intervista, quindi a Simone e Patrizia per la collaborazione.
E a Gianluca e Marco, senza i quali essa non sarebbe proprio stata possibile.
Fonti consultate:
YouTube
pagina ufficiale Facebook dei The Public Radar
Comunque se a qualcuno può interessare i Public Radar sono anche su Spotify: concordo con @Eddie, sono decisamente più M83 che Metallica, ma si fanno ascoltare, hanno del potenziale, imho.
Dispiace anche che non sia stata menzionata la sua interpretazione più raffinata (seppur breve, per un solo episodio), ossia quella di Kaworu Nagisa in Evangelion.
Mi ha colpito molto quando dice di essere "tanto cuore", perché mi pare quasi che questo un pochino traspaia da molti dei personaggi da lui interpretati, anime, film o telefilm che siano stati; questo in un certo senso mi conferma ancora una volta quanta professionalità ci sia sempre da parte sua, perché uno che dice che "doppiare gli anime non è purtroppo gratificante", ma poi "ci lascia sopra le corde vocali" ti fa capire che gli anime potranno anche essere pagati poco, ma non è quello il vero discriminante: tutte queste opere sono state comunque trattate coi fiocchi a livello di doppiaggio italiano. E scusate se è poco
A livello musicale invece, non sono cresciuta con il suo stesso background musicale (ma semmai a pane e sigle di cartoni animati, ahahahah), tuttavia anche in qualità di "fan dei mitici anni '80" auguro ogni bene al progetto dei Public Radar, e credo in effetti che anche qui ci sia tanta, tanta passione meritevole di trovare un riscontro tra il pubblico.
La cover di Hello è davvero bellina *_*
Ho visto Alph Dog e mi è piaciuto moltissimo!
Sulla musica, mi sento di parte a dire che adoro la voce di Max quindi i suoi progetti musicali non possono che essere più che graditi, ma sarebbe banale, quindi dico che ho ascoltato qualcosa di questo album e non mi dispiace affatto nonostante sia lontano dal mio background musicale. Anzi, dirò di più, la cover di Hello mi piace più dell'originale!
Spero che questo progetto possa andare avanti e avere successo, purtroppo è vero che in Italia non si fa nulla per promuovere i musicisti emergenti (a meno che non vengano da qualche talent) ma forse la bravura può colmare questa lacuna, spero che i Public Radar possano avere ciò che meritano (a me piacerebbe tanto sentirli dal vivo ;___; )
Ovviamente non posso non ammettere che mi dispiace tantissimo il pensiero che non lo sentiremo più tanto spesso doppiare, ma pazienza, se questa è la sua strada, allora gli auguro ogni bene, perché per me in questi anni è stata una presenza molto importante; uno si chiede "come può un doppiatore avere importanza nella tua vita?"... bho, non lo so, so che ce l'ha e basta, mi ha dato quelle emozioni di cui parla nell'intervista, quindi non potrei pretendere altro.
Chiudo ringraziando nuovamente Max, la sua band, il suo pr, Gianluca e Lara per questo bel lavoro, grazie a tutti! ^^
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