Perché amiamo l'animazione? Può sembrare una domanda banale ma non lo è. Al giorno d'oggi siamo bombardati da serie televisive e film cinematografici di ogni genere e alcuni titoli possono tranquillamente essere considerati capolavori per regia, sceneggiatura o interpretazione.
E allora quale tipo di espressività può fornirci un prodotto di animazione che non si possa trovare in altri mezzi?
Credo che Flip Flappers sia la miglior risposta (almeno per i tempi recenti) a questa annosa domanda.
La creatività che può dare una marcia in più ad un prodotto di animazione, non è tanto nello sviluppare una trama o dei personaggi, ma è nella forza espressiva data dall'uso che si può fare dei disegni in termini di prospettiva e colori come se stessimo ammirando un dipinto in movimento.
È quello che riesce a fare Kiyotaka Oshiyama, key-Animator di lunga data, al suo debutto alla regia su una serie dopo che gli era già stato affidato l'episodio 18 di Space Dandy, quello forse più riuscito e chiacchierato.
Non stiamo parlando di "animazione sperimentale", Flip Flappers non vuole sperimentare nulla, Oshiyama conosce bene il suo lavoro, ha lavorato con Anno, con Shinkai, con Yonebayashi (e già si parla di una possibile prossima collaborazione con Yuasa) e messo di fronte alla sua prima possibilità di creare un'opera tutta sua, ci mette tutta la sua esperienza per dare vita a quella che è una vera e propria esperienza sensoriale.
Trama
L'incipit della trama è quindi piuttosto semplice. Inoltre allo spettatore non vengono neanche fornite spiegazioni. Su chi sia Papika, su cosa sia "Pure Illusion", sul potere dei frammenti, sul perché solo Cocona e Papika possano accedere a questo mondo. L'anime ti immerge subito in questo mondo del tutto particolare e riesce subito a sorprendere e a disorientare. L'andamento è episodico e spesso la trama principale è appena accennata solo a fine episodio. Ma questo non è un male perché permette allo spettatore di assoporare appieno tutte le sensazioni che Pure illusion gli riserva.
Troviamo così episodi in cui le ragazze si ritrovano in delle grandi foreste difese da mostri che ricordano i Re Vermi di Nausicaa (Oshiyama ha lavorato anche con lo Studio Ghibli per Arrietty), in desolati deserti dominati da entità malvage o in paesi fantascientifici con tanto di robottoni giganti.
Particolare menzione va fatta per l'episodio 5, in cui le due ragazze si ritrovano in una versione della propria scuola dalle atmosfere inquietanti, e per l'episodio 6 in cui le due ragazze si ritrovano nei panni di Iroha, una bambina vittima di violenza domestica che trova conforto solo tra le braccia della nonna, anziana e malata di Alzheimer. Entrambi gli episodi mettono in luce benissimo la maestria registica e nell'uso delle colorazioni per trasmettere le diverse sensazioni. Se nel primo sono i toni grigi soprattutto a creare un'atmosfera di inquietitudine, nel secondo è evidente il forte contrasto tra le colorazioni fredde e le sagome deformate alla Yuasa nelle scene con i genitori e quelli più caldi dei momenti trascorsi con la nonna.
Quella che è la struttura, ricorda quindi un po' Il fantastico Mondo di Paul in cui lo schema di ogni episodio era: mondo reale, mondo fantastico, ritorno. Ancora più che questo però ricorda molto "L'uccellino azzurro", un Meisaku (trasmesso anche su Italia 1) di inizio anni 80 (non a caso proprio dello stesso regista di Paul) che vantava anche il character design di Leiji Matsumoto. Nell'anime, i due protagonisti Tyltyl e Mytyl viaggiavano per mondi diversi in cerca dell'uccellino azzurro che avrebbe portato loro la felicità. Nel viaggio sperimentavano vari aspetti della vita umana sia positivi che negativi fino a che l'uccellino azzurro non si trasformava in un uccellino normale a far capire come la felicità risieda nelle piccole cose e negli affetti di tutti i giorni.
E il parallelismo è più forte che mai. Se quanto detto finora può far pensare a un puro esercizio di stile pensato per stupire, invece il mondo fantastico è pieno di metafore e simbolismi che Oshiyama utilizza per veicolare il suo messaggio tanto che nella prossoché totalità dei casi Papika e Cocona subiscono Pure illusion e mai lo plasmano.
Se è evidente come illusione e realtà rappresentino l'infanzia e l'età adulta, altri simbolismi rimangono più sottili. Sono ovvie anche le tante influenze che il regista porta nel suo bagaglio culturale. Gran parte della serie è un continuo richiamo neanche troppo nascosto ad Evangelion: basti pensare a come i ragazzi in grado di accedere a Pure Illusion siano chiamati Amorphous Child, o all'organizzazione Asclepius, il cui obiettivo è quello di inglobare "Pure Illusion" e il mondo reale in un quello che si potrebbe paragonare ad un third impact, o ancora, al parallelismo Salt-Gendo, disposti a scardinare il mondo fino alle fondamenta per amore della propria donna. Lungi però dal raccontare la stessa storia di Evangelion, il finale va a pescare maggiormente da serie come Kaiba o Mawaru Penguindrum.
Ma pur rielaborando concetti già visti, Oshiyama riesci a metterci anche del suo. Se all'inizio è evidente il suo obiettivo di disorientare lo spettatore, le chiavi di lettura sono nascoste da subito a partire dallo strano nome del piccolo animaletto da compagnia di Cocona, quell'Uexküll, chiaramente riferito al biologo e filosofo tedesco che per primo introdusse il concetto di ambiente nell'antropologia filosofica. E cosa se non proprio l'ambiente è al centro di questo anime?
E ancora l'altra chiave di lettura viene messa nei titoli stessi degli episodi riferiti parallelamente ad un concetto di elettronica e a quello che succede nell'episodio. E così si parte dal "pure input" dell'episodio 1 ovvero il segnale iniziale immesso nel circuito elettronico, il primo contatto di Cocona con Pure Illusion, fino al "Pure Audio" dell'episodio finale: la traformazione definitiva del segnale da input analogico a segnale fisico, un audio ascoltabile da tutti, la crescita di Cocona senza che però questo ne abbia cambiato la natura. Il segnale elettrico è diventato audio, ma non si è trasformato in senso stretto: questa era la sua natura sin dall'inizio!
Si potrebbe andare avanti ancora per molto, ma il concetto è che Flip Flappers è un'opera che sotto il primo strato puramente emozionale, si rivela anche nient'affatto banale.
Ammetto anche io che inizialmente sono stato attratto dai colori vivaci e dall'aspetto vagamente moe delle protagoniste. Non c'è nulla di male a godersi gli episodi come pura esperienza sensoriale perché è proprio quello il livello di comunicazione a cui il regista ha puntato.
Purtroppo però il salto da esperienza percettiva a comprensione semantica può risultare ostico. Questo è probabilmente il motivo (insieme al difetto che esprimerò tra poco) per cui la serie non è riuscita a diventare popolare.
Un vero peccato la mancanza di un simulcast italiano, davvero un delitto per una serie che meritava di essere portata all'attenzione dei più. Forse un giorno, quando Oshiyama sarà diventato un regista di culto, potremo avere un recupero delle sue prime opere un po' come sta avvenendo oggi con Yuasa.
Se però finora abbiamo parlato dei pregi di questa serie, c'è ora da segnalare quello che ritengo un difetto abbastanza importante.
Al di là di un lieve e comprensibile calo tecnico nel finale, va registrato come le espressioni facciali delle due protagoniste non risultino curate allo stesso modo delle ambientazioni. Laddove Kyoani è maestra, Studio 3Hz fallisce miseramente, e questo, a mio parere, costa almeno un punto pieno in una scala da 1 a 10. Ancor di più perché in una serie in cui c'è una tale ricercatezza sulle animazioni, sulle forme e sulla colorazione, non appare comprensibile tale mancanza. Gli occhi sono sempre uguali, quasi inespressivi, e se ci fermiamo solo a guardare i visi ignorando il resto, non riusciamo facilmente a percepire tutte le emozioni che nell'insieme si vogliono far fluire. Un vero peccato perché in quella che è la sua opera prima, Kiyotaka Oshiyama ha (non so quanto volutamente) trascurato il character design.
Al netto quindi di un difetto che poteva elevare l'opera a capolavoro, Flip Flappers rimane comunque fortemente consigliata a tutti e, a mio parere, la più interessante dell'ultima stagione autunnale.
E allora quale tipo di espressività può fornirci un prodotto di animazione che non si possa trovare in altri mezzi?
Credo che Flip Flappers sia la miglior risposta (almeno per i tempi recenti) a questa annosa domanda.
La creatività che può dare una marcia in più ad un prodotto di animazione, non è tanto nello sviluppare una trama o dei personaggi, ma è nella forza espressiva data dall'uso che si può fare dei disegni in termini di prospettiva e colori come se stessimo ammirando un dipinto in movimento.
È quello che riesce a fare Kiyotaka Oshiyama, key-Animator di lunga data, al suo debutto alla regia su una serie dopo che gli era già stato affidato l'episodio 18 di Space Dandy, quello forse più riuscito e chiacchierato.
Non stiamo parlando di "animazione sperimentale", Flip Flappers non vuole sperimentare nulla, Oshiyama conosce bene il suo lavoro, ha lavorato con Anno, con Shinkai, con Yonebayashi (e già si parla di una possibile prossima collaborazione con Yuasa) e messo di fronte alla sua prima possibilità di creare un'opera tutta sua, ci mette tutta la sua esperienza per dare vita a quella che è una vera e propria esperienza sensoriale.
Trama
Cocona, una giudiziosa ragazza delle scuole medie, fa la conoscenza con una stravagante ed espansiva coetanea di nome Papika. Papika invita Cocona a venire insieme a lei in una misteriosa dimensione parallela chiamata "Pure Illusion". Le due ragazze cominciano così un viaggio che le porterà più volte in "Pure Illusion" alla ricerca, per conto dell'organizzazione FlipFlap, dei frammenti di un misterioso cristallo che si dice sia in grado di esaudire i desideri.
In questa bizzarra dimensione parallela, composta da mondi tutti diversi e abitata da strane creature, scoprono di non essere le sole alla ricerca dei cristalli, ma di doversela vedere con Asclepius, un'organizzazione che punta a dominare il mondo e di cui fa parte anche Yayaka, amica d'infanzia di Cocona.
In questa bizzarra dimensione parallela, composta da mondi tutti diversi e abitata da strane creature, scoprono di non essere le sole alla ricerca dei cristalli, ma di doversela vedere con Asclepius, un'organizzazione che punta a dominare il mondo e di cui fa parte anche Yayaka, amica d'infanzia di Cocona.
L'incipit della trama è quindi piuttosto semplice. Inoltre allo spettatore non vengono neanche fornite spiegazioni. Su chi sia Papika, su cosa sia "Pure Illusion", sul potere dei frammenti, sul perché solo Cocona e Papika possano accedere a questo mondo. L'anime ti immerge subito in questo mondo del tutto particolare e riesce subito a sorprendere e a disorientare. L'andamento è episodico e spesso la trama principale è appena accennata solo a fine episodio. Ma questo non è un male perché permette allo spettatore di assoporare appieno tutte le sensazioni che Pure illusion gli riserva.
Troviamo così episodi in cui le ragazze si ritrovano in delle grandi foreste difese da mostri che ricordano i Re Vermi di Nausicaa (Oshiyama ha lavorato anche con lo Studio Ghibli per Arrietty), in desolati deserti dominati da entità malvage o in paesi fantascientifici con tanto di robottoni giganti.
Particolare menzione va fatta per l'episodio 5, in cui le due ragazze si ritrovano in una versione della propria scuola dalle atmosfere inquietanti, e per l'episodio 6 in cui le due ragazze si ritrovano nei panni di Iroha, una bambina vittima di violenza domestica che trova conforto solo tra le braccia della nonna, anziana e malata di Alzheimer. Entrambi gli episodi mettono in luce benissimo la maestria registica e nell'uso delle colorazioni per trasmettere le diverse sensazioni. Se nel primo sono i toni grigi soprattutto a creare un'atmosfera di inquietitudine, nel secondo è evidente il forte contrasto tra le colorazioni fredde e le sagome deformate alla Yuasa nelle scene con i genitori e quelli più caldi dei momenti trascorsi con la nonna.
Quella che è la struttura, ricorda quindi un po' Il fantastico Mondo di Paul in cui lo schema di ogni episodio era: mondo reale, mondo fantastico, ritorno. Ancora più che questo però ricorda molto "L'uccellino azzurro", un Meisaku (trasmesso anche su Italia 1) di inizio anni 80 (non a caso proprio dello stesso regista di Paul) che vantava anche il character design di Leiji Matsumoto. Nell'anime, i due protagonisti Tyltyl e Mytyl viaggiavano per mondi diversi in cerca dell'uccellino azzurro che avrebbe portato loro la felicità. Nel viaggio sperimentavano vari aspetti della vita umana sia positivi che negativi fino a che l'uccellino azzurro non si trasformava in un uccellino normale a far capire come la felicità risieda nelle piccole cose e negli affetti di tutti i giorni.
E il parallelismo è più forte che mai. Se quanto detto finora può far pensare a un puro esercizio di stile pensato per stupire, invece il mondo fantastico è pieno di metafore e simbolismi che Oshiyama utilizza per veicolare il suo messaggio tanto che nella prossoché totalità dei casi Papika e Cocona subiscono Pure illusion e mai lo plasmano.
Se è evidente come illusione e realtà rappresentino l'infanzia e l'età adulta, altri simbolismi rimangono più sottili. Sono ovvie anche le tante influenze che il regista porta nel suo bagaglio culturale. Gran parte della serie è un continuo richiamo neanche troppo nascosto ad Evangelion: basti pensare a come i ragazzi in grado di accedere a Pure Illusion siano chiamati Amorphous Child, o all'organizzazione Asclepius, il cui obiettivo è quello di inglobare "Pure Illusion" e il mondo reale in un quello che si potrebbe paragonare ad un third impact, o ancora, al parallelismo Salt-Gendo, disposti a scardinare il mondo fino alle fondamenta per amore della propria donna. Lungi però dal raccontare la stessa storia di Evangelion, il finale va a pescare maggiormente da serie come Kaiba o Mawaru Penguindrum.
Ma pur rielaborando concetti già visti, Oshiyama riesci a metterci anche del suo. Se all'inizio è evidente il suo obiettivo di disorientare lo spettatore, le chiavi di lettura sono nascoste da subito a partire dallo strano nome del piccolo animaletto da compagnia di Cocona, quell'Uexküll, chiaramente riferito al biologo e filosofo tedesco che per primo introdusse il concetto di ambiente nell'antropologia filosofica. E cosa se non proprio l'ambiente è al centro di questo anime?
E ancora l'altra chiave di lettura viene messa nei titoli stessi degli episodi riferiti parallelamente ad un concetto di elettronica e a quello che succede nell'episodio. E così si parte dal "pure input" dell'episodio 1 ovvero il segnale iniziale immesso nel circuito elettronico, il primo contatto di Cocona con Pure Illusion, fino al "Pure Audio" dell'episodio finale: la traformazione definitiva del segnale da input analogico a segnale fisico, un audio ascoltabile da tutti, la crescita di Cocona senza che però questo ne abbia cambiato la natura. Il segnale elettrico è diventato audio, ma non si è trasformato in senso stretto: questa era la sua natura sin dall'inizio!
Si potrebbe andare avanti ancora per molto, ma il concetto è che Flip Flappers è un'opera che sotto il primo strato puramente emozionale, si rivela anche nient'affatto banale.
Ammetto anche io che inizialmente sono stato attratto dai colori vivaci e dall'aspetto vagamente moe delle protagoniste. Non c'è nulla di male a godersi gli episodi come pura esperienza sensoriale perché è proprio quello il livello di comunicazione a cui il regista ha puntato.
Purtroppo però il salto da esperienza percettiva a comprensione semantica può risultare ostico. Questo è probabilmente il motivo (insieme al difetto che esprimerò tra poco) per cui la serie non è riuscita a diventare popolare.
Un vero peccato la mancanza di un simulcast italiano, davvero un delitto per una serie che meritava di essere portata all'attenzione dei più. Forse un giorno, quando Oshiyama sarà diventato un regista di culto, potremo avere un recupero delle sue prime opere un po' come sta avvenendo oggi con Yuasa.
Se però finora abbiamo parlato dei pregi di questa serie, c'è ora da segnalare quello che ritengo un difetto abbastanza importante.
Al di là di un lieve e comprensibile calo tecnico nel finale, va registrato come le espressioni facciali delle due protagoniste non risultino curate allo stesso modo delle ambientazioni. Laddove Kyoani è maestra, Studio 3Hz fallisce miseramente, e questo, a mio parere, costa almeno un punto pieno in una scala da 1 a 10. Ancor di più perché in una serie in cui c'è una tale ricercatezza sulle animazioni, sulle forme e sulla colorazione, non appare comprensibile tale mancanza. Gli occhi sono sempre uguali, quasi inespressivi, e se ci fermiamo solo a guardare i visi ignorando il resto, non riusciamo facilmente a percepire tutte le emozioni che nell'insieme si vogliono far fluire. Un vero peccato perché in quella che è la sua opera prima, Kiyotaka Oshiyama ha (non so quanto volutamente) trascurato il character design.
Al netto quindi di un difetto che poteva elevare l'opera a capolavoro, Flip Flappers rimane comunque fortemente consigliata a tutti e, a mio parere, la più interessante dell'ultima stagione autunnale.
Pro
- Uso magistrale degli ambienti e della colorazione
- Una vera e propria esperienza sensoriale
- Trama solida e non banale
- Alcuni singoli episodi (come il 6) sono dei veri capolavori anche a sé stanti
Contro
- Espressioni facciali dei personaggi molto poco curate
- Inizialmente disorientante, può non catturare gli spettatori più impazienti di calarsi in una trama
- Sceneggiativamente nessun concetto è realmente innovativo
- Nel finale va registrato un certo calo tecnico
Sull' animazione dei personaggi ormai penso che bisogna farci l' abitudine per la media. XD
Riguardo SD, l' ho scoperto per puro caso e mi sta proprio piacendo! Finalmente una zarrata (e non solo)! XD Appena ho visto il protagonista mi sono detto: "Non me la posso perdere!". XD
Giusto un' osservazione. Sono citati Paul e L'UA che hanno per protagonisti un maschio e una femmina. Anche nel più recente "Abenobashi" è così. Questa scelta invece di due ragazzine è autoriale o commerciale visti i tempi? Speriamo la prima!
In effetti è il problema che ho avuto io: ho visto il primo episodio e non mi ha detto nulla, anzi, ho faticato a inquadrarlo/capirlo. O forse non c'era proprio nulla da capire, non so XD
L'ho momentaneamente messo in pausa, ma vista la valutazione e la recensione appassionata, sicuramente lo recupererò più avanti, magari col giusto mood. Promesso.
E boh, ancora niente sub-ita.
Per me l'unica grande magagna di FliFla è stato proprio l'aver dovuto arrendersi all'esigenza di completare una trama orizzontale che, rapportata al resto, diventa quasi un fattore secondario.
Come accade per questo tipo di opere, un approccio sbagliato (o meglio, svogliato) ti rovina la visione, in parte (reazione tipo: "atmosfera molto immersiva, ma non l'ho capito bene") o del tutto (reazione tipo: "è roba da hipster con cose a caso").
Difatti se arrivati a metà serie ci si chiede "ma la trama?", stando ad aspettare che il suo "arrivo" ci faccia dono di ogni spiegazione, vuol dire che il treno delle vere risposte alle vere domande è già stato perso: un senso ci viene fornito prima ancora di fare luce su determinati eventi, e viene espresso di episodio in episodio in maniera diversa. La principale chiave di lettura di Flip Flappers risiede in Cocona e nella sua graduale scoperta di sé - e per "scoperta" s'intende una cosa ben precisa, che non sto qua a rivelare perché è bello appunto arrivarci da soli. Zelgadis fa notare come già i titoli degli episodi non siano messi a caso, ma non è che si è costretti ad arrivare a tanto, perché tutta l'opera è disseminata di simboli, sia dal punto di vista scenografico che dialogico (attenzione soprattutto agli ep. 6-7-8).
Insomma una bella serie, lungi da me definirla capolavoro o quasi-capolavoro (artisticamente beh, ci va vicino), ma è sicuramente la più sottovalutata dell'anno.
Quoto. Anche per me presenta qualche imperfezione, e non si tratta certo delle espressioni facciali. La trama orizzonatle non è che non doveva esserci, anzi, però c'è stata una gestione dei tempi non ottimale nell'ultimo spezzone. E questo vale anche per il processo di crescita dei protagonisti.
Sarebbero serviti necessariamente 25 episodi (con un'impostazione un po' diversa, ovviamente).
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.