Come vi raccontavo qui, da qualche mese svolgo un lavoretto part time come assistente di un maestro di karate, quindi ogni settimana ho a che fare con un gruppo di bambini giapponesi di età compresa tra i quattro e gli otto anni che mi usano come punching ball umano.
Stando a contatto con questi piccoli karateka settimana dopo settimana, mi è venuto da riflettere su una cosa.
Quando io ero ragazzino, dire Giappone equivaleva a dire arti marziali. Che fosse karate, judo o arti segrete custodite da scuole inventate di sana pianta, non c’era anime, manga, film o videogioco che non ne parlasse.
Sugli schermi televisivi la sacra scuola di Hokuto coi suoi punti di pressione e quella di Nanto con i suoi millemila personaggi; gli studenti della Otoko Juku capaci di trasformare in arti marziali e tecniche mortali qualsiasi cosa; la carinissima judoka Yawara; il dojo della famiglia Tendo; i tornei Tenkaichi; il re della giungla Tar-chan e i suoi viaggi a suon di botte intorno al mondo. Al cinema il maestro Miyagi e le sue auto a cui dare e togliere la cera e una sterminata produzione di film a tema prodotti sia in Oriente che in Occidente. E poi loro, i picchiaduro da sala giochi, che nel corso di un bellissimo decennio ci hanno trasportato in strade malfamate, templi buddisti, colossei, giungle, castelli, fabbriche, autostrade, metropoli, isole, ring, ponti sospesi e in qualsiasi altro posto dove due uomini potessero incrociare i pugni, facendoci incontrare karateka girovaghi, teppisti punk, wrestler giganteschi, vecchi saggi, lottatori di sumo, di muay thay, combattenti orientali tanto belle quanto letali, scienziati pazzi, boss mafiosi, santoni indiani e un’infinità di avversari che poi, in un modo o nell’altro, sono finiti per diventare nostri amici.
I più famosi giochi di lotta dell’epoca hanno poi avuto nel corso degli anni anche varie trasposizioni in film con attori in carne ed ossa o sotto forma di cartoni animati. Chi ha vissuto gli anni ’90 ricorda ancora benissimo serie come Street Fighter II V e Virtua Fighter, tratte da popolari giochi di lotta di cui sono riuscite a restituire perfettamente il fascino. La bellissima sigla “Tra cielo e terra” dei Dhamm, prestata a Street Fighter II V, è ancora oggi ricordata per il suo ritmo accattivante e il testo graffiante, applicati ad un cartone animato che, una volta tanto, avvertivamo come una cosa “da grandi”: personaggi adulti che si pestavano a sangue, narcotrafficanti, dittatori che agivano nell’ombra e rapivano la gente per farle il lavaggio del cervello…
Chi, all’epoca, non voleva essere un personaggio di Street Fighter? Ce n’erano per tutti i gusti, per tutte le nazionalità e per tutti gli stili di lotta che era possibile immaginare. I personaggi dei giochi (e, conseguentemente, degli anime) di lotta avevano sempre il potere di trasportarti in un mondo duro ma affascinante; di farti compiere con la fantasia viaggi che ti sarebbero costati una fortuna in aerei, treni, navi e alberghi; di farti diventare un eroe straordinario, dal corpo forte e dallo spirito inflessibile, che non si arrendeva mai e che, con un allenamento duro ma gratificante, riusciva a fare cose incredibili.
Non si può, naturalmente, far morire la gente dopo tre secondi solo toccandola e, per quanto ci si possa sforzare, unendo le mani, non uscirà da esse nessuna onda d’energia. Eppure, una piccola parte di noi ancora crede che le arti marziali siano capaci di compiere questi ed altri prodigi, con un duro allenamento che impegna il corpo ma anche lo spirito. E’ questo quello che gli anime di arti marziali ci hanno sempre insegnato, e, anche se poi non si diventa capaci di fare la Kamehameha, è un insegnamento che funziona.
Nei cartoni animati, nei videogiochi, nei film, l’arte marziale è sempre stata vista come un mezzo per crescere, sia nel corpo che nello spirito. Confrontarsi con avversari che hanno una visione della lotta, del mondo, della vita, totalmente diversa dalla propria, ha sempre aiutato i lottatori a crescere, ad imparare nuove mosse, a perfezionare le proprie tecniche, ma anche a conoscere meglio aspetti del mondo sino a quel momento sconosciuti e finire per comprendere un po’ meglio anche se stessi.
Una morale che va oltre i “personaggi adulti che si pestano a sangue” e che si tinge di una poesia, di una saggezza che solo dall’Oriente potevano arrivare, facendo sì che, partendo dal tema delle arti marziali, il cinema e la narrativa a cartoni animati ci regalassero alcuni dei racconti di formazione più belli e significativi della nostra giovinezza. Come dimenticare il viaggio, intorno al mondo e all’interno del proprio io, del giovane Akira Yuuki, protagonista di Virtua Fighter, che, montatosi la testa dopo una serie di vittorie, ha perso di vista le leggendarie “otto stelle” che rappresentano l’anima e il significato più intimo delle arti marziali. “Le arti marziali si basano sul principio che nessuno deve restare ferito”, ci diceva Akira in ogni puntata, ad ogni tappa di una lunga e complessa battaglia contro chi usa le arti marziali solo per fare del male, dimenticandosi di confrontarsi, di mettersi in discussione, del motivo per cui le arti marziali ci piacciono così tanto.
Ci piacevano, i protagonisti delle storie di arti marziali, perché erano forti, perché facevano mosse incredibili, ma avevano sempre una percezione abbastanza chiara di come e contro chi usarle.
La loro forza non era quella del bulletto che mena i poveri malcapitati a scuola o del teppista che fa soprusi ai deboli per la strada, ma quella di chi ha trovato il proprio equilibrio, di chi ama il mondo in cui vive, ama gli uomini che lo popolano e riesce a trovare con loro un punto di contatto attraverso il combattimento.
L’eroe di questo tipo di produzioni è il tipico eroe dei cartoni giapponesi: forte ma mai cattivo, cerca sempre il buono anche nel cuore dei propri avversari, riuscendo spesso e volentieri a convertirli e a portarli dalla sua parte; si impegna anima e corpo in un allenamento durissimo ma che in qualche modo gli risulta anche piacevole e gratificante, e, alla fine di tutto, attraverso le arti marziali, diventa una persona migliore.
Nel suo Katsu, manga che tratta il tema del pugilato, il mangaka Mitsuru Adachi ci dice che incrociare i pugni è il primo e più antico istinto degli uomini. Non ci stupisce, quindi, che, attraverso le arti marziali o il combattimento corpo a corpo, ci siano arrivate tantissime belle storie, che, in un modo o nell’altro, ci hanno influenzato. C’è chi si è messo a fare arti marziali davvero sin da bambino, col sogno di un karategi bianco e una cintura nera, e c’è chi, come il sottoscritto, al karateka Ryu ha sempre preferito il wrestler Zangief ma ora indossa una volta a settimana un karategi bianco, una cintura viola e si fa prendere a calci da un bambino di otto anni che fa karate da quando ne aveva tre e un discreto male al tuo corpo trentenne lo fa.
Il sogno delle arti marziali ci ha accompagnato sin da bambini, in un modo o nell’altro, attraverso tantissimi anime, manga e videogiochi che hanno acceso le nostre fantasie, aiutandoci a diventare le persone che siamo oggi, anche se magari le nostre otto stelle le abbiamo perse di vista ma, in realtà, le cerchiamo ancora, ogni volta che alziamo gli occhi al cielo.
Ad un certo punto, però, qualcosa è cambiato, e gli eroi dei cartoni animati giapponesi hanno smesso di fare arti marziali. Certo, continuano ancora a fare a botte, ma adesso usano spade o lance magiche, mirabolanti tecniche d’energia, straordinarie trasformazioni o evocazioni di mostri tramite oggetti di vario tipo, diventando personaggi sempre più fantasiosi, lontani dal karateka con l’uniforme bianca e la fascia rossa che rappresentava i nostri sogni e che aveva come armi soltanto i suoi pugni e il suo cuore.
Ci sono delle eccezioni, certo. C’è Kenichi, che si è concluso recentemente e che conserva ancora tutto lo spirito delle nostre care, vecchie, storie di formazione attraverso le arti marziali. E poi c’è ancora qualche seguito di vecchie serie del genere, come Otoko Juku o Baki the Grappler. Ma sono pochissime, sia rispetto a quegli anni ’90 in cui se non avevi un kimono e/o una fascia non eri nessuno, sia in confronto alla moltitudine degli eroi che il mondo di manga e anime continua a regalarci e che, invece, utilizzano trasformazioni o armi magiche.
Anche la situazione dei videogiochi è cambiata: i duecentomila picchiaduro all’anno che uscivano decenni fa si sono ridotti a una piccolissima manciata, gli ultimissimi capitoli dei grandi franchise come Street Fighter e Tekken sono orientati quasi esclusivamente verso le lotte online, praticamente non sono usciti in sala giochi e non sono stati sfruttati o pubblicizzati poi così tanto (cara Capcom, qualche gadget della tua serie più famosa ai tuoi stand del Tokyo Game Show ce li puoi anche mettere, insieme a quelli di Monster Hunter), mentre nei pochi nuovi picchiaduro che escono di tanto in tanto è tutto un proliferare di creature fantastiche, di fighetti scheletrici che sparano Fulmini di Pegasus alla velocità della luce, di donnine più o meno (s)vestite che dovrebbero stare su una rivista d’altro tipo piuttosto che su un ring, di attacchi velocissimi e spettacolari che tirano giù il mondo mille volte di seguito.
Sembra, dunque, che oggi, le arti marziali siano lo scintillio nostalgico negli occhi dei bambini di ieri piuttosto che il sogno dei bambini di oggi. Certo, la situazione reale è un po’ diversa: i corsi, i tornei, gli eventi continuano a tenersi qua e là per il Giappone; esistono diversi negozi a tema e le mie piccole pesti stanno a testimoniare che un po’ di interesse, da parte dei giovani, ancora c’è, anche se, secondo alcuni dati che mi sono passati tra le mani recentemente, le arti marziali occupano, nella classifica dei corsi che i bambini vorrebbero fare e che i genitori vorrebbero far fare ai loro figli, un posto più basso rispetto al calcio, al baseball o al ballo.
Il motivo per cui, quindi, le arti marziali siano gradualmente sparite da anime e manga mi risulta abbastanza oscuro.
Forse perché la storia di Daniel-san e del maestro Miyagi l’abbiamo sentita così tante volte che non la si può riproporre ancora senza risultare banali?
Forse perché a un certo punto a Son Goku è cresciuto un casco di banane in testa e da allora tutto è cambiato nella gestione dei manga di combattimento?
Forse perché i giovani di oggi si identificano di più in personaggi che ottengono o possono usare un potere esterno piuttosto che in quelli che si allenano duramente per ottenerlo?
Forse perché le nuove generazioni sono cresciute nel benessere e in mezzo a tecnologie avanzatissime e si identificano in tutt’altro tipo di cose?
Fa più effetto un eroe che grida ai quattro venti “IO SALVERO’ I MIEI AMICI!!!!” sguainando una spada trasformabile rispetto ad uno che rivolge i pugni al suo avversario, scoprendo che anche lui, a suo modo, è un amico da salvare?
Fa più effetto (e/o fa vendere più giocattoli) una trasformazione o un’onda energetica rispetto ad una mossa di karate?
Non conosco la risposta a questa domanda che ultimamente mi è passata per la mente. Certo, da ex bambino che ha speso centinaia di lire in gettoni da sala giochi per giocare a Street Fighter e che in camera ha un peluche di Nobuaki Kakuda (famoso ex lottatore di arti marziali che ha lavorato anche come cantante, attore e doppiatore), un po’ mi dispiace sapere che oggi la situazione è cambiata, che quel tipo di manga, anime e videogiochi che ho tanto amato da ragazzino sta gradualmente scomparendo in favore di altro, soprattutto vedendo che, invece, le arti marziali godono ancora di una certa popolarità presso la società giapponese (forse perché, come mi disse una volta un conoscente con cui chiacchieravo di puroresu, i giapponesi amano vedere gli atleti che fanno queste cose incredibili come valvola di sfogo per lo stress).
Se ripenso per bene al “mio” Giappone, a quello che ho imparato ad amare tramite i cartoni animati, i fumetti e i videogiochi sin da bambino e a quello che attualmente sto vivendo giorno dopo giorno, esso è, in modo o nell’altro, inscindibilmente legato alle arti marziali. Certo, è buffo pensare che proprio io, la pigrizia incarnata, quello che da piccolo papà e mamma dovevano trascinare in palestra a calci, adesso mi sia messo un karategi di mia spontanea volontà. Ma sono certo che la ragione (che sia un merito o una colpa lo lascerò decidere ai posteri, quando leggeranno sul mio epitaffio “ucciso da un calcio nei gioielli di famiglia da parte di un bambino giapponese di otto anni”) per cui l’ho fatto è perché in passato ho amato Ryu, ho amato Akira, ho amato l’ideale che quegli atleti rappresentavano e, sotto sotto, spero anch’io di diventare un uomo nel cui cuore risplende “un arcobaleno che è un ponte che lo unisce a tutte le persone che ha conosciuto”.
Perle di saggezza a due dimensioni da un passato lontano, che però in un modo o nell’altro hanno finito per influenzare quello che poi sono diventato, e che potrebbero influenzare ancora tanti altri bambini, che invece, oggi, vogliono diventare calciatori, videogiocatori, allenatori di Pokemon.
Forse i ragazzini di oggi, i cui eroi possono trasformarsi ottenendo capelli sempre più lunghi (beati loro!), possono usare spade enormi con mille poteri diversi, possono evocare dragoni giganti da carte o trottole, potrebbero non capire il fascino di questi eroi più spartani ma non meno esaltanti, che ottengono la loro forza perché meditano sotto una cascata di acqua gelida, perché danno pugni all’aria per ore, perché comprendono i propri avversari (e anche se stessi) incrociando con loro i pugni.
Eppure, penso che possano avere ancora molto da insegnargli. Si pensi anche solo all’abusatissimo escamotage del torneo, che riunisce persone da ogni parte del mondo, ognuna con una sua storia alle spalle, una sua cultura, un suo stile di lotta. Era, per il protagonista delle storie di arti marziali, un’occasione per vedere il mondo, per confrontarsi con altre culture, per crescere, e non è cosa da poco, per una società come quella giapponese che è ancora parecchio chiusa in se stessa.
Cambia la società, cambiano gli interessi, cambiano le tematiche, cambiano le storie e il modo di raccontarle. Ma,、in fondo, le nostre otto stelle sono ancora lassù, da qualche parte, in attesa del giorno in cui troveremo il nostro equilibrio e riusciremo nuovamente a vederle…
Probabilmente, il genere ha dato più o meno tutto, ed è andato scemando nell'interesse del pubblico e dei produttori, anche se, dopo un rinnovato interesse in campo videoludico, può darsi che nuove produzioni in proposito possano arrivare anche per tv e fumetti.
Perintanto continuo a giocare, leggere e guardare le serie storiche :3
Esistono manga sulle arti marziali indubbiamente, ma credo che Kotaro abbia voluto dire che nei manga attuali, soprattutto quelli shonen, le arti marziali sono state sostituite per la maggior parte da "arti marziane", ovvero super-colpi energetici in cui non è nemmeno necessario il contatto fisico tra i 2 contendenti, si combatte con le aure spirituali, il "ki" e vari tipi di poteri più o meno sovrannaturali...
Nei manga attuali le arti marziali pure, cioè reali, sono state sostituite da arti marziali molto fantasy e non realistiche, gli Shonen attuali sono pieni di tecniche irreali, assurde, che non hanno nulla a che fare con le vere arti marziali.
Chissà perché c'è stato questo abbandono del voler mostrare le "vere" arti marziali nei manga.
Sembra che i mangaka shonen moderni preferiscano più il "fantasy" che il "realistico".
Peccato.
Bello l'articolo comunque, trasuda di passione, in parte anche condivisa, per l'argomento, è stato un piacere leggero pur col suo retrogusto amaro che trasmette.
Forse da un lato si sono adeguati alla moda del momento e a ciò che quindi in quel momento sembrava piacere al pubblico, dall'altro rendere gli scontri meno "fisici" permettere di semplificare notevolmente le dinamiche e coreografie dei combattimenti (almeno secondo la mia modestissima impressione).
Forse da un lato si sono adeguati alla moda del momento e a ciò che quindi in quel momento sembrava piacere al pubblico, dall'altro rendere gli scontri meno "fisici" permette di semplificare notevolmente le dinamiche e coreografie dei combattimenti (almeno secondo la mia modestissima impressione).
E' vero, le radici del "problema" sono antiche, anche se il trend non sembra destinato a cambiare molto presto...un bene? un male? boh, come al solito ai posteri l'ardua sentenza!
E' innegabile che le arti marziali mi siano sempre piaciute tantissimo e che abbiano giocato un ruolo fondamentale nei miei gusti in fatto di manga, anime e videogiochi. E' vero, anche io ho fatto caso che negli ultimi anni (direi pure un bel po') il genere si sia un po' troppo affossato. Non tira più come una volta e di questo mi dispiace tantissimo. I pochissimi titoli che escono non vanno più di tanto e ormai sono rivolti perlopiù ai fan storici.
Ken è il personaggio di street fighter che preferisco....
La nostra generazione ha conosciuto lo spirito della lotta, la profondità dello scambio di colpi, il dolore e la crescita personale che comporta uno scontro, la morale che insegna a non arrendersi mai e che se ci si impegna, si possono superare i propri limiti personali arrivando alla vittoria, dove la cosa più importante non è stendere il proprio avversario, ma conoscere se stessi. Kotaro ha giustamente messo l'immagine di Ken e Raoh che si scagliano addosso con un pesante pugno reciproco, un pugno che per chi conosce la serie, saprà che è pieno di tante cose, un pugno che racchiude il dolore e la forza di andare avanti senza mai voltarsi indietro, mentre l'altro racchiude la forza e l'ambizione di chi vuole dominare il mondo, nascondendo al contempo una profonda solitudine dettata nell'essere un leader solitario... le arti marziali ci hanno insegnato questo e altro, quindi trovo molto triste la loro lenta scomparsa nel panorama manga e anime. La mia generazione è stata l'ultima a essere stata "analogica" nell'infanzia, non avevamo diavolerie rettangolari che ci permettevano di fare un sacco di cose essendo sempre interconnessi... noi avevamo soltanto le nostre mani, che usevamo per migliorare e crescere. Per capire un po' il mio discorso faccio un esempio: Prendete un 20 enne nato negli anni 80 e dateci in mano un cacciavite per montare un mobile (non del Ikea xD) e poi prendetene uno nato nel 1996 per fare la stessa cosa... fidatevi che ne vedrete delle belle, perchè il primo avrà un capacità manuale più spiccata, dato che è abituato a prendere in mano le cose per costruirle, mentre l'altro avrà grosse difficoltà nell'uso di viti e chiavi, dato che è cresciuto in una società dove è tutto già costruito, che quando si guasta si rottama, perchè è più conveniente e dove il grosso del lavoro viene fatto da mezzi esterni tipo computer. Io a 17 anni mi sono costruito il mio primo ricevitore radio, me lo sono progettato con calcoli tradizionali su carta, mentre adesso basta avviare un programma su pc e via. Ho fatto questo discorso per fare capire come è sparita la parte fisica per fare posto al bisogno di un potere esterno più potente, che però non fa crescere direttamente l'utilizzatore. Come dice Kotaro i tempi sono cambiati...
Uno dei cardini della questione è la fine dell'esotismo insito nelle arti marziali stesse. Esotismo temporale per i giapponesi (che si ricollegavano anche così alle loro tradizioni) ed esotismo spaziale per gli occidentali (la cui tradizione marziale aveva sfumature diverse). Ma nell'era globalizzata non c'è spazio per alcuna forma di esotismo. Tutto è adattato, reso familiare, confortante, meno faticoso, appetibile per più persone possibile e quindi meno "marziale".
Altro problema può essere anche la diversa impostazione della figura maschile. Anche se le arti marziali non sono esclusiva del maschio, lo schema culturale tipico era quello del machismo. Non a caso il genere raggiunse l'apice negli anni Ottanta, dove anche le femmine si davano al bodybuilding e al cinema trionfavano Schwarzy e Sly. Da Bruce Lee a Van Damme lo schema era simile e cose come Ken il guerriero riassumevano questo concetto. Già all'epoca però c'era un Calvin Klein che proponeva un nuovo modello maschile, che egli stesso definì un gay eterosessuale. Oggi, in Giappone come in Occidente, il machismo non funziona più e gli eroi pop si adeguano. Se si confrontassero anche nell'aspetto, gli eroi shonen di trent'anni fa vedrebbero quelli di oggi come le loro controparti femminili. Anche se attingono a piene mani dai predecessori, gli anime/manga di oggi che toccano temi di confronto/lotta/sport sono figli di questo dislivello. Facendo le ovvie distinzioni il gap che più salta all'occhio è proprio quello sulla figura dell'eroe, sulla sua "presenza scenica" si potrebbe dire. Kenshiro e Tommy la stella dei Giants sono delle statue granitiche, Naruto e i pallavolisti di Haikyuu sono dei metrosexual.
Infine c'è il cambiamento generazionale. I giapponesi del XX secolo erano quelli dell'industrializzazione a tappe serrate per entrare nella modernità e del progressismo militante per risollevarsi da Hiroshima. L'eroe doveva essere sempre pronto a lottare, a dare il tutto per tutto, a sacrificarsi in nome di una morale samuraica che molto deve al pensiero marziale. Oggi ogni settore è reso instabile dalla Crisi, e lo spettro dell'atomica è tornato a farsi sentire. Non si può prendere a pugni Fukushima, non si può vincere una crisi aziendale in un regolare duello a singolar tenzone.
Credo che i manga, gli anime e i loro generi debbano per forza tener conto (come tutte le produzioni di cultura popolare) della velocità con cui cambiano i costumi, la società ecc. Questo però non impedisce di continuare a dare e togliere la cera. Basta tener conto di una delle leggi delle arti marziali, l'adattabilità. Come diceva Bruce Lee, bisogna essere come l'acqua. Assume qualunque forma ma rimane sempre sé stessa.
Be water my friend!
Qualche manga che ne tratta ovviamente c'è ancora, ma il succo del discorso è che se oggi è "qualche" manga, qualche decennio fa era "tanti"
Non è una colpa (come detto nell'articolo, di chi è la colpa non lo so ), ma una constatazione, visto che si parla di un'analisi comunque attuale, anche se, sì, le "radici del problema" sono da ricercare più indietro nel tempo.
Secondo me in parte dipende dal fatto che per anni il genere ha praticamente vissuto di rendita su archetipi creati a Hong Kong e negli USA. Tutti i riferimenti citati per Street Fighter, dal mestro di arti marziali trafficante di droga ai combattimenti in stile dungeon vengono quasi interamente dai film di Bruce Lee. E in parte perchè le arti marziali sono praticamente state assimilate dal genere action, fino al punto in cui non c'è stato neanche più bisogno di un genere a sé stante, se non per i fan più sfegatati. In qualunque film o telefilm d'azione se c'è uno scontro fisico, quasi sicuramente ricorrono alle arti marziali. Persino i personaggi che vengono dai fumetti classici americani le usano, Tim Burton l'ha fatto già in tempi non sospetti con Batman, ma dopo La Tigre e il dragone è stata una vera epidemia.
Veramente sia Bruce Lee che Van Damme hanno sempre respinto l'etichetta di macho, Bruce Lee appena ha avuto l'ccasione di dirigersi un film da solo ha preso il Cheng tutto rabbia e vendetta dei primi film e lo ha trasformato in una macchietta comica. Lo stesso vale per Jackie Chan e Sammo Hung che ivece sono rimasti sempre fedeli alla commedia, infatti Holliwood ci ha messo ventanni per accorgersi di loro.
Ma lo stesso vale per Kenshiro, sarà anche stato un'icona molto maschia, in compenso è stato il primo cartone animato che abbia visto in cui era presente una storia d'amore palesemente omosessuale. Lo stesso Kenshiro Raoh lo sconfigge usando il suo imlacabile sguardo da cucciolotto.
- Proverai la paura per il terrore per l'orrore della morte del grande re di hokuto.
- Hai gli occhi tristi!
- Bang morto.
Penso che in ambito anime-manga le arti marziali siano pressochè sparite per via
di un'evoluzione, che potremmo definire una sorta di UPGRADE, proprio per
spettacolarizzare ed estremizzare i combattimenti, vedi la comparsa di super
poteri, armi magiche/tecnologiche potentissime ecc...
Come detto però, tutto ciò, ha portato ad un'involuzione sul piano
umanistico/spirituale...
Peccato che i commenti abbiano preso una piega decisamente ridicola.
Riguardo all'impossibilità di lanciare onde energetiche... non ne sarei così sicuro. Un mio amico che pratica arti marziali da 20 anni è partito per la Cina proprio per dimostrare il contrario.
Io per 12 anni ho praticato Karate, oggi sono cintura blu. Ora non lo sto più facendo causa lavoro, ma appena salivi sul tatami, ti sentivi nuovo, e cominciavi a saccagnarle di brutto agli avversari che poi sono comunque tuoi amici.
Il problema è proprio questo: è cambiata la società.
La stessa che sta rovinando questo mondo, ahimè.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.