Torna la nostra rubrica dedicata alle videorecensioni; questa volta analizziamo Un marzo da leoni, opera a marchio Dynit trasmessa in Italia sulla piattaforma streaming VVVID, e prima ancora pubblicata nella sua originaria incarnazione cartacea da Planet Manga.
Vi lasciamo alla recensione prima in formato video (per il quale ringraziamo AbyssDan) e in seguito in forma scritta (per la quale ringraziamo MirokuSama).
Vi lasciamo alla recensione prima in formato video (per il quale ringraziamo AbyssDan) e in seguito in forma scritta (per la quale ringraziamo MirokuSama).
Metafora della vita, crescita interiore, passione, legami familiari e amicizia vissuti in un percorso parallelo tra la pratica sportiva dello shogi e un lento, ma costante, aprirsi verso gli altri, abbandonando il guscio emotivo in cui ci si era chiusi per difendersi dall’amara realtà. Dovessi descrivere “Un Marzo da Leoni” in poche parole, lo farei così, pochine per una recensione, ma abbastanza per rendere l’idea di cosa ci si appresta a guardare, un’opera profonda e appassionante capace di conquistare la platea più ampia di appassionati, svariando nei generi della commedia, del dramma, del romanticismo e della competizione sportiva.
Un Marzo da Leoni o March Comes in Like a Lion, è un anime di ventidue episodi che compongono la prima stagione della serie ad opera dello studio Shaft, fedelissima trasposizione dell’opera originale, il manga seinen dell’autrice Chika Umino pubblicato dal 2007 sulla rivista Young Animal dell’editore Hakusensha. In Italia è stato trasmesso in simulcast coi sottotitoli da Dynit sulla piattaforma VVVVID.
Protagonista della serie è Rei Kiriyama, tormentato diciassettenne che vive da solo a Tokyo nel cosiddetto ‘Rione Giugno’; Rei è un adolescente atipico, nella sua immagine derivante purtroppo dal passato colmo di eventi tristi che ha vissuto, rimasto orfano in giovane età per un incidente che lo ha privato dell’amata famiglia composta da padre, madre e sorella minore; ha passato il resto dell’infanzia e la vita fino all’inizio della storia come figlio adottivo di un caro amico del padre, Masachika Kōda, giocatore professionista di shogi che l’ha iniziato e sostenuto all’attività dello shogi, gioco strategico da tavola assimilabile agli scacchi occidentali. Proprio la passione e il talento che Rei mostrerà nell’apprendimento dello shogi sarà causa di ulteriori problemi nella sua vita, visto che il suo successo sarà fonte di invidia e disprezzo nei suoi confronti dai suoi fratelli adottivi, la sorella maggiore Kyoko e il coetaneo Ayumu, che lo spingeranno infine ad abbandonare la casa adottiva una volta raggiunto il professionismo nel mondo dello shogi.
Ed è questo ragazzo, solo, senza amici, senza famiglia e senza affetti particolari, con l’unica peculiarità di essere un promettente giocatore professionista di shogi già a quindici anni, che ci viene presentato all’inizio della storia, un ragazzo apparentemente incamminato in un percorso di vita buio e isolato a cui il destino fornisce un’ultima ancora di salvezza nella forma di un’altra famiglia destinata a incrociare la sua strada, quella composta dalle sorelle Kawamoto.
Residenti nel ‘Rione Marzo’ (da cui il titolo dell’opera), queste tre sorelle, dall’animo molto più tormentato di quanto il loro aspetto solare faccia trasparire, vivono da sole insieme al nonno, essendo rimaste anche loro orfane di madre, mentre il padre le ha abbandonate costruendosi una nuova famiglia. Akari, la maggiore delle tre, ha il doppio ruolo di madre e sostegno economico della famiglia, è la voce della ragione in casa ed è sempre pronta ad aiutare chiunque ne abbia bisogno, ma conserva ancora aspetti ingenui e insicurezze nel suo carattere, derivanti dall’essere stata costretta a crescere troppo in fretta; Hinata, detta Hina, è la secondogenita delle sorelle, frequenta la scuola media e ha un carattere sempre positivo e luminoso, dietro al quale nasconde però anche una grande tristezza e inquietudine legata al ricordo della madre persa troppo presto; e infine Momo, la piccola della famiglia, che frequenta ancora l’asilo ed è un concentrato puro di tenerezza al 100%, vivace e ingenua come solo i bambini sanno essere.
Incontrate da Rei casualmente, diventeranno per lui una seconda famiglia adottiva, aiutandolo e sostenendolo senza accorgersene nel suo percorso di crescita e maturazione, regalando soprattutto all’intera opera quella controparte gioiosa e serena che è davvero indispensabile per sostenere i toni cupi e claustrofobici nei quali è immerso invece il protagonista.
Ma sono tanti altri i personaggi che interagiscono più o meno positivamente con Rei nella sua esistenza, perlopiù legati al mondo dello shogi a cui appartiene, che sarebbe troppo lungo ricordare tutti nel dettaglio; da segnalare sono soprattutto l’unico amico-rivale (titoli entrambi autoproclamati) Nikaidou Harunobu, i colleghi shogisti Kai Shimada e Masamune Goto, e l’insegnante della scuola di Rei Takashi Hayashida. Questi, ma anche altri, saranno tutti fondamentali nel percorso di vita di Rei e faranno risaltare ancora di più l’impressione generale che tutti i personaggi di quest’opera, da quelli principali a quelli secondari, riescono a rivestire anche solo momentaneamente un ruolo importante nella storia come in poche altre serie si riesce a vedere.
“Sangatsu no Lion” racconta, con un ritmo lento, compassato ma raramente noioso, la storia di Rei attraverso la sua crescita interiore, sostenuta dall’evoluzione delle sue capacità come giocatore professionista di shogi e dai legami che, con maggiore o minore difficoltà, riesce a instaurare col tempo. Il finale della serie è chiaramente aperto, in quanto preannuncia una seconda stagione dell’anime che andrà in onda nell’ottobre del 2017, ma già fa capire quanto sia diverso il Rei degli ultimi episodi rispetto all’insicuro e angosciato ragazzo che ci viene presentato all’inizio.
Dal punto di vista della produzione dell’anime c’è poco da dire, lo studio Shaft ha fatto un ottimo lavoro sotto ogni punto di vista, prima fra tutti la fedeltà alla storia originale, portata a livelli talmente alti, che ogni episodio rispecchia i rispettivi capitoli del manga anche nei titoli, non solo nei contenuti; per la precisione ogni episodio non ha un titolo univoco ma due o tre, a seconda del numero di capitoli che adatta, che sono gli stessi dei capitoli del manga originale: in totale su ventidue episodi abbiamo quarantasei capitoli trasposti e, considerando che al momento il manga in corso di pubblicazione si avvicina ai 130 capitoli, è facile immaginare come ci sia spazio per avanzare anche l’ipotesi di un’eventuale terza stagione dopo la seconda.
Dal punto di vista grafico anche qui la somiglianza col manga è notevole, il character design dei personaggi affidato a Nobuhiro Sugiyama infatti ricalca fedelmente il tratto originale della Umino, con le sue peculiarità, che all’inizio possono far storcere il naso in qualche dettaglio ma sulle quali, una volta fatta l’abitudine, ci si passa tranquillamente sopra.
Il reparto sonoro allo stesso tempo non è da meno, la colonna sonora dell’anime composta da Yukari Hashimoto accompagna la visione con piacere, e le quattro sigle della serie, due opening e due ending, sono il biglietto da visita ideale per presentare l’opera ai telespettatori; le prime due opening ed ending, dal rispettivo titolo “Answer” e “Fighter”, sono opera dello stesso gruppo, i Bump of Chicken, mentre la seconda opening “Sayonara Bystander” e la seconda ending “Orion” sono eseguite rispettivamente dalla cantante Yuki e dal collega Kenshi Yonizu.
Unico difetto della serie, se così si può definire, sono le partite di Shogi. Per ovvie ragioni, essendo lo Shogi un gioco di lenta e studiata strategia, il ritmo degli episodi cala. Ma qui è anche dove bisogna cogliere la bellezza di “Sangatsu no Lion”, capace di giostrarsi in modo convincente tra momenti così diversi; anche le parti incentrate troppo sullo shogi possono annoiare soprattutto lo spettatore occidentale che, parliamoci chiaramente, se non conosce già le regole, difficilmente potrà mai capirci qualcosa di un gioco dove è quasi impossibile riconoscere anche le pedine, figuriamoci le dinamiche di gioco! La secondo parte dell’anime, inoltre, non è sicuramente a livello della prima. Abbiamo infatti vari episodi molto utili e ben realizzati dove l’anime ci parlerà dei vari personaggi anche al di fuori del mondo dello Shogi. Per carità definirli episodi noiosi sarebbe un’esagerazione ed uno sbaglio, ma, a differenza di alcuni episodi scanzonati e molto vivaci della prima parte, rallentano sicuramente il ritmo e potrebbero far storcere il naso ad alcuni spettatori.
Questi difetti non vanno però a mio parere ad toccare la qualità davvero alta di questo anime, molto particolare e che non potrebbe piacere a tutti, ma della quale consiglio la visione anche per, magari, scoprire ed appassionarsi ad uno sport diverso, almeno per noi occidentali, come lo Shogi.
Un Marzo da Leoni o March Comes in Like a Lion, è un anime di ventidue episodi che compongono la prima stagione della serie ad opera dello studio Shaft, fedelissima trasposizione dell’opera originale, il manga seinen dell’autrice Chika Umino pubblicato dal 2007 sulla rivista Young Animal dell’editore Hakusensha. In Italia è stato trasmesso in simulcast coi sottotitoli da Dynit sulla piattaforma VVVVID.
Protagonista della serie è Rei Kiriyama, tormentato diciassettenne che vive da solo a Tokyo nel cosiddetto ‘Rione Giugno’; Rei è un adolescente atipico, nella sua immagine derivante purtroppo dal passato colmo di eventi tristi che ha vissuto, rimasto orfano in giovane età per un incidente che lo ha privato dell’amata famiglia composta da padre, madre e sorella minore; ha passato il resto dell’infanzia e la vita fino all’inizio della storia come figlio adottivo di un caro amico del padre, Masachika Kōda, giocatore professionista di shogi che l’ha iniziato e sostenuto all’attività dello shogi, gioco strategico da tavola assimilabile agli scacchi occidentali. Proprio la passione e il talento che Rei mostrerà nell’apprendimento dello shogi sarà causa di ulteriori problemi nella sua vita, visto che il suo successo sarà fonte di invidia e disprezzo nei suoi confronti dai suoi fratelli adottivi, la sorella maggiore Kyoko e il coetaneo Ayumu, che lo spingeranno infine ad abbandonare la casa adottiva una volta raggiunto il professionismo nel mondo dello shogi.
Ed è questo ragazzo, solo, senza amici, senza famiglia e senza affetti particolari, con l’unica peculiarità di essere un promettente giocatore professionista di shogi già a quindici anni, che ci viene presentato all’inizio della storia, un ragazzo apparentemente incamminato in un percorso di vita buio e isolato a cui il destino fornisce un’ultima ancora di salvezza nella forma di un’altra famiglia destinata a incrociare la sua strada, quella composta dalle sorelle Kawamoto.
Residenti nel ‘Rione Marzo’ (da cui il titolo dell’opera), queste tre sorelle, dall’animo molto più tormentato di quanto il loro aspetto solare faccia trasparire, vivono da sole insieme al nonno, essendo rimaste anche loro orfane di madre, mentre il padre le ha abbandonate costruendosi una nuova famiglia. Akari, la maggiore delle tre, ha il doppio ruolo di madre e sostegno economico della famiglia, è la voce della ragione in casa ed è sempre pronta ad aiutare chiunque ne abbia bisogno, ma conserva ancora aspetti ingenui e insicurezze nel suo carattere, derivanti dall’essere stata costretta a crescere troppo in fretta; Hinata, detta Hina, è la secondogenita delle sorelle, frequenta la scuola media e ha un carattere sempre positivo e luminoso, dietro al quale nasconde però anche una grande tristezza e inquietudine legata al ricordo della madre persa troppo presto; e infine Momo, la piccola della famiglia, che frequenta ancora l’asilo ed è un concentrato puro di tenerezza al 100%, vivace e ingenua come solo i bambini sanno essere.
Incontrate da Rei casualmente, diventeranno per lui una seconda famiglia adottiva, aiutandolo e sostenendolo senza accorgersene nel suo percorso di crescita e maturazione, regalando soprattutto all’intera opera quella controparte gioiosa e serena che è davvero indispensabile per sostenere i toni cupi e claustrofobici nei quali è immerso invece il protagonista.
Ma sono tanti altri i personaggi che interagiscono più o meno positivamente con Rei nella sua esistenza, perlopiù legati al mondo dello shogi a cui appartiene, che sarebbe troppo lungo ricordare tutti nel dettaglio; da segnalare sono soprattutto l’unico amico-rivale (titoli entrambi autoproclamati) Nikaidou Harunobu, i colleghi shogisti Kai Shimada e Masamune Goto, e l’insegnante della scuola di Rei Takashi Hayashida. Questi, ma anche altri, saranno tutti fondamentali nel percorso di vita di Rei e faranno risaltare ancora di più l’impressione generale che tutti i personaggi di quest’opera, da quelli principali a quelli secondari, riescono a rivestire anche solo momentaneamente un ruolo importante nella storia come in poche altre serie si riesce a vedere.
“Sangatsu no Lion” racconta, con un ritmo lento, compassato ma raramente noioso, la storia di Rei attraverso la sua crescita interiore, sostenuta dall’evoluzione delle sue capacità come giocatore professionista di shogi e dai legami che, con maggiore o minore difficoltà, riesce a instaurare col tempo. Il finale della serie è chiaramente aperto, in quanto preannuncia una seconda stagione dell’anime che andrà in onda nell’ottobre del 2017, ma già fa capire quanto sia diverso il Rei degli ultimi episodi rispetto all’insicuro e angosciato ragazzo che ci viene presentato all’inizio.
Dal punto di vista della produzione dell’anime c’è poco da dire, lo studio Shaft ha fatto un ottimo lavoro sotto ogni punto di vista, prima fra tutti la fedeltà alla storia originale, portata a livelli talmente alti, che ogni episodio rispecchia i rispettivi capitoli del manga anche nei titoli, non solo nei contenuti; per la precisione ogni episodio non ha un titolo univoco ma due o tre, a seconda del numero di capitoli che adatta, che sono gli stessi dei capitoli del manga originale: in totale su ventidue episodi abbiamo quarantasei capitoli trasposti e, considerando che al momento il manga in corso di pubblicazione si avvicina ai 130 capitoli, è facile immaginare come ci sia spazio per avanzare anche l’ipotesi di un’eventuale terza stagione dopo la seconda.
Dal punto di vista grafico anche qui la somiglianza col manga è notevole, il character design dei personaggi affidato a Nobuhiro Sugiyama infatti ricalca fedelmente il tratto originale della Umino, con le sue peculiarità, che all’inizio possono far storcere il naso in qualche dettaglio ma sulle quali, una volta fatta l’abitudine, ci si passa tranquillamente sopra.
Il reparto sonoro allo stesso tempo non è da meno, la colonna sonora dell’anime composta da Yukari Hashimoto accompagna la visione con piacere, e le quattro sigle della serie, due opening e due ending, sono il biglietto da visita ideale per presentare l’opera ai telespettatori; le prime due opening ed ending, dal rispettivo titolo “Answer” e “Fighter”, sono opera dello stesso gruppo, i Bump of Chicken, mentre la seconda opening “Sayonara Bystander” e la seconda ending “Orion” sono eseguite rispettivamente dalla cantante Yuki e dal collega Kenshi Yonizu.
Unico difetto della serie, se così si può definire, sono le partite di Shogi. Per ovvie ragioni, essendo lo Shogi un gioco di lenta e studiata strategia, il ritmo degli episodi cala. Ma qui è anche dove bisogna cogliere la bellezza di “Sangatsu no Lion”, capace di giostrarsi in modo convincente tra momenti così diversi; anche le parti incentrate troppo sullo shogi possono annoiare soprattutto lo spettatore occidentale che, parliamoci chiaramente, se non conosce già le regole, difficilmente potrà mai capirci qualcosa di un gioco dove è quasi impossibile riconoscere anche le pedine, figuriamoci le dinamiche di gioco! La secondo parte dell’anime, inoltre, non è sicuramente a livello della prima. Abbiamo infatti vari episodi molto utili e ben realizzati dove l’anime ci parlerà dei vari personaggi anche al di fuori del mondo dello Shogi. Per carità definirli episodi noiosi sarebbe un’esagerazione ed uno sbaglio, ma, a differenza di alcuni episodi scanzonati e molto vivaci della prima parte, rallentano sicuramente il ritmo e potrebbero far storcere il naso ad alcuni spettatori.
Questi difetti non vanno però a mio parere ad toccare la qualità davvero alta di questo anime, molto particolare e che non potrebbe piacere a tutti, ma della quale consiglio la visione anche per, magari, scoprire ed appassionarsi ad uno sport diverso, almeno per noi occidentali, come lo Shogi.
L'unico aspetto su cui ho un'opinione diversa è il giudizio sulla seconda parte della serie. Io questo calo non l'ho sentito. Al contrario, se nella prima parte lo shogi era talvolta solo un movimento di pedine accompagnato da discorsi più tecnici che servivano a introdurre lo spettatore in quel mondo, dalla seconda acquisisce una dimensione molto più umana e diventa un mezzo di espressione profondo per tutti i giocatori. A quel punto non mi interessava più sapere le regole o capire le mosse, perché erano le emozioni dei personaggi a catturare la mia attenzione e trascinarmi.
Se teoricamente il concetto di un torneo di shogi non mi avrebbe interessato, la parte legata a Goto e Kyoko è stata intensa, le vicende umane di Shimada mi hanno appassionato tantissimo, vedere Rei fare tanti piccoli passi graduali per aprirsi è stata una boccata d'aria dopo il buio dove aveva annaspato fino a quel momento...insomma, al massimo ho patito un po' l'assenza delle sorelle Kawamoto e del loro calore confortante, ma niente di più.
Quindi ecco, ciò che voglio dire è che trovo più facile che uno spettatore si senta bloccato dalla prima parte dell'anime piuttosto che dalla seconda.
Ma alla fine mi rendo conto che sono di parte e probabilmente ho una visione troppo idealizzata di questa serie. Perciò complimenti di nuovo per il lavoro e l'attenzione con cui è stata scritta questa recensione, spero proprio che invogli qualche utente a recuperare l'anime
Grazie dei complimenti, sono felice che la recensione ti sia piaciuta^^
Quanto alla questione shogi, chiaro che ognuno può avere una sensibilità diversa sull'argomento però ho estrapolato dalla tua risposta proprio la parte che più mi ha "influenzato" nel giudizio su quegli episodi, l'assenza delle sorelle Kawamoto non è qualcosa catalogabile come marginale, anche nella recensione ho attributo a queste splendide ragazze un'importanza fondamentale nella gestione dell'intera serie, insomma vederle mancare per tanto tempo mi ha lasciato un'impressione (leggermente eh, parliamo sempre di un'opera fantastica) negativa che vicende pure appassionanti come quelle di Shimada non hanno colmato allo stesso modo ecco....devo dire però che l'anime nella sua divisione stagionale ha accentuato questa cosa, se fosse continuato come il manga senza questa pausa semestrale probabilmente non mi avrebbe lasciato la stessa sensazione, ma il manga all'epoca non l'avevo visto proprio quindi ho giudicato unicamente quello che mi ha trasmesso la visione dell'anime, emozioni bellissime senza dubbio e qualche piccola flessione qua e là, da rimarcare per onestà intellettuale, ma che non inficia certo il giudizio complessivo più che positivo.
Approfitto del messaggio anche per ringraziare nuovamente lo staff di Animeclick che per una serie così bella ha corso il serio rischio di rovinarla scegliendo una mia recensione per raccontarlaXD, complimenti per il coraggio e ovviamente per il lavoro fatto col video tra immagini, montaggio e ottima voce di AbyssDan. Come ribadito anche da -Soel- spero anch'io che possa invogliare qualche utente a recuperare l'anime non solo perchè lo merita ma perchè, da lettore del manga che sono diventato subito dopo, posso assicurare che il meglio, molto meglio (l'italiano oggi mi perdonerà ) di Sangatsu no Lion deve ancora arrivare!
Anche per questo ho deciso di realizzare, ovviamente un grazie ancora a MirokuSama, questa recensione. Parliamoci chiaro i temi trattati non possono piacere a tutti ed i numeri su VVVVID sono anche buoni però, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di fare conoscere un po di più questa opera che, secondo me , merita davvero tanto
Ad essere individuato come tasto dolente è la parte "tecnica", ossia le partite di shogi, che Sangatsu non riuscirebbe a farci conoscere ed apprezzare. Da scacchista vi posso dire in realtà che da parte dell'autore non c'è proprio alcuna volontà di farcelo capire: le fotografie dei singoli momenti delle partite sono rapidissime, ma soprattutto manca la storia completa delle stesse, dato che non vengono mai riportate tutte le mosse. Si tratta di disonestà? Di tradimento delle regole degli anime/manga sportivi? La mia risposta è no, perché la cosa è chiara fin dall'inizio: la scelta è chiara già nelle primissime puntate, non solo nelle ultime "incriminate" da molti recensori. Anzi, se vogliamo essere fiscali e seguire queste regole le prime puntate sono le peggiori, perché negli anime sportivi di spiegano subito le regole, spesso facendo vedere degli allenamenti del protagonista, che impara con lo spettatore.
Stangata non è e non vuole essere un anime sportivi tradizionale, e va benissimo così: liberandosi dai luoghi comuni ci insegna tantissimo, in particolare l'irrilevanza del vincere o perdere.
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