Alcuni di noi l'hanno potuta toccare con mano, altri ne hanno sentito solo parlare e magari si chiedono se sia reale o solo uno dei tanti stereotipi: è la gentilezza nipponica, a volte così estrema da sembrare strana ai nostri occhi e da far salire il sospetto che sia falsa, solo una facciata, una maschera offerta all'estraneo, poco importa se sia straniero o giapponese. Per capire cosa ci sia dietro a tanta educazione, occorre scavare a fondo nella storia e nella cultura del Sol Levante e potremo così trovare diverse risposte.
Per ragioni di spazio non potranno essere risolutive o approfondite, ma spero basteranno per farvi vedere le cose da un'altra prospettiva, il primo e migliore passo per comprendere qualcosa che non si conosce.
Il fatto di essere un'isola, che per giunta è stata per lungo tempo chiusa quasi completamente rispetto al mondo esterno, ha sicuramente influito in generale su tutta la cultura nipponica che è estremamente omogenea.
Ma alla base della gentilezza dei giapponesi c'è sicuramente l'influenza del Confucianesimo arrivato dalla Cina nel VI secolo; questa religione ha insegnato che la collettività (quindi il paese in cui si vive) e il gruppo (cioè la propria famiglia) vengono prima di se stessi. Far parte di un insieme, vivere e lavorare perché esso prosperi e sia felice è più importante e più nobile che pensare solo al proprio io.
Questi insegnamenti si sono ben amalgamati a quelli dello Scintoismo (religione nativa del Giappone) in cui ogni cosa è pervasa da uno spirito divino e quindi ogni forma di vita va rispettata, che sia umana oppure no. Il tutto è trasmesso di generazione in generazione, responsabilizzando già i bambini ad occuparsi del bene comune e a pensare all'altro prima che a sè. E il tutto continua anche nell'età adulta, con un forte senso del dovere verso l'azienda in cui si lavora ad esempio e con una sottomissione pressoché totale verso ogni forma di autorità.
Tutto questo si riflette anche sulla lingua: chi studia giapponese ne è dolorosamente consapevole. Esistono infatti differenti livelli di linguaggio con differenti livelli di formalità, per cui anche solo per dire "buongiorno" si useranno formule diverse a seconda dell'interlocutore: si dovrà tener conto della gerarchia (superiore o inferiore di grado), dell'età (gli anziani sono tenuti in gran considerazione), del sesso (alcune frasi sono appannaggio esclusivo degli uomini, così come altre lo sono per le donne), perfino del momento della giornata!
Immaginiamoci cosa succederà nel momento in cui si dovrà pronunciare un rifiuto: il "no" secco (fosse anche solo per sapere dal commesso se è presente in negozio l'oggetto che stiamo cercando) non è contemplato. La risposta sarà sicuramente un giro di parole, come per esempio "Non so se sarà possibile darle quello che mi sta chiedendo". Non è una presa in giro, ma è un modo per non mettere in imbarazzo, per non deludere, per essere gentili anche nel momento del rifiuto. E il linguaggio non verbale si adatterà per esprimere anch'esso umiltà e disponibilità.
Tutto è studiato per ridurre al minimo gli attriti, considerando anche il fatto che alcune zone dell'arcipelago sono densamente popolate e gli spazi sono molto ristretti. Quindi i giapponesi evitano ogni discussione inutile e spesso, nel fare questo, non esprimono quasi mai la loro opinione su un argomento, soprattutto se è in contrasto con il loro interlocutore. Così facendo non si farà sentire a disagio l'altra persona e non si perderà tempo, considerando che probabilmente ognuno resterà fermo sulle sue posizioni.
Con gli estranei si mostra il "tatemae" cioè un atteggiamento in cui il sè si annulla e si adatta all'altro, mentre all'interno della cerchia di persone più intime prevarrà lo "honne" cioè il poter dire esattamente quello che si pensa e si prova. Ed è questo che spesso mette a dura prova la comprensione fra lo straniero e il giapponese: chi viene da fuori si sentirà preso in giro e tradito da questa presunta mancanza di sincerità. Ma occorre precisare che spesso tutto ciò non nasconde cattive intenzioni, non c'è la volontà di "fregare" l'altro ma semplicemente di vivere in pace.
Seguendo lo stesso principio si ottengono mezzi di trasporto affollatissimi ma molto silenziosi e strade calpestate da una marea di persone ma pulitissime: se ognuno facesse i propri comodi senza pensare al bene comune, gli spazi collettivi sarebbero un disastro e la situazione, soprattutto nei grandi conglomerati urbani, diventerebbe presto invivibile.
Quindi ci si fonde con la massa, si diventa un tutt'uno e non ci si espone, nemmeno per valorizzare se stessi: la modestia e l'umiltà prima di tutto. Anche se si è bravi nel proprio lavoro, si minimizzeranno i complimenti che si ricevono, ci si schernirà per i servizi resi, anche se magari sono costati molta fatica.
Ovviamente per riuscire a far sì che questi atteggiamenti siano spontanei, alla base c'è un'educazione che inizia fin da piccolissimi. I genitori prima e la scuola dopo inculcano le regole del saper vivere giorno dopo giorno, incitando i bambini a obbedire senza mettere in discussione nè loro nè le autorità. Già dall'asilo gli alunni sono responsabilizzati affidando loro le pulizie delle classi ad esempio e privilegiando le attività di gruppo (vedi i famosi club scolastici a cui è strano non essere iscritti).
A tutto questo aggiungiamo poi la divisa che farà sentire la persona ancor più parte della comunità, rendendo uniforme anche il colpo d'occhio dall'esterno. Divisa che l'individuo si porta dietro per tutta la vita: pensiamo al completo da ufficio dei salaryman. Ma c'è anche chi riesce a ribellarsi alle regole, pur conservando i principi di rispetto dell'altro e della cosa comune: sono gli artisti che dal design alla moda creano oggetti o abiti al limite della stravaganza, dando vita ad esempio a quel famoso street style che i cacciatori di tendenze ricercano spesso lungo le strade di Harajuku.
Voi cosa ne pensate? Che esperienze avete vissuto in tal senso? Scrivetelo nei commenti!
Fonte consultata:
Japanization
Per ragioni di spazio non potranno essere risolutive o approfondite, ma spero basteranno per farvi vedere le cose da un'altra prospettiva, il primo e migliore passo per comprendere qualcosa che non si conosce.
Il fatto di essere un'isola, che per giunta è stata per lungo tempo chiusa quasi completamente rispetto al mondo esterno, ha sicuramente influito in generale su tutta la cultura nipponica che è estremamente omogenea.
Ma alla base della gentilezza dei giapponesi c'è sicuramente l'influenza del Confucianesimo arrivato dalla Cina nel VI secolo; questa religione ha insegnato che la collettività (quindi il paese in cui si vive) e il gruppo (cioè la propria famiglia) vengono prima di se stessi. Far parte di un insieme, vivere e lavorare perché esso prosperi e sia felice è più importante e più nobile che pensare solo al proprio io.
Questi insegnamenti si sono ben amalgamati a quelli dello Scintoismo (religione nativa del Giappone) in cui ogni cosa è pervasa da uno spirito divino e quindi ogni forma di vita va rispettata, che sia umana oppure no. Il tutto è trasmesso di generazione in generazione, responsabilizzando già i bambini ad occuparsi del bene comune e a pensare all'altro prima che a sè. E il tutto continua anche nell'età adulta, con un forte senso del dovere verso l'azienda in cui si lavora ad esempio e con una sottomissione pressoché totale verso ogni forma di autorità.
Tutto questo si riflette anche sulla lingua: chi studia giapponese ne è dolorosamente consapevole. Esistono infatti differenti livelli di linguaggio con differenti livelli di formalità, per cui anche solo per dire "buongiorno" si useranno formule diverse a seconda dell'interlocutore: si dovrà tener conto della gerarchia (superiore o inferiore di grado), dell'età (gli anziani sono tenuti in gran considerazione), del sesso (alcune frasi sono appannaggio esclusivo degli uomini, così come altre lo sono per le donne), perfino del momento della giornata!
Immaginiamoci cosa succederà nel momento in cui si dovrà pronunciare un rifiuto: il "no" secco (fosse anche solo per sapere dal commesso se è presente in negozio l'oggetto che stiamo cercando) non è contemplato. La risposta sarà sicuramente un giro di parole, come per esempio "Non so se sarà possibile darle quello che mi sta chiedendo". Non è una presa in giro, ma è un modo per non mettere in imbarazzo, per non deludere, per essere gentili anche nel momento del rifiuto. E il linguaggio non verbale si adatterà per esprimere anch'esso umiltà e disponibilità.
Tutto è studiato per ridurre al minimo gli attriti, considerando anche il fatto che alcune zone dell'arcipelago sono densamente popolate e gli spazi sono molto ristretti. Quindi i giapponesi evitano ogni discussione inutile e spesso, nel fare questo, non esprimono quasi mai la loro opinione su un argomento, soprattutto se è in contrasto con il loro interlocutore. Così facendo non si farà sentire a disagio l'altra persona e non si perderà tempo, considerando che probabilmente ognuno resterà fermo sulle sue posizioni.
Con gli estranei si mostra il "tatemae" cioè un atteggiamento in cui il sè si annulla e si adatta all'altro, mentre all'interno della cerchia di persone più intime prevarrà lo "honne" cioè il poter dire esattamente quello che si pensa e si prova. Ed è questo che spesso mette a dura prova la comprensione fra lo straniero e il giapponese: chi viene da fuori si sentirà preso in giro e tradito da questa presunta mancanza di sincerità. Ma occorre precisare che spesso tutto ciò non nasconde cattive intenzioni, non c'è la volontà di "fregare" l'altro ma semplicemente di vivere in pace.
Seguendo lo stesso principio si ottengono mezzi di trasporto affollatissimi ma molto silenziosi e strade calpestate da una marea di persone ma pulitissime: se ognuno facesse i propri comodi senza pensare al bene comune, gli spazi collettivi sarebbero un disastro e la situazione, soprattutto nei grandi conglomerati urbani, diventerebbe presto invivibile.
Quindi ci si fonde con la massa, si diventa un tutt'uno e non ci si espone, nemmeno per valorizzare se stessi: la modestia e l'umiltà prima di tutto. Anche se si è bravi nel proprio lavoro, si minimizzeranno i complimenti che si ricevono, ci si schernirà per i servizi resi, anche se magari sono costati molta fatica.
Ovviamente per riuscire a far sì che questi atteggiamenti siano spontanei, alla base c'è un'educazione che inizia fin da piccolissimi. I genitori prima e la scuola dopo inculcano le regole del saper vivere giorno dopo giorno, incitando i bambini a obbedire senza mettere in discussione nè loro nè le autorità. Già dall'asilo gli alunni sono responsabilizzati affidando loro le pulizie delle classi ad esempio e privilegiando le attività di gruppo (vedi i famosi club scolastici a cui è strano non essere iscritti).
A tutto questo aggiungiamo poi la divisa che farà sentire la persona ancor più parte della comunità, rendendo uniforme anche il colpo d'occhio dall'esterno. Divisa che l'individuo si porta dietro per tutta la vita: pensiamo al completo da ufficio dei salaryman. Ma c'è anche chi riesce a ribellarsi alle regole, pur conservando i principi di rispetto dell'altro e della cosa comune: sono gli artisti che dal design alla moda creano oggetti o abiti al limite della stravaganza, dando vita ad esempio a quel famoso street style che i cacciatori di tendenze ricercano spesso lungo le strade di Harajuku.
Voi cosa ne pensate? Che esperienze avete vissuto in tal senso? Scrivetelo nei commenti!
Fonte consultata:
Japanization
Un valore in netto contrasto con la mentalità individulistica europea e occidentale in generale.
Non per niente in Giappone c'è un noto proverbio che dice "Il chiodo sporgente va preso a martellate".
Nel resto del mondo, secondo me l'educazione fallisce in primo luogo in famiglia, dove al bambino viene insegnata l'umiltà e l'amore per il prossimo, ma a cui poi vengono offerti numerosi esempi di arroganza e noncuranza per chi o cosa ci circonda.
Il sistema scolastico è sempre stato fallimentare secondo me (parlo per l'Italia adesso), incapace di offrire insegnamenti che non siano sterili nozioni teoriche. Mi sarebbe piaciuto vedere club scolastici anche da queste parti!
Una grande differenza con la cultura italiana che io, personalmente, da questo punto di vista, soffro molto (quando vedo discariche a cielo aperto, abusive ovviamente, o quando sento parlare di piromani che appiccano deliberamente fuochi) e mi si stringe il cuore, mi sale il nervo e penso "ma possiamo essere così maledutati e inrispettosi?".
È proprio questa differenza abissale tra le due culture che mi ha spinto sempre piu a conoscere il Giappone in tutte le sue sfaccettature.
Il rovescio della medaglia è chiaramente la rigidità della società. Regole troppo ferree che dall'altra parte, da estera, non potrei mai concepire.
Bell'articolo sarebbe interessante approfondire quelle parti che per "poco spazio" non sono state snocciolate fino in fondo!
Più di spontaneità naturale, si tratta di naturalizzare atteggiamenti rendendoli routine quotidiana.
Ben altre popolazioni al mondo possono fregiarsi di naturale propensione alla generosità e buona educazione. La popolazione giapponese non può, in quanto sottomessa dalla società stessa in routine comunque percepite come innaturali, e semplicemente accettate su base di costrizioni mentali e timore di rendersi emarginati.
Se la popolazione giapponese fosse naturalmente dotata delle migliori caratteristiche umane, come spesso erroneamente descritto, non esisterebbero molti dei tratti più oscuri e spiacevoli che rendono questa stessa società un universo classista, elitario, socchiuso in se' stesso, abbandonato dalla gioventù e con ridotte nascite.
La durezza della società è indice di costrizioni e forzature al fine ultimo di mantenere uno status quo; mai di naturalezza.
Ho fatto il tuo stesso percorso, partendo dalla visione degli anime ho voluto approfondire gli aspetti della cultura nipponica che mi incuriosivano perché lontani dal nostro punto di vista.
Hachi, il tuo articolo è riuscito a riassumere ottimamente cosa c'è dietro ad alcune delle caratteristiche più evidenti del popolo giapponese: brava, non era facile!
Parlo per esperienza personale 6 persone per comprare uno zaino da yodobashi per un valore di 100€!
Quest'atteggiamento non è molto diverso da quello che ho sperimentato spesso qui in Italia, la differenza nasce quando viene a galla.
Sto studiando il giapponese e proprio in questi giorni ho affrontato questo argomento... per adesso conoscerò 10 parole, non saprei proprio come dare una risposta negativa a qualcuno XD
Emblematico in tal senso il discorso di resa che l'imperatore pronunciò alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il tutto aggravato dal fatto che il linguaggio di corte (e dell'imperatore in special modo) è complesso e comprensibile solo da pochi, perché espressione di una realtà "divina".
Non tocchiamo questo tasto per favore.
Piango.
>> si ottengono mezzi di trasporto affollatissimi ma molto silenziosi e strade calpestate da una marea di persone ma pulitissime
Che sembra un ossimoro, ma non lo è. Ed è davvero strabiliante da vedere O__O
Che meraviglia di articolo. Non saprei che cosa dire di più e meglio, se non che ho potuto sperimentare tutto ciò con i miei occhi e questa cortesia, questo rispetto e quest'educazione in ogni momento della giornata, in ogni luogo, in ogni mentre, mi lascia basita in ogni occasione.
Certo, di contro va detto che i giapponesi rimangono sempre/spesso rigidi e formali, difficile inculcare loro qualcosa da gaijin testardi (ti ripeteranno 10 volte la medesima risposta, come dei robot. D'altra parte appunto, il no non è contemplato XD) e difficilmente si riesce a spezzare la barriera della cortesia per ottenere un "vero" sorriso, magari ma dipende anche da zona a zona: a Osaka mi è capitato più volte di fermare le famose 'obaachan' per chiedere un paio di cose in croce, e al di là della mera cortesia, è stato bello vedere come davvero in questa zona del Giappone le persone siano più 'sciolte' nelle reazioni e nelle risposte (come d'altro canto, in ogni Paese: più si va al sud di un determinato Paese, e più la gente risulta loquace, amichevole ed aperta all'esterno). I giapponesi sono bellissimi *__*
Una società costruita su principi del genere ha sia vantaggi che svantaggi. Da un lato l'ordine, l'estrema pulizia ed efficienza sono plus non da poco. Dall'altro, questo concetto di annullare l'io a favore del benessere della massa, è un incubo per qualsiasi occidentale, e mette addosso una pressione psicologica non da poco anche in chi vive da sempre in Giappone.
Per non parlare dei problemi pratici di oggi giorno, ad esempio: come fai a respingere le avances di uno sconosciuto se la tua stessa lingua ti impedisce di dire chiaramente di no?
Ed è anche uno dei motivi per cui sono così indietro in tema di diritti civili (diritti delle donne, matrimoni fra persone dello stesso sesso etc.) pur essendo uno dei paesi tecnologicamente ed economicamente più avanzati del globo. Nessuno alzerebbe mai la voce per richiedere qualcosa per sé, temendo di essere un disturbo, e quindi i progressi vanno avanti a passo di lumaca... ne parlavano giusto in un articolo dedicato al tema
Molti si illudono di "avere" amici giapponesi, solo perché ci escono qualche volta. Ma per loro sono solo contatti flebili destinati a rompersi, è il riempirsi di legami di facciata sul momento che non hanno alcuna importanza reale.
Si sviluppano studiando o per esigenze lavorative, tra alcuni colleghi o compagni di corso, spesso del tuo stesso livello, con cui per forza di cose ci passi assieme molte ore a settimana, e che con cui poi magari a fine lavoro/uni ci vai a ber qualcosa assieme, ma spesso rimane un rapporto davvero superficiale. Quindi sì, servono diversi mesi, e con alcune persone anni di frequentazione per poter sfondare questa barriera sociale. Questo avviene anche nella vita sentimentale dove spesso un giapponese reprime e occulta gli aspetti negativi per poi a volte far tracollare il rapporto a causa delle grosse incomprensioni che si creano. Parlando in prima persona della mia esperienza, la mia ragazza mi dice che è "mendokusai" (una seccatura) esprimere ogni volta quello che si pensa, specialmente se negativo, quindi a volte anche nelle coppie si usa una facciata quasi irreale di cortesia e bontà anche quando ci si vorrebbe scannare. Per come è impostato il mio carattere, anche se a livello di rapporti sociali con l'esterno mi riesce alla perfezione, occultare i miei veri sentimenti alla mia lei mi sembra un automatismo comportamentale ancora inconcepibile.
Questo però non ci deve far illudere, questo sforzo comune non rende le persone tutte uguali, giustamente Zettailara annota come secondo le varie zone del paese i comportamenti sono declinati molto diversamente - un pò come da noi, provate a dare un'occhiata al programma "Quante Storie" di Augias su Rai 3 dove ospita gruppi di studenti delle superiori da un pò tutto il paese, i comportamenti sono assolutamente diversi malgrado l'ambiente controllato -
Il limite dell'intera situazione, è il prezzo che i singoli e la stessa società nel suo complesso pagano. Un prezzo molto pesane però soprattutto se ci si acquieta nell'idea di esser riusciti ad ottenere il "sistema migliore". Anzitutto l'omogeneità della popolazione, come possiamo vedere in questi anni, lascia covare all'interno fenomeni di esaltazione e di razzismo piuttosto seri, soprattutto se l'autorità NON si pone il problema del razzismo. L'atteggiamento verso i Coreani, verso le minoranze presenti nel nord del paese, ed anche verso i testardi gaijin, che magari qualcuno può considerare un fastidioso retaggio di una guerra persa, dovrebbe far riflettere un governo che vuole "aprire" lo stato giapponese ai lavoratori stranieri.
Poi c'è la brutta, bruttissima tendenza, ad ignorare i suggerimenti su come fare le cose.Senza spiegare perchè e come ed ignorando la realtà, anche quando sicuramente andranno a sbattere......"I Giapponesi lo fanno meglio", è il sotteso pensiero. E talora è anche vero, spesso sbagliato.
Infine la questione della Scuola....che è fondamentale...A volte l'intrusione nella vita familiare sembra davvero inaccettabile. D'altra parte - come denunciato dagli studiosi di educazione giapponesi, tropo spesso la scuola sembra incapace di frenare i fenomeni di micro e macro bullismo all'interno del sistema scolastico. C'è di buono che, a differenza della moderna società italiana, dimentica del suo passato, alla classe dei maestri e degli insegnanti viene riconosciuto un ruolo sociale vero. Alla scuola sono dati compiti educativi chiari. Non è stata fatta diventare un'Agenzia con molteplici e vaghe funzione sociali. E senza mezzi economici e tecnici per attuarli. ( una politica portata avanti pervicacemente da persone che "amerebbero" importare quel modello di passività a cui si riferisce @Panssj ma non certo per motivi "confuciani")
Tralasciamo la questione Giustizia. Come detto altre volte meglio non essere imputati in un processo in Giappone dove si vuole la condanna del reo, a prescindere. ( e per l' Italia..bhè procuratevi un buon avvocato)
@ Arwen1990 ciò a cui ti riferisci non è "la normalità" italiana, che ha un biliardo di altri difetti....E' il frutto di un'azione criminale, e non tanto perchè viola una "Legge"..ma perchè si persegue il proprio particulare infischiandosene di ogni e qualsiasi interesse di ALTRI, per la propria mera convenienza immediata... Qualche tempo fà, durante questa estate di roghi mio nipote vedendo un servizio dedicato alal distruzione di alcune località mi chiedeva ma perchè questi pazzi incendiano i boschi? E' follia..Sono criminali. Operano per motivi e interessi spesso oscuri al momento ma che si svelano nel giro di pochi anni ( la mente criminale vera, non i ladri di polli) riesce a trovare possibilità
di guadagno scavando in quegli interstizi della società civile che non amiamo vedere e che hanno poco a che fare con l'educazione, o la non educazione ricevuta.
Ognuno di noi davanti alle possibilità che la vita ci propone realtà dobbiamo, costantemente scegliere. Un portato della nostra cultura Cristiana ( in senso lato) è la libertà di scelta...Basterebbe solo fermarsi a riflettere sulla realtà a volte per non fare sciocchezze. E sarebbe necessario che lo Stato ci mettesse nelle condizioni di scegliere.
Ma perchè si distrugge un bosco con diecimila querce? ( è accaduto sul serio). Stiamo ancora cercando di capirlo.
La mia esperienza diretta del Giappone risale ad un viaggio per lavoro ad Osaka più di 20 anni fa (sic.) e a molte letture, ma questo aspetto della psicologia giapponese mi ha sempre incuriosito.
Mi sono sempre chiesto una cosa. Posto che qualunque convenzione sociale ha dei limiti, nel caso della cultura giapponese quali sono le valvole di sfogo per i non adattati? Esistono dei percorsi "sani" per coloro che non riescono ad integrarsi nel sistema e convivono con sofferenza questa omologazione?
Il sistema di sfogo più immediato e veloce è la bevuta a fine giornata con i colleghi. Lì è permesso anche "criticare" colleghi e capi. Altri modi sono appunto darsi alle arti: moda e fashion permettono una certa libertà, anche se magari si è visti cmq come strani.
Comprendo l'enorme utilità che ha l'educazione e in generale la cultura giapponese, io sono il primo che dice a destra e a manca che si ci vuol davvero considerare un membro di una società necessità essere responsabile e rispettoso a pieno delle norme accettate (se si facesse così non saremmo in questa situazione). Però sono rimasto deluso verso la fine; il fatto che essi non abbiano una forma negativa diretta come il nostro "no" li fa sembrare leggermente ipocriti. In una società si deve comprendere anche che qualcuno rifiuti qualcosa senza offendersi altrimenti si spreca il tempo solo in queste sciocchezze.
Poi vidi per caso questo video...
...e, devo ammetterlo, nonostante sia sempre aperta nel giudicare le differene culturali, è una cosa che proprio non riesco a capire.
Perchè non contemplano proprio la sana via di mezzo tra un'opinione brutalmente sincera (che puó risultare davvero offensiva) e una falsissima adulazione?
Prendiamo una situazione ipotetica:
Persona A si mostra con un vestito nuovo a Persona B.
Quello che B dice (per non offendere): "Ti sta benissimo!" (TATEMAE)
Quello che B pensa (e che direbbe se avesse la possibilitá di essere sicera): "Ti sta uno schifo" (HONNE)
Quello che B dovrebbe (e potrebbe) dire: "Non credo che ti valorizzi al meglio, ma se a te piace va bene cosí" (NON CONTEMPLATO)
Ecco, questa cosa non la comprendo proprio.
Devo dire che non sapevo ci fosse qualcosa del genere dietro il saluto nipponico xD
Portano tutto all'estremo, ed è palese che così facendo non tutto va per il meglio.
Troppo soffocante per i miei gusti, non sarà la Corea del Nord o la Cina ma non ci vedo granché libertà individuale e senso dell'Io.
Si sarà confusa, infatti è una dottrina filosofica spesso la scambiano per una religione anche se non ha un messaggio di salvezza, può essere ritenuto una religione in senso sociologico.
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