Ho un'abitudine dura a morire, per quanto riguarda la fruizione di film e serie tv: ossia leggere lo stretto indispensabile di quello che vedrò, per evitare spoiler fastidiosi che possano decretare una visione falsata e poco appagante di un titolo che voglio gustarmi. Se questo solitamente mi mette al riparo da brutte sorprese, di sicuro altre volte ha generato in me idee erronee circa la reale natura e le intenzioni che avevano portato alla realizzazione di un'opera.
È successo anche pochi giorni fa, durante la visione in prima assoluta al Comicon di Napoli del film Mary e il fiore della strega.
Ero infatti convinto che questo film fosse stato prodotto da dei "dissidenti"... Lo Studio Ponoc è per lo più formato da elementi che hanno militato a lungo in uno degli studi di animazione più famosi al mondo, il Ghibli, a cominciare proprio dal regista, quell'Hiromasa Yonebayashi che avevamo conosciuto con pellicole quali Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento e Quando c'era Marnie, e che lo avevano fatto additare, addirittura, come il papabile sostituto di Miyazaki. Come Yonebayashi, uscito dallo studio del maestro Hayao, anche il produttore Yoshiaki Nishimura, la sceneggiatrice Riko Sakaguchi (La storia della principessa splendente) e alcuni tra i migliori animatori Ghibli, quali Takeshi Inamura, Akihiko Yamashita ed Ei Inoue, sono migrati nel neonato Ponoc.
Ma qual era l'idea erronea che mi ero fatto? Quella che tutti questi personaggi, che avevano dedicato anni al celebre studio del maestro Miyazaki, se ne fossero andati un po' sbattendo la porta, desiderosi di proporre qualcosa di nuovo e forse stufi delle iconiche personalità che per tanti anni avevano tracciato la via da seguire.
Ecco perché, trovandomi di fronte a un prodotto che è in tutto e per tutto un inno allo spirito ghibliano, sono rimasto non poco spiazzato. E infatti avevo preso un bel granchio!
Subito dopo la visione del film, mentre studiavo come mio solito per la stesura di questa recensione, ho appreso che a far sedere Yonebayashi e Nishimura in un coffee shop di Tokyo nel 2014, per parlare di un nuovo film e poi della fondazione di un nuovo studio, non fu il desiderio di fare qualcosa di diverso, ma anzi di preservare i valori e lo stile dello Studio Ghibli, che li aveva visti crescere come artisti e persone. Il fattore scatenante fu proprio l'addio (all'epoca considerato definitivo) dalle scene artistiche dello stesso Miyazaki nel 2013.
Lo Studio Ponoc nasce così il 15 aprile del 2015. Il nome ha origini croate e significa "mezzanotte" e vuole rappresentare l’inizio di un nuovo giorno mentre come simbolo ha proprio Mary e il fiore della strega. E possiamo dedurre la chiara impronta ghibliana che accompagna i lavori di Yonebayashi dal logo stesso scelto per il neonato studio, ossia il visino di Mary girato a destra, che richiama un po' il faccione di Totoro, volto nella stessa direzione. Questo è solo il primo di una lunga serie di déjà-vu, che partono dal soggetto del film, la cui storia deriva dal romanzo inglese The Little Broomstick (lett. La piccola scopa, edito da Mondadori) di Mary Stewart, una favola che non può che rimandare al classico eco ghibliano sui romanzi fantasy per bambini occidentali, con protagoniste giovani fanciulle tanto testarde quanto coraggiose, tratto distintivo quasi considerato un vero e proprio marchio di fabbrica del Ghibli.
Il "nuovo staff", insomma, si comporta come se niente in realtà fosse mai finito e già dal primo trailer di Mary e il fiore della strega (メアリと魔女の花 Mary to Majo no Hana, in originale) i fan mondiali non hanno potuto esimersi da avanzare paragoni con un'altra maghetta, la giovane aspirante strega di Kiki – Consegne a domicilio (1989), primo blockbuster di Miyazaki.
Il libro La piccola scopa è stato pubblicato nel 1971 e precede Harry Potter di circa 26 anni, ma data la fama di quest'ultimo, la premessa di una scuola di magia risulta inevitabilmente familiare; per questo gli artisti e gli animatori di Ponoc hanno cercato di rendere l'Endor College vibrante e multicolore, per diversificarlo dai suoi predecessori. E qui si ferma per me il film, in un puro esercizio di bravura tecnico-stilistica. Endor ne è la piena testimonianza, con il luccichio dei suoi minareti, il colorato iper-realismo dei suoi sfondi e l'animata dinamicità dei personaggi magici, frutto delle compentenze del regista, abilità costruite con fatica lavorando a opere immortali come La principessa Mononoke e La città incantata. Immagini e character design sono nel segno della continuità con il passato, anche se con un tratto più moderno sullo stile dei cartoons americani, svecchiamento che ho trovato gradevole come i tanti (anche un po' eccessivi) richiami ai personaggi dell'universo ghibliano, dal Calcifer de Il castello errante di Howl fino ai robot di Laputa, il castello nel cielo. Le citazioni ai masterpiece miyazakiani sono davvero ovunque, per la felicità dei tanti fan, orfani (per il momento) delle pellicole Ghibli.
E a livello di storia? Qui Yonebayashi per me non raggiunge l'obiettivo, o comunque non lo raggiunge appieno. La verve creativa su film lenti ma dalla forte presa emotiva, come Arrietty e Marnie, qui francamente non si vede. Come abbiamo detto, c'è una volontà piuttosto evidente di mostrare al mondo che lo Studio Ghibli non è morto, riprendendone non solo i caratteri stilistici distintivi ma anche le tematiche. In questo film la denuncia contro l'avidità umana e il desiderio dell'uomo di andare oltre le leggi naturali è piuttosto chiara, ma è tutto abbastanza fine a se stesso, senza un reale approfondimento dei personaggi, sia cattivi che buoni, a cominciare proprio dalla protagonista. Mary viene quasi sparata in questa storia, non ha una vera crescita personale, che dovrebbe portarla poi a prendere una reale coscienza di se stessa e delle sue capacità (come succede di solito alle eroine ghibliane); ma lo spettatore tende a non accorgersene subito, abbagliato com'è dalla bellezza delle immagini e delle animazioni. È solo in seguito che si nota la poca dinamicità della protagonista come la monodimensionalità dei comprimari.
Tra i pregi di natura tecnica, oltre quelli grafici, non possiamo tacere su quelli musicali. Takatsugu Muramatsu (classe 1978) non sarà Joe Hisaishi, non creerà una melodia indimenticabile, ma sa il fatto suo componendo un'OST in puro stile Ghibli, capace di tenerci per mano per tutta la durata del film. Certo anche qui ho notato un passo indietro rispetto alle musiche più evocative del suo precedente lavoro in Quando c'era Marnie. Molto bella la theme song del film, Rain, cantata dalla rock band SEKAI NO OWARI.
E il doppiaggio italiano? Dopo il quasi monopolio di Gualtiero Cannarsi in tutti i lavori Ghibli degli ultimi anni si pensava a un suo ritorno anche per questo primo film Ponoc, e invece non è stato così. Lo staff è di alto livello, con Francesco Nicodemo all'adattamento e Massimiliano Alto ai dialoghi e alla direzione del doppiaggio. Il risultato è abbastanza soddisfacente, non si è calcato troppo la mano sui termini giapponesi e il dialogo era fluido e comprensibile. Resto un po' interdetto sulla scelta di alcuni termini, forse un po' troppo ridondanti, ma nel complesso mi sento di promuovere il lavoro a pieni voti. Le voci mi sono piaciute tutte, a cominciare da quella della giovane Sara Labidi (al ritorno su un film di Yonebayashi dopo aver interpretato Anna Sasaki in Marnie) sulla protagonista.
È successo anche pochi giorni fa, durante la visione in prima assoluta al Comicon di Napoli del film Mary e il fiore della strega.
Ero infatti convinto che questo film fosse stato prodotto da dei "dissidenti"... Lo Studio Ponoc è per lo più formato da elementi che hanno militato a lungo in uno degli studi di animazione più famosi al mondo, il Ghibli, a cominciare proprio dal regista, quell'Hiromasa Yonebayashi che avevamo conosciuto con pellicole quali Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento e Quando c'era Marnie, e che lo avevano fatto additare, addirittura, come il papabile sostituto di Miyazaki. Come Yonebayashi, uscito dallo studio del maestro Hayao, anche il produttore Yoshiaki Nishimura, la sceneggiatrice Riko Sakaguchi (La storia della principessa splendente) e alcuni tra i migliori animatori Ghibli, quali Takeshi Inamura, Akihiko Yamashita ed Ei Inoue, sono migrati nel neonato Ponoc.
Ma qual era l'idea erronea che mi ero fatto? Quella che tutti questi personaggi, che avevano dedicato anni al celebre studio del maestro Miyazaki, se ne fossero andati un po' sbattendo la porta, desiderosi di proporre qualcosa di nuovo e forse stufi delle iconiche personalità che per tanti anni avevano tracciato la via da seguire.
Ecco perché, trovandomi di fronte a un prodotto che è in tutto e per tutto un inno allo spirito ghibliano, sono rimasto non poco spiazzato. E infatti avevo preso un bel granchio!
Subito dopo la visione del film, mentre studiavo come mio solito per la stesura di questa recensione, ho appreso che a far sedere Yonebayashi e Nishimura in un coffee shop di Tokyo nel 2014, per parlare di un nuovo film e poi della fondazione di un nuovo studio, non fu il desiderio di fare qualcosa di diverso, ma anzi di preservare i valori e lo stile dello Studio Ghibli, che li aveva visti crescere come artisti e persone. Il fattore scatenante fu proprio l'addio (all'epoca considerato definitivo) dalle scene artistiche dello stesso Miyazaki nel 2013.
Lo Studio Ponoc nasce così il 15 aprile del 2015. Il nome ha origini croate e significa "mezzanotte" e vuole rappresentare l’inizio di un nuovo giorno mentre come simbolo ha proprio Mary e il fiore della strega. E possiamo dedurre la chiara impronta ghibliana che accompagna i lavori di Yonebayashi dal logo stesso scelto per il neonato studio, ossia il visino di Mary girato a destra, che richiama un po' il faccione di Totoro, volto nella stessa direzione. Questo è solo il primo di una lunga serie di déjà-vu, che partono dal soggetto del film, la cui storia deriva dal romanzo inglese The Little Broomstick (lett. La piccola scopa, edito da Mondadori) di Mary Stewart, una favola che non può che rimandare al classico eco ghibliano sui romanzi fantasy per bambini occidentali, con protagoniste giovani fanciulle tanto testarde quanto coraggiose, tratto distintivo quasi considerato un vero e proprio marchio di fabbrica del Ghibli.
Il "nuovo staff", insomma, si comporta come se niente in realtà fosse mai finito e già dal primo trailer di Mary e il fiore della strega (メアリと魔女の花 Mary to Majo no Hana, in originale) i fan mondiali non hanno potuto esimersi da avanzare paragoni con un'altra maghetta, la giovane aspirante strega di Kiki – Consegne a domicilio (1989), primo blockbuster di Miyazaki.
Mary Smith è una ragazzina poco sicura di sé e anche piuttosto goffa, con una folta capigliatura rossa. La maldestra e pasticciona bambina di dieci anni, però, detesta i suoi capelli pel di carota, perché sono spesso oggetto di derisione da parte dei coetanei, e come una novella Anna dai capelli rossi, si trova a doversi difendere dai maschietti dispettosi, come Peter, un ragazzino del posto che conosce benissimo il significato del detto "chi disprezza vuol comprare"! In vacanza dalla prozia, un giorno, seguendo i due gatti Tib e Gib, Mary trova uno strano fiore luminoso che, secondo una leggenda del posto, sarebbe dotato di poteri magici. Il giorno dopo uno dei due gatti scompare e la ragazzina, mentre lo cerca, trova una scopa in grado di volare. È l'inizio di una serie di avventure che porteranno Mary a scoprire l'esistenza di una scuola di magia in un luogo incantato: l'Endor College.
Il libro La piccola scopa è stato pubblicato nel 1971 e precede Harry Potter di circa 26 anni, ma data la fama di quest'ultimo, la premessa di una scuola di magia risulta inevitabilmente familiare; per questo gli artisti e gli animatori di Ponoc hanno cercato di rendere l'Endor College vibrante e multicolore, per diversificarlo dai suoi predecessori. E qui si ferma per me il film, in un puro esercizio di bravura tecnico-stilistica. Endor ne è la piena testimonianza, con il luccichio dei suoi minareti, il colorato iper-realismo dei suoi sfondi e l'animata dinamicità dei personaggi magici, frutto delle compentenze del regista, abilità costruite con fatica lavorando a opere immortali come La principessa Mononoke e La città incantata. Immagini e character design sono nel segno della continuità con il passato, anche se con un tratto più moderno sullo stile dei cartoons americani, svecchiamento che ho trovato gradevole come i tanti (anche un po' eccessivi) richiami ai personaggi dell'universo ghibliano, dal Calcifer de Il castello errante di Howl fino ai robot di Laputa, il castello nel cielo. Le citazioni ai masterpiece miyazakiani sono davvero ovunque, per la felicità dei tanti fan, orfani (per il momento) delle pellicole Ghibli.
E a livello di storia? Qui Yonebayashi per me non raggiunge l'obiettivo, o comunque non lo raggiunge appieno. La verve creativa su film lenti ma dalla forte presa emotiva, come Arrietty e Marnie, qui francamente non si vede. Come abbiamo detto, c'è una volontà piuttosto evidente di mostrare al mondo che lo Studio Ghibli non è morto, riprendendone non solo i caratteri stilistici distintivi ma anche le tematiche. In questo film la denuncia contro l'avidità umana e il desiderio dell'uomo di andare oltre le leggi naturali è piuttosto chiara, ma è tutto abbastanza fine a se stesso, senza un reale approfondimento dei personaggi, sia cattivi che buoni, a cominciare proprio dalla protagonista. Mary viene quasi sparata in questa storia, non ha una vera crescita personale, che dovrebbe portarla poi a prendere una reale coscienza di se stessa e delle sue capacità (come succede di solito alle eroine ghibliane); ma lo spettatore tende a non accorgersene subito, abbagliato com'è dalla bellezza delle immagini e delle animazioni. È solo in seguito che si nota la poca dinamicità della protagonista come la monodimensionalità dei comprimari.
Tra i pregi di natura tecnica, oltre quelli grafici, non possiamo tacere su quelli musicali. Takatsugu Muramatsu (classe 1978) non sarà Joe Hisaishi, non creerà una melodia indimenticabile, ma sa il fatto suo componendo un'OST in puro stile Ghibli, capace di tenerci per mano per tutta la durata del film. Certo anche qui ho notato un passo indietro rispetto alle musiche più evocative del suo precedente lavoro in Quando c'era Marnie. Molto bella la theme song del film, Rain, cantata dalla rock band SEKAI NO OWARI.
E il doppiaggio italiano? Dopo il quasi monopolio di Gualtiero Cannarsi in tutti i lavori Ghibli degli ultimi anni si pensava a un suo ritorno anche per questo primo film Ponoc, e invece non è stato così. Lo staff è di alto livello, con Francesco Nicodemo all'adattamento e Massimiliano Alto ai dialoghi e alla direzione del doppiaggio. Il risultato è abbastanza soddisfacente, non si è calcato troppo la mano sui termini giapponesi e il dialogo era fluido e comprensibile. Resto un po' interdetto sulla scelta di alcuni termini, forse un po' troppo ridondanti, ma nel complesso mi sento di promuovere il lavoro a pieni voti. Le voci mi sono piaciute tutte, a cominciare da quella della giovane Sara Labidi (al ritorno su un film di Yonebayashi dopo aver interpretato Anna Sasaki in Marnie) sulla protagonista.
Questa storia, a dispetto dei grandi titoli del passato ma anche di quelli dello stesso Yonebayashi, tende a non rimanere nella mente e nel cuore, insomma non emoziona. Come dicevo, resta un puro, bellissimo esercizio di virtuosismo tecnico di ottimi professionisti. Tuttavia, mancando quella magia e quella forza nella sceneggiatura quanto nella caratterizzazione dei personaggi, che siamo stati abituati da sempre a vedere nei lavori del maestro Hayao, posso affermare che lo Studio Ponoc a oggi ancora non può ambire all'eredità di Miyazaki. Tra passato e futuro si resta così a metà del guado, curiosi di vedere se con il prossimo film il tiro sarà aggiustato o si resterà nella mera ripetizione dei fasti passati.
Pro
- Un comparto tecnico di grande valore
- Tanti richiami ai film dello Studio Ghibli
- Splendida Theme song
- Buon doppiaggio italiano
Contro
- Sceneggiatura piuttosto prevedibile
- Personaggi poco caratterizzati
- Il film cerca di denunciare l'avidità umana ma non ci riesce in pieno
Porterò quanti più amici a vederlo al cinema, secondo me potrà essere molto apprezzato, pur con i limiti menzionati.
Anzitutto è vero questo film è un vero grande inno allo spirito Ghibliano, fin dal titolo orignale, se ci fate caso Mary to majo no hana, richiama immediatamente una parolina, Majo , ovvero strega, che ritroviamo nel celeberrimo, Majo no Takkyuubin, ovvero Kiki! Consegne a Domicilio, e mi si dice che nei lanci promozionali del film in giappone una delle frasi era "muja, futatabi", ovvero "Di nuovo una Strega!"
Parte da qui una nuova storia.. La nuova storia non dello Studio Ghibli, che come avete visto continua con Miyazaki ( e avrebbe potuto continuare con Isao Takahata medesimo se la sorte non fosse stata avversa visto che l'idea di fare un altro lungometraggio ce la'veva sul serio) ma di questo gruppo di "Non dissidenti!"- -, comicia da qui. Una strada nuova e diversa.
Mi sento di dire che questo film non si deve considerare un altro "Terramare", formalmenente "carino" ma fondamentalmente vuoto. Ispirato al mondo ghibliano, ma incapace di esprimere la sua sostanza, una serie di "quadri"...non lo è..affatto. In questo trienno Studio Ponoc è stato costruito, non si è fatta solo il film....Il film prova a battere nuove strade dicevo utilizzando ricette, schemi, intuizioni, prassi, che molte di queste persone che ora lavorano a Ponoc hanno contribuito a creare per lo Studio Ghibli e rendere famose. Il problema è ovviamente la sintesi che deve operare il regista ed il produttore. Yonebayashi ha alcuni limiti come regista, lo sappiamo dai tempi di Arrietty. Probabilmente si dovrà aspettare del tempo per giudicare il valore dei suoi lavori, come aggregare al meglio la maestria nelle scene d'azione di Yonebayash, al lavoro di personaggi come Tomotaka Kubo, direttore dei fondali in tanti film ghibliani...
Sono molto interessato soprattutto all'annunciato progetto di cortometraggi che vogliono realizzare, molto...Un momento per vedere le diverse personalità che compongono Ponoc in azione.
Piccola annotazione finale: in Mary to majo no hana c'è più di un pizzico di Miyazaki, e soprattutto di Takahata. La citazione finale dei tre fondatori dello STudio Ghibli non è un "mero omaggio"...Sia Miyazaki, più discretamente, che Takahata nhanno ben contribuito con consigli, idee, spunti. idee, allo sviluppo di questo progetto. In particolare Takahata. Vero e proprio Sensei.
Mi fà molto piacere che il doppiaggio sia venuto bene..Davvero.
P.S. ovviamente non sono diventato improvvisamente espertone dello Studio Ghibli, o del Giapponese, solo che proprio or ora, e del tutto casualmente non sapevo dell'uscita della nota, stavo finendo di leggere, la recensione che del film ha fatto mario Rumor, apparsa oggi su Fumo di China..ricca di molti dettagli e curiositas.......Non avevo potuto leggerla fino a questo pomerigio..Una straordinaria coincidenza.
Spero di poter vedere il film il prima possibile; avendo seguito le notizie con costanza, credo che forse non rimarrei troppo delusa da questo film, se anche è solo un qualcosa di un tipo di lavoro che lo Studio Ponoc debba affinare con il tempo.
Rimango tanto curiosa ugualmente * _ *
>> Francesco Nicodemo all'adattamento e Massimiliano Alto ai dialoghi e alla direzione del doppiaggio
PIANGO.
2) Peter somiglia ad Howl
3) Mary vola su una scopa con un gatto nero, come Kiki e Jiji
4) Le atmosfere ricordano Arrietty (omaggio del regista a se stesso?)
5) La rettrice per il suo carattere mutevole ricorda prima Yubaba e Zeniba de La città incantata e poi si affloscia e si raggrinzisce come la strega delle lande
6) La prozia di Mary ricorda la vecchia signora amica di Kiki
7) La gatta è la versione grigia della compagna di Jiji
8) la rettrice in versione "acquosa" ricorda uno spirito che appare ne La città incantata;
9) lo scienziato ricorda un po' Kamahaji (si scrive così?) dello stesso film;
10) Peter esordisce nel film in bicicletta, proprio come Tom(n?)bo in Kiki e stuzzica Mary proprio in maniera simile;
11) la luce azzurra sprigionata dai fiori magici ricorda quella della pietra magica di Laputa;
12) ad un certo punto la piccola scopa si rompe,proprio come la scopa di Kiki
13) l'aspetto di Mary richiama anche quello della strega che Kiki incontra durante il suo lungo viaggio verso la città
Al profilo di Mary nel logo Ponoc che richiama quello di Totoro nel logo Ghibli non avevo fatto molto caso.
La storia è prevedibiile? E allora? Sempre meglio di qualche altro film la cui storia non è per niente prevedibile ma non ha nemmeno troppo senso...
Un film consigliato ai bambini ed a chi non ha perso la voglia di emozionarsi come un bambino!
Questo film è semplicemente scialbo, non ha uno slancio di originalità in nulla; si, si fa guardare senza problemi, ma si dimentica un minuto dopo averlo concluso.problemi
(Menzione speciale al doppiaggio italiano, ho avuto una batosta quando il presentatore dell'evento al comicon ha annunciato che il film sarebbe stato trasmesso con audio Ita (sono purista del doppiaggio giapponese), invece l'ho trovato proprio ben fatto.)
Forse è anche perché non sono riuscita a empatizzare granché coi personaggi, approfonditi molto poco a mio parere...
È un film dignitoso, adatto forse a un pubblico più piccolo, ma senza l'estro di Ponyo. :/
Dai, non tutti i film al cinema possono essere capolavori...basta anche un gradevole inttattenimento e questo film lo offre
Infatti è stato molto piacevole da guardare, e non solo per le bellissime atmosfere e le musiche!
Ora mi piacerebbe che la J-POP o la Kappalab pensassero ad una riedizione del romanzo: io lo comprerei sicuramente.
Festeggiamo tutti insieme la fine dell'era di Cannarsi andando a vedere questo gioiellino!
Parliamo a vuoto vero.
Dipende anche cosa uno si aspettava...per me è un film migliore di alcuni film "minori" dello Studio Ghibli. Ha qualche difetto ma non è affatto male.
Dipende anche cosa uno si aspettava...per me è un film migliore di alcuni film "minori" dello Studio Ghibli. Ha qualche difetto ma non è affatto male.[/quote]
Anche per me. Qualche Ghibli ha avuto per me qualche momento di noia, Mary e il fiore della strega no.
Scusa, forse fatico io a capire, il tuo è un appunto sull'uso del nome Mary (i giapponesi usano quegli ideogrammi per indicare, per fare un esempio, il nome di Mary the queen) o di qualche altra traduzione?
btw, pensavo di skipparlo come gli ultimi Ghibli per non dover sentire un altro orrendo doppiaggio, ma visto che è stato curato da altri credo che andrò a vederlo.
Endor – nella Bibbia ebraica, è un villaggio di Canaan dove viveva la Strega di Endor. Una negromante dotata del potere di evocare lo spirito dei morti citata nella Bibbia. a cui si rivolse Re Saul per evocare lo spiriro del profeta Samuele su una battaglia da affrontare. Un evento particolarissimo per la Bibbia, e di grande interesse che ha suscitato grandi discussioni sia fra i Rabbini che fra i teologi i quali hanno concluso che la strega avrebbe suscitato non il Profeta Samuele ma un demone. Il rituale del risveglio dei morti era esplicitamente proibito.
Credo che meriterebbe un approfondimento. Tolkien è il primo ad usare il termine ..
Prima di Tolkien anche Kipling, nel 1919, l'aveva usato nel poema "En-dor", e non mi stupirei se fosse presente anche in opere precedenti - dopotutto deriva dalla Bibbia.
Sarebbe interessante conoscere proprio l'origine etimologica della parola "Endor", ma qui potrebbe rispondere forse un biblista (sempre che tale origine sia conosciuta).
Mi provoca fastidio l'adattamento con quei katakana perche' il suono ovviamente non e' quello! La pronuncia corretta /ˈmɛəɹɪ/ (esiste, infatti, un alfabeto fonetico internazionale) e' molto lontana da quella che usano loro. Probabilmente l'errore nasce molto tempo fa e ci puo' stare. Il punto e' che nel 2018 ostinarsi a non voler cambiare una pronuncia palesemente errata e' veramente ridicolo. E che sia pigrizia e appiattimento lo conferma, ad esempio, il fatto che sebbene ormai esista e da un po' il katakana di "va" ヴァ , quando scrivono il mio nome, continuano a scrivere バ "ba" come ai tempi di Miyazaka Kenji. La cosa buffa e' che molti non hanno nessuna difficolta' a pronunciare in maniera diversa "ba" e "va" ma...siamo giapponesi, perche' cambiare?
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