Ryosuke Takahashi è un regista della prima generazione di anime, formatosi alla scuola di Osamu Tezuka insieme ad autori del calibro di Osamu Dezaki e Yoshiyuki Tomino. Per quanto meno famoso presso il grande pubblico, Takahashi è una leggenda per il fan del real robot, essendo insieme a Tomino l'autore che più di tutti ha fatto la storia del genere, da Dougram (1981) e Votoms (1983) arrivando fino a Flag (2006). Naturalmente Takahashi non ha fatto solo robot e tanto per citare qualche titolo nella sua vasta produzione segnalerò che la sua prima regia è stata quella di Wonder 3 nel 1965, nel 1979 ha diretto la celebre serie dei Cyborg 009, nel 1996 ha lavorato a Rossana, il giocattolo dei bambini, nel 2004 ha diretto la serie dell'Uccello di Fuoco di Tezuka, nel 2009 ha diretto il film di Kimba il leone bianco, nel 2015 si è occupato della supervisione di Young Black Jack. Takahashi è ancora in attività, tanto che AniDB mette in lista una sua collaborazione a un futuro anime del 2019.
Chi scrive ha visto quasi tutte le sue opere ed è dell'avviso che Gasaraki sia il suo capolavoro. Prodotto nel 1998 dalla Sunrise si tratta di un'opera ad alto budget realizzata con una qualità tecnica a dir poco impressionante. Animazioni, chara design, musiche ma anche script, dialoghi e perizia registica sono incredibili. A questo si aggiunge un'opening di Haishima Kuniaki che è tra le più originali e efficaci mai realizzate, perfettamente integrata con le atmosfere dell'anime e con le immagini inquietanti della sigla. La opening è un mix tra un sound moderno - è cantata in inglese - e antico in cui dominano le inquietanti sonorità del teatro No. Allo stesso modo la serie è in bilico tra estrema modernità - è ambientata 16 anni nel futuro rispetto al 1998, ovvero nel 2014 - e estrema antichità - con tutto un flashback ambientato mille anni fa nel Giappone dell'epoca Heian. Le immagini della sigla, vezzo registico, cambiano ad ogni episodio, mostrando scorci diversi della serie. Negli episodi ambientati nell'epoca Heian la sigla si adatta all'epoca storica e torna normale quando la storia torna a svolgersi nel presente. Val la pena segnalare anche che ogni episodio ha un titolo di una sola parola, accompagnato da una poesia criptica ed evocativa che lo descrive. Sono piccole cose, ma fanno capire l'intensa autorialità dell'opera, che trasuda carisma in ogni fotogramma.
La storia di Gasaraki, scritta da Toru Nozaki ma totalmente in linea con i lavori precedenti di Ryosuke Takashashi, è estremamente complessa, snodandosi sia sul piano contemporaneo, realistico, e quello storico, mistico. Il piano contemporano coinvolge guerre in medio oriente, il problema degli immigranti illegali in Giappone, l'imperialismo americano, una carestia di grano dovuta al riscaldamento globale, una paventata crisi economica mondiale, sommosse popolari, un colpo di stato militare magistralmente eseguito e azioni di guerra più vere del vero, inclusa la copertura mediatica e le reazioni politiche. Il piano storico/mistico coinvolge divinità vecchie milioni di anni, danze rituali, reincarnazioni, Oni, sacrifici umani, una storia d'amore tragica ambientata nel Giappone medievale e un misterioso immortale che ha vissuto per duemila anni governando il mondo nell'ombra.
Gasaraki è di un'originalità assoluta - in quante altre opere il protagonista è un danzatore che ballando in stato di trance può causare distorsioni gravitazionali in grado di distruggere un paese - e di grandissimo respiro, narrando un paio di capitoli della storia dei Kai, antica quanto la razza umana, e dell'immortale Gasaraki, che la precede di molto. In questo rispetto sono cruciali gli episodi del flashback, ambientati mille anni fa, nel periodo in cui l'introduzione del buddismo in Giappone avvenuto tre secoli prima ha portato all'abbandono della danza del Gasara e alla decadenza dei Kai, il cui predominio sul mondo risale a molto prima, ai prima della storia conosciuta.
La dicotomia antico-moderno permea anche il mecha design, opera dell'ottimo Yutaka Izubuchi: da un lato abbiamo gli ultra-moderni e super-computerizzati TA, Tactical Armors, diretta evoluzione degli AT di Votoms, mentre dall'altra abbiamo gli antichissimi Demoni Oni Kugai, usciti direttamente dalla preistoria del Giappone. Parlando dei Tactical Armor non mi pare corretto parlare di realismo: parlarei invece di iper-realismo, per quanto sono descritti in maniera minuziosa e fin troppo particolareggiata, specialmente nella loro relazione con le caratteristiche psicosomatiche del pilota. Ci viene comunicato in continuazione e quasi ossessivamente il computo dei battiti del cuore del pilota, dato in apparenza realistico ma che diventa subito fantastico, quando i battiti cardiaci cominciano a superare quota 300, un valore impossibile per un essere umano, che nell'ultimo episodio, in occasione dell'avvento del Gasaraki, salirà ad oltre 500, un dato del tutto incredibile.
Il miracolo di Gasaraki è proprio nel riuscitissimo interscambio tra credibile e incredibile, tra magico e scientifico, ma anche tra antico e moderno, tra materialismo e misticismo, senza il quale la serie non sussisterebbe. Per esempio Takahashi sa benissimo come la realizzazione tecnica di robot bipedi non sia possibile con le tecnologie attuali: eppure i TA funzionano, e il motivo per cui funzionano è che sono basati su un misterioso muscolo artificiale, chiamato in codice il Mile One, che non è altro che la sostanza di cui sono fatti gli antichi Kugai, gli Oni giapponesi. Nel corso della serie ci viene fatto intendere che il Mile One è una sorta di DNA articiale, un'immensa molecola unica in grado di memorizzare una enorme quantità di informazioni, inclusi i ricordi del pilota. Il Mile One risponde allo stato fisico e mentale del pilota, ma solo se questi possiede una certa globulina nel sangue, quindi solo se il pilota è un cosiddetto Kai, discendente di una famiglia antichissima che da sempre ha commercio con l'entità del Gasaraki.
Il dualismo antico/moderno si riflette anche nei personaggi, alcuni del tutto moderni e pieni dei dubbi tipici dei nostri tempi - pensiamo per esempio al comandante Hayakawa della compagnia dei TA - altri ancorati in maniera assoluta alla tradizione giapponese. Mi viene in mente specialmente il genio della finanza internazionale Nishida, cieco, essendosi dilaniato gli occhi con la sua antica katana per non vedere la decadenza della modernità, autore di un piano brillante per mettere il ginocchio gli Stati Uniti e riportare il Giappone alla salutare povertà del tempo che fu. Altro personaggio notevole è il fratello maggiore del protagonista, Kazukiyo, eminenza grigia dietro la famiglia Gowa e vero cattivo della serie, cinico e massimamente postmoderno nei suoi dialoghi con Nishida, motivato da aneliti nichilisti e con una psicologia e motivazioni che si intuiscono soltanto nell'ultima puntata.
È in questo mix che la vicenda di Gasaraki si evolve, destreggiandosi alla perfezione in un contesto difficilissimo, in cui per dare coerenza e senso agli avvenimenti e ai personaggi allo spettatore è richiesto uno sforzo notevole. Ogni dialogo conta e ogni pausa è importante, perché è tempo che viene lasciato allo spettatore per digerire quanto viene detto e soprattutto quando viene non detto. Personaggi come Noshida parlano normalmente in modo figurato, come si usava nel Giappone antico, e spesso le risposte di Kazukiyo sono la chiave interpretativa per capire cosa Nishida intenda.
C'è davvero molto dentro soli 25 episodi che si svolgono come un unico film senza soluzione di continuità tra una puntata e l'altra. In Gasaraki c'è la guerra del Golfo - l'Iraq va sotto il nome fittizio di Belgistan, ma il richiamo è evidente - c'è la crisi economica mondiale e il tutto un decennio prima della crisi dei mutui subprime. È poi incredibile che nel 1998 Takahashi preveda per il 2014 una carestia di grano negli Stati Uniti causata dal riscaldamente globale che causa rivolte popolari in Giappone (paese importatore di grano) causate dall'aumento dei prezzi con conseguente colpo di stato. Nel 2008 i cambiamenti climatici hanno - nel mondo reale - portato a una grave riduzione del raccolto di grano nell'ex Unione Sovietica, causando un aumento dei prezzi nei paesi importatori (ovvero i paesi arabi) con conseguenti rivolte popolari e colpi di stato: tutto ciò va sotto il nome di primavera araba.
Non c'è dubbio che Takahashi sia un maestro dell'animazione nipponica, ma è anche vero che prima di Gasaraki tutte le sue opere si sono distinte per una caratteristica lentezza di fondo che le ha rese poco digeribili per lo spettatore. Dougram è un capolavoro di fantapolitica, non si discute, ma non si può certo dire che le sue 75 puntate siano tutte avvincenti e tengano in continuazione con il fiato sospeso; idem per i 52 episodi di Votoms. Gasaraki, invece, nelle sue (troppo poche) 25 puntate appassiona e tiene incollati allo schermo come non mai: la prima volta ho visto tutta la serie in soli tre giorni, praticamente incapace di smettere. Per scrivere questa recensione ho pensato di rivedere qualche episodio per rinfrescarmi la memoria ma sono rimasto agganciato di nuovo e in pochi giorni ho dovuta rivederla tutta integralmente. E questo per un solo motivo: l'atmosfera la tensione palpabile che serpeggia in tutte le puntate, lo snodarsi continuo di segreti e contro-segreti, di rivelazioni e colpi di scena, di dialoghi serratissimi e tesissimi, misurati e pensati parola per parola. Gasaraki è un capolavoro per quanto riguarda il ritmo e la capacità di coinvolgimento e per il senso di mistero che si mantiene intatto fino alla venticinquesima e ultima puntata, l'unica in cui finalmente il segreto del Gasaraki viene spiegato.
La conclusione, non è però all'altezza delle aspettative e il finale risulta anticlimatico, oltre che affrettato. La sensazione è che la serie dovesse durare 26 puntate e che le due puntate finali siano state compresse a forza in una, scelta probabilmente di emergenza e dovuta al basso indice d'ascolto, frutto dell'assurda collocazione televisiva - alle 9:30 della domenica mattina! Certamente l'orario più inadatto possibile per una serie di tale complessità, rivolta a un pubblico adulto e attento. Comunque sia nell'ultimo episodio ci viene data una spiegazione fantascientifica completa di cosa sia il Gasaraki e di cosa siano i Kai, anche se purtroppo compressissima perché in quei 24 minuti vengono chiuse anche le vicende di tutti i personaggi principali, incluse quella della sorella del protagonista, di suo fratello e del misterioso CEO dell'organizzazione Symbol. La conclusione affretta è stata davvero un peccato e non è certo la prima nella carriera Takahashi; perso in particolare ai finali troncati di Galient e Layzner, sempre per colpa della produzione, non del regista. Al regista comunque imputo due colpe:
1. spiegare tutto forse è stato controproducente, quando il Gasaraki perde il suo alone mistico e diventa un costrutto fantascientifico già visto altre volte (in particolare può ricordare l'Ide anche se le sue motivazioni son ben diverse) perde sicuramente di fascino.
2. visto il clima costruito nella 24 puntate precedenti una conclusione appropriata per Gasaraki sarebbe stata quella apocalittica/catastrofica, il cui il Gasaraki distrugge il Giappone o quantomeno Tokyo, con qualche milione di morti, oppure una conclusione in cui non muore nessuno ma di profonda disillusione, alla Dougram, che ha davvero un finale capolavoro.
Invece, sia per come la serie finisce, sia per la velocità con cui finisce, lo spettatore rimane solo parzialmente soddisfatto e mi è impossibile assegnare il massimo dei voti. Sarebbe interessante leggere le quattro light novel di Gasaraki, pubblicate dopo la fine della serie, per sapere se i alcuni dettagli mancanti vengono raccontati come si deve, in particolare la storia del misterioso CEO della Symbol, che presenta larghe lacune.
Rimane comunque una serie da vedere.
Chi scrive ha visto quasi tutte le sue opere ed è dell'avviso che Gasaraki sia il suo capolavoro. Prodotto nel 1998 dalla Sunrise si tratta di un'opera ad alto budget realizzata con una qualità tecnica a dir poco impressionante. Animazioni, chara design, musiche ma anche script, dialoghi e perizia registica sono incredibili. A questo si aggiunge un'opening di Haishima Kuniaki che è tra le più originali e efficaci mai realizzate, perfettamente integrata con le atmosfere dell'anime e con le immagini inquietanti della sigla. La opening è un mix tra un sound moderno - è cantata in inglese - e antico in cui dominano le inquietanti sonorità del teatro No. Allo stesso modo la serie è in bilico tra estrema modernità - è ambientata 16 anni nel futuro rispetto al 1998, ovvero nel 2014 - e estrema antichità - con tutto un flashback ambientato mille anni fa nel Giappone dell'epoca Heian. Le immagini della sigla, vezzo registico, cambiano ad ogni episodio, mostrando scorci diversi della serie. Negli episodi ambientati nell'epoca Heian la sigla si adatta all'epoca storica e torna normale quando la storia torna a svolgersi nel presente. Val la pena segnalare anche che ogni episodio ha un titolo di una sola parola, accompagnato da una poesia criptica ed evocativa che lo descrive. Sono piccole cose, ma fanno capire l'intensa autorialità dell'opera, che trasuda carisma in ogni fotogramma.
La storia di Gasaraki, scritta da Toru Nozaki ma totalmente in linea con i lavori precedenti di Ryosuke Takashashi, è estremamente complessa, snodandosi sia sul piano contemporaneo, realistico, e quello storico, mistico. Il piano contemporano coinvolge guerre in medio oriente, il problema degli immigranti illegali in Giappone, l'imperialismo americano, una carestia di grano dovuta al riscaldamento globale, una paventata crisi economica mondiale, sommosse popolari, un colpo di stato militare magistralmente eseguito e azioni di guerra più vere del vero, inclusa la copertura mediatica e le reazioni politiche. Il piano storico/mistico coinvolge divinità vecchie milioni di anni, danze rituali, reincarnazioni, Oni, sacrifici umani, una storia d'amore tragica ambientata nel Giappone medievale e un misterioso immortale che ha vissuto per duemila anni governando il mondo nell'ombra.
Gasaraki è di un'originalità assoluta - in quante altre opere il protagonista è un danzatore che ballando in stato di trance può causare distorsioni gravitazionali in grado di distruggere un paese - e di grandissimo respiro, narrando un paio di capitoli della storia dei Kai, antica quanto la razza umana, e dell'immortale Gasaraki, che la precede di molto. In questo rispetto sono cruciali gli episodi del flashback, ambientati mille anni fa, nel periodo in cui l'introduzione del buddismo in Giappone avvenuto tre secoli prima ha portato all'abbandono della danza del Gasara e alla decadenza dei Kai, il cui predominio sul mondo risale a molto prima, ai prima della storia conosciuta.
La dicotomia antico-moderno permea anche il mecha design, opera dell'ottimo Yutaka Izubuchi: da un lato abbiamo gli ultra-moderni e super-computerizzati TA, Tactical Armors, diretta evoluzione degli AT di Votoms, mentre dall'altra abbiamo gli antichissimi Demoni Oni Kugai, usciti direttamente dalla preistoria del Giappone. Parlando dei Tactical Armor non mi pare corretto parlare di realismo: parlarei invece di iper-realismo, per quanto sono descritti in maniera minuziosa e fin troppo particolareggiata, specialmente nella loro relazione con le caratteristiche psicosomatiche del pilota. Ci viene comunicato in continuazione e quasi ossessivamente il computo dei battiti del cuore del pilota, dato in apparenza realistico ma che diventa subito fantastico, quando i battiti cardiaci cominciano a superare quota 300, un valore impossibile per un essere umano, che nell'ultimo episodio, in occasione dell'avvento del Gasaraki, salirà ad oltre 500, un dato del tutto incredibile.
Il miracolo di Gasaraki è proprio nel riuscitissimo interscambio tra credibile e incredibile, tra magico e scientifico, ma anche tra antico e moderno, tra materialismo e misticismo, senza il quale la serie non sussisterebbe. Per esempio Takahashi sa benissimo come la realizzazione tecnica di robot bipedi non sia possibile con le tecnologie attuali: eppure i TA funzionano, e il motivo per cui funzionano è che sono basati su un misterioso muscolo artificiale, chiamato in codice il Mile One, che non è altro che la sostanza di cui sono fatti gli antichi Kugai, gli Oni giapponesi. Nel corso della serie ci viene fatto intendere che il Mile One è una sorta di DNA articiale, un'immensa molecola unica in grado di memorizzare una enorme quantità di informazioni, inclusi i ricordi del pilota. Il Mile One risponde allo stato fisico e mentale del pilota, ma solo se questi possiede una certa globulina nel sangue, quindi solo se il pilota è un cosiddetto Kai, discendente di una famiglia antichissima che da sempre ha commercio con l'entità del Gasaraki.
Il dualismo antico/moderno si riflette anche nei personaggi, alcuni del tutto moderni e pieni dei dubbi tipici dei nostri tempi - pensiamo per esempio al comandante Hayakawa della compagnia dei TA - altri ancorati in maniera assoluta alla tradizione giapponese. Mi viene in mente specialmente il genio della finanza internazionale Nishida, cieco, essendosi dilaniato gli occhi con la sua antica katana per non vedere la decadenza della modernità, autore di un piano brillante per mettere il ginocchio gli Stati Uniti e riportare il Giappone alla salutare povertà del tempo che fu. Altro personaggio notevole è il fratello maggiore del protagonista, Kazukiyo, eminenza grigia dietro la famiglia Gowa e vero cattivo della serie, cinico e massimamente postmoderno nei suoi dialoghi con Nishida, motivato da aneliti nichilisti e con una psicologia e motivazioni che si intuiscono soltanto nell'ultima puntata.
È in questo mix che la vicenda di Gasaraki si evolve, destreggiandosi alla perfezione in un contesto difficilissimo, in cui per dare coerenza e senso agli avvenimenti e ai personaggi allo spettatore è richiesto uno sforzo notevole. Ogni dialogo conta e ogni pausa è importante, perché è tempo che viene lasciato allo spettatore per digerire quanto viene detto e soprattutto quando viene non detto. Personaggi come Noshida parlano normalmente in modo figurato, come si usava nel Giappone antico, e spesso le risposte di Kazukiyo sono la chiave interpretativa per capire cosa Nishida intenda.
C'è davvero molto dentro soli 25 episodi che si svolgono come un unico film senza soluzione di continuità tra una puntata e l'altra. In Gasaraki c'è la guerra del Golfo - l'Iraq va sotto il nome fittizio di Belgistan, ma il richiamo è evidente - c'è la crisi economica mondiale e il tutto un decennio prima della crisi dei mutui subprime. È poi incredibile che nel 1998 Takahashi preveda per il 2014 una carestia di grano negli Stati Uniti causata dal riscaldamente globale che causa rivolte popolari in Giappone (paese importatore di grano) causate dall'aumento dei prezzi con conseguente colpo di stato. Nel 2008 i cambiamenti climatici hanno - nel mondo reale - portato a una grave riduzione del raccolto di grano nell'ex Unione Sovietica, causando un aumento dei prezzi nei paesi importatori (ovvero i paesi arabi) con conseguenti rivolte popolari e colpi di stato: tutto ciò va sotto il nome di primavera araba.
Non c'è dubbio che Takahashi sia un maestro dell'animazione nipponica, ma è anche vero che prima di Gasaraki tutte le sue opere si sono distinte per una caratteristica lentezza di fondo che le ha rese poco digeribili per lo spettatore. Dougram è un capolavoro di fantapolitica, non si discute, ma non si può certo dire che le sue 75 puntate siano tutte avvincenti e tengano in continuazione con il fiato sospeso; idem per i 52 episodi di Votoms. Gasaraki, invece, nelle sue (troppo poche) 25 puntate appassiona e tiene incollati allo schermo come non mai: la prima volta ho visto tutta la serie in soli tre giorni, praticamente incapace di smettere. Per scrivere questa recensione ho pensato di rivedere qualche episodio per rinfrescarmi la memoria ma sono rimasto agganciato di nuovo e in pochi giorni ho dovuta rivederla tutta integralmente. E questo per un solo motivo: l'atmosfera la tensione palpabile che serpeggia in tutte le puntate, lo snodarsi continuo di segreti e contro-segreti, di rivelazioni e colpi di scena, di dialoghi serratissimi e tesissimi, misurati e pensati parola per parola. Gasaraki è un capolavoro per quanto riguarda il ritmo e la capacità di coinvolgimento e per il senso di mistero che si mantiene intatto fino alla venticinquesima e ultima puntata, l'unica in cui finalmente il segreto del Gasaraki viene spiegato.
La conclusione, non è però all'altezza delle aspettative e il finale risulta anticlimatico, oltre che affrettato. La sensazione è che la serie dovesse durare 26 puntate e che le due puntate finali siano state compresse a forza in una, scelta probabilmente di emergenza e dovuta al basso indice d'ascolto, frutto dell'assurda collocazione televisiva - alle 9:30 della domenica mattina! Certamente l'orario più inadatto possibile per una serie di tale complessità, rivolta a un pubblico adulto e attento. Comunque sia nell'ultimo episodio ci viene data una spiegazione fantascientifica completa di cosa sia il Gasaraki e di cosa siano i Kai, anche se purtroppo compressissima perché in quei 24 minuti vengono chiuse anche le vicende di tutti i personaggi principali, incluse quella della sorella del protagonista, di suo fratello e del misterioso CEO dell'organizzazione Symbol. La conclusione affretta è stata davvero un peccato e non è certo la prima nella carriera Takahashi; perso in particolare ai finali troncati di Galient e Layzner, sempre per colpa della produzione, non del regista. Al regista comunque imputo due colpe:
1. spiegare tutto forse è stato controproducente, quando il Gasaraki perde il suo alone mistico e diventa un costrutto fantascientifico già visto altre volte (in particolare può ricordare l'Ide anche se le sue motivazioni son ben diverse) perde sicuramente di fascino.
2. visto il clima costruito nella 24 puntate precedenti una conclusione appropriata per Gasaraki sarebbe stata quella apocalittica/catastrofica, il cui il Gasaraki distrugge il Giappone o quantomeno Tokyo, con qualche milione di morti, oppure una conclusione in cui non muore nessuno ma di profonda disillusione, alla Dougram, che ha davvero un finale capolavoro.
Invece, sia per come la serie finisce, sia per la velocità con cui finisce, lo spettatore rimane solo parzialmente soddisfatto e mi è impossibile assegnare il massimo dei voti. Sarebbe interessante leggere le quattro light novel di Gasaraki, pubblicate dopo la fine della serie, per sapere se i alcuni dettagli mancanti vengono raccontati come si deve, in particolare la storia del misterioso CEO della Symbol, che presenta larghe lacune.
Rimane comunque una serie da vedere.
Pro
- ritmo
- atmosfera
- trama
- dialoghi
Contro
- finale affrettato e anticlimatico
Talmente giapponese che non riesco a vederlo.
Grande serie, uno dei migliori real robot. E' "pesante," ma non più Lain, secondo me. Poi la cosa è abbastanza soggettiva.
Faccio i complimenti a @michels anche perché ha riesumato un'opera di cui non avevo neanche mai sentito parlare (cosa non facile ormai, ve lo assicuro). Corro subito a recuperarla
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