"Noi viviamo dall’altra parte del mondo e avevamo paura che il nostro film non venisse capito. Ma il mondo parla una lingua sola: quella dell’amore...". La giovane attrice Crisel Consunji, emozionata e raggiante, ha commentato così il trionfo hongkonghese di Still Human, dividendo il palco e l’ovazione del Teatro Nuovo con la regista Oliver Chan e con il monumentale protagonista Anthony Wong (già premiato con il Gelso d’Oro alla Carriera).
A fronte di tutti i risultati, di una reputazione internazionale ogni anno più solida, e di una notevole ricaduta economica sul territorio, il FEFF continua però a misurarsi con pesantissimi tagli ai finanziamenti pubblici: rispetto al 2018, l’organizzazione ha dovuto costruire il festival con oltre 150 mila euro in meno. Non è pensabile mantenere gli standard acquisiti nell’arco di vent’anni qualora l’emorragia di risorse, appunto vitali, dovesse proseguire. Ora il FEFF resiste, per non dire “fa miracoli”, anche grazie all’indispensabile contributo dei volontari, ma una struttura così complessa, così ramificata, necessita di un altro passo istituzionale per guardare avanti. E avanti, ovviamente, significa la prossima edizione, la 22, che si terrà a Udine dal 24 aprile al 2 maggio 2020.
Il FEFF 21 chiude con il seguente bilancio: 60.000 mila spettatori, oltre 20 mila presenze agli eventi in città , 9 giorni di programmazione, 77 film che hanno raccontato il presente e il futuro del cinema asiatico, 3 anteprime mondiali (di cui 14 debutti) che dimostrano la centralità conquistata da Udine sul fronte del mercato cinematografico orientale.
Decisamente positivo anche l’impatto del FEFF 21 sulla città, nonostante un meteo tutt'altro che amichevole: il fittissimo programma dei FEFF Events, oltre 100, ha fatto registrare oltre 20 mila presenze. Fra questi spicca l’ormai tradizionale appuntamento con il Far East Cosplay Contest, tenutosi il 1 maggio in piazza San Giacomo, che ha premiato il vincitore con un viaggio in Giappone. In calce vi proponiamo una gallery con gli scatti più significativi.
Vi lasciamo poi la nostra impressione su un particolarissimo documentario proiettato all'interno della rassegna: Kampai! Sake Sisters.
Durante la ventunesima edizione del Far East Film Festival, tenutosi a Udine dal 26 aprile al 4 maggio scorsi, è stato proiettato in anteprima mondiale un interessante documentario incentrato proprio su questo prodotto. Tuttavia, la peculiarità di questo film non risiede tanto nell'apprezzata bevanda giapponese, quanto nelle protagoniste che ci introducono questo interessante argomento. In Kampai! Sake Sisters viene mostrato, infatti, un lato poco conosciuto di questo mondo: un dietro le quinte sul processo di produzione e sull'utilizzo del sakè tutto al femminile.
Come suggerisce il titolo, le protagoniste del documentario sono tre donne, sorelle "spirituali" legate da questa peculiare bevanda: le giapponesi Miho Imada e Marie Chiba e la neozelandese Rebekah Wilson-Lye, rispettivamente produttrice/imprenditrice, gestrice di un sakè bar e sommelier/organizzatrice di eventi. Queste tre donne ci guidano, ognuna con le proprie esperienze personali, nella scoperta del vero sakè: dalla produzione alla sua presentazione in fiere del settore, fino all’utilizzo che ne viene fatto dai consumatori. Il regista Mirai Konishi mostra in parallelo le storie delle tre protagoniste, le quali raccontano come si sono avvicinate al sakè e come hanno dovuto imporsi in un’industria tradizionalmente preclusa alle donne. Da un lato assistiamo al racconto del percorso che ha dovuto intraprendere Miho nel prendere in carico la gestione dell’azienda di famiglia, attraversando periodi economicamente difficili e talvolta combattendo pregiudizi di natura sessista, fino ai riconoscimenti che il suo sakè ha ottenuto nel tempo; Rebekah, invece, racconta di come sia riuscita a padroneggiare una vasta conoscenza sul sakè, cosa non semplice per uno straniero, e di come adesso funga da trait d’union tra produttori e consumatori, impiegando il suo tempo nell’organizzazione di eventi a tema in cui gli amanti del sakè possono entrare a stretto contatto con le aziende.
Ma è con Marie Chiba che, secondo me, si riesce a cogliere il vero spirito di questo film: la passione che spinge una persona a dedicarsi totalmente a un lavoro, nonostante tutti i pregiudizi del caso, e che porta un tocco di originalità nella vita di chi incontra. Il solo vederla assaggiare ogni giorno decine di sakè diversi e, ogni volta, abbinarli e comporli diversamente in base alla pietanza e alla persona che l’ha ordinata, riesce a trasmettere questa passione anche a chi la osserva attraverso uno schermo.
Credo che questa passione incondizionata sia lo spirito di Kampai! Sake Sisters e, per quanto mi riguarda, il film è riuscito a trasmetterla appieno.
lightorange
Tutti i film premiati
1° classificato Audience Award
Still Human di Oliver CHEN, con Anthony WONG e Crisel CONSUNJI (Hong Kong, 2018), media voti 4,53
Opera a basso budget che punta in alto, in particolare per la qualità della recitazione dei protagonisti che eleva il livello artistico della produzione. L’attore veterano Anthony Wong interpreta Cheong-wing con un cocktail ben riuscito di stile da uomo qualunque, pathos e acuto umorismo. Al suo fianco, l’attrice esordiente Crisel Consunji, che ha studiato canto e recitazione teatrale nelle Filippine e oggi dirige dei centri per la prima infanzia a Hong Kong, offre un’interpretazione forte e calorosa. Fino a quando Still Human finisce, con l’immagine primaverile delle fibre che il vento fa piovere dagli alberi del cotone, le loro convincenti interpretazioni contribuiscono a far sì che l’ambiziosa opera prima di Oliver Chan non sia solo un’opera dirompente, ma che lo sia in un modo profondamente coinvolgente.
2° classificato Audience Award
Dying to survive di WEN Mu Ye (China, 2018) media voti 4,39
Prodotto da Ning Hao e da Xu Zheng, il film è stato paragonato per la tematica a Dallas Buyer Club ed ha avuto echi profondi a livello di opinione pubblica – è stato citato addirittura dal Primo Ministro Li Keqiang. Probabilmente il pubblico si è immedesimato in tutti quei malati che nel film protestano per l’inaccessibilità del farmaco a prezzi sostenibili e che rappresentano tutti coloro che non riescono a stare al passo con il costo della vita che cresce in modo spropositato. Come dice Cheng Yong in un momento di scoraggiamento: “C’è soltanto una vera malattia: la povertà.”
3° classificato Audience Award
Extreme Job di LEE Byoung-heon (Korea, 2019) media voti 4,30
Uscito in sala nel gennaio 2019, questo film non è stato solo un blockbuster di successo: ha venduto a sorpresa 16,3 milioni di biglietti, in un paese che ha una popolazione di 50 milioni di persone. Come numero di ingressi, è al secondo posto tra i campioni di tutta la storia del cinema coreano al botteghino, mentre in termini di incasso ha stabilito un nuovo record con l’equivalente di 123 milioni di dollari. Il regista Lee Byoung-heon ha un ottimo fiuto per la commedia e molto talento nello scrivere i dialoghi, ed Extreme Job è sia divertente che emozionante, ed ha un finale soddisfacente con un cast carismatico e molto talentuoso.
Mymovies Award
Fly me to the Saitama di Hideki TAKEUCHI (Japan, 2019)
La storia incentrata sull'incontro tra due ragazzi sembra uscita da un manga Yaoi. Hideki Takeuchi e lo sceneggiatore Yuichi Tokunaga la espandono con riferimenti d’attualità e con scene d’azione cappa e spada, con tanto di costumi dell’epoca feudale per i ribelli. Spicca la prova d’attrice di Fumi Nikaido, che interpreta il sessualmente indeciso Momomi con un misto di serietà da shojo manga e un malizioso umorismo metanarrativo che ne fa qualcosa di più di un cartone animato, ma sempre molto divertente. Con lei nel ruolo del protagonista, Fly Me to the Saitama può spiegare le proprie ali verso il resto del mondo.
White Mulberry Award for First time director
Melancholic di Seiji TANAKA, (Japan, 2018), White Mulberry Award
Sulla falsa riga della black comedy minimalista che caratterizza certa produzione cinematografica giapponese recente, anche il debutto di Seiji Tanaka propone un protagonista schivo, goffo e taciturno, alle prese con una situazione più grande di lui. Quello che inizia come un film di formazione, si trasforma in un'omaggio ai film di yakuza e, infine, emerge come un toccante dramma umano. Il regista Seiji Tanaka e l'attore/produttore Yoji Minagawa creano un’opera prima con un intreccio esagerato ma divertente, tra scene di quotidianità, incontri/scontri con la vita contemporanea, sentimenti di amicizia e nozioni sull'istruzione universitaria. Un esperimento di fusione dei generi pienamente riuscito, che getta una ventata di aria fresca e rinnova il cinema d'azione giapponese degli ultimi anni 80 e 90.
Fonte consultata:
fareastfilm.com
PS: Grazie mille a lightorange per le sue considerazioni sul doc Kampai! Sake sisters.
Io ci lavoro ogni giorni, ma non ci sono mai andato...
In questo stesso sito ho letto due sciocchezze enormi nello stesso commento:
i giapponesi non sanno fare i doppiaggi, perché non hanno una recitazione impostata come la nostra. Per me è il contrario, suonano più genuini *perché* non sono impostati come da noi.
E poi la loro lingua non sarebbe adatta alla recitazione per scarsa musicalità. Tanto tempo fa avevo letto che il giapponese e l'italiano sono le due lingue più musicali che esistano, e ad un orecchio profano come il mio sembra proprio vero.
Ma chi ha fatto quel commento è un professionista, quindi... mi tengo i doppiaggi originali sottotitolati, e dite pure che non capisco niente.
Quest'anno ho visto 34 film, e secondo me la qualità generale ha un tantino arrancato rispetto agli anni precedenti, ma l'atmosfera del Far East è sempre qualcosa che vale. Riguardo ai premi: come al solito non sono soddisfatissimo dei vincitori, in quanto essendo eletti per voto popolare tendono a essere avvantaggiati film un po' più commerciali. Il primo, amichevolmente soprannominato "il Quasi Amici hongkonghese" non l'ho visto (anzi, l'ho accuratamente evitato ); il cinese Dying to Survive il migliore del lotto, film per lo più d'azione ma con derive sociali di un certo spessore, grande produzione, ottimo montaggio. Il terzo, il coreano Extreme Job, era un'action comedy poliziesca senza pretese ma ben scritta, e con alcune scene davvero esilaranti.
Facendo un sunto delle mie visioni:
Cina:
Sempre meglio. Film sempre più ispirati, non solo nel cinema d'autore (che già lo sapevamo) ma ormai anche nel cinema di genere.
Consigliatissimo The Crossing di Bai Xue, uno dei miei preferiti in assoluto di questa edizione.
Soffocante coming-of-age calato nelle tensioni sociali della Hong Kong al confine con Shenzhen, con le vacue atmosfere notturne, la pioggia, le luci al neon, la gioventù bruciata e la colonna sonora ambient techno (Millennium Mambo, anyone?). Un racconto davvero potente, e per di più opera prima di una regista di cui imho si sentirà parlare ancora.
Molto bello poi Crossing the Border, dolceamaro spaccato on-the-road della vita rurale cinese, e matura riflessione sulla perdita e la morte.
Non male anche i film "più pop", come appunto il succitato Dying to Survive.
Corea del sud:
Non un granché, e sempre peggio negli anni. Birthday, il film di apertura del festival, incentrato sulla tragedia del traghetto Sewol di qualche anno fa, eccede in drammoni stucchevoli e si salva in corner per la performance da applausi di Jeon Do-yeon, anche lei premiata in teatro (e bella oltre ogni parola).
Per il resto film scialbi e/o non troppo ispirati; paradossalmente tra i film più decenti spiccano le commedie, come il zombie movie demenziale The Odd Family e il succitato Extreme Job, appunto molto carino.
Giappone:
Solito, generalmente una serie di film carini ma quasi nulla di incredibile. Molto bello e delicato Every Day a Good Day, film intriso di "giapponesità", che accompagna diversi anni di vita di una ragazza che ogni settimana si reca da una signora per imparare la cerimonia tradizionale del tè. In pratica uno di quei film dove non succede nulla per due ore, semplicemente focalizzato sulla bellezza delle piccole cose e un'implicita spiritualità della vita di tutti i giorni. Stilisticamente sobrio e asciutto, fatto di colori accesissimi, campi totali ozuiani e curatissimi particolari.
Per il resto molta roba senza infamia né lode, a partire appunto da Fly Me to the Saitama di Takeuchi, tanto leggero quanto dimenticabile. Aspettavo con molto hype Dare to Stop Us (biopic dalle tinte politiche su Koji Wakamatsu e Masao Adachi), ma per quanto scorrevole non mi ha fatto gridare al miracolo.
Hong Kong:
Ed eccoci qua: il mio vincitore morale di questa edizione è l'ultima fatica del mio amato Fruit Chan, Three Husbands.
Probabilmente l'unico, vero film d'autore di questa edizione, allegoria erotica che rasenta l'arthouse porno, presentata come il terzo capitolo della "trilogia della prostituzione" di Chan e, come da suo solito, film che nel profondo vuole parlare di Hong Kong e del sofferto legame con la Cina continentale. E' un film sudicio, sboccato, artistico, a tratti disturbante, profondamente simbolista e quasi impossibile da sviscerare in tutti i suoi innumerevoli significati, politici e non. C'era gente sconvolta alla fine della proiezione, e penso che in pochi ne abbiano scalfito anche solo la superficie. Bravissima Chloe Maayan nei panni della prostituta ninfomane protagonista, che come lei stessa ha affermato si è ispirata ai personaggi femminili di Fellini.
La retrospettiva sui cento anni di cinema coreano purtroppo me la sono persa tutta, ma era stata piazzata a orari per me proibitivi. Conto di recuperare almeno qualcosina.
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