“Le altre discipline da combattimento sono soltanto dei comuni sport, ma il sumo è diverso.
Il sumo viene dagli déi.”
Una volta, un lottatore di sumo incontrato in Giappone mi disse queste parole, per descrivere lo sport da lui praticato, e non gli si può dar torto. È una disciplina che ha un’unicità tutta sua: sport nazionale del Giappone, unico paese dove è praticato il sumo propriamente detto (varianti simili, ma ognuna con le sue differenze, si praticano in altri paesi dell’Asia), è caratterizzato da regole immutabili ed estremamente particolari per quanto riguarda gli incontri, le arene, il look, gli allenamenti, la dieta, la vita stessa dei lottatori. Il sumo affonda le sue radici in antichissimi rituali shinto, che si ripetono ancora oggi, dando a questo sport un aspetto più tradizionale, quasi sacrale. Ed è qui che sopravvive il suo fascino, anche in quest’epoca moderna dove il sumo è un business a cui vengono dedicate decine di riviste di cui traboccano le librerie giapponesi, dove i lottatori sono considerati alla stregua di star nazionali e dove i campioni attualmente più forti e popolari sono atleti mongoli e non giapponesi.
È uno sport unico, poco spettacolare, meno presente all’atto pratico dato il ridotto numero di tornei che si tengono durante l’anno, poco popolare presso i giovani che, per forza di cose, non possono cogliere in pieno la sua particolarità, ma non per questo meno sentito da parte dei giapponesi. Anzi, incontrare un lottatore che, vestito con uno yukata tradizionale, passeggia tranquillamente per strada, vederne uno in uno spot tv reclamizzare qualche cibaria, o anche solo vedere affisso sulla parete di un conbini il manifesto pubblicitario di un torneo prossimo venturo è quanto di più “giapponese” vi possa capitare in terra nipponica.
Hinomaru Sumo (o Hinomaruzumou che dir si voglia), serie animata tratta dall’omonimo manga firmato da Kawada per Shounen Jump di Shueisha sin dal 2014, ha un compito perciò parecchio difficile: come riuscire a rendere il sumo interessante per un pubblico di ragazzi? Come riuscire a conciliare uno sport solitamente seguito da un pubblico adulto, così tradizionale, incapsulato in regole rigidissime e immutabiil, con i tipici elementi dei manga per ragazzi di casa Shueisha, che prevedono personaggi giovani, carismatici, e combattimenti spettacolari?
In un primo momento, va detto, che l’ago della bilancia va tutto verso queste ultime caratteristiche, perciò si ha tanto “shounen” e poco “sumo”. Lo stesso cast protagonista fa una strana impressione: in uno sport dove i lottatori sono generalmente enormi, adulti e dalla corporatura imponente, avere come eroi personaggi giovanissimi, fighetti, bassi, magri o col fisichetto scolpito e l’addominale sempre in vista fa assai strano, così come vederli con capelli a punta, colorati e strampalati invece del tipico chonmage, l’acconciatura caratteristica dei lottatori professionisti.
È una storia semplice, scontata, già sentita mille altre volte, quella di Hinomaru Sumo, anche se altre volte era il baseball, il calcio, la pallavolo o un altro sport del caso: spronato dalla presenza di un piccolo genio di grande talento, lo scalcinato club sportivo su cui nessuno avrebbe scommesso uno yen riesce a farsi un nome, rincorrendo sogni di gloria. Ci sono tutti, proprio tutti, gli elementi delle serie sportive: il piccolo genio protagonista, rivali che diventano amici, l’atleta figlio d’arte super quotato, l’allenamento strambo col vecchio maestro, la rivalsa, le tecniche speciali, la concezione dello sport come divertimento e crescita personale piuttosto che come competizione. Eppure, tutto funziona benissimo, un episodio tira l’altro, sappiamo già come andrà a finire tutto, ma la vicenda è assai avvincente. E, non lo avremmo mai detto, ma siamo felicissimi di essere stati smentiti, coniugare “sumo” e “shounen” è possibile e funziona.
Per sua natura, il sumo è uno sport particolare, breve e conciso, caratterizzato solo da un piccolo ring di forma circolare e due lottatori che devono buttarsi fuori spingendosi a vicenda. Gli incontri durano solo pochi secondi, e non ci sono tecniche particolari o elementi particolarmente spettacolari. Hinomaru Sumo le tecniche speciali ce le ha, ma non rinuncia a raccontare il suo sumo con dovizia di particolari e un certo realismo, esasperando i pochi secondi dell’incontro reale con effetti puramente grafici che valorizzano la potenza degli atleti (kanji giganteschi su sfondo che annunciano gli altisonanti nomi delle tecniche, fiamme che si sprigionano dagli occhi dei lottatori a simboleggiare il loro ardente spirito combattivo, creature mistiche sullo sfondo), ma senza evocare Stand o ridurre in mille pezzi il dohyo, come, invece, accadrebbe altrove. Gli incontri sono credibili, brevi, non durano mai più di mezzo episodio e si compongono di poche, ma decisive, azioni. Nel tempo che dilata i pochi secondi dell’incontro reale trasformandoli in una decina di minuti d’episodio, un altro classico delle serie sportive, che qui si rivela uno dei maggiori punti di forza della storia: flashback e riflessioni interiori dei personaggi.
Uno degli elementi più riusciti di Hinomaru Sumo sono, infatti, proprio i personaggi. Cosa che ci stupisce, dato che, per come ci erano stati presentati, con la loro estetica da shounen fighetto che poco si confà alla sacralità del sumo, tutto sembrava meno che potessimo affezionarcisi. Eppure, man mano che la vicenda va avanti, ognuno di loro riesce a tracciare un percorso di crescita personale che lo farà cambiare radicalmente rispetto all’inizio della storia: l’ex asso della lotta libera che ha cominciato a fare sumo quasi per gioco riesce ad arrivare ad un livello tale da sconfiggere gli atleti più quotati; il personaggio magrolino, femmineo e timidino, palese pesce fuor d’acqua in un mondo di colossi giganteschi, riesce a farsi strada con impegno e fiducia in se stesso; il quattrocchi apparentemente antipatico e sulle sue si dimostra un attento osservatore e buon consigliere per quelli che pian piano diventano i suoi migliori amici; il ciccione insicuro e preso di mira dai bulli diventa colui che riesce a trascinare tutti gli altri e condividere con loro il suo sogno, e il bullo che lo prendeva di mira intraprende un meraviglioso percorso di redenzione che lo porta a riflettere sui suoi errori e sull’entità del dolore che ha arrecato alle sue vittime.
Hinomaru Sumo si trasforma ben presto in una storia di amicizia, legami e crescita personale, che coinvolge non solo i personaggi protagonisti della squadra del liceo Odachi, ma anche quelli delle scuole avversarie, di cui pian piano ci viene svelato qualche retroscena, qualche storia passata, qualche caratteristica, e in alcuni casi riescono addirittura a fare amicizia coi nostri, donandogli consigli e instaurando rapporti che vanno aldilà dello spingersi a vicenda su un ring circolare.
Come da tradizione di questo tipo di storie, il protagonista stesso sembra essere quello meno interessante di tutti, quello che più facilmente si fa rubare la scena dai suoi compagni: troppo apparentemente perfetto, troppo vincente, con poche sfumature. Tuttavia, lo dice il titolo, questa è anche e soprattutto la sua storia, e, nonostante ci voglia un po’, anche Hinomaru riesce via via a brillare e a farsi amare dagli spettatori, tramite un percorso fatto di vittorie e sconfitte (in Hinomaru Sumo non si vince sempre, anzi), una travagliata storia familiare e un problema, quello dell’essere più basso degli standard che definiscono i lottatori professionisti (io e i miei 160 cm scarsi di altezza siamo tutti con te, Hinomaru!), che si frappone fra lui e la realizzazione del suo sogno.
Man mano che va avanti la storia, cominciano ad affiorare anche elementi di sumo più tradizionale. I personaggi sono ragazzi che frequentano un club scolastico, non ancora a livello professionistico, ma di tanto in tanto compare qualche vecchio maestro, qualche celebre campione adulto, a donare un’atmosfera più classica. Il realismo con cui è dipinto il "giapponesissimo" ambiente del sumo fa il resto. In un azzeccatissimo gruppo di episodi, i nostri sono in trasferta a Nagoya, sede di un prestigioso torneo che ha luogo a luglio, si concedono una gita turistica al castello e svolgono un ritiro all’interno della più tipica delle sumo-beya, le federazioni di sumo, di cui si mostra con perfetto realismo la vita quotidiana dei lottatori, tra allenamenti, faccende domestiche e pasti a base di enormi porzioni di chanko-nabe (pasto tipico di lottatori di sumo, consistente in uno stufato di carne, pesce e verdure assortite): chi scrive, come si diceva in apertura, ha vissuto a lungo nella zona di Aichi, ha visitato molto spesso Nagoya e ha avuto l’occasione di assistere agli allenamenti dei lottatori di sumo in vista del suddetto torneo estivo, condividendo con loro chiacchiere e un abbondante pasto a base di chanko-nabe, e vi può assicurare che Hinomaru Sumo non si è inventato nulla, il mondo delle sumo-beya è davvero così come mostrato nell’anime.
A livello grafico, Hinomaru Sumo dà il massimo nell’adrenalinica resa dei combattimenti. Piacevole ma meno bello lo stile con cui sono disegnati i personaggi, che ha un retrogusto un po’ fighetto e un po’ da bara manga amatoriale pubblicato su Pixiv, con corpi muscolosi ben dettagliati ma volti un po’ troppo semplicistici e caricaturali. Avendo uno stile decisamente adatto, non stupisce il fatto che abbia ispirato diverse fanart del genere sulla popolare art community giapponese, quanto più la proliferazione di fanart dedicate a quei due personaggi femminili in croce che compaiono nella serie, che sono decisamente poco importanti per le vicende e non sono poi così caratteristici da dover dedicare a loro (e non ai protagonisti maschili, che sono i principali) così tanti disegni.
Molto bella la parte musicale, in particolar modo le quattro sigle, tre delle quali sono brani estremamente energici, perfetti per una serie di argomento sportivo, con la prima ending che entra nella testa e non ne esce più. Ma, inaspettatamente, è proprio l’ultima sigla di chiusura a colpire. In primis, perché totalmente diversa da tutte le altre, con un ritmo molto più lento e dolce. Classica ballad come le tante che vanno molto di moda in Giappone, proprio per questo, in realtà, si rende perfetta a rappresentare la nostra storia di amicizia, sogni e crescita personale che si svolge sul sacro ring circolare delle divinità shinto.
Fiorite, ciliegi,
poiché sulla strada di ognuno fiorisce il proprio fiore.
Fiorite, ciliegi.
La risposta che ancora non ti è visibile
è già dentro di te.
Con questa forza, spicca il volo!
Fiorite, ciliegi.
Un giorno, anche quel cielo
si tingerà del colore della primavera.
Fiorite, ciliegi.
Le lacrime che hai versato
diventeranno la risposta che stai cercando
Con questa forza, risplendi!
poiché sulla strada di ognuno fiorisce il proprio fiore.
Fiorite, ciliegi.
La risposta che ancora non ti è visibile
è già dentro di te.
Con questa forza, spicca il volo!
Fiorite, ciliegi.
Un giorno, anche quel cielo
si tingerà del colore della primavera.
Fiorite, ciliegi.
Le lacrime che hai versato
diventeranno la risposta che stai cercando
Con questa forza, risplendi!
Una bella, inaspettata, sorpresa, questo Hinomaru Sumo. Mi aspettavo una storia più seria, per adulti, come i tanti manga sull’argomento che vengono pubblicati sulle riviste seinen, ma ho avuto, invece, un bellissimo ed esaltante racconto di formazione. Ormai dovrei fare a meno di stupirmi, ma i giapponesi, capaci di rendere passionale ed entusiasmante qualsiasi attività, me l’hanno fatta ancora una volta, regalandomi sei mesi di emozioni, di inaspettati amici, di ricordi e sensazioni di vario tipo. La serie animata adatta, non so quanto fedelmente, il primo arco narrativo del fumetto e arriva ad un finale concreto e soddisfacente (e anche abbastanza commovente, su, diciamolo!), che non ha necessariamente bisogno di un seguito (il quale, tuttavia, non ci dispiacerà, se dovesse arrivare). Hinomaru Sumo è una serie tanto semplice quanto ben fatta, un racconto di crescita e amicizia adolescenziale che tratta con entusiasmo e il dovuto rispetto uno sport che “viene dagli déi” e che, quindi, necessitava una cura particolare. Assolutamente consigliato ai fan sfegatati delle serie sportive alla giapponese (che troveranno qua proprio tutto ciò che cercano ed amano in storie di questo tipo), ma potrebbe rivelarsi una gradita sorpresa anche per chi cerca anche solo una bella storia adolescenziale o chi vuole approfondire uno degli aspetti più caratteristici di quel Giappone che tanto amiamo.
Pro
- Un bellissimo racconto di formazione
- Personaggi ben scritti a cui piano piano ci si affeziona
- Ottima rappresentazione di uno sport particolare
Contro
- Personaggi che non sempre (quasi mai) hanno il physique du role
- Storia semplice e prevedibile in molti tratti
- Protagonista che in un certo senso sfigura in confronto ai suoi compagni
Sui contenuti della serie non posso che condividere tutto (o quasi, le sigle non mi hanno fatto impazzire ma sono dettagli secondari), Hinomaru Sumo l'ho definita una serie sorprendentemente interessante considerato quanto sia legato ai crismi del genere a cui appartiene, eppure funziona, funziona nei personaggi, ben costruiti e tutti apprezzabili, funziona nella storia, molto classica ma non per questo meno coinvolgente, funziona nella rappresentazione del sumo reso appassionante e credibile negli scontri nonostante qualche escamotage classico volto a esaltare il momento decisivo del personaggio impegnato, insomma è stata veramente una bella sorpresa dell'anno scorso che poteva meritare anche più attenzione di quanta ne ha raccolta, è passata un po' in sordina, schiacciata da una concorrenza importante, ma penso che abbia la possibilità di andare incontro ai gusti di un pubblico molto più vasto, anche di generazioni diverse, e spero che questa recensione possa convincere qualcuno che magari l'aveva scartato velocemente a provare a dargli un'occasione.
Che dire? La serie merita tutte le lodi che le sono state fatte, nella sua semplicita' ricorda una serie di trent'anni fa e questo e' bene. E' realizzata con tanta perizia che si riesce addirittura a perdonarle l'eresia di far vincere un ometto di un metro e mezzo contro i giganti del sumo: ma del resto e' questo il fascino del vecchio spokon.
Se ne faranno un seguito lo vedro', senno' va bene cosi'
A difesa della "perfezione" del protagonista mi viene da dire che, con quella statura, non può concedersi di essere meno che straordinario, perché nella sua situazione o è eccezionale, o è fuori.
Recensione, comunque, meravigliosa, per mano di uno che ha "toccato con mano" il lato di Giappone che questa serie racconta.
a cui non avevo effettivamente mai pensato ma ha ragione). In generale è una serie che mi è piaciuta tantissimo. Sono soddisfatto e non sento il bisogno di averne ancora, una volta tanto, ma se arriverà una continuazione non ci dispiacerà.
Una serie molto classica nella sua struttura e nei suoi elementi, ma che riesce a incantare con dei bellissimi personaggi e delle lotte molto esaltanti. Sicuramente consigliatissima a chi ama le serie sportive, vista anche la brevità che la rende abbastanza pratica rispetto ad altre serie più impegnative.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.