A volte è estremamente difficile mettere su carta i propri pensieri ed emozioni. Banalmente, accade che la visione di qualcosa, un’esperienza, un avvenimento particolare sia talmente potente ed emozionante da lasciare qualcosa di impresso, per vari motivi. Anche dopo giorni ci si ritrova a pensare, a meditare, a rimuginare su quell’avvenimento senza capire esattamente cosa abbia a causato in noi quello shock. Quando a un tratto, si viene colti dall’ispirazione e si trova la risposta. Si capisce tutto all'improvviso, si capisce cosa ci ha colpiti e le parole vengono fuori da sole. L’esperienza che può offrire I figli del mare è esattamente questa: film del 2019 di Ayumu Watanabe tratto del manga di Daisuke Igarashi, I figli del mare è una pellicola forte di un comparto tecnico superlativo in grado di comunicare molto lasciando al contempo spazio all’interpretazione del sottotesto da parte dello spettatore. Questo film, nella sua potenza visiva, avrà soddisfatto le aspettative? 
Dopo l'anteprima di Lucca Comics and Games 2019, l'ultima fatica di Watanabe arriverà nei nostri cinema il 2, 3 e 4 dicembre grazie a Nexo Digital e Dynit.
 

Anzitutto, va fatta una doverosa digressione su uno dei perni fondamentali di questo film: la trama. Basandosi sulla teoria scientifica dell’inseminazione spaziale, di cui è meglio non parlare per evitare il più possibile spoiler sul film, ci troviamo di fronte ad una pellicola che, seppur non sia in gran parte difficilissima da seguire, necessita in diversi punti di conoscenze pregresse per capire determinati avvenimenti. Il film, in ogni caso, con l’avanzare della trama fornisce tutte le spiegazioni necessarie per riuscire a comprendere cosa accade. Gli eventi di cui sono protagonisti Ruka, Umi e Sora, infatti, viaggiano su una linea continuamente sospesa tra reale e soprannaturale, per cui è necessario prestare molta attenzione, pena, perdersi passaggi fondamentali. Includendo questo aspetto, si può tranquillamente dire che il film riesca a scorrere da solo, senza intoppi o buchi di trama, se non fosse che più si va avanti nella storia più diventa grande un interrogativo che il film lascia allo spettatore: non è ben chiaro di cosa voglia parlare questo film.

È comprensibile il voler creare un film che lasci un sottotesto molto ampio che permetta allo spettatore di farsi la sua idea sulla pellicola, ma in questo caso è evidente come Watanabe abbia lasciato fin troppo alla libera interpretazione del pubblico. Non si riesce a comprendere se il film sia uno slice of life, un diario di viaggio o un racconto di formazione, non a causa di una narrativa confusa, ma che anzi permette una buona comprensione generale della pellicola, ma che risulta poco efficace al fine esplicativo e che non rende effettivamente chiaro quale sia il fine ultimo del film. Solo alla fine della scena post-crediti diventa più evidente cosa voglia comunicare I figli del mare, ovvero, una grandiosa celebrazione della vita in tutte le sue forme. Probabilmente, Watanabe avrebbe potuto rendere questo tema più protagonista all’interno del film, ma tutto sommato esso riesce nel suo intento narrativo anche grazie allo straordinario comparto tecnico, di cui parleremo a breve.

Prima di farlo, è necessario aprire una parentesi sui personaggi. È infatti curioso come in questa trama a risentire maggiormente del tipo di narrativa scelta siano proprio i protagonisti, i quali hanno uno svolgimento della loro caratterizzazione estremamente frammentato all’interno della pellicola. La loro evoluzione pecca di continuità e non permette quindi allo spettatore di immergersi nella loro psicologia ed empatizzare appieno. Sebbene l’inizio sia in grado di far entrare appieno lo spettatore nella psicologia di Ruka, l’evoluzione della ragazzina nel progredire della trama resta poco chiara. Discorso leggermente diverso per Umi e Sora, che sin dal primo sguardo lasciano intendere di custodire dentro di loro moltissimi segreti che, man mano, verranno svelati e sviscerati dalla trama con tutti i limiti descritti sopra. Se non fosse per i problemi di cui si è parlato prima, sarebbero state ancora più apprezzabili le ottime e frequenti scene che vedono protagonisti i genitori di Ruka. Il tema della vita passa anche attraverso loro, e nel finale saranno protagonisti di una piacevole sorpresa che lascerà lo spettatore più confortato e con la mente più chiara.
 

Si passa, finalmente, a parlare della realizzazione tecnica del film, e su questo lato va fatta una piccola ma fondamentale premessa: il film è stato in lavorazione per quattro anni ed è stato stanziato un budget stratosferico per la sua produzione. Queste parole dovrebbero bastare a comprendere le alte aspettative che uno spettatore ha il diritto di farsi su un film del genere. È però oggettivo che, qualunque aspettativa si possa avere su questo film, essa verrà largamente superata poiché siamo di fronte a un capolavoro di tecnica di animazione. Ogni scena, ogni inquadratura, ogni disegno è assolutamente perfetto. 
Anche per ciò che concerne la CGI, ci troviamo di fronte ad un lavoro di altissimo livello. La Computer Grafica mal realizzata è spesso presente in moltissime produzioni, ma non ne I Figli del Mare: il suo utilizzo in questo film è ridotto all’osso, mirato laddove necessario e si sposa perfettamente con tutto il resto del film, non stonando mai all’occhio dello spettatore. In sostanza, ogni singola animazione, dal più piccolo movimento alla meravigliosa danza della balena presente sin dai primi trailer, è realizzata in ogni suo singolo frame in modo assolutamente impeccabile.

La prova di quanto appena affermato la vediamo all’inizio del film, nella stupenda scena della corsa di Ruka realizzata in piano sequenza, che mette subito in chiaro l’elevatissimo standard qualitativo del film, anche dal punto di vista registico. Watanabe alterna molto spesso le inquadrature tra primi piani e campi lunghi, ed è indubbio che in questo caso sia stato fatto anche per mettere in mostra l’eccezionale lavoro svolto sui disegni, sempre precisi e ottimamente delineati anche in lontananza, ma mai inadatti all’animazione.

Una cura straordinaria è stata data anche alla realizzazione degli effetti luminosi, onnipresenti in questo film per motivi di trama che è meglio non svelare, e che risultano ogni volta credibili e non incollati sullo schermo. Altro aspetto indubbiamente positivo è la scelta dei colori, estremamente variegata, variopinta e luminosa a tal punto da far sembrare ogni scena realistica in tutto e per tutto. La sensazione di cose come il bagnato, il tramonto, l’inquietudine passano anche dalla palette utilizzata, ed è indubbio che Watanabe abbia svolto un ottimo lavoro. La parte più apprezzabile di questo tripudio di disegni e animazioni è senza ombra di dubbio la costante ricerca di un simil fotorealismo che permette allo spettatore di immergersi completamente nell’atmosfera del film, grazie anche ad un eccezionale lavoro di suoni e musiche di accompagnamento che restituiscono appieno la sensazione di un viaggio negli abissi dell’oceano e del cosmo. In sostanza, una gioia per gli occhi di tutti gli amanti della realizzazione tecnica delle opere animate.

Dal punto di vista del comparto audio, invece, va detto che il film delude un po’: le musiche composte sono eccezionali per l’atmosfera che creano ogni volta e che permette una totale immersione negli abissi di questo film, ma non riescono in alcun modo a farsi ricordare dallo spettatore. C’è da dire che l’assenza di un nutrito numero di brani cantati è ampiamente giustificata dal fatto che, a livello di atmosfera, questo tipo di musica si sarebbe sposato decisamente male con il contesto della maggior parte delle scene della pellicola, ma è un’assenza che comunque pesa a fronte di moltissime scene in cui c’era spazio per inserire molti più brani cantati. Facendo un focus sul doppiaggio giapponese, colpiscono molto le voci dei personaggi. Nonostante il doppiaggio in alcuni punti sembri finto e doppiaggese, va detto che sono altrettanti i momenti in cui l’emozione supera ogni barriera linguistica e riesce a comunicare con lo spettatore. Ciò è valido in particolare nel caso della doppiatrice di Ruka, protagonista di scene molto toccanti nei 30 minuti finali della pellicola.
 
 
Per concludere, è necessario fare un riferimento a quanto detto all’inizio: questo film non comunica solo attraversa i suoi temi, attraverso la trama, ma proprio grazie alla sua realizzazione. Ogni inquadratura e ogni sequenza del film trasudano amore e rispetto per questo lavoro, una cura maniacale per l’animazione giapponese e tanta voglia di mettersi in gioco. È probabilmente questo che colpisce maggiormente de I figli del mare: è un film che punta direttamente al cuore degli appassionati.

Pertanto, I figli del mare è un film assolutamente consigliato se siete amanti dell’animazione giapponese. Nonostante la trama pecchi di chiarezza nella spiegazione dei suoi temi, il film scorre liscio come le onde durante il Libeccio ed è in grado di stupire ed emozionare grazie al suo comparto tecnico superlativo. Quando arriverà nei nostri cinema, vi consiglio assolutamente di tuffarvi in questo viaggio.