Attualmente si sta svolgendo in Giappone un dibattito intenso per l’approvazione di una legge che vieti la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità individuale di genere. Il Partito Democratico (cioè l'opposizione al governo) ha chiesto una legge in cui sia severamente punito ogni tipo di discriminazione. Il Partito Liberal Democratico (LDP) si è detto favorevole in linea concettuale ma l'approvazione è stata rimandata a causa di una frase chiave: "Non sarà tollerata alcuna discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere individuale".
La maggioranza vorrebbe che il testo fosse cambiato e diventasse: "Una società tollerante in cui ci si comprenda a vicenda".
In questo modo la legge è in fase di stallo e si sono svolte diverse manifestazioni per protestare. In questo post di Instagram possiamo vederne una grazie alle riprese di Loris, traduttore italiano che vive in Giappone (qui potete vedere la nostra intervista fatta qualche tempo fa)
Ma quale è la situazione della comunità LGBTQ+ (Lesbian, Gay, Bi, Transsexual, Queer and similar) in Giappone? Quale percorso storico ha vissuto?
In un Paese dove l'armonia sociale prevale sulle convinzioni personali, dove si antepone il benessere della comunità a quello del singolo, l'omosessualità resta condizionata dal peso di un modello familiare classico e accettato. A scuola i corsi di educazione sessuale e contraccezione sono rarissimi e quindi la divulgazione di una sessualità accettata e responsabile è affidata unicamente ai genitori, che molto spesso preferiscono non affrontare direttamente questi argomenti con i propri figli ritenendoli troppo privati. I più giovani perciò sono spesso lasciati soli ad affrontare un percorso di crescita e scoperta di se stessi.
Non esistono statistiche precise sulla comunità LGBTQ+ ma in base a varie indagini si ritiene che essa rappresenti circa l'8% della popolazione. Occorre anche sottolineare come la differenza tra omosessualità e disforia di genere non sia ben chiara in Giappone, decisamente in ritardo rispetto ad altre nazioni.
In teoria il Giappone non è un paese omofobo: nel 1880 fu promulgata una legge che non riteneva più reato le relazioni omosessuali. E anche andando più indietro nel tempo, prima dell'era Meiji (1868-1912), stare insieme fra persone dello stesso sesso era una pratica non ufficiale piuttosto comune. La società giapponese era molto tollerante nei confronti dell'omosessualità maschile e le relazioni omosessuali tra samurai o fra monaci erano generalmente accettate. In questo differiva ampiamente dall'Europa dove l'omosessualità era considerata un peccato sul piano religioso e un reato penale sul piano civile.
Fin dal Medioevo le relazioni sentimentali tra uomini e ragazzi, dette danshoku (男 色, letteralmente "sesso tra uomini"), erano all'ordine del giorno nel mondo dei guerrieri e nei monasteri buddisti. I rapporti tra lo shogun Ashikaga Yoshimitsu (1358-1408) e Zeami, conosciuto anche Kanze Motokiyo (1363-1443), fondatore del teatro Noh, e quelli fra il signore della guerra Oda Nobunaga (1534-1582) e il giovane Mori Ranmaru (1565-1582) sono tra i più famosi. Nel periodo Edo (1603-1868), lo scrittore e poeta Ihara Saikaku (1642-1693) descrisse il danshoku come una pratica comune.
Negli ambienti religiosi e feudali, il rapporto tra un maestro più anziano e il suo giovane discepolo faceva parte dell'insegnamento, proprio come le arti marziali o il codice d'onore. Appartenenti alla tradizione giapponese Shudo, abbreviazione di wakashudo che significa "la via (o il risveglio) dei giovani", queste relazioni seguivano un preciso codice di condotta. Ad esempio, i due partner maschi non dovevano essere mai nudi e la loro relazione doveva rimanere solo su un piano fisico, senza sviluppare sentimenti d'amore.
Molte stampe erotiche giapponesi, le cosiddette shunga, raffigurano rapporti omosessuali e furono dipinte in questo periodo dai più grandi artisti; essendo molto popolari, rappresentavano una significativa fonte di reddito per i loro creatori.
Opere letterarie come Vita Sexis di Mori Ôgai mostravano che i dormitori delle università nell'era Meiji erano sede di amori omosessuali tra studenti. Ma con la corsa alla modernizzazione e con l'apertura forzata verso l'Occidente che ebbe luogo dalla seconda metà di questo periodo, emerse l'idea che l'omosessualità fosse un'anormalità, anche a causa del fatto che la medicina occidentale, introdotta in quegli anni, la considerava una "malattia".
Così, fino al 1991, sul Kôjien, il dizionario più autorevole della lingua giapponese, l'omosessualità era definita come una "pulsione sessuale anormale". E solo nel 1995 la prestigiosissima Accademia Giapponese di Psichiatria e Neurologia ha dichiarato che l'omosessualità non è una malattia mentale, allineandosi ai criteri diagnostici vigenti in tutto il mondo. Ma il pregiudizio dell'era Taishô (1912-1926) che classifica i rapporti tra persone dello stesso sesso come una forma di perversione è ancora tenace in una parte della popolazione dell'Arcipelago.
Non appena un individuo o un fenomeno è in qualche modo associato a una minoranza sessuale, si innesca quasi automaticamente una reazione che si traduce in un sogghigno o in una risata imbarazzata. Rifugiandosi nella derisione, le persone probabilmente cercano di rassicurarsi e persuadere gli altri che non sono "così".
Tuttavia, quando le persone scoprono che l'oggetto della loro derisione non è più una star del piccolo schermo, ma un membro molto reale del loro immediato entourage, generalmente l'atteggiamento cambia e si arriva anche a trattarle apertamente con disprezzo. Quando qualcuno si presenta apertamente come omosessuale o transessuale, il più delle volte viene considerato anormale e ridicolo, messo da parte, completamente ignorato e talvolta diventa anche vittima di violenza.
In occasione di un'indagine svolta nel novembre 2015 dall'Istituto nazionale giapponese per la ricerca sulla popolazione e la sicurezza sociale (NIPSSR) è stato chiesto agli intervistati quale sarebbe stata la loro reazione se avessero scoperto che qualcuno che conoscono è omosessuale. In molti hanno affermato che lo avrebbero trovato “spiacevole” con percentuali variabili a seconda della vicinanza alla persona in questione.
Il 39% se si fosse trattato di un vicino di casa, il 42% se fosse stato un collega di lavoro e si arrivava fino al 72% nel caso di un figlio. Inoltre, oltre il 70% dei dirigenti aziendali di età compresa tra 40 e 49 anni ha affermato che "non gli sarebbe piaciuto affatto" avere un collega omosessuale.
Il rifiuto di accettare gli omosessuali a volte si traduce in maltrattamenti e atti di violenza. Nel 2000, tre giovani hanno aggredito persone omosessuali nel Parco Shinkiba, a Tokyo, arrivando a provocare la morte di uno di loro. Durante il processo, gli imputati hanno spiegato il loro comportamento affermando che "quando gli omosessuali sono vittime di aggressioni, non presentano denuncia".
L'idea di fondo molto comune fra le persone è che l'appartenenza a una minoranza sessuale sia solo una questione privata e che non debba essere dichiarata al mondo intero. Gli abitanti dell'Arcipelago sono molto discreti sulla questione e la comunità LGBTQ+ è spesso ignorata dalla legge e dalla società.
La prima vera svolta per quello che riguarda i diritti degli omosessuali fu la vicenda legata all'ostello della gioventù Fuchû nel 1990: ciò che successe ha segnato l'inizio del movimento. Non è molto conosciuto, ma è un punto di partenza essenziale per riflettere sulla questione delle minoranze sessuali in Giappone.
Tutto cominciò quando un'associazione omosessuale, il Lesbian and Gay Group on the Move (OCCUR) prese alloggio in questo ostello della gioventù gestito dal governo metropolitano di Tokyo.
Non era la prima volta che l'OCCUR usava questa struttura per riunirsi ma fino ad allora non aveva mai dichiarato apertamente che si trattasse di un'associazione omosessuale; alcuni suoi membri però pensavano che non fosse più necessario continuare a nasconderlo. Quindi si presentarono come “associazione che riflette sui diritti umani degli omosessuali” durante l'incontro organizzato alla fine della giornata per conoscersi meglio fra gli ospiti dell'ostello.
A seguito però di questa dichiarazione, i suoi membri furono molestati da altri residenti della struttura e il Tokyo Public Education Committee, manager degli ostelli della gioventù della prefettura di Tokyo, non accettò altre prenotazioni da parte dell'OCCUR. La giustificazione ufficiale fu che le stanze della struttura non erano miste, in conformità con i regolamenti di questi stabilimenti, e che quindi gli omosessuali avrebbero potuto fare sesso nelle camere arrecando un danno alla sana educazione dei giovani.
L'OCCUR, a seguito di ciò, portò il caso dinanzi al tribunale distrettuale di Tokyo che nel 1994 emise una prima storica sentenza a favore dell'associazione, affermando che "se non c'è la possibilità concreta di avere rapporti sessuali, non possiamo rifiutare l'uso dell'ostello della gioventù". La definizione neutra di omosessualità formulata nella sentenza, e cioè "uno degli orientamenti sessuali degli esseri umani, in cui la coscienza sessuale è orientata verso lo stesso sesso", attirò l'attenzione, anche perché in base ad essa si evinceva che vi era stata discriminazione e repressione da parte del Tokyo Public Education Committee.
Ovviamente la cosa andò avanti: la prefettura di Tokyo fece appello, affermando che la decisione di rifiutare era "inevitabile poiché nel 1990 non si aveva una conoscenza precisa di quello che potesse significare essere omosessuale". La Corte d'Appello di Tokyo, tuttavia, nel 1997 confermò la decisione della Corte distrettuale, dichiarando che: "Gli organi governativi devono essere particolarmente attenti a una minoranza, in questo caso agli omosessuali, e devono garantire che i loro diritti e interessi siano rispettati. È inammissibile che gli agenti della pubblica autorità mostrino nei loro confronti indifferenza o ignoranza”.
Un'altra data storica per la comunità LGBTQ+ nipponica fu il luglio 1996, quando un rapporto del comitato etico della Saitama Medical University riconobbe l'esistenza di una sindrome definita allora "sindrome transessuale", e come un'operazione fosse il trattamento più appropriato per questa sindrome.
L'anno successivo la Società Giapponese di Psicologia e Neurologia formulò delle linee guida per la sua diagnosi. Nel 2001, un film per la TV in cui un'attrice molto popolare interpretava il ruolo di una studentessa che soffriva di disforia sessuale contribuì a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione. Infine nel 2003 è stata promulgata la legge sulla disforia sessuale che consente alle persone che soddisfano certi requisiti (essere maggiorenni, non essere sposati, essere stati riconosciuti da uno psichiatra come affetti da disforia sessuale) di cambiare sesso all'anagrafe.
Non tutti però hanno il coraggio di dichiarare apertamente il loro orientamento sessuale, sempre nell'ambito di mantenere l'armonia nella società. Per non offendere nessuno e preservare il proprio status di cittadini "normali", molte persone scelgono di vivere una doppia vita. Si sposano e fanno un figlio per soddisfare le aspettative della loro famiglia ma parallelamente e di nascosto vivono un'altra esistenza. Altri mantengono il celibato il più a lungo possibile, anche perché il coming out in Giappone ha pochi vantaggi. La tanto attesa uscita allo scoperto può rapidamente assumere la forma dell'isolamento sociale.
Nel 2015, uno studente laureato presso la Hitotsubashi University Law School si è suicidato pochi mesi dopo che la sua omosessualità era stata rivelata pubblicamente sull'app di messaggistica Line. Pare infatti che la vittima avesse dichiarato il suo amore ad uno dei suoi compagni di università e che quest'ultimo avesse reagito raccontando la cosa ad altri sei studenti su Line. Nell'agosto 2016, la sua famiglia ha portato il caso in tribunale, chiedendo un risarcimento per il danno subito sia all'università che non avrebbe assistito il ragazzo quando questi è andato a chiedere aiuto, sia alla persona che aveva svelato in chat la sua dichiarazione.
Al momento la comunità LGBTQ+ sta lottando principalmente sul riconoscimento delle unioni civili, in modo da poter condividere ufficialmente lo stesso tetto e anche per potersi proteggere. Un escamotage a cui si ricorre spesso è quello di adottarsi a vicenda in modo da essere iscritti nello stesso stato di famiglia (koseki) per garantirsi così ad esempio il diritto di visita in ospedale in caso di malattia grave.
Dal 2018 i distretti di Shibuya, Setagaya e Nakano a Tokyo, i capoluoghi delle prefetture di Naha (Okinawa), Sapporo, Fukuoka e Osaka e le piccole città di Iga (Mie) e Takarazuka (Hyogo) hanno aperto alle unioni civili. Ed altri si sono aggiunti nel corso degli anni. I partner uniti da questa ordinanza la utilizzano principalmente per dare il loro consenso a un'operazione, per firmare un contratto di locazione insieme, per ereditare dal loro partner o per essere il beneficiario della loro assicurazione.
NTT Docomo, Softbank e KDDI hanno ampliato i loro piani di sconto anche alle coppie dello stesso sesso ufficialmente riconosciute come tali. Dai-ichi Life Insurance e Nippon Life Insurance hanno consentito ai partner dello stesso sesso di essere nominati beneficiari dell'assicurazione sulla vita a condizione che questi certificati siano forniti come parte della loro domanda.
Nell'aprile 2018 la NTT ha concesso anche alle coppie omosessuali assegni familiari, alloggi aziendali, nonché congedo parentale per le coppie dello stesso sesso che allevano figli adottivi.
Non sempre però è così facile: in questo articolo possiamo leggere la travagliata storia a lieto fine di Ryōsuke Nanasaki, giovane attivista per i diritti LGBTQ+, divenuta prima un romanzo e poi un manga. La coppia è divenuta la prima unione tra persone dello stesso sesso in Giappone nel 2016. Il giovane Nanasaki è un attivista per i diritti degli omosessuali piuttosto conosciuto in Giappone, ma molte sono state le peripezie affrontate dalla coppia: in diversi uffici comunali a Nanasaki e al suo partner è stato rifiutato un colloquio a causa di funzionari pubblici che li vedevano come un cattivo esempio, che andava contro l'ordine pubblico e la morale.
Fonti consultate:
Kanpai
Nippon1
Nippon2
Nippon3
Nippon4
La maggioranza vorrebbe che il testo fosse cambiato e diventasse: "Una società tollerante in cui ci si comprenda a vicenda".
In questo modo la legge è in fase di stallo e si sono svolte diverse manifestazioni per protestare. In questo post di Instagram possiamo vederne una grazie alle riprese di Loris, traduttore italiano che vive in Giappone (qui potete vedere la nostra intervista fatta qualche tempo fa)
Ma quale è la situazione della comunità LGBTQ+ (Lesbian, Gay, Bi, Transsexual, Queer and similar) in Giappone? Quale percorso storico ha vissuto?
In un Paese dove l'armonia sociale prevale sulle convinzioni personali, dove si antepone il benessere della comunità a quello del singolo, l'omosessualità resta condizionata dal peso di un modello familiare classico e accettato. A scuola i corsi di educazione sessuale e contraccezione sono rarissimi e quindi la divulgazione di una sessualità accettata e responsabile è affidata unicamente ai genitori, che molto spesso preferiscono non affrontare direttamente questi argomenti con i propri figli ritenendoli troppo privati. I più giovani perciò sono spesso lasciati soli ad affrontare un percorso di crescita e scoperta di se stessi.
Non esistono statistiche precise sulla comunità LGBTQ+ ma in base a varie indagini si ritiene che essa rappresenti circa l'8% della popolazione. Occorre anche sottolineare come la differenza tra omosessualità e disforia di genere non sia ben chiara in Giappone, decisamente in ritardo rispetto ad altre nazioni.
In teoria il Giappone non è un paese omofobo: nel 1880 fu promulgata una legge che non riteneva più reato le relazioni omosessuali. E anche andando più indietro nel tempo, prima dell'era Meiji (1868-1912), stare insieme fra persone dello stesso sesso era una pratica non ufficiale piuttosto comune. La società giapponese era molto tollerante nei confronti dell'omosessualità maschile e le relazioni omosessuali tra samurai o fra monaci erano generalmente accettate. In questo differiva ampiamente dall'Europa dove l'omosessualità era considerata un peccato sul piano religioso e un reato penale sul piano civile.
Fin dal Medioevo le relazioni sentimentali tra uomini e ragazzi, dette danshoku (男 色, letteralmente "sesso tra uomini"), erano all'ordine del giorno nel mondo dei guerrieri e nei monasteri buddisti. I rapporti tra lo shogun Ashikaga Yoshimitsu (1358-1408) e Zeami, conosciuto anche Kanze Motokiyo (1363-1443), fondatore del teatro Noh, e quelli fra il signore della guerra Oda Nobunaga (1534-1582) e il giovane Mori Ranmaru (1565-1582) sono tra i più famosi. Nel periodo Edo (1603-1868), lo scrittore e poeta Ihara Saikaku (1642-1693) descrisse il danshoku come una pratica comune.
Negli ambienti religiosi e feudali, il rapporto tra un maestro più anziano e il suo giovane discepolo faceva parte dell'insegnamento, proprio come le arti marziali o il codice d'onore. Appartenenti alla tradizione giapponese Shudo, abbreviazione di wakashudo che significa "la via (o il risveglio) dei giovani", queste relazioni seguivano un preciso codice di condotta. Ad esempio, i due partner maschi non dovevano essere mai nudi e la loro relazione doveva rimanere solo su un piano fisico, senza sviluppare sentimenti d'amore.
Molte stampe erotiche giapponesi, le cosiddette shunga, raffigurano rapporti omosessuali e furono dipinte in questo periodo dai più grandi artisti; essendo molto popolari, rappresentavano una significativa fonte di reddito per i loro creatori.
Opere letterarie come Vita Sexis di Mori Ôgai mostravano che i dormitori delle università nell'era Meiji erano sede di amori omosessuali tra studenti. Ma con la corsa alla modernizzazione e con l'apertura forzata verso l'Occidente che ebbe luogo dalla seconda metà di questo periodo, emerse l'idea che l'omosessualità fosse un'anormalità, anche a causa del fatto che la medicina occidentale, introdotta in quegli anni, la considerava una "malattia".
Così, fino al 1991, sul Kôjien, il dizionario più autorevole della lingua giapponese, l'omosessualità era definita come una "pulsione sessuale anormale". E solo nel 1995 la prestigiosissima Accademia Giapponese di Psichiatria e Neurologia ha dichiarato che l'omosessualità non è una malattia mentale, allineandosi ai criteri diagnostici vigenti in tutto il mondo. Ma il pregiudizio dell'era Taishô (1912-1926) che classifica i rapporti tra persone dello stesso sesso come una forma di perversione è ancora tenace in una parte della popolazione dell'Arcipelago.
Non appena un individuo o un fenomeno è in qualche modo associato a una minoranza sessuale, si innesca quasi automaticamente una reazione che si traduce in un sogghigno o in una risata imbarazzata. Rifugiandosi nella derisione, le persone probabilmente cercano di rassicurarsi e persuadere gli altri che non sono "così".
Tuttavia, quando le persone scoprono che l'oggetto della loro derisione non è più una star del piccolo schermo, ma un membro molto reale del loro immediato entourage, generalmente l'atteggiamento cambia e si arriva anche a trattarle apertamente con disprezzo. Quando qualcuno si presenta apertamente come omosessuale o transessuale, il più delle volte viene considerato anormale e ridicolo, messo da parte, completamente ignorato e talvolta diventa anche vittima di violenza.
In occasione di un'indagine svolta nel novembre 2015 dall'Istituto nazionale giapponese per la ricerca sulla popolazione e la sicurezza sociale (NIPSSR) è stato chiesto agli intervistati quale sarebbe stata la loro reazione se avessero scoperto che qualcuno che conoscono è omosessuale. In molti hanno affermato che lo avrebbero trovato “spiacevole” con percentuali variabili a seconda della vicinanza alla persona in questione.
Il 39% se si fosse trattato di un vicino di casa, il 42% se fosse stato un collega di lavoro e si arrivava fino al 72% nel caso di un figlio. Inoltre, oltre il 70% dei dirigenti aziendali di età compresa tra 40 e 49 anni ha affermato che "non gli sarebbe piaciuto affatto" avere un collega omosessuale.
Il rifiuto di accettare gli omosessuali a volte si traduce in maltrattamenti e atti di violenza. Nel 2000, tre giovani hanno aggredito persone omosessuali nel Parco Shinkiba, a Tokyo, arrivando a provocare la morte di uno di loro. Durante il processo, gli imputati hanno spiegato il loro comportamento affermando che "quando gli omosessuali sono vittime di aggressioni, non presentano denuncia".
L'idea di fondo molto comune fra le persone è che l'appartenenza a una minoranza sessuale sia solo una questione privata e che non debba essere dichiarata al mondo intero. Gli abitanti dell'Arcipelago sono molto discreti sulla questione e la comunità LGBTQ+ è spesso ignorata dalla legge e dalla società.
La prima vera svolta per quello che riguarda i diritti degli omosessuali fu la vicenda legata all'ostello della gioventù Fuchû nel 1990: ciò che successe ha segnato l'inizio del movimento. Non è molto conosciuto, ma è un punto di partenza essenziale per riflettere sulla questione delle minoranze sessuali in Giappone.
Tutto cominciò quando un'associazione omosessuale, il Lesbian and Gay Group on the Move (OCCUR) prese alloggio in questo ostello della gioventù gestito dal governo metropolitano di Tokyo.
Non era la prima volta che l'OCCUR usava questa struttura per riunirsi ma fino ad allora non aveva mai dichiarato apertamente che si trattasse di un'associazione omosessuale; alcuni suoi membri però pensavano che non fosse più necessario continuare a nasconderlo. Quindi si presentarono come “associazione che riflette sui diritti umani degli omosessuali” durante l'incontro organizzato alla fine della giornata per conoscersi meglio fra gli ospiti dell'ostello.
A seguito però di questa dichiarazione, i suoi membri furono molestati da altri residenti della struttura e il Tokyo Public Education Committee, manager degli ostelli della gioventù della prefettura di Tokyo, non accettò altre prenotazioni da parte dell'OCCUR. La giustificazione ufficiale fu che le stanze della struttura non erano miste, in conformità con i regolamenti di questi stabilimenti, e che quindi gli omosessuali avrebbero potuto fare sesso nelle camere arrecando un danno alla sana educazione dei giovani.
L'OCCUR, a seguito di ciò, portò il caso dinanzi al tribunale distrettuale di Tokyo che nel 1994 emise una prima storica sentenza a favore dell'associazione, affermando che "se non c'è la possibilità concreta di avere rapporti sessuali, non possiamo rifiutare l'uso dell'ostello della gioventù". La definizione neutra di omosessualità formulata nella sentenza, e cioè "uno degli orientamenti sessuali degli esseri umani, in cui la coscienza sessuale è orientata verso lo stesso sesso", attirò l'attenzione, anche perché in base ad essa si evinceva che vi era stata discriminazione e repressione da parte del Tokyo Public Education Committee.
Ovviamente la cosa andò avanti: la prefettura di Tokyo fece appello, affermando che la decisione di rifiutare era "inevitabile poiché nel 1990 non si aveva una conoscenza precisa di quello che potesse significare essere omosessuale". La Corte d'Appello di Tokyo, tuttavia, nel 1997 confermò la decisione della Corte distrettuale, dichiarando che: "Gli organi governativi devono essere particolarmente attenti a una minoranza, in questo caso agli omosessuali, e devono garantire che i loro diritti e interessi siano rispettati. È inammissibile che gli agenti della pubblica autorità mostrino nei loro confronti indifferenza o ignoranza”.
Un'altra data storica per la comunità LGBTQ+ nipponica fu il luglio 1996, quando un rapporto del comitato etico della Saitama Medical University riconobbe l'esistenza di una sindrome definita allora "sindrome transessuale", e come un'operazione fosse il trattamento più appropriato per questa sindrome.
L'anno successivo la Società Giapponese di Psicologia e Neurologia formulò delle linee guida per la sua diagnosi. Nel 2001, un film per la TV in cui un'attrice molto popolare interpretava il ruolo di una studentessa che soffriva di disforia sessuale contribuì a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione. Infine nel 2003 è stata promulgata la legge sulla disforia sessuale che consente alle persone che soddisfano certi requisiti (essere maggiorenni, non essere sposati, essere stati riconosciuti da uno psichiatra come affetti da disforia sessuale) di cambiare sesso all'anagrafe.
Non tutti però hanno il coraggio di dichiarare apertamente il loro orientamento sessuale, sempre nell'ambito di mantenere l'armonia nella società. Per non offendere nessuno e preservare il proprio status di cittadini "normali", molte persone scelgono di vivere una doppia vita. Si sposano e fanno un figlio per soddisfare le aspettative della loro famiglia ma parallelamente e di nascosto vivono un'altra esistenza. Altri mantengono il celibato il più a lungo possibile, anche perché il coming out in Giappone ha pochi vantaggi. La tanto attesa uscita allo scoperto può rapidamente assumere la forma dell'isolamento sociale.
Nel 2015, uno studente laureato presso la Hitotsubashi University Law School si è suicidato pochi mesi dopo che la sua omosessualità era stata rivelata pubblicamente sull'app di messaggistica Line. Pare infatti che la vittima avesse dichiarato il suo amore ad uno dei suoi compagni di università e che quest'ultimo avesse reagito raccontando la cosa ad altri sei studenti su Line. Nell'agosto 2016, la sua famiglia ha portato il caso in tribunale, chiedendo un risarcimento per il danno subito sia all'università che non avrebbe assistito il ragazzo quando questi è andato a chiedere aiuto, sia alla persona che aveva svelato in chat la sua dichiarazione.
Al momento la comunità LGBTQ+ sta lottando principalmente sul riconoscimento delle unioni civili, in modo da poter condividere ufficialmente lo stesso tetto e anche per potersi proteggere. Un escamotage a cui si ricorre spesso è quello di adottarsi a vicenda in modo da essere iscritti nello stesso stato di famiglia (koseki) per garantirsi così ad esempio il diritto di visita in ospedale in caso di malattia grave.
Dal 2018 i distretti di Shibuya, Setagaya e Nakano a Tokyo, i capoluoghi delle prefetture di Naha (Okinawa), Sapporo, Fukuoka e Osaka e le piccole città di Iga (Mie) e Takarazuka (Hyogo) hanno aperto alle unioni civili. Ed altri si sono aggiunti nel corso degli anni. I partner uniti da questa ordinanza la utilizzano principalmente per dare il loro consenso a un'operazione, per firmare un contratto di locazione insieme, per ereditare dal loro partner o per essere il beneficiario della loro assicurazione.
NTT Docomo, Softbank e KDDI hanno ampliato i loro piani di sconto anche alle coppie dello stesso sesso ufficialmente riconosciute come tali. Dai-ichi Life Insurance e Nippon Life Insurance hanno consentito ai partner dello stesso sesso di essere nominati beneficiari dell'assicurazione sulla vita a condizione che questi certificati siano forniti come parte della loro domanda.
Nell'aprile 2018 la NTT ha concesso anche alle coppie omosessuali assegni familiari, alloggi aziendali, nonché congedo parentale per le coppie dello stesso sesso che allevano figli adottivi.
Non sempre però è così facile: in questo articolo possiamo leggere la travagliata storia a lieto fine di Ryōsuke Nanasaki, giovane attivista per i diritti LGBTQ+, divenuta prima un romanzo e poi un manga. La coppia è divenuta la prima unione tra persone dello stesso sesso in Giappone nel 2016. Il giovane Nanasaki è un attivista per i diritti degli omosessuali piuttosto conosciuto in Giappone, ma molte sono state le peripezie affrontate dalla coppia: in diversi uffici comunali a Nanasaki e al suo partner è stato rifiutato un colloquio a causa di funzionari pubblici che li vedevano come un cattivo esempio, che andava contro l'ordine pubblico e la morale.
Fonti consultate:
Kanpai
Nippon1
Nippon2
Nippon3
Nippon4
Ognuno deve sentirsi libero di essere se stesso...
Qulasiasi interazione sociale al di fuori dell'azienda e' improdutivo
Insomma non ci dovrebbe essere alcun tipo di discriminazione basata sui gusti sessuali delle persone.
Sono invece assolutamente contrario alla possibilità di affittare un utero di una donna per poter dare la possibilità a coppie che non possono avere figli di averne uno(la cosidetta maternità surrogata) ma questo ovviamente non vale solamente per le coppie gay.
Una cosa che comunque apprezzo del Giappone e che probabilmente è all'origine del suo successo è questo "un Paese...dove si antepone il benessere della comunità a quello del singolo". È un qualcosa che salta subito all'occhio e che per un turista si manifesta subito attraverso il loro profondo senso civico ed educazione. Per il momento in nessun paese che ho visitato ho visto un così profondo rispetto per ciò che è pubblico come in Giappone.
Comunque l'omofobia giapponese non c'entra nulla con l'Occidente.
Un mese fa abbiamo avuto Pio ed Amedeo che in prima serata hanno ribadito che vogliono avere il diritto di dare del frocio a uno. Per ridere eh, perchè " non si può più
dire niente". Ps: Ovviamente nessun accenno al fatto che in Italia è un reato bestemmiare ma ehi, il diritto di insulto vale solo " per gli altri ".
Reato la bestemmia? E' dal 1999 che e' un illecito amministrativo. Non sarebbe meglio informarsi o controllare prima di scrivere inesattezze?
se è reato com'è che milioni di italiani non sono in carcere?
Come detto nell'articolo, nel Giappone antico,anche sul piano religioso l'omosessualità non era considerata un peccato, ma parlando di buddismo più puro, più che sul piano religioso, in Giappone era accettata sul piano "Filosofico".
Nelle religioni buddiste in realtà, nonostante sia vista sotto una luce più neutra del Cristianesimo, anche l'omosessualità, non diversamente dalle religioni occidentali, è considerata una delle attività terrene che causano "piacere illusorio", che pertanto distraggono il seguace, dal vero obbiettivo del raggiungimento del Nirvana. Così come lo sono il sesso non finalizzato al procreare, l'incesto e il tradimento.
In Giappone avvenne una mescolanza tra il buddismo e le credenze shintoiste, un po' come avveniva tra cristianesimo e paganesimo dei popoli barbarici. Cioè delle vie di pensiero ibride che però sviavano dai concetti veri e propri delle nuove religioni.
Quindi il rapporto fisico e omosessuale, per rafforzare i legami fisici e spirituali, della cultura dei samurai (similmente a quanto avveniva tra le legioni spartane per rafforzare il senso di unità militare) veniva amalgamato alle credenze buddiste come lo erano le tradizioni sull'adorazione degli spiriti, dei rituali etc. Che però appunto nulla avevano a che vedere con i precetti del buddismo più puro in sé.
Il buddismo venne introdotto abbastanza di forza dai nobili feudali (tanto che si scatenarono delle guerre di religione coi fedeli dello shintoismo che non volevano vedersi infettati dalla nuova religione). Dal momento che era un modo per tenere a bada i contadini e le rivolte. Poiché e' un precetto buddista "non ribellarsi all'autorità, nemmeno se tirannica, e chiudere gli occhi di fronte al male, poiché solo così il malvagio capisce che fare il male non serve a nulla".
La promessa di una reincarnazione, inoltre era più accettabile dell'aldilà shintoista, e quindi spronava meglio i guerrieri a scendere e morire in battaglia (quando invece ciò andava in contrasto coi principi non violenti del buddismo).
Si può quindi dire quindi che l'accettazione dell'omosessualità in Giappone, più che sul piano religioso in sé, era dettata da una sorta di "convenienza". Infatti le scuole di pensiero giapponesi sul buddismo differiscono molto da quelle nate in India o nel Tibet. Se le avessero accettate completamente, si sarebbero per esempio abbandonati i riti tradizionali, le pratiche omosessuali e le guerre in virtù dei veri principi predicati da Buddha. Chiaramente come nella storia umana appunto si basa tutto sulle convenienze più che sulle convinzioni.
Il che dal punto di vista moderno per l'accettazione dell'omosessualità si è rivelato un bene. Ma che aveva di per sé un suo lato oscuro per gli stupri o i rapporti di convenienza così come avveniva chiaramente coi rapporti eterosessuali.
Detto questo: io credo nell'amore (in quello vero).
Beh ma fa' comunque parte della storia umana e del suo contesto sociale. Finché si usano termini razionali, è innegabile che abbia influenzato (e lo fa' tuttora) anche queste queste questioni sociali.
"Una società tollerante in cui ci si comprenda a vicenda" è aria fritta, un contentino a parole in puro stile poLLiticamente corretto.
Infatti, non a caso "Non sarà tollerata alcuna discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere individuale" è stato bocciato. Se non viene tollerata la discriminazione c'è una legge a cui appellarsi per far valere i propri diritti.
La società tollerante implica intanto che nelle scelte private delle persone ci sia qualcosa da tollerare, e comunque non vuol dire assolutamente nulla. IMHO.
Comunque rimango della mia opinione, spero non vogliate obbligarmi a pensarla come voi.
Con questo ho chiuso e vi saluto.
Non tollerare l'intollerenza è un paradosso: nel momento che non stai tollerando diventi intollerante, ergo finisci che devi punire te stesso.
Ma lasciando stare i paradossi, dover arrivare al punto di reprimere l'intolleranza è ammettere il fallimento della società. Il successo sarebbe estirparla, non lasciarla crescere e poi punirla. Molto meglio iniziare dalle famiglie, per poi proseguire con appositi programmi nelle scuole, a insegnare la tolleranza. Chi finisce in carcere (o paga una multa) non diventerà mai tollerante.
Ma è troppo complicato. La repressione è una strada molto più semplice da seguire.
Peccato che il DDL Zan abbia al suo interno un pacchetto di finanziamenti all'educazione nelle scuole. Ma ehi, meglio non informarsi e andare con la tiritera del " eh ma punire non serve a niente gne gne ". Cosa tra l'altro pure sbagliata, quanti "ebreo di merda " senti rispetto a "frocio" ? Esiste l'antisemitismo? Sicuramente, però l'antisemita sa di essere ostracizzato dalla società se esprime il suo pensiero mentre invece stiamo ancora a parlare della libertà di espressione nell'insultare i gay. E quando si fa notare che insultare gli altri non ha nulla a che vedere con la libertà di espressione " eh, ma non si può più dire niente, maledetto politically correct!1!"
Ovvero il Giappone medievale era meglio dell'occidente moderno
Poi... non so. Guardando le trasmissioni televisive giapponesi ho avuto l'impressione che siano più aperte senza voler al contempo "imporre" un qualcosa come qui. Nel senso il personaggio di Ika (trasmissione per bambini sul ballo... trasmissione non animata, cioè Ika è una persona in carne e ossa) è omosessuale, ma non è nè esaltato nè "imposto" c'è, come avrebbe potuto esserci chiunque altro; non so se sono riuscito a spiegarmi.
In pratica stai dicendo che Ika è una personale come tante che lavora in televisione... la normalità, quando qualcosa viene presentato in maniera normale, difficilmente viene percepita la "diversità" ed è allora stai facendo la cosa giusta (vale per i gusti sessuali, per il colore della pelle, per qualunque differenziazione ci venga in mente visto che non siamo tutti uguali e non lo saremo mai per fortuna) e gli statunitensi (e noi) avrebbero solo da imparare al riguardo. Per me è questa la strada da seguire. (IMHO).
1) "Non sara' tollerata alcuna discriminazione...". Questa frase, per quanto di condivisibili intenti e' formulata in modo alquanto infelice. Come ben sanno coloro che hanno studiato giurisprudenza (e come recentemente ribadito da Fiandaca), se parliamo di una norma penale il concetto di discriminazione assume "significati e declinazioni differenti a seconda dello specifico campo di materia che viene in rilievo. Questa genericità e polivalenza della relativa nozione solleva un problema di compatibilità col principio costituzionale di sufficiente determinatezza della fattispecie incriminatrice, essendo in definitiva demandato dal legislatore al giudice il compito di stabilire in concreto quando un certo atto sia qualificabile discriminatorio". [Quindi, volendo riassumere questo punto, la formulazione cosi' com'e' fa a pugni con il diritto costituzionale e con il diritto penale].
2) " le relazioni omosessuali tra samurai o fra monaci erano generalmente accettate". Qual era il problema di quelle relazioni omosessuali? E' che erano squilibrate. Nel caso dei monaci spesso i novizi erano praticamente bambini (siamo al confine tra la pedofilia e la pederastia) mentre nel caso dei samurai c'era la gerarchia da cui non si poteva prescindere (e quindi, molto volgarmente, se il tuo capo voleva il tuo culo tu glielo davi). E' ridicolo proiettare le relazioni omosessuali come sono oggi nel passato, oggi sono tutte infarcite di sentimentalismo becero e smielato, ieri sicuramente non poche erano basate su sopraffazione e violenza (spesso non fisica ma psicologica). In un certo senso, si' l'omosessualita' era, allora, quasi istituzionalizzata (e proprio per questo anche oggetto di...chiamiamola satira..anche in Giappone il concetto di satira e' molto lontano dal raggiungere il livello occidentale). Ma non era "accettata", era tollerata perche' era un "male" inevitabile. Tutto qui. Ed era, in un certo senso, molto piu' simile all'omosessualita' del mondo animale, un'esercizio e una dimostrazione di potere sopra un'altra persona.
3) "l'appartenenza a una minoranza sessuale sia solo una questione privata e che non debba essere dichiarata al mondo intero". E dovrebbe essere proprio cosi' per tutti, etero, omo e tutti gli altri. L'orientamento sessuale non dovrebbe forse essere qualcosa di personale? Perche' se sono etero devo sentirmi in dovere di sbandierare il fatto di esserlo? La "derisione" (sempre e comunque sbagliata) nei confronti degli omosessuali nasce, invece, quasi sempre da un paio di situazioni: a) quando un omosessuale ci prova con un etero (e l'etero ha tutto il diritto di rifiutarlo, mi pare. Ma non di deriderlo o di "sputtanarlo". Salvo una particolare insistenza...e qualche volta gli omosessuali sono insistenti ne' piu' ne' meno degli etero) b) quando un omosessuale riveste la propria condizione di una sorta di infantilita' (e il fatto questa infantilita' sia perculata in un paese in cui sono praticamente tutti infantili e' veramente assurdo).
4) "per firmare un contratto di locazione insieme, per ereditare dal loro partner o per essere il beneficiario della loro assicurazione." Sicuramente e' opportuni e doveroso che siano riconosciuti questi diritti ma questo riconoscimento puo' probabilmente prescindere dal riconoscimento dell'unione civile. E' evidente che la preoccupazione e' che se si ricosce l'unione civile prima o poi qualcuno ricorrera' all'utero in affitto per avere figli. Ricordiamo, pero', che almeno fino a questo momento la comunita' omosessuale giapponese si differenzia da comunita' di altri paesi proprio per il disinteresse per la prole. In Giappone non e' normale adottare e le coppie omosessuali non sono sembrate fino ad ora intenzionate ad adottare. Pero', se fossero riconosciuti come "coniugi", il passo successivo sarebbe proprio il ricorso a tecniche di riproduzione per essere genitori. Sul fatto che due genitori omosessuali siano equivalenti a due eterosessuali, gli studi sono ancora pochi e su troppi pochi casi. Io preferirei non sbilanciarmi. E' facile in astratto dire che basta l'amore di due persone (due uomini o due donne) ma un bambino non ha bisogno solo di amore. Io passando dall'astratto al concreto, ad esempio, non riuscirei ad immaginare la mia vita senza mio padre (e con una donna come padre) o senza mia madre (e con un uomo come madre). Limiti miei? Forse
5) "un Paese...dove si antepone il benessere della comunità a quello del singolo". Secondo me non e' per niente vero ma questo non e' l'argomento principale dell'articolo quindi non e' necessario dilungarsi.
6) "Anche la famosa relazione fra Yoshitsune Minamoto e Benkei fu letta in chiave omoerotica." Ormai si tende a leggere in chiave omoerotica ogni amicizia tra maschi etero. Io da maschio etero non sono per nulla contendo di cio'. In questo modo si finisce per distruggere il concetto di amicizia tra maschi.
7) "I rapporti tra lo shogun Ashikaga Yoshimitsu (1358-1408) e Zeami, conosciuto anche Kanze Motokiyo (1363-1443)". Sai quanti anni aveva Zeami quando fu...da Yoshimitsu? Cerca un po' questa informazione...
8) Viandante 1337: ho trovato molto interessante il suo lungo intervento ma non sono d'accordo su alcuni punti. Il rapporto tra buddhismo e omosessualita' e' complicato. Il rapporto tra buddhismo giapponese e omosessualita' e' ancora piu' complicato. Tralasciando chi era contrario alle pratiche omosessuali (ad esempio, Genshin della scuola Tendai) a me pare, molto semplicemente, che in molti casi i monaci con una certa "paraculaggine" interpretassero il "non avere rapporto sessuali" con "non avere rapporti sessuali con donne" (anche se poi alcuni avevano anche questi) [quindi forse e' la "convenienza" di cui parli anche tu?]. Delle "guerre di religione" di cui parli non trovo riscontro (ma ci furono sicuramente quelle tra le varie scuole / sette). Come hai messo in evidenza, il problema era appunto la pederastia / pedofilia...
P.S. La piena uguaglianza con gli omosessuali sara' raggiunta quando la regola del divieto di cat calling sara' valida anche per loro
2 P.S. I suicidi di cui non parlano le cronache (e di cui si e' sentito nel video di Loris), sarebbe piu' interessante saperne di piu'. Chiaramente sono una tragedia e un fallimento per la societa' tutta.
Comunque incredibile come sia stato l'occidente a fare danni, probabilmente se non fosse stato per questa visione occidentale di omosessualità come malattia le cose sarebbero andate diversamente in Giappone...
Rispondo in ritardo. Si esatto questa era la convenienza di cui parlavo.
Diciamo che nel corso della storia il Buddismo, esattamente come il Cristianesimo, è una religione pacifica e idealista che non poteva certo adeguarsi in un mondo di violenza e opportunismo (non che oggi la situazione sia cambiata molto).
In Giappone il buddismo era stato adottato più per comodità che per vero e proprio bisogno spirituale.
I precetti sul pacifismo e sull'ignorare la tirannia, tenevano a bada il malcontento dei contadini e dei soldati, che più soffrivano per le guerre tra gli shogun. Anche la "promessa" di una reincarnazione rendeva spesso più sopportabile il morire in battaglia o il compiere suicidio onorevole. Decisamente non in modo diverso da come l'autorità divina del re e la promessa del paradiso per chi sopportava stoicamente le angherie dei nobili, venivano usate per i più svariati soprusi nel medioevo occidentale.
Inoltre la meditazione zen veniva usata come preparazione mentale alla battaglia e all'uccisione dei nemici. Decisamente ben lontana dal vero scopo della meditazione buddista, per la quale essa è un modo di ritrovare la pace interiore e non certo per staccare meglio le teste.
Ritornando al vero tema della pagina, l'omosessualità è controversa per il buddismo giapponese.
Parlando di buddismo puro, spesso si commette l'errore di pensare che rispetto al cristianesimo, il buddismo sia la religione della piena libertà sessuale, in mancanza di un'autorità divina che stabilisce le regole di condotta terrena.
In realtà il buddismo è persino più rigido. Il sesso, proprio come per il cristianesimo, serve solo per portare avanti il grande meccanismo karmico di morte e rinascita. Per questo nel buddismo deve essere, all'interno dei praticanti laici, circoscritto solo al matrimonio e alla procreazione.
Se il sesso viene ricercato come modo per raggiungere il piacere, allora esso nasce dal desiderio e di base il desiderio stesso è la radice della sofferenza umana. Pertanto nel buddismo l'omosessualità è accettata in quanto tale. Ma se parliamo di pratiche omosessuali, il buddismo non le può ammettere, dal momento che esse appunto forniscono solo un piacere illusorio e non sono in grado appunto di fare procedere il naturale ciclo karmico di morte e rinascita.
In Giappone, come dicevi giustamente tu, le pratiche omosessuali all'interno del buddismo erano dovute a delle grandissime manipolazioni e libere interpretazioni dei testi buddisti (arrivati per altro in Giappone dalla Corea e dalla Cina). Se nel buddismo la condotta sessuale è rigida per i laici figurarsi tra i monaci.
In molte scuole thailandesi, vietnamite etc. Ai monaci è persino vietato toccare le donne (anche solo per saluto etc.), Tanto che le turiste stesse hanno delle restrizioni severissime quando entrano nei templi.
Per il monaco buddista, che sceglie di privarsi dei beni materiali e di qualunque desiderio per il raggiungimento dell'illuminazione, il sesso è escluso a priori. Per questo fa' effettivamente storcere il naso che nel buddismo giapponese l'omosessualità fosse incoraggiata fra i monaci e che addirittura si affidassero i ragazzini agli stessi per imparare le pratiche sessuali.
Prima ancora della diffusione del buddismo in Giappone, l'omosessualità similmente alla cultura greca era spesso accettata. Con l'introduzione del buddismo e dell'ordine monastico è appunto diventata un business, all'interno del quale i nobili e i monaci abusavano della loro posizione per appagare i loro appetiti. Il che dava origine appunto a episodi di violenza e pedofilia. Che nulla però avevano a che vedere con la dottrina buddista vera e propria
Sulle guerre di religione parlavo soprattutto degli inizi. Quando alcuni Clan incolparono il buddismo, considerato agli inizi un culto pagano (peggio ancora perché straniero e importato dalla Corea e dalla Cina) per un'epidemia di vaiolo e fecero strage dei monaci. Oppure quando durante l'epoca Meji, le comunità buddiste giapponesi subirono un dura crisi per via del fatto che l'imperatore voleva rafforzare di più la sua figura e quindi preferì favorire lo shintoismo come religione di stato a scapito del buddismo stesso.
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